martedì 16 aprile 2019

Due ghazal di Ghalib da me tradotti


Fossero anche esauditi  innumerevoli  desideri, che mai  sarebbe?
Che ha da temere colei che mi uccida? Il mio sangue sul suo collo?
Quel sangue che dai miei umidi occhi, per un’intera vita, e senza un perché, ad ogni sospiro vorrebbe disciogliersi.
E ‘ da sempre che udiamo dell’esilio di Adamo dall’Eden,
Ma dalle tue   contrade con più grande sventura siamo stati disciolti.
O crudele, l’infingimento dell’altezza della tua vera statura sarà  disvelato
Se gli intorcimenti e le arricciolature dei tuoi capelli  saranno disciolte
Se qualcuno ha una lettera da scriverle,  che ci contatti perché le sia scritta da noi.
Si fa l’alba, e dall’ uscio di casa, è con una penna infilata dietro l’orecchio che ci disciogliamo.
In  questo girare in tondo, quante bevute furono a me ricondotte,
Al ritorno dei tempi la mia è la coppa  di Jamshid , in cui il mondo rispecchiandosi ha da  disciogliersi.
Coloro da cui attendevamo giustizia all’udire della ferita infertaci
Coloro, ancora più di noi feriti dalla spada del tiranno, ben presto si disciolsero.
In amore, non c’è differenza tra vivere e morire,
Solo che rimiri l’ infedele per la quale il respiro vuole disciogliersi.
La porta dell’osteria può essere la stessa che il predicatore valica, Ghalib,
 come ieri  la nostra truppa ha ben visto nel suo disciogliersi
( come ieri abbiamo ben visto nel nostro discioglierci)

Lasciatemi andare a vivere  dove non c’è nessuno, 127
nessuno con cui parlare,  nessuno cui ci accomuni il linguaggio,
lasciateci edificare una casa che sia speciale, senza porte né muri,
nessun vicino di casa, nessun custode,
se  ci ammaliamo, nessuno che ci curi,
se moriamo, nessuno che  intoni lamenti ).

Un ghazal di Mirza Ghalib da me tradotto


Un  sospiro richiede una vita intera  per  sortire effetto
Chi può vivere fino  a che i tuoi riccioli ribelli  siano  domi?

 Nell’ incedere di onda in onda si circonvolvono cento bocche di dragoni
Vedi  a che cosa una goccia  passi  attraverso per farsi  perla.

L’amore richiede sopportazione, lo spasimare non conosce riposo
Come trascolorerò nel  mio cuore, fin che la bile travasi in sangue?

D’accordo, allora mi considererai ,
 Ma nel frattempo mi sarò consunto in cenere

Dai raggi del sole la rugiada conosce la sua distruzione
Anch’io avrò vita fin che non mi baleni  il tuo sguardo

 Il godimento  dell’esistenza  non dura
Più di un singolo sguardo , siine avvertito,
quanto la danza di una favilla  è il calore di quell’avvivarsi.

Della pena di vivere, quale il rimedio, se non la morte?
La candela avvampa  di ogni colore fin che non sia l’alba,

Architettura e incisione negli anni di Giulio Romano


A cura di Giulio Girondi nella sala rossa del Museo Diocesano è ora allestita  una mostra “di ricerca” di notevole interesse, su Architettura e incisione negli anni di Giulio Romano,  che vi resterà esposta fino al 9 giugno. A coronamento di più di un decennio di  studi  in argomento,  G. Girondi vi  mette a frutto le sue competenze di architetto per ricostruire come gli incisori in rame  del Cinquecento, particolarmente quelli operanti in Mantova, Giovan Battista Scultori, i figli  Adamo e Diana,  Giorgio Ghisi più grande di ogni altro, avvalendosi soprattutto  di disegni in  cui G.Romano espresse il suo genio architettonico, nel tradurre opere altrui divulgarono ciò che dell’arte antica greco romana sussisteva in forme di rovine, o negli edifici o nei trattati d’epoca veniva riproposto come nuova arte edificatoria. A inizio d’esposizione Girondi  riprende la sua indagine antecedente,  già consegnata a due suoi libri editi dalla Sometti, ( L’ immaginario architettonico nell’ incisione mantovana del ‘500,  Architettura e incisione nel ‘500),  su quanto tali incisori,  tradendo o assecondando le quinte architettoniche delle opere che traducevano nel loro immaginario architettonico,  mostrarono di intendere  i problemi costruttivi e spaziali che vi soggiacevano compiuti od  irrisolti, incentrando egli  tale sua ricerca  soprattutto su  quanto siano essi  riusciti a far tesoro delle eventuali competenze  dei disegnatori da cui traevano le loro opere, in particolare quando costoro  erano   altresì architetti come Raffaello o G. Romano o Giovan Battista Bertani . Così verifichiamo la pedissequità con cui Diana Scultori preservò  le incongruenze che già nel disegno originario di Baccio Bandinelli rendevano assurdo l’ edificio da cui’ imperatore Decio assiste al martirio di San Lorenzo, o  il rialzo prospettico apportato dal fratello Adamo Scultori alle quinte del Cristo  alla colonna michelangiolesco di Sebastiano dal Piombo, che allargando il quadrangolo sul sito della flagellazione comunque  ne conserva la verosimiglianza  architettonica. Quindi, procedendo oltre gli esiti dei suoi studi antecedenti,  Girondi  evidenzia come l’opera degli  incisori  abbia divulgato la ripresa nei trattati e negli scritti d’arte dell’epoca, fossero quelli del Serlio o di Giorgio Vasari,  dei discorsi di Vitruvio sull’origine e gli stili e stilemi dell’arte antica,  che ne derivano  gli  edifici da caverne, capanne o  edifici lignei d’altra sorta, se non dallo stesso  fare nido degli uccelli, (una genealogia che ha tra l’altro  profonde corrispondenze nei templi dell’arte hindu,che volsero in pietra le loro origini lignee), vedansi le capanne dell’incisione L’ inganno di Sinone del Ghisi.  Come a suo tempo colse già il Vasari si deve agli incisore in rame se un largo pubblico, fatto soprattutto di europei “oltramontani”, che non potevano “andare in quei luoghi dove sono l’opere principali”,  venne a conoscenza dell’arte del Rinascimento e degli stili classici che vi erano ripresi. Girondi presceglie l’illustrazione grafica degli stilemi desunti dall’arte antica che in Mantova rinacquero o fecero epoca, a iniziare dalla travata ritmica del Sant’Andrea dell’Alberti, - un ‘arcata lunga, una breve- che verrà ripresa dal Bramante nelle Logge del Belvedere, e che fa da sfondo nell’ incisione  dei Gladiatori in lotta del Maestro del Dado , forse desunta da un soggetto dello stesso G. Romano,  ed  in quella della Strage degli innocenti di Marco Dente, uno degli allievi più dotati di Marcantonio Raimondi, l’incisore stesso dei modi erotici desunti da disegni privati di G. Romano, a commento visivo di sonetti di Pietro Aretino che descrivono  vari possibili accoppiamenti  sessuali . Ulteriori forme architettoniche classiche che furono invece riprese  da G. Romano in Mantova e ivi divulgate da G. Ghisi, nell’ incisione del Corteo dei prigionieri che  trasse  dai cartoni degli arazzi giulieschi del Trionfo di Scipione,   commissionati da  Francesco I di Francia  e risalenti al  1532, sono l’arco a un  solo fornice che compare in Mantova nel fregio della Camera degli stucchi di Palazzo Te, e che è presente pure nel dipinto di G. Romano che ha come soggetto Il Trionfo di Tito e Vespasiano, ora al Louvre,  e il portico con colonnato corinzio sullo sfondo di paraste corrispettive e di nicchie, che oltreché nell’incisione e nell’arazzo considerati, ricorre pure nel vestibolo di Palazzo Te, quale  sviluppo architettonico reale, ad opera sempre di G. Romano,  della riflessione di Vitruvio sull’atrio all’antica.  Girondi considera altresì la fortuna incisoria del  motivo delle colonne tortili che si attribuivano al tempio di Salomone, inteso ad ebraicizzare gli interni della rappresentazione figurativa in cui appaiono, un tipo di colonne  che così grande rilievo ha nell’opera pittorica e  architettonica di G. Romano, si pensi solo alla tela della Circoncisione al Louvre o all’affresco della Donazione di Costantino nelle stanze di Raffaello e aiuti in  Vaticano, al Palazzo della Rustica,  alla camera di Psiche oppure al giardino segreto in Mantova, e che ritroveremo secondo la lezione di G. Romano a fare da sfondo ai “Gonzaga in adorazione della Trinità” di Rubens, come già nella sua  Sant Elena  venerante la Croce ritrovata. Le colonne tortili ricorrono nell’incisione in rame  in cui  Diana Scultori inscena Cristo e l’adultera, dove fanno da portico ad un altro tipo di edificio desunto dalla classicità, e così divulgato incisoriamente , il tempietto circolare in guisa di  tholos,  come lo è il San Pietro in Montorio di Bramante, e come lo si ritrova in un  disegno preparatorio, a cui collaborò G. Romano,  dell’arazzo raffaellesco di San Paolo nell’Aeropago.  In altre  tre  sezioni intermedie  si esemplifica come degli  incisori quali Ghisi desunsero da opere anche di G. Romano le  rappresentazioni di interni,  per lo più in scene d’alcova degli amori degli dei dell’Olimpo. In esse l’architettura si riduce ad essere quella delle modanature e del baldacchino del letto coniugale,- eccezion fatta per le incisioni dei Modi di Marcantonio Raimondi,  dove figurano le stanze d’alcova. Si illustra  ulteriormente come furono tradotte in incisioni quinte di paesaggi e  vedute  urbane dello stesso G. Romano o del Bertani;  si tratta soprattutto di bastioni e fortezze, le incisioni essendo  desunte  da soggetti quali I greci entrano in Troia o La Presa di Cartagine, nel cui disegno originale  lo stesso G. Romano rifuggì da ogni ordinamento urbanistico.  Splendida è in particolare la incisione di G. Ghisi del Giudizio di Paride, più ancora che per il tempietto di Giove ionico che vi figura in alto, conforme ai precetti del  Bertani, per il paesaggio fiammingo che vi aggiunse di suo, grazie al suo apprendistato in Anversa alla scuola di H. Cock, in cui il suo talento si  sprigiona dalle  pastoie  di quinte che fossero solo architettoniche. Tutto questo, nel breve spazio di una mostra con prezioso catalogo che sta in  una sola sala, dove non sono più di una quindicina   le opere grafiche esposte, per dire quanto una mostra  può essere ricca e illuminante per ristretta ma non piccola che sia,  se è frutto di studio e ricerca su sudate carte. Essa ha il pregio ulteriore di indurci  a nuovi indagini affascinanti, se si è mossi da interrogativi analoghi a quelli che su incisioni e immaginario architettonico si è posto Giulio Girondi, sollevandoli, invece,  quanto a dipinti e affreschi della Reggia di Mantova, che già in se tracciano il percorso di una grande mostra possibile : qual è, così chiedendosi, la dignità e valenza architettonica delle mirabilia urbane della  Estrangore o della Camelot di Pisanello,  della Roma ideale del Mantegna, delle quinte di edifici degli Atti degli Apostoli negli arazzi di Raffaello, delle imprese dei Gonzaga del Tintoretto, o delle colonne tortili, che già furono giuliesche,   nella pala I Gonzaga  in adorazione della Trinità, di Rubens,  anch’egli futuro grande architetto, come lo fu in assoluto G. Romano, ed in  buona  misura lo fu  il Mantegna.

Pradella si fa bella?


Signor direttore
Il restyling di corso Pradella è in effetti un'opera pubblica di gran pregio,  di cui va dato pieno merito e reso grazie all’Amministrazione Palazzi , il fondo stradale del corso andava assolutamente rifatto e  non c’era modo d’attendere. Cionondimeno l’intervento per certi versi suscita sconcerto,  evidenziando scompensi   cui  si sarebbe potuto agevolmente ovviare,  solo che la sua progettazione fosse stata anche solo  un ci(n)cinino o uno zinzillino realmente condivisa, facendo  davvero proprie le valide ragioni altrui.  Trova la mia piena condivisione  Alberto Gazzoli.  nei pochi cenni in merito del suo editoriale domenicale del 7 aprile scorso che è  apparso su queste colonne. Nelle  variazione fashion  di soli  toni grigi della sua pavimentazione, ora corso Pradella pare in entrata il viale d'ingresso alla città dei morti, verso l’ uscita quello d'avviamento al cimitero degli Angeli. Vi è raffermo il rigor mortis del decoro turistico e dei suoi daspo. Quasi una sorta di beffa, per il vitalismo di tanta profusione di giovanilismo in materia. Bastava all’uopo differenziare la corsia ciclabile rispetto alle altre, con un colore delle pietre di fondo che la rimarcasse bene, evidenziando in tal modo che non era uno scampolo di marciapiede o del manto stradale veicolare, al pari di svariate nostre ciclabili urbane. Ciò avrebbe evitato equivoci tra pedoni e ciclisti e  sarebbe valso da efficace persuasore occulto a non sviare, per certi nostri ciclonauti in vena d’ebbrezza. Ripristinare, quali stilisti urbani, il solo variare del grigiore di fondo del porfido un suo senso lo aveva solo se il traffico fosse rimasto vitalmente misto. Ma anziché ricorrere a pietre differenti per le differenti corsie, o a  porfido fiammato di diversi colori per differenziare le diverse percorrenze, pedonali, ciclabili, veicolari, che corrispondessero eventualmente ai gialli o ai rossi di certune facciate, ci si è valso  di fioriere in finto legno, in realtà di ben duro metallo, che appaiono posticce ed incrementano la cupezza  funerea del tutto. Non solo , con i cubi di granito tali fioriere,  nella loro materialità ingannevole, possono essere dei dissuasori dall’ impatto devastante. Le panchine, poi,  sono irregolarmente intermittenti e per lo più senza schienale. Quelle che lo presentano sono rivolte da esso in certi casi verso il muro, il che, se ti ci siedi, ti  fa sentire già dentro il proprio loculo tombale. E poi, esse non vanno usate come spezzoni propagandistici di una propria politica di attenzione ai bisogni di mobilità dei vecchi, quando al di fuori  dei giardini  se ne trovano ben poche altre, in tutta la città, che non siano il corredo dei plateatici,  e quando per latrine e panchine, magari approntandole in un sistema integrato cui fare ricorso anche mediante app comunali ,  allorché “natura chiami”o invochi una sosta, non si spendono i quattrini che si riservano a illuminotecniche e ad eventi spot, in una città di vecchi la cui amministrazione non vuole saperne che sia tale nelle sue priorità.  Quanto ai sabati pedonali è bene che il Sindaco ci pensi su bene e non una volta soltanto, sempre che sia la volta buona che non  ascolta soltanto se stesso e i suoi fidelizzati , e che nel suo spirito di diffidenza  ad oltranza nei riguardi dei suoi amministrati non finisce poi  per dare ascolto, come al solito, solo a chi dell’establishment sa  raggirarlo,  visti gli inconvenienti e gli accidenti circostanziali del giorno inaugurale auto-celebrativo. Con lo spaesamenti di utenti degli autobus che si vedono modificate le corse di linea, il sabato pedonale rischia di creare incolonnamenti d’auto periodici  le cui scariche di gas  comprometterebbero le compensazioni all’inquinamento Progest che ci si vuole ammannire , realizzando la  dannazione, per i  viaggiatori carichi di bagagli,  di un micro sottopassaggio di fronte alla stazione A proposito,  dato che sarebbe dovuta essere una festa di Mantova tutta, all’inaugurazione sono state invitate anche le opposizioni, perché presenziassero ufficialmente ? Amen

domenica 7 aprile 2019

Un Ghazal di Mirza Ghalib


Il mondo non è che un campo da gioco di  ragazzi, al mio cospetto
Il giorno e la notte sono  il consueto spettacolo,  al mio cospetto.
Il trono di Salomone è per me un gioco perditempo,
Idem il miracolo del Messia,  al mio cospetto
Per me tutto il mondo è un vano accento,
Non c’è sostanza che non sia l’ illusione di un’idea, al mio cospetto.

L’intero deserto del mondo per me si cela nella polvere
Anche il fiume struscia la fronte sulla  sabbia, al mio cospetto .
Non chiedermi quale sia il mio stato, al tuo apparire,
Considera quale sia il tuo, al mio cospetto.
 Dici il vero- mi riguardo e mi  do lustro- e perché  mai altrimenti
Se un idolo con il sembiante di uno specchio siede al mio cospetto
Attieniti allo stile di rosa fluente dal mio dire
e lascia che qualcuno ponga il boccale di vino al mio cospetto.
Trascorre l’insidiarsi del disgusto,  in me è trascorsa ogni sorta di gelosia,
perché io dovrei dire:” Non fare il suo nome al mio cospetto?”
La fede mi  trattiene,  l ‘incredulità mi  sprona,
la Kaba è retrostante, la Chiesa al mio cospetto
Sono un amante, ma  che fatalmente si disinganna su chi ama,
Laila stessa diffama Majnun al mio cospetto.
Siamo felici, ma non  si muore felicemente nell’unione,
della brama della notte della separazione giunta  al mio cospetto.
Un unico mare Rosso di sangue si va  intorbidando,  appena  uno abbia qualche pretenzione
Vedi che cosa di buono ora giunge al mio cospetto!
Benchè la mano non possa  più muoversi, eppure, hanno ancora umore di vita questi miei occhi,
lascia la brocca e  il bicchiere di vino al mo cospetto.
Egli condivide la mia vocazione, il mio bere
E i miei segreti,
Non condannare  Ghalib, per me  egli vale quanto basta
Al mio cospetto.


Un ghazal di Mirza Ghalib


Un  sospiro può richiedere una vita intera  per  sortire effetto
Chi può vivere fino  a che i tuoi riccioli ribelli  siano  domi?

 Nell’ incedere ( intentarti) di onda in onda si circonvolvono cento bocche di dragoni
Vedi  a che cosa una goccia  passi  attraverso per farsi  perla.

L’amore richiede sopportazione, lo spasimare non conosce riposo
Come trascolorerò nel  mio cuore, fin che la bile travasi in sangue?

D’accordo, allora mi considererai ,
 Ma nel frattempo mi sarò consunto in cenere.

Dai raggi del sole la rugiada conosce la sua distruzione
Anch’io avrò vita fin che non mi baleni  il tuo sguardo

 Il godimento  dell’esistenza  non dura
Più di un singolo sguardo , siine avvertito,
quanto la danza di una favilla  è il calore di quell’avvivarsi.

Della pena di vivere, quale il rimedio, se non la morte?
La candela avvampa  di ogni colore fin che non sia l’alba,

Su Nitsch Lettera al direttore


Il presunto assunto dell’arte presunta di Hermann Nitsch è in sé davvero ammirevole: disvelare l’arcano dell’orrore sacrificale su cui si fondano  l’ordinaria  vita religiosa nella sua economia sacrale e l’ordinaria  vita domestica nella sua alimentazione quotidiana. Che cosa pertanto eccepire alla sua messa in mostra nel Palazzo Ducale , sposando i  toni di sdegno  assunti dalla destra e dalla Curia di Mantova : dissacrare è sacrosanto, vi è pure un’antropologia cattolica di cui il più alto esponente è stato René Girard, che condanna la logica sanguinaria del sacrificio, il sacro che uccide la vita in nome della vita, messo al bando una volta per sempre dal sacrificio di Cristo , così  come tale sacertas  si è manifestata ancora una volta  nel recente Congresso mondiale  sulla famiglia di Verona. In fondo, a laicizzare le cose, Nitsch non offrirebbe  più di quello che è posto in vista nella macelleria dietro l’angolo di casa nei suoi banchi freezer. Ma un’obiezione di fondo si leva :  fossero pur  vere queste presupposizioni,  si sparga pure sulle tele il sangue che già sia scorso nei macelli, ma perché non ricorrere piuttosto a carne finta, che sia rappresentata , invece di fare dell’azione artistica con squartamenti e sventramenti il male stesso messo in atto, Satana che scaccia Satana? Non cambia di certo  le cose la giustificazione che si interviene su animali già uccisi, la sola logica nutrizionale ne potrebbe infatti  giustificare per i più  l’uccisione avvenuta , -semmai si ricorra ad animali morti di morte naturale e  in via di putrefazione-, e le cose le peggiora tremendamente il  sostenere che non è un sacrificio gratuito quello così inscenato,   visto che  l’artefice poi si nutrirebbe di tale carneficina dietro le quinte, poichè egli  in tale suo pasto carneo  trae profitto e giovamento alimentare da ciò che professa di voler denunciare. L’articolo 10  della Dichiarazione dell’Unesco del 1978  perora inoltre  la  difesa della dignità dell’animale  nelle rappresentazioni artistiche,  non solo della sua vita, per cui unicamente pezzi di carne anonima e solo per il nostro nutrimento  possono figurare macellati in pubblico,  per ipocrita che sia tale   assunto comune, come lo è ogni ritualità del male. Certo, rendere con carne  simulata, che sia terrificante in virtù di linea e di colore, tutto  l’orrore del sacrificio del mondo animale per appagare i nostri gusti alimentari, richiede che chi opera sia un artista come Rembrandt o Annibale Carracci  o Chaim Soutine,  non un’altra sorta di  macellaio, magari per mero  lucro imbonitore: e questo è già un altro discorso.

Odorico Bergamaschi