domenica 21 luglio 2013

caro, amato Kailash, amico mio

Caro Kailash, che di lontano amo più che mai, nel ricordo dei modi animali che assumevano la  sua circospezione e  disperazione, come quando  la realtà  deludeva di nuovo ogni sua prospettiva di guadagno, ed egli  doveva circoscriversi in ambiti di vita più limitati, di quelli che temporaneamente apparivano concessi a sé e ai nostri cari,  intanandosi nelle ristrettezze cui si rassegnava senza tanti patemi, purché salvaguardassero la permanenza di sé e dei bimbi in Khajuraho, mentre invece, se  solo  facevo l'atto di   lasciarlo, per la sua indolenza o per le sue brutalità ingrate, senza che per lui si fosse concretato ancora niente che gli assicurasse di che vivere, all'aprirglisi all'istante del baratro del rientro con i bambini nella miseria di vita del villaggio d'origine, ogni suo lividore nei miei riguardi, gravido d'odio, si faceva il ricatto della disperazione sconvolta, ed egli si avvinghiava attorno al collo come un  cappio la corda elettrica, minacciando il suicidio, di dare fuoco a tutto, la morte ai bambini, se non desistevo e non rimanevo con  lui...

"Whats News? ( It's) Only raining", mi ha replicato anche oggi. Eppure  non c' era stato mancato guadagno.
Si,  Ma lui doveva fare i conti con ciò che costa il gasolio, i tuk tuk non vanno ad acqua... L'intera giornata non aveva dormito, mentr'io temevo che fosse tornato a mettersi a letto più ancora di prima, profittando del maltempo dei continui monsoni . Così sfinendosi, non voleva tornare a prendere sonno solo quando gli altri si risvegliano, e per lui è già l'ora di partire per i passeggeri del treno in arrivo da Delhi, o da Varanasi, sicchè se egli solo allora si assopisse rischierebbe di perderlo, come è avvenuto ieri, per la prima volta. Ma è bastato perché temessi che stesse già ricadendo in un suo circolo più ancora vizioso, di quelli che mi avevano fatto disperare che non potesse mai farsi lavoratore per le sue letargie pomeridiane, e perchè mi angustiassi che stesse già sfiduciandosi e cedendo a una nuova inedia  da cui dovevo mettermi in guardia., assalendolo con delle  nuove avvisaglie su che cosa deve assicurarmi che non possa più succedere al mio rientro, prima che possa  confermargli il mio ritorno in India.. Solo per dire, di che cosa si parla quando si dice di amare...(di chi si ama, soffocando e schiacciando  il  riprendersi del respiro vitale).

venerdì 19 luglio 2013

India sconosciuta: Chanderi- Parte prima ( prima stesura-abbozzo)


CHANDERI



Chanderi la si raggiunge per lo più da Lalitpur, dove l’Uttar Pradesh si insinua più in profondità nel Madhya Pradesh, a sud di Jhansi, lungo la direttrice ferroviaria che da Jhansi  giunge a Bhopal, doppiata dall’arteria stradale che  reca a Sagar. Ma una dolente premessa  si rende qui necessaria, a onore del vero,  prima che chi intenda visitarla si risolva a giungervi:  i 37 km che vi recano da Lalitpur, si riveleranno il tormento incessante, per i tre quarti del percorso, che  è  inevitabile patire per accederne alle bellezze recondite, delle quali a loro volta è bene premettere, perchè si abbia consapevolezza  di  quel che si perde sottraendosi al subbuglio, che sono  quanto di più bello  riserva il lascito in India dell’arte islamica afgana.

Tutto un sobbalzo, uno sconquasso di organi interni, per schivare l’uno o l’altro cratere stradale senza potere evitare il successivo, che solo la stabilizzazione concessa dal viaggio a pieno carico degli autobus di linea macilenti, può lenire nelle trasmisssioni delle vibrazioni ossee. Ma  si riveleranno le asperità ch’è valso la pena affrontare fino all’ultimo scombuiamento, che avrà termine  non appena si affianchi e si superi la Rajghat dam sul fiume Betwa, e inizi l’erta che fa ascendere sull’altopiano del Malwa,  addentrandoci di lì  a poco nell’abitato di Chanderi adagiato tra i colli.

Tale arrivo in salita, lasciandoci alle spalle per l’altura del Malwa, ed il rientro nel Madhya Pradesh, le lande del Bundelkand che sono situate  nell’Uttar Pradesh, ci fa già intendere  quanto fosse militarmente strategica la postazione di confine di Chanderi, e si situasse imprescindibilmente lungo le vie del commercio tra l’India del Nord ed i porti occidentali  ed il Deccan, destinandola all’affluenza della ricchezza e alla conquista predatrice.

A credere al visir Abul Fazl, a quel che riferisce  di Chanderi , nell’Ain-i-Akbari, “La costituzione di Akbar”,- volume terzo e conclusivo del  monumentale libro celebrativo dell’ imperatore moghul Akbar, l’Akbar Nama, alla fine del Cinquecento era Chanderi  una mirabile città fiorente con 14.000 case di pietra, 61 palazzi, 384 bazar, 1.200 moschee, 1.200 pozzi con gradini...Meno immaginifica, sotto tali parvenze di essere puntualmente precisa, è la rappresentazione che ne preservò all’inizio del medesimo secolo l’avolo capostipite  di Akbar, ossia Babur, imperatore,  nel libro delle sue memorie, il Baburnama, alle pagine che scrisse dopo averla espugnata il 2 settembre del 1527, di Venerdì, sottraendola a Medina Rai, il ministro secessionista di Mahmud II del Malwa, a cui il potere sulla città era stato trasmesso solo sette anni prima dal re del Mewar Rana Sanga di Chittorghar, che l’aveva a sua volta strettta d’assedio  stremando le resistenze di Mahmud II.

 “ E’ la cittadella di Chanderi su di una collina e all’interno ha un bacino d’acqua intagliato nella roccia... Tutte le case in Chanderi, siano esse alte o basse,  sono costruite in pietra, quelle dei ceti più alti essendo laboriosamente scolpite; quelle delle classi umili sono anch’esse di pietra ma senza essere  scolpite....”

Ma ancor più affascinante ed affascinata è l’immagine di Chanderi che due secoli dopo, nel 1859, si offrì alla vista dell’ufficiale armato Lt Reginald Craufuird Sterndale, così come ebbe a scriverne, accedendovi dalla Kati Ghati, la porta ch’è intagliata nella montagna, a sud di Chanderi, ed ora confinata al traffico locale, ma che dall’epoca della sua costruzione, nel 1495, venne destinata ai viaggiatori che pervenivano in Chanderi dal Malwa o dal Bundelkhand: “ Transitando attraverso la Khati Ghati, Chanderi sorgeva alla vista come un dipinto dal quale sia stato improvvisamente scostato  un telo. Le montagne formavano una lunga valle a ferro di cavallo interamente chiusa su tre lati. Sotto di noi giacevano la città di magnifica pietra scura, alte case, pinnacoli di templi scintillanti d’oro, moschee, cupole, minareti e portali, palazzi estivi...tutti  cinti  da masse di fogliame, densi boschetti  di tamarindo, shureefa, more, frammischiati con  luccicanti specchi d’acqua sui quali migliaia di volatili si svagavno.Tutto intorno si snodava un’ alta muraglia in pietra, bastionata, dotata di torri con feritoie e di imponenti porte, e a sinistra, a coronamento del più alto sperone roccioso  delle montagne, e dominando l’intera valle, e l’intera città, incombevano minacciose le scure torri ed i bastioni della cittadella

La fortezza, ora più imponente che arcigna, senza  incombenti  tetraggini d’aspetto, sovrasta alla vista la città, e più non vi esenta di sè lo sguardo, come si acceda a Chanderi dall’opposto versante, quello per il quale vi si è pervenuti secondo il nostro itinerario, sicché la visione che ne ebbe il luogotenente resterà tutta da raggiungere nella sua contrapposizione a distanza, dopo avere traversato e visitato l’intera città.  L’ingresso si apre ora a noi  in prossimità della Delhi Darwaza, la porta (darwaza) di Delhi, una delle quattro, su cinque originarie, che ancora sopravvivono della cinta muraria, o kot, ultima, fra le molteplici cortine di un   tempo, che ancora in parte racchiude la città interna, o andar sheher .


 Fu sotto il sultano Dilawar Khan che ebbe inizio la sua costruzione, e fu  portata a termine nel 1411, sotto il regno di Hoshang Shah, quando la città era sotto la signoria  dei  sultani afghani di Mandu.  La caratterizza il rilievo su ambo i lati del shardula, il mitico animale che dai suoi artefici mussulmani fu attinto alla mitologia  hindu,  esso vi è raffigurato mentre è intento  a sgominare un elefante,  per emblematizzare il potere incontrasto dei governatori della città. Di matrice hindu sono pure le mensole  lavorate come fossero intagliate nel legno, nei loro boccioli gemmei pendenti, che sovrastano plurimi gli stipiti interni della porta, sagomati a loro volta  nelle guise dell’ingresso di un palazzo.

Appena oltre la porta,  trattenendo ogni anelito monumentale, ci è concesso, non meno fascinoso, di sviarci inoltrandoci, sulla sinistra, per i selciati delle strade sempre più restringentisi  e gli slarghi ombrosi dell’antica città interna, che risorge alla vista nei suoi scorci d’incanto,

ove le alte murature e i pilastri di supporto delle antiche magioni, o di occluse porte urbane,

 

 trovano un  seguito ed un insediamento in laboratori e officine e scuole, ed odierne dimore,


calcinate di bianco e di blu,  nei loro sporti sovrastanti.

 

A poco a poco l’antica città si fa così il  Sadar Bazar, nella varietà dei suoi negozi e commerci artigianali, tra i quali primeggiano quelli dei rinomati sari di Chanderi, confezionati nei laboratori che si possono intravedere e in cui è gradito l’accesso, ove le fusaiole e i telai sono all’opera nell’intesserli.

Bellezza dei colori, dei semplici motivi ornamentali, loro lunga durata, leggerezza ed eccellenza della seta in cui sono lavorati, i pregi cui è oggi dovuta la loro fama.

Meno rinomata, ma di rilievo, anche la lavorazione delle foglie di tendu per fabbricare di casa in casa le bidi, o sigarette.

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 Seguendo l’ opera femminile intenta nella lavorazione dei sari, il vagare ci conduce inevitabilmente, lungo  la via che reca al forte, al primo degli edifici monumentali,  il Raja-Rani ka Mahal,  il palazzo urbano del re e della regina di Chanderi, che  ospita la più importante  scuola tessile. E’ composto di due edifici distinti raccordati da una galleria, ai margini di una vasto spiazzo.

Dai corridoi  cinti da pilastri che danno sui cortili interni,  per l’altezza dei tre piani, all’ombra di torri e chattri, si può accedere ai laboratori velati da tendaggi, o lo sguardo si può sollevare alla magnifica vista  delle mura e dei bastioni possenti della fortezza sovrastante, o altrimenti può anticipare, sulla sinistra, l’allinearsi dei bianchi sikkaras cuspidati dei 24 santuari, svettantivi bandierine color zafferano, che compongono il tempio Shri Chaubisi Jain.

Grande è stata nei tempi la presenza che persiste vitale della Comunità jain in Chanderi e nei dintorni, lo attestano i templi che sono  pressocché tutto quanto  rimane dell’antica , Budhi Chanderi, situata ad una ventina di chilometri distanza, più ancora in altura, le sculture rupestri improfanate e i tempietti nelle immediate vicinanze di Sri Digambar Atishay Khandagiri, o i siti di pellegrinaggio nel raggio di una ventina di chilometri di  Thuvanji, Sironji,  e quelli nei paraggi più remoti e più celebri di Deoghar.

Più a Nord Est, tra  Gwalior e Jhansi, è la Comunità madre di Sonagiri, bella del biancore della sua successione di  templi lungo un intero pendio,  ne proviene chi fu il fondatore stesso del tempio Sri Chuabisi, Bhattaraka Harichand, mentre oltre Lalitpur sussiste una costellazione ulteriore di siti jain non meno importanti, nei pressi di Tikamgarh,  Baldeogarh, in  Khajuraho e Nachna Kuthara.

Di due parti consiste il tempio,  di cui la più recente ospita ed offre alla devozione le 24 immagini dei 24 profeti jain  o thirtankaras, una per ciascun santuario.

Se il tempio non si è  prestato che al vostro riguardo  devozionale, poco più avanti, più sottostante al forte, potrà rinvigorire la vostra sensorialità il vivace cromatismo hindu della facciata del  tempio  in onore di Narashima, la quarta incarnazione di Lord Vishnu, semi-uomo, semi-leone.

Cinque  gradini di pietra sopraelevano l’arcata d’entrata, tra due gallerie che ostentano il più brillante colorito, svariante di giallo, di rosso, di blu.

Le sovrasta  un baldacchino cupolato e guarnito di chattri, Ancora un cortile interno di smaglianti pitture, o rangoli e si è al santuario del tempio per la venerazione del dio.

Una retrocessione oltre il palazzo di re e regina, ci conduce alla mole antica della dimora della casa di Baiju Bahwra, il  musico eccelso, e santo, che primeggiò  alla corte stessa del Raja Man Singh di Gwalior.

Ci si interni ancora di più, volgendo a sinistra, e si perviene di lì a poco  ad uno dei più incantevli monumenti di Gwalior, le presunte tombe della famiglia del santo sufi Nizamuddin.

Se ci si attiene a ciò attestano una placca esterna ed alcune iscrizioni tombali, che fanno risalire i relativi sacelli al 1425 quando era signore di Chanderi il Sultano del Malwa Hoshang, che diede l’incarico di erigerle al ministro Malik Salaar, sono piuttosto i sacelli  di alcuni  tardi discepoli del grande asceta sufi, sorti al seguito della testimonianza di fede di Hazrat Wajihuddin, coevo di Nizamuddin,  preposto alle genti di Chanderi dal sultano Alauddin Khilji.

Ciò detto, è bene forse smemorarsene, per restare più assorti negli intricati incanti della loro trascendenza ultraterrena, nelle trame di luce ed ombra che  profilano gli intagli geometrici e floreali, i rilievi in cui sboccia la pietra.


 

Incroci di diagonali dai fulcri astrali, il loro intercidere ottagoni concentrici, trine stellari, pendenti foliari, intrichi d’arnie alveolari, capolini floreali esagonali dal cuore di stelle, da cui si dipartono e si interconnettono rombi di petali, la profusione  in cui può estasiarsi la mente.

 

 

Lasciati i sepolcri con comprensibile stento,  resta il dilemma se portare a termine la visita monumentale della antica città interna, o ascendere prima al forte, senza resistere oltre alla suggestione di entrarvi.

Confidando nell’ arte di indugiare del visitatore, nella morosità della sua delectatio, e prediligendo l’ ordine di precedenza cronologica dei resti, optiamo per ritardare l’ascesa, dirigendoci  verso nord ovest , dove  s’ergono le rovine e gli edifici più monumentali della città e della civiltà che finì sottomessa  ai Moghul, dopo la presa del forte da parte dell’ imperatore Babur: 

Si perviene cosi, irresistibilmente, per i galis che sono come i capillari dellacircolazione della sua rete viaria, al di quà dei resti  delle sue mura, i kot dell’andar sheer, o città interna, come si  già detto, al monumento- simbolo della città di Chanderi, la Badal Mahal Gate, ossia la Porta del Palazzo tra le Nuvole. 


Quando mai, al suo cospetto, sorge da dire al solo suo nome, denominazione fantasiosa fu più realistica: solo tra le nuvole,  appunto, può situarsi il Palazzo fantasma cui immetterebbe, giacchè la Porta ha un seguito solo nel fondale del forte sù in alto. Più prosaica e fittizia, ci sembra la spiegazione del nome ch'è originata dal dato che le sue torricelle sembrerebbero toccare il cielo,
mentre  il vero storico, chissà,  è che era una porta trionfale, di rappresentanza,  che  preludeva per gli ospiti, tra fiori e musica, ai palazzi di corte ed al forte. Certo è che fu edificata nello stesso secolo d’oro degli altri monumenti islamici di Chanderi, per la precisione nel 1450, quando il Sultano che da Mandu governava  Chanderi era Mahmud Shah Kilji.

 

Entro il complesso di cui fa parte,  la porta svetta nelle due torrette che ne affiancano la cortina centrale, in essa si sormontano due archi , dei quali quello superiore ha le sembianze di un affaccio su cui incombe il graticcio finissimo di quattro jali, ma solo perchè l’apertura,  in realtà, è l’ammanco di altri quattro pannelli andati perduti.

Una lunga storia, di reminiscenze, prende corpo nelle torrette laterali inclinate. Esse richiamano e si richiamano all’arte  dei sovrani Tughluq di Delhi, già governatori del’area di Multan, ora nel Pakistan, dai piloni inclinati delle cui moschee trassero o trasmisero ai loro artefici  l’ ispirazione di quelle affini in Delhi, del secolo antecedente a quello della nostra porta. Le loro vestigia si ritrovano nei villaggi ora inglobati nella attuale megacity, in cui sorgevano le due città di Delhi fondate dai sultani Tughluq, dopo quelle antecedenti di Qila Rai Pitora e di Siri:  Tughlaqabad e Jahanpanah, quest' ultima di raccordo tra Tughluqabad  e Siri.

Adiacente a Tughlaqabad,  è dunque visibile la moschea  inclinata nelle sue mura di Ghiyasuddin,- quello Tughluq, da distinguersi dal precedente Ghiyassudin Balbab, che in Chanderi già aveva fondato  la congregazione originaria della grande moschea-, mentre nei villaggi  che corrispondono al sito storico  di Jahanpanah, sorgono le moschee dagli ingressi tra piloni, così come in Chanderi la  Badan Mahal, di Kirkee e di Begumpuri, da cui i caotici villaggi circostanti traggono il nome. A completezza dei riferimenti, va ricordata per i suoi minareti laterali inclinati anche la ulteriore moschea tughluquide di Kalan, che è rintracciabile nella vecchia Delhi seguitando l’arteria che vi si inoltra dalla Turqaman Gate, per distaccarsene dentro  strettoie di vicoli che tolgono il respiro.

Ma dalla nostra porta  del Palazzo tra le nuvole, la vista può spaziare libera  su una vastità di cieli, inoltrarsi con i voli degli uccelli nelle chiome in cui si infoltano  gli alberi retrostanti, o sospingersi verso la fortezza che li sovrasta, differita e incombente, ove un bastione ne asseconda la curvatura.

Eppure ancora una volta ricusiamo, sia pure  temporaneamente, il suo lusinghevole invito attrattivo,  per ritrovarci al di là della cortina dielle mura, ove è adombrata la quiete islamica della Jama masjid, la moschea del Venerdì.

Benché la fondazione della moschea congregazionale  risalga alla riconquista islamica di Chanderi ad opera del sultano Ghyassuddin Balban di Delhi, nel 1251, ( lo stesso il cui mausoleo in Tughlukabad presenta la   inclinazione muraria che si ritrova nei minareti delle moschee tughluquidi in Delhi e nelle torrette della porta Badhal Mahal, nella nostra Chanderi),  la Jama Masjid si evolse nel più puro stile afghano, secondo i dettami dei Sultani del Malwa che da Mandu subentrarono nel governo della città, al punto che se ne posticipa l’edificazione fino al periodo di massimo splendore artistico che intercorse sotto il loro governo della città, durante il regno dunque di Mahmud Khilji,- smentendo anche ciò che lascerebbe supporre un’iscrizione rinvenuta nella moschea, secondando la quale si dovrebbe retrodatare la sua edificazione al periodo della sovranità su Chanderi di Dilawar Khan ( 1390-1405).

Al di là del meraviglioso portico d’entrata sontuosamente decorato nella sua calda pietra, di fogliami cuoriformi, intrecci di nodi, schiuse rosacee di corolle di petali, ecco che  intorno alla vastità del cortile, nei chiostri laterali, o dalans,  nella sala di preghiera sormontata da tre spoglie cupole di marmo, senza che il complesso sia sovrastato da alcun minareto, la moschea si  depaupera di  ogni ornamentazione, che non siano i medaglioni di loto e i montanti  serpentinanti,  e  si fa luce ed ombra della  sublime potenza di nude arcate e pilastri portanti, per il raccoglimento assorto di sola meditazione e preghiera.

Per ridotte che ne siano le dimensioni, più ornamentato appare il dargah di fronte alla moschea,  ricco di intrichi di jali, di motivi floreali, che inducono a supporre che sia stato edificato quando a governare in Chandu erano da Mandu  i Kilji del Malwa. Altri due dargah, più tardi, del XVII secolo, sorgono, poco oltre lungo la strada che procede in direzione opposta all’ingresso in città per la porta di Delhi.

Alsecolo avanti, il XVImo, risale invece il Chakla Baoli, preceduto da due tombe, una vasto bacino acquatico scavato a cielo aperto, cuisi scende per scalinate di gradini a forma di V.

Levando inevitabilmente lo sguardo dallo stato d’incuria e d’abbandono in cui versa, possiamo scorgere quanto intanto si sia fatto distante il forte in altura,  come alla sua ascesa non resti più da frapporre che il percorso che conduce agli inizi della salita, tra il clamore del traffico sugli acciotolati,  il clangore dei telai e delle battiture metalliche nelle officine, e  alte rovine fatiscenti e isolate di altri antichi edifici.

Nel risalire invece alle  origini del forte, le inevitabili note storiche ci fanno retrocedere, giustificando una sosta per prenderne nota, fino all’ XImo secolo medievale, quando ne fece iniziare la costruzione un re hindu Pratihara che è centrato nella leggenda locale, Raja Kirti Pal, da cui trae il nome di Kirtidurg.  Occore invece rifarsi più tardi  ad Alauddin Kilj, sì, quello appunto dal cui magnifico mausoleo nel complesso in Delhi del Qutbminar, ha inizio l’assimilazione perfetta della curvatura di cupole ed archi nell’arte indiana, per venire a sapere a quale conquista del forte  si debba la sovrastratificazione definitiva, anche in Chanderi, della civiltà islamica su quella hindu, raggiungendovi il suo acme quando agli esordi del XVmo secolo passò sotto i Sultani  del Malwa in Mandu.

Se si sta alle cronache del Baburnama, il libro di Babur, sembra che quasi senza colpo ferire nel dì che si è già detto del 1527,  l’imperatore moghul si sia impadronito della possente fortezza: ” Io ho espugnato questo forte rinomato, senza dovere sollevare le mie bandiere, o battere i miei timpani, e impiegare l’intera forza delle mie armi”.

Ma il forte ci svelerà tra poco, come a Babur, quanto di tremendo aveva significato tale arrendevolezza .

Risalendovi intanto, per la massicciata del sentiero che vi conduce, ai rumori della città subentreranno il canto degli uccelli  e il clangore dei campanacci di capre, sospinte per lo più da pastori bambini, mentre l'erba  fa sempre più la sua comparsa ai bordi e fra i ciotoli. Traverseremo così una soltanto delle tre porte che rallentavano il passo, la superstite Khuni Darwaza, o Porta insanguinata, che trarrebbe il suo nome cruento dai cadaveri espostivi dei prigionieri che vi finivano maciullati, strapiondandovi dall’alto delle mure da cui erano fatti esemplarmente precipitare, durante il regno dei Sultani del Malwa.

Giunti entro le mura merlate, cattura immediatamente la vista il complesso, o componud, di palazzi sovrastificati addossati ad esse, per superarle in altezza nelle torri, e nei chattri, in cui culminano i tre piani  degli edifici aggregati intorno a un luminoso cortile,  costellato di vere di pozzi.

La vicina moschea, attribuita a Babur, ma risalente al XIVmo secolo,  e di epoca Kilji, sopravvive solo nella sala di preghiera, dal meraviglioso mirab intarsiato di rombi ricamati nella pietra, dei più incantevoli boccioli floreali.

E’ nei suoi pressi che dal balcone della porta Hawa Paur  ci si può alfine affacciare sulla vista incantevole di tutta Chanderi sottostante, del biancheggiare delle sue murature e dei terrazzi dei tetti, nel dedalo di vicoli curvanti e di slarghi di cortili, entro la chiostrahe le fa corona,  delle colline sormontate in cima da  dei dargah , ove già si possono ravvisare, sulla sinistra, i bacini lacustri dei siti di caccia, la Kati  Gathi intagliata in una gola rupestre, mentre tra gli abitati e l’infoltarsi degli alberi in Chanderi,  è ora un’ incantevole meraviglia ravvisare nella panoramica, ad uno ad uno, pressocché tutti quanti i monumenti già visitati, come in un loro plastico che ne è invece la visione fragrante e reale: eccoli di nuovo, miniaturizzato, il Palazzo del Re e della regina, il tempio jainista accanto, con i sikkara e gli stendardi color zafferano sventolanti, più sottostante il tempio di Narashima, e più oltre, come si allarghi, la vista, la porta Badal Mahal, la Jami masjid, il tutto incantevole, stupendo...

Nel distacco, giova recarsi per assoluto contrasto al Jauhat Tal, la fonte primaria per il forte  d’acqua sorgiva, e vi sapremo che cosa rivelò d’atroce, il suo pozzo, sui retroscena dell’arrendevolezza a Babur di Medini Rai e dei suoi militi e cortigiani hindu : 600 donne del Rajput  si erano gettate dentro nel pozzo in un suicidio collettivo, pur di non finire stuprate e oltraggiate nelle mani del nemico.

Una lasta di marmo nel padiglioncino eretto sul tal, commemora il loro sacrificio.

 Più a Ovest  è la tomba del grande musicista cantante** Baju Bavra,  cui,  per la dedizione totale alla musica del cuore infranto da un amore deluso, si rese nel canto  possibile l’impossibile: in una tenzone canora vincere di fronte ad Akbar medesimo il  mitico Tansen, suo favorito.

 

La discesa dal forte ci porta, in conclusione dell’itinerario, a risalire i pendii, poco oltre il termine della discesa , che gradino dopo gradino ci recano al tempio hindu Shri Jageshwari.

Stando alla leggenda ch’è persuasione locale, sarebbe statta fatta edificare dal  medesimo Kaja Kirti Pal che avrebbe dato inizio all’insediamento del forte,  ma stavolta per una ispirazione della stessa Dea.

Come in ogni mito che si rispetti, anche in questa leggenda c’è chi non sa resistere alle prescrizioni di attendere, e si volge ad Euridice prima che sia fuori del Tartaro. o all’indietro a vedere Sodoma che ancora brucia, sicché Kirti Pal  inaugura il tempio prima dei tempi convenuti, e la dea vi manifestò se stessa solo nell’ emersione del volto.

In una cava vicino all’entrata principale sta  l’idolo prezioso della dea, e un tempio moderno ceramicato ne assiste il culto.

Tra i vari padiglioni, tinteggiati tutti di bianco, due shiva linga, in pietra nera, si distinguono tra tutti gli altri, con il loro toro Nandi  in adorazione,  perchè recano  scolpiti  1.000 più piccoli linga, alla stregua dei mille, e più Buddha, di innumerevoli luoghi di culto buddhisti.

Un’antica immagine rupestre di Shiva e Parvati, scolpita nella roccia retrostante il tempio, un dio Hanuman, anch’esso scultoreo, immancabilmente tinteggiato di rosso arancio, sono le reliquie salienti del tempio, prima di ritrovarci al termine del nostro itinerario, ai piedi del colle, presso il bacino lacustre del Sagar Kund, cui i ghat discendono tra quattro chattri agli angoli.

 E per noi resta soltanto il respiro del Dio in una brezza fra i rami, che percorra gli anfratti  e  i templi  nella cavità del monte.



 

 

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Riprendiamo freschi di nuove energie  la nostra visita,  ed eccoci pervenuti , preso un tuk tuk,  a quanto di più bello,  a non più quattro chilometri di distanza dal centro, in direzione nord ovest, v’ è in  Chanderi nell'ambito dell'architettura civile: il Koshak Mahal,  eretto da Mahmud Kalj in onore della moglie Koshak che vi ebbe il terzogenito.
Sette avrebbero dovuto essere forse i suoi piani, di cui tre soltanto sono giunti a termine, più un quarto semifinito, sopravvivendo a ogni tentativo di distruzione, ultimo quello del British dopo l’uprising, l’insorgenza indiana del 1857: sette piani quanti furono sette i giorni celebrativi la vittoria di Mahmud Shah Kilji su Mahmud di Jaunpur a Kalpi nel 1445. 
Come un Char bag pietrificato, è un enorme edificio cubico, di 35 metri per lato, in cui quattro archi preludono a quattro passaggi arcuati che s’incrociano al centro dell’ edificio, originando quattro quadranti a più piani, inflessi anch'essi in serie di archi e gallerie arcuate.  Scalinate raccordano i piani, finestre balconate si aprono all’esterno immettendo luce. L’ornamentazione è ridotta ai minimi termini, al solo apparato di medaglioni di loto,  di marcapiani dentellati e di trafori di jali al culmine degli archi inferiori,  per lasciare il campo architettonico alla nuda potenza immane delle masse murarie voltate  e dell’incurvarsi degli archi, nel rilancio del loro slancio di piano in piano, di campata in campata, senza che la perfezione espressiva  della tensione che si è sprigionata si risolva nel suo sedarsi. Il tutto nel calore inesausto dell’ardore vibrante di una pietra incensa.      
Di rientro in Chanderi,  lungo il tragitto è possibile soffermarsi, a  poca distanza, presso il Museo archeologico dell'Archaeological Survey of India, inaugurato nel 2007 e di concezione contemporanea.
E' imprescindibile per una rievocazione, sin dalla preistoria, del  passato della regione circostante, mentre di Chanderi  sono ricostruite le varie fasi, a iniziare dall'insediamento originario di Budhi Chanderi, in altura, di cui sono esposti i reperti . Al pari delle rovine templari del sito, distanti 18 km, attestano come fosse un grande centro Jain, al pari di Thuvanji, Sironji, Deoghar nel circondario più prossimo.
Le immagini di tali siti, come delle meravigliose ornamentazioni della sala ipostila del tempio Gupta di Beathi, possono essere un invito da non lasciar perdere a visitarli, insieme con le località archeologiche che ricorrono in prossimità della strada per Mughawli, Nanon in particolare,   le cui pitture rupestri figurano sulle pareti delle cavità rocciose, di riparo, che sovrastano la confluenza tra due rivi in altura.
E ' poco distante dal Musero il Ram Nagar Mahal, il più rilevante monumento hindu di Chanderi, un Palazzo che fu fatto edificare nel 1698 dal Maharaja Durjan Singh Bundhela, e restaurato nel  1925 da Madhao Rao Scindia. Disposto su tre piani, serviva da buon ritiro per la caccia dei marahaja hindu, ed ospita ora il Museo del MP State Archaeology Department, di cui i reperti più significativi sono le pietre celebrative delle immolazioni muliebri della sati.
La sala interna che le ospita, cosi come il cortile, per il tramite di tre porte che immettono al balcone che vi si affaccia, consente di accedere alla vista del lago, il Ram Nagar, che già si era offerto alla nostra vista dall'alto della fortezza di Chanderi. Fu nell'imminenza della cattura del forte, che Babur trascorse la notte su queste rive.
Lasciando il Ram Nagar Mahal, siamo oramai prossimi più a sud, a Shri Digambar Atishay Khandagiri, il più rilevante sito jain di Chanderi,  a ridosso di un'altura verdeggiante,
Le grotte che vi sono state scavate sono ancora più remote delle statue che vi vennero scolpite all'interno, tali rilevi risalgono al dodicesimo, tredicesimo secolo della nostra era, e si sono preservati senza patire sfregi o dissacrazioni. Primeggia tra essi la statua imponente di Rishabhnath, che fronteggia impavida nel tempo i 14 metri della propria altitudine abrasa dal tempointatta.
Due templi sottostanti, una foresteria, un training centre completano il complesso.
Inoltriamoci ancora più a sud, e sarà di li a poco raggiungibile un altro suggestivo monumento del circondario di Chanderi, avvistabile anch' esso in miniatura dall'altezza del forte: é la Kati Ghati, la porta intagliata nella roccia di un colle che immette in Chanderi dal Malwa e dallo stesso Bundelkand.
In funzione dal 1495, si offre ora al transito di armenti, e dei fuori strada, così come sarebbe stata edificata in una notte, per l'arrivo in Chanderi di Ghiyassuddin Khiliji, da un artefice altrettanto portentoso quanto disgraziato.Il lurco governatore locale, a dispetto del suo meravigliato stupore per l’impresa, ebbe la micragnosità di rilevare che vi era la porta, ma non i battenti,  e dunque rifiutò di pagare il capomastro, che tanto ne fu scornato che si suicidò- Presso la porta si può ancora vederne la presunta tomba.
Un'altra leggenda vuole che sia stato invece Babur a volere che una porta disostruisse l'ostacolo che il colle, in cui fu ricavata, frapponeva all'assalto del forte di Chanderi, Un minuto mirhab intagliato nella roccia, presso lo scavo della porta, e tutt'ora ben visibile, gli avrebbe consentito di pregare per il fin troppo facile esito della battaglia per la cattura del forte, ed è all'origine di questa storia ulteriore.

Altre leggende infioreranno il nostro percorso ulteriore e conclusivo nei paraggi di Chanderi.
Esso ha la sua prima meta nel romantico e incantevole Parmeshwar tal, uno specchio d'acqua dall'accesso sconnesso e oltraggioso della sua bellezza, irredento, nell’ultimo tratto, dai resti poco distanti di un antichissimo tempietto hindu shivaita e sfinito dal tempo, in stile remotoPratihara. Sul lago si affacciano, fronteggiandiosi, il biancore dei santuari del  tempio Lakshman e i resti imponenti di alcuni chattris hindu di Re Bundela, Bharath  Shah e Devi Singh. Fu in queste acque che il mitico re fondatore Kirti Pal, della dinastia Pratihara, glorioso e lebbroso, essendovi reduce dalla caccia nella giungla più profonda, trovò una cura miracolosa che lo depurò della sua lebbra. Gli apparve allora la dea Jageshwari, chiedendogli, come il lettore potrà facilmente supporre, alla luce degli innumerevoli altri tramandi dello stesso canovaccio leggendario, di costruirle un tempio sulla vicina collina, con il solito annesso divieto inderogabile, che nel tal caso era l’intimazione di mantenerne chiuse le porte per nove giorni, a  frustrazione della sua curiosità. Immancabilmente il re venne meno all'interdetto,  e di nuovo fu afflitto dalla lebbra. Era allora la vecchia ( Budhi) Chanderi la capitale, d un tremendo terremoto di lì a poco la distrusse, obbligando re Kirti Pal a trasferirne il sito dove ora sorge Chanderi.
Obbligo di completezza ci impone di riferire, a gloria del tempio Laksman,  la consueta storia di un idolo del Dio che non ne vuole sapere di starsene dove i devoti l 'hanno sistemato, in tal caso l'ombra confortevole di un peepal,  e che non s' acquieta fin che non lo dispongono nel luogo richiesto, per l'appunto dove ora sorge il tempio Laksman.
Il devoto vi può onorare anche il dio Shiva e Radha Khrishna, in annessi tempietti, mentre la kutya,  ossia una capanna, è la stanza adibita al culto singolare di Vibhishan, il fratello virtuoso del demone Ravan.
Di poco a defilarsi tra i campi più a est, sorge in tutta la grazia delle sue serpentinanti mensole il mausoleo Shehzadi ka Rauza. Le tettoie o chhajja che esse sorreggono, lascerebbero supporre che l'interno sia a due piani: duplice è invece solo l'ordine delle arcate, quello superiore di dimensioni più ridotte, al pari di quello esterno rispetto all’ inferiore, su cui sfora l'oculo celestiale della cupola franata, insieme con tre dei quattro chattris che l'attorniavano.
Un fregio in ceramica blu che ricorre sopra la gronda superiore, accredita che le calde pareti, ora  fulgide di luce, fossero un tempo ricoperte di mattonelle smaltate.
Il suo ingentilimento, come quello delle merlature in cui si apre lo schiudersi del loto, ne attesta la natura muliebre, e prelude alla leggenda dolente e funeraria che ora narrerò.                                                 
La principessa Mehrunisssa si era innamorata di un comune comandante militare, senza gradi di nobiltà. Il padre, disapprovando la loro relazione, cercò in tutti i modi di dissaduerla e di farla desistere, ma ogni suo sforzo fu vano. Risolse pertanto di porre termine alla relazione facendo assassinare l’amante della figlia. Il giovane uomo, benchè gravemente ferito, riuscì a sottrarsi ai suoi carnefici e ad essere di ritorno in Chanderi, dove crollò di schianto ed emise un gemito agonizzante. La principessa ne riconobbe la voce morente e accorse dal suo amato, ma solo per essere in tempo a raccogliere l’esalare del suo ultimo respiro. Sconvolta, e con il cuore infranto, ella pure trovò allora la fine dei suoi giorni. Ove i due amanti spirarono accanto, due lastre di pietra contigue, con scolpiti due nobili cavalli, indica presso la Shehz adi Rouza che ivi i due amanti si riunirono nella morte trovando nel mausoleo sepoltura.
Procedendo ancora più fra i campi, e più a est,  sotto un monticello su cui si erge il bianco Ali ji-ki-darghah, possiamo ritrovare la magnifica Shahi Madarsa, risalente ai re Khilji di Mandu.
Sarebbe stato il solito Babur a violarne la natura di scuola, insediandovi le false tombe all'interno, demolendone le cupole.
Foss'anche avvenuto, il presunto misfatto non ci impedisce di ammirarne lo splendore delle jali scolpite, inserite, come un diaframma di luce nei loro intagli, lungo i muri della parete in comune  della camera centrale e del portico maestoso che le volge intorno
Una camminata per il terreno roccioso, ci può condurre, più a sud,  all'ultima meta del nostro viaggio, il Battisi Baoli, ch’è il meglio preservato dei 1.200 baoli di Chanderi, tanti quante erano  le 1.200 moschee che vi sarebbero sorte, di cui dice magnificandoli l'Ain i Akbari.
Iperbolico il numero, quanto il fabbisogno d'acqua della Chanderi Medioevale, in arida altura, a sei chilometri di distanza dallo scorrere delle acque del Betwa, con una popolazione in aumento sino alle 100.000 anime.
Fatto sta che di baoli possiamo ancora ammirarne vari in Chanderi, il Chakla Baoli e il Moosa Baoli nel centro attuale, oltre al Battisi Baoli presso il quale volge al termine il nostro itinerario. E’ un  grandioso  bacino  quadrato della profondità di quattro piani, con quattro scale (ad esso) d'accesso, che rappresenta l'estrema sublimazione, in un edificio civile, della tendenza dell' arte islamica di matrice afghana, diffusasi in India, all’astrazione di ogni ornamentazione sino al supremo spoglio, affinché la nuda potenza in tensione, o la sobrietà grandiosa delle pure volumetrie architettoniche, cantino la gloria di Dio o dei benefici del potere civile 


19 luglio 2013


 


sabato 13 luglio 2013

Prima Ecloga Indiana 2012- riscrittura( 2013)

Prima Ecloga Indiana ( 2012)
 Riscrittura (2013)

Qui dove la tigre che ti fronteggia 

è il pupazzo di stoffa di Chandu, 

e nel dolce lume il gioco e il canto

sono la felicità di bimbi tra l’immondo,

che lieve brezza ti riconduce,

trattiene i tuoi giorni tra sibili e incanto,

prima che cedano al sonno ed ai silenzi,

inquietati dai ladri ,

della luna sui terrazzi e gli orti di Sevagram,



cum complexa sui corpus miserabile nati,

lo stesso colpo di tosse nell'ultimo nato

e già è il tremendo del sereno

di cui i muri sono assorti nei giorni,

tu vi schiudi il cuore e le braccia

e quanta delicatezza tenera

discopri nel morso

ch’è il calore della schiusa di piccoli cobra,

mentre non hai più altra vita, che questa,

che ti adempia o ti smentisca per sempre,

tra gli strilli e il pianto o il crollo di schianto

deus nobis haec otia fecit

dove il villaggio riposa all’ombra dei nim,

nell’attesa del rientro al tramonto

dalla giungla di bufali ed ox,

e tutto, per la tua remissività ad ogni oltraggio,

da che cedendo la gola per il taglio a Kali Bhairavi

potesti lasciare il tormento delle aule

dove chi è rimasto rimarrà ancora più a lungo

ed altrove, qui in India,

eccoti di già sulla via del ritorno

con l’amico sotto le stesse fronde ospitali dell’himli,

quando di febbraio è già estate

e la senape già ingiallisce i campi,

in lontananza sfumando i declivi

dove alle acque del Ken discendono i boschi,

presso le propaggini del parco

che pervengono (approdano) ai giunchi ,

“Vedi, come il fiume senza farne uso e ricevere offerte

dona la sua acqua a pecore e cervi,

così l’albero ci dà la sua ombra”,

sotto la quale possiamo ancora indugiare

disvelandoci che cosa sia tra noi paro upkar,

è nelle vicinanze il tempio di Chattarbuja

che preannuncia la nostra antica città,

poi conterà solo andare avanti,

e sarà questo il nostro canto più alto