mercoledì 14 aprile 2021

miserere mei, dOmine

Miserere mei, Domine Ed ora, con la morte di mia madre è come se Dio avesse adempiuto i miei voti più intimi ed inconfessabili, ad ogni riemergere dei quali ” Signore, purificami”, esprimevo invano come Ibn Arabi, rinunciando a formulare preghiere secondo quanto nutrivo di dentro-, quasi che così , nel vuoto dell’ora presente, Egli al contempo mi stia mettendo di fronte a tutta la mia miserabilità esperita nel reggere il fardello del sostentamento e dell’ assistenza di mia madre, alla brevità che si è rivelata irrisoria di quant’è stata la pena di tale sacrificio, dileguata come un niente, rispetto a tutta la vita che resta davanti, che la mia immaginazione mi prefigurava come un incubo interminabile quanto la longevità di mia madre. Lo era al punto che per il suo attaccamento alla vita, per quanto la riducesse ad essere sempre più confinata in appartamento, appagata di esservi finalmente servita e riverita, nel farsi refrattaria ad ogni lutto e sofferenza esterna cui il prolungamento della sua esistenza la esponeva,quando mi ritrovavo al cospetto della sua fibra indomita che trapelava nel suo tono di voce e nella sua passione per il canto, “ ci seppellirà noi tutti” , vaticinavo sgomento nelle mie perturbazioni mentali. La concepivo allora come il tasso, l’albero longevo della morte. A onore del vero, nonostante ogni mio recalcitrare perché fosse riconosciuto la disparità dell’apporto che poteva essermi richiesto, non mi sono mai sottratto a contributi ed oneri, negli ultimi anni non c’è stato incontro tra me e la mamma che non si concludesse nel ritrovarci contenti, risollevandoci entrambi nello stare insieme, ma il versamento di ogni mio contributo restava l’ammanco di una perdita continua, inesorabile , un venir meno di mese in mese di quanto potevo riservare alla mia vecchiaia senza assistenza di figli, o concorso alcuno di congiunti , un ridursi incessante dell’ammontare che potevo lasciare in eredità alla mia famiglia d’adozione, per lo studio e le doti matrimoniali dei nostri figli in comune, senza che potessi contare minimamente su alcun sollievo o ristoro che potesse venirmi da quanto seguito a scrivere e a pubblicare indefettibilmente, tra un ammanco e l’altro delle mie forze fisiche. Ho seguitato in tale stato di cose a confidare comunque in termini di fede nella Realtà, o Provvidenza che sia, e così intendo e non posso che proseguire. Quanto a mia madre, altro non resta, che non sia risorgente rimorso,, se non il ricordarla e renderla a me presente ogni giorno nella sua assenza terrena, quando in ogni mio compito domestico riprendo la sua cura della propria casa, il suo piacere per la pulizia e per l' ordine, non mi resta altro che di vivere come lei avrebbe voluto che vivessimo, con coraggio e intraprendenza, ricomponendoci effettivamente tra noi congiunti , come la famiglia unita che siamo pur stati capaci di illuderla che fossimo.

lunedì 5 aprile 2021

Sul parco del Te

C’è da chiedersi se i Gonzaga nei confronti dei loro sudditi afflitti dalla pestilenza ostentassero la stessa albagia temeraria che in tempi di una così catastrofica emergenza pandemica mostra il sindaco Palazzi verso la sua cittadinanza , allorché invece che sospendere, o revisionare al ribasso, anticipa faraonici progetti, quali quello del Parco del Te , che ben poco hanno a che vedere con le nostre necessità primarie e più urgenti, e nemmeno con qualsiasi recovery plan che non sia farlocco. In ciò egli inasprisce quanto tale progetto ne sia un ghiribizzo autocratico fin dal suo annuncio eclatante , quando non fu proposto alla pubblica discussione ed all’altrui apporto di sensati pareri, ma imposto d’imperio senza variazione possibile, come il nec plus ultra incontestabile. E ciò con l’aggravante di non avere Egli nemmeno chiarito alla cittadinanza il trattamento così riservato ad una ricerca antecedente costata 350.000 euro di denaro pubblico ed anni di lavoro ad una equipe di studiosi la cui attività era finalizzata al recupero Unesco di tutti i giardini gonzagheschi, Tale ricerca era culminata in un piano guida di riqualificazione e di riconfigurazione del Te decisamente meno estemporaneo ed assai meno costoso di quello voluto dal Sindaco, rispetto al quale risulta a tutt’oggi ben più rispettoso del sedime quanto degli assi di strutturazione e d’accesso e delle fruizioni primarie del Te, quale luogo di passeggio ideale tra i canali e le piazze d’acqua di “pescherie” e di”ortaglie”. Non solo, il parco prefigurato nel rendering di quegli studiosi appare assai più moderno e contemporaneo di quello degli anelli di cui si è invaghito il Sindaco, in quanto consentiva un riassetto dei prati secondo versatili modi di impiego, in luogo del loro concatenamento in tanti cerchi di alberi capitozzati . In tal senso lascia interdetti come la Sovrintendenza e il Mibact di Roma abbiano avallato un parco del Sindaco che con tale alterigia sovrappone il progetto di uno studio tecnico ad una ricerca che fu commissionata e finanziata dai loro predecessori, e che venne condotta a suo tempo con tutte le indagini specialistiche del caso, archeopalinologiche e del sottosuolo con radar .Non pago di tali sprezzo procedurale, per sveltire i lavori e per far tacere qualsiasi polemica il Sindaco di Mantova già ha destinato oltre 1 milione di euro anziché ad una cittadinanza stremata dal covid e dal lockdown alla realizzazione dei campetti sintetici di San Pio X e di Sant’Egidio che vanno a sostituire quelli distrutti presso il Martelli per far posto al suo parco anulare, ed ha riservato al restyling ancillare della bocciofila altri 900.000 euro, detratti alla cultura o che in tempi di covid e di lockdown, potevano essere impiegati per fare demordere l’impatto del welfare famigliare sui fragili vecchi che devono accudire altri più fragili vecchi , o sui genitori dei figli costretti a casa da scuola per la didattica a distanza. Come se non bastasse, Egli si è fatto punta di diamante di un partito dei sindaci che è una sorta di ibridazione tra Lega , Forza Italia e Dem, nel proporre una semplificazione del controllo degli appalti che stronchi ogni voce in merito ed in capitolo che non sia quella di chi amministra. E vorrebbe così carta bianca dopo aver fatto quel che ne è stato del progetto Unesco del Parco del Te, e dopo che in tempo di elezioni ha accreditato un costo fittizio complessivo del suo neo-parco di 5.500.000 euro, only, quando fin dall’ inizio tale onere era accertato tra i 12 e i 14 milioni di euro, come infine è stato ufficializzato. Con uno sbilancio, manutenzione esclusa, di non meno di 8, 5 milioni di euro che sono soldi dei mantovani, per usare il dettato del suo sovranismo municipalistico, con buona pace di quanti intanto nell’emergenza pandemica si ritrovino in malora. Odorico Bergamaschi

Piazza 80 Fanteria

Signor Direttore Di bene in meglio Mantova, la nostra nouvelle ville Lumière. Dopo gli Champs Eliseées di corso Pradella, in attesa della nostra piccola Versailles del Te avremo tra poco anche la nostra petite Place Vendome in Piazza Ottantesimo Fanteria. Un’ autentica sciccheria, non c’è che dire, non fosse per quelle pianticelle che sembrano stuzzichini arborei di un antipasto, molto di cubettato, niente di cubista. Del resto che c’era da aspettarsi, quando il committente è lo stesso Signore del Parco degli anelli, sua maestà Palazzi, che di pretenzioso non ci fa certo mancare niente neanche in tempi di pandemia , pur se cosi ci si dimentica di provvedere in tempo ai bisogni più grossolani e più impellenti della cittadinanza, come i cassonetti del immondizia, pardon i city bin! Niente di ombroso e di idrico, nessun piano di appoggio o di seduta, a comun danno di balordi e invalidi e indesiderati fricchettoni, che a malapena come il sottoscritto possano valersi solo delle gambe e della bici. Sembra che per Egli certi bisogni esistano solo se il soddisfarli gli consente di finire in pagina interna sul Corriere, così precedenza assoluta per i pit stop delle facoltose turiste lattanti, quanto poi alle residenti straniere tra noi, attendano pure lungo i passanti invece che in un’autostazione l’arrivo di un autobus, salgano e scendano pure con bambini e bagagli per i montacarichi umani del nuovo sottopasso della stazione ferroviaria… E dunque , senza immischiarsi nelle umane miserie ed indigenze, quanto ai balordi di piazza Ottantesimo fanteria siano sempre e solo a videosorveglianza e fari allucinanti, come detectors dei beoni che si attentano a innaffiare la piazza della pipì ch’era già birra o vino sugli scaffali del Carrefour , ma ahimè con riconfermata cilecca dello Sceriffo Rebecchi, -oh, yes-. Che quando la natura chiama e resta anche solo un filo di tenebra od un angolino che sfugga ai fari, è oramai assodato che non servono a niente neanche le taser, per cui, dico, o si toglie la licenza al Carrefour, almeno quella di vendere alcolici, o si approntino pissoirs per i pisseurs ( Pisciatoi per i pisciatori). Tertium non datur.Tanto più nella città di Vicolo Pisinpé. E dove corso Pradella e vicoli e vie sono tutti una pisciata impenitente e impunita dei cani di sciur e sciure demo leghiste. A Paris , per restare in tema, ci sono anche nell’ Ile Saint Louis degli uritrottoirs che sono addirittura fertilizzanti. Lasciando pur stare quelli sessisti del trevigiano a forma di bocca di donna. Considerazioni indulgenti di bassa lega materiale e di poco appeal consensuale? Ora io chiedo, dei 13.500 anziani che vivono in città, quanto pochi credete che siano quelli che sono costretti a rimanere in casa per incontinenza urinaria o uso di farmaci diuretici, perché una città pressoché senza orinatoi pubblici è per loro la via crucis ciottolata di un Calvario? O perché nei pressi dei loro condomini trovano piazzette gremite di carapaci d’auto che sovrastano , se ci sono, anche le panchine all’ ombra e le fontanelle

Ed ora, nel volgere di poche settimane,

Ed ora, nel volgere di poche settimane, dopo mia madre, anche Francesco, il compagno di mio fratello, è passato dal novero delle preghiere per i vivi a quello delle preghiere per i morti. Che non ci siano più o che siano in un’altra dimensione, ho cercato in queste settimane di fortificarmi, o di difendermi dal dolore più acuto, alla luce del mio risolvermi in un cristianesimo tantrico, che nell’accettazione del piacere e dell orrore salvaguardasse la mia speranza cristiana, in virtù della preservazione nel Padre-Brahman di ogni identità che sia in lui approdata, come consente di credere il pensiero indiano di Abhinavagupta e di Ramanuja, il principio di fede calcedoniano per cui in Cristo ed in ognuno di noi umano e divino permangono distinti nella loro unità, senza separazione né confusione in un unico oceano di luce o mare di latte cui sfociare nella nostra morte, come vorrebbe la spiritualità di Shankarachariya. che è onnipersaviva dell’ incontro spirituale tra Occidente ed Oriente . Così ho accettato sia ogni disperazione del lutto che ogni suo rarefarsi nell’incombenza degli incubi economici, sia il rimpianto di non avere più nella mia vita l irradiarsi arrivando alla casa di mia madre della sua viva presenza o la sua voce che si accampa al telefono , vano il suo numero nella rubrica, lo sconforto di non potere più volgermi indietro, svoltato l’angolo della strada, per ricambiare il suo saluto dalla finestra del suo appartamento, quanto che il mio soufflé , oggi a tavola, riesumi quello che Francesco ebbe a consumare tra le difficoltà dei cateteri al collo quando due settimane fa ebbi il conforto di parlare al telefono on lui in ospedale. Ed al contempo ho lasciato che i miei sensi di colpa verso mia madre prendessero le parvenze del suo fantasma che mi volita in stanza, implacabile, dopo l’agnizione ultraterrena di ciò che avevo covato in seno nei suoi confronti, infine non ho ricacciato lo sconforto che nemmeno obiit anus abit onus, quando ho appreso in banca l’entità della rateazione del mutuo che mi sarebbero costati i costi per il suo funerale, “ ed ora devo mantenerla anche da morta per altri tre anni…” erompendo in ufficio a voce alta .Invece dello sciogliersi in lacrime dl dolore, nella mente per giorni le più festose canzoni tripudianti, come a uno sprigionamento, quasi che la morte di mia madre avessi vinto un terno al lotto….alla notizia dell’aggravarsi improvviso del suo stato di salute un sobbalzo ch’era un tumulto, un “finalmente” che ho strozzato in petto, nel preannunciarsi prima del tempo temuto della fine dei miei vincoli economici per il suo mantenimento ad oltranza, io che con acrimonia e sprezzo presagivo , nella sua voce, nel suo cuore forte, nella sua voglia indomita di vivere, che ci avrebbe seppelliti tutti, noi figli…. Meglio evitare di pregare per lei, date le parole e quanto saliva alla mia mente di chiedere a Dio… Per riprendermi, a viva forza rammentando a me stesso che lei era stata la persona che più di ogni altra mi ha più amato al mondo, che più di tutte ha fatto per me, sottraendomi al destino di finire sciancato e per essere solo una barzelletta di paese. Nella mia stessa nuova casa intanto tutto, lo voglia o non voglia, mi parla di lei, anche quando sembra che non la stia pensando, del suo impero sulla mia mente che ha presieduto all ordinamento di ogni cosa.. Era non più tardi del sabato precedente la sua fine inattesa, che ero di ritorno al Ldl per comperare anche per mia madre una pinza telescopica raccogli oggetti., quando poco più di una settimana dopo, il 23 marzo del 2021, il corpo di mio padre sarebbe stato da estrarre dal suo loculo e cremare, perché le sue ceneri siano raccolte in una urna e calate nel loculo dove il giovedì prima ho visto essere murata la salma di mia madre, due giorni dopo che è deceduta. Era entrata già in coma nel primo pomeriggio della domenica successiva a quel sabato, al Ldl, a, causa di una setticemia che ha infiammato tutti i suoi organi vitali, già provati dal covid, per lieve che si fosse manifestato, dopo che da un mese accusava dei disturbi neurologici che la perturbavano di notte. E già la sera stessa di martedì 16 marzo, il giorno seguente al suo novantesimo compleanno,mio fratello e mia sorella hanno cercato invano di comunicarmene il decesso al telefono, per cui l’ho appreso la mattina seguente da una mail di mia sorella che mi diceva che la mamma non c’era più. Che lei non sia più niente o in un’altra dimensione,. ove ora saprebbe tutto, di ciò che mi affligge e mi rimorde, ’io sono intanto come una crisalide che solo alla mia tarda età è uscita dal bozzolo serico che mia madre aveva intessuto negli anni, dentro la mia mente. Essa resta stupefatta e attonità di quanto è successo e in lei si svolge, lancinata dalla perdita improvvisa e inattesa di mia madre per quanto sia morta in tarda età, infervorata dalla schiusa che si apre in una sua metamorfosi mentale dagli esiti ignoti. Per quanto mia madre sopravvivesse oramai a se stessa,essendo evaporata in una mite dolcezza di affetti ogni sua cognizione e pretensione, in me lei restava un arcano dominante, come sempre, che regolava e forse regola ancora ciò cui devo sottostare per accettare me stesso nel mio ordine domestico e personale, per riconoscermi una mia dignità sociale. Tale dominio della sua mente nella mia mente vigeva nel mio stesso modo di esprimermi e di fare, di essere esuberante o di reagire insofferente, al punto che guardavo me stesso nelle mie vicissitudini corporee e quotidiane con gli occhi con cui sentivo che mia madre si volgeva a se stessa o mi considerava, avvertivo quali miei i suoi scatti di umore e le contrazioni del volto, le mie parole erano dette cin la sua voce, le mie emozioni espresse con la sua mimica facciale. E’ a lei che risale la incontenibilità ultima della mia verve dialettale ed ogni sua materialità di espressione natia , ciò che dismesso il leggere e lo scrivere ha seguitato ad essere l’assillo guida di questi mesi in quarantena casalinga. E’ infatti da che mia sorella mi disse che sarebbe sopraggiunta con mia madre nella mia nuova casa, che il giorno del suo arrivo venturo era diventato per me una sorte di giorno del giudizio finale, in cui come avrebbe ritrovato la mia casa avrebbe deciso per sempre della mia decenza e dignità personale, per me ed al cospetto del mondo. E’ stato lo stesso giorno seguente alla sua sepoltura, di venerdì, mi è pervenuto il mobiletto che avevo ordinato la settimana prima in amazon, perché mia mamma non ritrovasse nella vasca da bagno detersivi e detergenti cumulati in una bacinella, e non c’è volta che riassetti il piumone del letto, che non mi riappaia la toppa adesiva che evitava la fuoriuscita di piume d’oca, che sarei stato così contento di poterle mostrare, perché fosse soddisfatta del vedere come avevo provveduto a tutto e non mi sfuggiva nulla , cos’ì, parole sue “ come non mi facrssi mancare più niente”. E solo poche ora fa, a riaprire ogni lacerazione, mi è giunta l immagine che sarà apposta sulla sua lapide, in cui appare ancora più che mai bella e luminosa e viva, a contrasto di ogni mia immaginazione consolatoria che oramai lei fosse il proprio relitto, a seguito della perdita oramai avvenuta della propria personalità. Posso ora solo recitarle in memoria questi versi di un mio poemetto giovanile, in cui è in nuce quello che lei è stata dentro di me. Mia madre, donna di domestici mestieri, che sempre ha sofferto senza lottare, di pochi scudi contentandosi e di poter mangiare, di tale sua vita vuol farmi nutrire e tenermi avendomi sempre a servire. Come uccello notturno che si sazia di fuoco l'anima mi ha risucchiato a poco a poco con l'eterna sua presenza d'ombra che si strugge, ed ogni volere ribelle inesorabile distrugge dell'anima mia, che già si adombra e s'impaura Erano già gli anni trascorsi della fanciullezza belli in cui i rami intrecciando di arboscelli sospingevo dalle terre di Mago Merlino navicelle di fragili giunchi a un ignoto destino, gli occhi ancora intatti per vedere e sognare, oltre l'immenso respiro del flusso del mare mondi nuovi e rifioriti degli angioli e dei Santi di cui mia madre mi insegnava la sera i dolci canti. Già i primi brividi si mescolavano ai fascinosi incanti di draghi e sirene da fondali affioranti, alla vista di (dei) cadaveri di (dei) marinai e di (delle) dissolte orche, d'oltre i confini della vita e della morte contro gli scogli a me risospinti dal mare. Ma io sereno e superbo( orgoglioso) passeggiavo come incorporeo sugli sfinimenti del sole ed i pallori alborei, inseguendo di mia madre l'ombra cara ed i contorni, se ne splendevano gli occhi per fugarvi ogni paura, come ogni bimbo che nella mamma soltanto s'assicura.