sabato 25 gennaio 2014

nel grigiore di un dolore infinito

Continuano anche oggi  il grigiore piovoso e il dolore infinito,  Kailash mi diceva stamane, che secondo  i notiziari, solo nel 2003 e nel 2009 il mese di gennaio è stato così freddo e incolore nella piana gangetica,  nel protrarsi di un uggiolio in cui  ancora più mi costerna quanto suo padre ieri fosse desolato, dopo avere avvertito che ci siamo  picchiati,  l’ha inteso alla vista del mio labbro ferito, delle mie mani escoriatesi, quando Kailash mi ha riversato addosso la bicicletta di Chandu, dopo avermi sospinto contro il corpo del bambino, il cui dormiveglia si era trasformato  nella sua mente  allucinata in uno stato di agonia, -ma anziché impietosirmi ne ho avuto disgusto, sconvolto dal clamore nel cranio della festa nuziale notturna,  inetto, nonostante ogni mia avvertenza assillata,  a comprendere che perchè era subentrata in  lui un ‘alterazione mentale egli inscenava tutto questo,  e mi rigettava anche il nostro bambino contro, nel protrarsi  ostile della sua durezza di cuore,- suo padre alla rievocazione dei fatti scuoteva il capo, e non aveva  con me parole, forse perché sa ancora meglio di noi quale follia possa sconvolgere anche la dolcezza mentale più mite, la stessa delicatezza che ora ci fa solleciti, io e Kailash, ad essere di ritorno in Chattarpur quanto prima, per le medicine mentali che ci evitino ancora orrori del genere,  e risparmino di assistervi ai nostri adorati bambini. Poche ore or sono erano tutto il contento della nostra gioia, durante il pranzo frugale sul terrazzo, nella loro bellezza e felicità imperturbate, che mi istillavano questa stessa dolcezza, al fondo dell'anima, che poco fa mi ha intenerito in una carezza sul protrarsi pomeridiano del sonno di Kailash,  in assenza di turisti che non siano  preda dei lapka procacciatori. Ed io per non vederne lo squallore incontrastato ora non voglio saperne di uscire, preferisco restare  nella mia cameretta ad approfondire i miei studi del culto tantrico di Surya nel pantheon di Khajuraho, e scriverne mio malgrado solo per me stesso, cessata la dissenteria che dall’altro giorno ha trasformato in vomito le mie deiezioni.

venerdì 24 gennaio 2014

Dal Jeevan Bharati di Charles Correa al jantar Mantar ( secondo itinerario in Delhi)

La vista del Jeevan Bharati ( 1975-1986) di Charles Correa,  da cui ha inizio il nostro itinerario, s’accampa nella vista di chiunque alzi lo sguardo all’orizzonte verso le rotatorie meridionali di Connaught Place,  la concentrica piazza commerciale dell impero britannico in cui ancora trova una suo centro la megacity di Delhi.
Le sagome rosa dei suoi corpi di fabbrica intelaiati da una pergola metallica e complementari alle sue masse vetrate, si sopraelevano sul candore palladiano delle volte colonnate e dei prospetti di Connaught Place,   per porsi quale medio proporzionale tra tali vestigia anglo-imperiali /British e gli edifici a torre ancora più alti, retrostanti,  quanto il retaggio indiano che nel Jeewan Bharati si fa modernità contemporanea, vi  è teso a sopravanzare  l’eredità coloniale in cui si inserisce, e si fa una quinta prospettica volta al futuro.
E’infatti ugualmente rosata la pietra arenaria intarsiata dal  biancore dei marmi,- un candore qui ripreso nella tornitura della colonna di supporto centrale dei tralicci metallici della pergola, -  in cui sin dalla edificazione della magnifica tomba di Humayun si è materializzata l indianizzazione dellarte  islamica dei sovrani moghul, che in tale contrappunto cromatico si rifecero ad un connotato dellarte dei sultani di Delhi che ne furono i predecessori. Esso risale alla stessa Alai Darwaza di Alauddin Kaljii, addizionata alla moschea Quwwat –ul- Islam nel 1311, entro il complesso del Qutub Minar.  L’incastonamento del marmo bianco nell’arenaria rossa sarebbe rimasto preminente nell’architettura indoislamica sino alla tomba del nuovo signore tugluquide Ghyassuddin costruita intorno al 1325, nei paraggi della terza Delhi, Tuglaqabad, ma se ne perderà il ricorso per buona parte del xv secolo, sino alla sua ricomparsa durante il sultanato dei Lodi nella Mothi ka e nella Bara- Gumbad Masjd.  Sotto  i Moghul e nel corso dell interregno afgano di Sher Shah Sur,  le   Jamali Kamali e Qala-i-Kuna masjid , l’una in Merhauli , l’altra nella Purana Qila, la tomba di Ataga khan nel complesso di Nizamuddin, saranno i primi monumenti in Delhi a sancirne una ripresa emblematica della loro stessa arte dinastica,  sotto l’impero di Akbar e quello di Jahangir, fino a che  Shah Jahan  non instaurerà la predominanza del puro marmo trascolorante,  nella sublimità del Taj Mahal  ed edificando o riedificando, in marmo bianco, interi palazzi e i diwan di udienza privata dei forti di Delhi e di Agra. Una scelta che nel secolo scorso  avrebbe conosciuto una sua transustanziazione occidentale   nel Victoria Memorial di Calcutta, ove il Taj Mahal  è il fantasma che aleggia nelle forme architettoniche, sotto mentite spoglie  lagunari veneziane.
Ma qui in Delhi, ci occorre svincolarci dalla morsa del traffico anulare intorno al circolo esterno e  a quello interiore di Connaught Place, e oltrepassare gli accessi alla metropolitana, i prati centrali e il mercato minuto e corrivo - od all'ingrosso e all'imbroglio- del Palika bazar,  per ritrovarci a distanza ravvicinata dal Jeevan Bharati, e indugiare in una vista d’insieme prima di accedervi,  sottoponendovi a rigoroso controllo ogni  borsa o tracolla o zainetto e borsetta. E’ sede infatti di istituti bancari oltre che  della Life Insurance Corporation che ne ha commissionato l’edificazione, ed essi richiedono la massima sorveglianza  critica.


La vetratura rispecchiante e le murature compatte , con aperture  solo d’accesso e in uscita e nei recessi frangisole  delle pareti  retrostanti, sembrano preservare da ogni intrusione invasiva della megacity il complesso degli uffici e delle attività lavorative che vi si  svolgono, per rinviare chi vi è di transito e vi sosta agli open- to-sky spaces che si aprono tra le grandi cortine delle due ali dell edificio e al di sotto della pergola, che è una delle tipologie di spazi  sotto”  the blessing of the sky “, cui Charles Correa si rifà nel suo saggio omonimo,  similare al cortile di preghiera della Jami masjid di Delhi, od ai giardini terrazze polifunzionali tra i padiglioni dei forti moghul, alla natura medianica celestiale dei chattri allineati in batterie in tali edifici o nei palazzi del Rajasthan,  oppure alle case composte di capanne con funzioni specifiche intorno a un cortile dei villaggio esemplare  di Banni nel  Kuch,  per offrirvi  in “open areas “connesse con quelle coperte” to te users areas of visual quiet where the eyes can rest and the mind meditate”, in sintonia profonda con lo stesso simbolo dell'educazione in India e in Asia, che non  è “ the little Red Schholhouse of North America, “ ma un guru che siede sotto l’albero. “True Enlightenment  cannot be achieved within the closed box of a room, - one needs must be outdoors, under the open sky”.
Addentrandosi nel cortile del Jeevan Bharati possiamo osservare meglio come I due immensi edifici di vetro e giunture metalliche dei due corpi di fabbrica si profilino asimmetricamente, l’uno in rettifili ortagonali, l’altro con un maggiore sviluppo in lunghezza e obliquamente di lato, quasi per rendere ancor più una strettoia il varco verso la città retrostante che si apre tra le due ali come una grande porta o "darwaza",  ribadita dalle due torri retrostanti,  isomorfa, nella sua altezza, più alle porte ricavate nella natura dei rilievi, come quella che in Chanderi è di transito dal Malwa, che a quelle degli edifici anche più monumentali.
Segnala tale apertura, cui recano percorsi scalari intorno a cortili a vari livelli, la colonna che regge la pergola immensa di 98 metri di lunghezza , insieme ad un pilastro cuspidale a tre facce e alle masse murarie aggettanti, secondo un’ invenzione che si ripeterà  nella sede ulteriore della LIC di Mauritius progettata da Charles Correa negli anni 1988-1992.
Ciò che invece non vi si ripete, e che è quanto di più affascinante riserva il Jeevan Bharati, è la proiezione liquida  del pergolato nelle vetrature , in cui si liquefa distorcendosi visivamente come, nella sua solidità volumetrica,  ogni altro elemento architettonico che ne sia riflesso,  in una dissolvenza liquida e un defluire anamorfici delle ali dell’edificio nella loro rispecchiatura reciproca,  che mutano i graticci della pergola in viluppi ritorti, li mischiano in serpentine fluttuanti,  frangono e e ondulano i profili rettilinei  della colonna e delle massa vetrate.
Non solo, quanto l’edificio così liquidamente dissolto nella sua compattezza solidale /strutturale, invece è di fatto  inaccessibile ad ogni ingerenza  perturbante della megacity circostante,  altrettanto nella sue masse vetrarie si fa uno specchio costante del trascorrere della  vita urbana e del tempo, nel loro continuo trasmutarsi, riflettendo gli uccelli in volo quanto le cangescenze di nubi e della luce dei cieli di  Delhi.
Cessato lo starvi contemplativo nella congestione convulsiva del traffico limitrofo, tra le due grandi arterie tra cui si colloca, la JanPath e la Parliament Street, entrambe indirizzate al cuore politico della Delhi e dell'India british ed indipendente, sceglieremo la prima, sperando che non sia dispersivo e non induca a smarrire le mete ulteriori, il seguito di negozi di artigianato costoso che vi si succede, duplicato da chi accampato per strada vende manufatti similari  in tutta povertà di materiali.
Ci attende l’edificio gigantesco che si profila alla vista,  sulla sinistra, oltre l ‘incrocio con la  Tolstoj Marg,
lo State Trading Corporation  Building  ( 1976-1989) del capomastro generale della Delhi odierna,  Rajj Reval
Una torre vi campeggia su di un’altra ugualmente parallela alla Jan Path, e su due traversali,- una delle quali è solo di supporto mediano, e scarsamente visibile, - che formando due bracci,  ad essa sono connesse da possenti travi Vierenendeel, a piani alterni, la cui sporgenza enfatizza come la modernità tecnologica vi abbia esaltato la derivazione dell'architettura in pietra indiana  da quella lignea,  mediante la tecnica dell incastro di elementi che vi è ciclopicamente macroscopizzata.
La bicromia della pietra impiegata,  rende stupefacentemente a distanza, per contrasto,  lo stesso cemento un costituente di  intensa  vaghezza atmosferica, prima che una vista ravvicinata tolga un certo incanto alla suggestione dell edificio, per  gli aggiustaggi architettonici,- ad esempio  le travi- inserto, senza seguito strutturale, tra la torre principale e quella adiacente-, che ha richiesto il ritorno del computo ingegneristico, ed una certa mancanza greve di rifinitura di ciò che a distanza incantava, come la sagomazione delle aperture ottagonali, nell'impianto orizzontale delle torri trabeate.
Sostarvi  nei pressi,  può essere  un perdersi, o un ritrovarsi, tra chi vi si reca o ne esce dall’emporio basamentale artigianale, e i questuanti che resi senza scrupoli umani dalla miseria,  tentano di rivalersene per  lucrare  un’elemosina o l'acquisto della loro bigiotteria, o chincaglieria.
 Sta di fronte un Mc Donald, cui Siddharta Debb, in Belli e dannati, addebita un effetto di controglobalizzazione delusoria / delusiva dell’intero quartiere, in cui gli era toccato di lavorare ad una rivista alla fine degli anni novanta.
“ Il Mac  dove Esther aveva proposto di incontrarci si trovava allangolo tra Tolstoi marg e Janpath ( la via del Popolo) proprio di fronte a file di negozietti di artigianato che vendevano foulard multicolore e articoli di bigiotteria a turisti dall'aria scontenta con zaino e sacco a pelo: Eravamo a pochi passi da Connaught Place, dove si trovavano gli uffici della rivista in cui avevo lavorato alla fine degli anni Novanta quando vivevo a Munirka, e a quei tempi mi ero spesso ritrovato a passeggiare per Janpath, osservando i negozietti e gli alti palazzi degli uffici.  Il quartiere mi era sembrato allora la massima espressione della civiltà urbana, il centro di una grande città al tempo stesso meravigliosamente alienante e affascinante, quando vidi che Mc Donalds si era introdotto nella zona mi sentii stranamente deluso. L'intenzione era sottolineare quanto fosse diventata globale Delhi, ma il risultato era opposto a quello voluto. Il Mc Donalds serviva a ricordare che Janpath non era Times square: Ma non era neanche più Janpath”.”),

Immaginando che sia già aperto al traffico il tratto della Tolstoi Marg, sulla destra, che conduce a Parliament Street, oggi occluso per i lavori di costruzione di una nuova stazione nel decorso di una nuova  linea metropolitana,  ne ripercorriamo il lato che fiancheggia sulla destra i giardini  cui accederemo dell’osservatorio astronomico del  Jantar Mantar, edificato dal grande Jai singh II,  rajput di Amber e poi della città di Jaipur,  tentando un colpo d’occhio che ci permetta di intravedere le forme curvilinee di alcuni degli strumenti  che vi sono stati giganteschizzati, a raffronto con gli edifici moderni ugualmente arcuati , che  ad esse si ispirano  ,che si prospettano sul  versante opposto di Parliament Street, ossia la torre del Civic Centre di Delhi , di Kuldiph Singh ( 1965-183)  e  l’ edificio ministeriale ad essa adiacente.
L’edificio esprime falcata potenza e grazia, nello scarto ascensionale tra i  64 metri alla base ed i 28 alla sommità,  racchiudendo il proprio nucleo funzionale entro le pareti lisce  laterali e nei recessi frangisole di quelle frontali,
L’inarcarsi  per l’altezza di tre piani del portale d'ingresso, sembra conferire spinta all'intero slancio curvilineo,  mentre 4 campane della torre dell'orologio della vecchia città fanno bella mostra di sé nella sala dentrata.
A lawns sets the building back from the street so the structure is seen, in true Modernist style , as an  object in space  –rimarca Jon Lang in A concise History of modern architecture in India, 2002, 2010, - ( although the cars, bicycles and people crowding the area Indianise the scene on weekdays) .
E che altro sono, se non oggetti spaziali ingigantiti,  gli  stessi strumenti astronomici in muratura del Jantar Mantar cui il centro civico si rifà, con l’ingresso nel quale, poco oltre, di fronte,  abbiamo raggiunto il clou finale del nostro itinerario.

Costruendo in Delhi nel 1724 2 per lo Shah Moghul Muhammad, sui terreni di sua proprietà,  il primo dei  suoi 5 osservatori astronomici,- gli altri vennero costruiti in Jaipur,Varanasi, matura e Ujjain, non dobbiamo se non illuderci, presumere che Jai Singh II vi coltivasse la contemplazione disinteressata degli astri, a discapito dell’arte della conquista e del godimento delle sue fortune terrene,  in regale splendore, e che accedendo alla scienza occidentale vi  trovasse un emancipazione scientifica  e secolare dal pregiudizio superstizioso di astrologi e uomini tantrici.
 E’ esplicita ed inequivocabile, in tal senso, la offerta allo Shah, insieme con l’osservatorio,  del testo dello Zii Muhammad Shah, scritto in collaborazione con il brahmino Jagannath, dell'India meridionale,  in cui  correggendo le tavole delle predizioni astronomiche  presenti in antecedenti opere islamiche quali quelle di Ulugh Begh, il re astronomo timuride di Samarcanda,  lo stesso Jai Singh, nella prefazione, auspica che l’imperatore possa rivedere le proprie calendarizzazoni, “ visto che importanti affari di stato, concernenti sia la religione che l’amministrazione dell’Impero, ne dipendono”.
Astronomia e astrologia costituivano infatti per  Saway Jai Singh un unico ambito di pensiero, lo Jyotish vidya, volto a studiare i moti dei corpi celesti per desumerne le influenze sulla vita umana e gli affari terreni, nè c'è da meravigliarsene, se nemmeno in Newton astrologia e astronomia erano scindibili nettamente, la teoria della gravitazione universale stessa supponendo l’attrazione occulta dei corpi a distanza, ed essendone una matematizzazione. Né  erano separabili, entro una stessa tradizione di pensiero, lo Jyotish Vydya in ragione del quale Jai Singh costruì i propri osservatori, e il Vastu vidya in ragione del quale Jaipur fu edificata secondo i canoni paradigmatici di un mandala  di nove riquadri, con aggiustamenti dovuti alla natura del sito.
Egli rimase ancorato al geocentrismo del sistema tolemaico recepito per il tramite dei testi della tradizione araba, e a nulla valse, a  indurlo all'eliocentrismo,  l'acquisizione  delle opere dell'astronomo francese  Philippe La Hire ( 1640-1718) o dell inglese John Flamsteed ( 1646-1720).  Né potevano  convertirlo alla rivoluzione astronomica della nuova fisica occidentale i gesuiti portoghesi, di stanza a Goa, con cui più tardivamente venne in contatto, a iniziare da Pedro da Silva Leitao,  per la cui fede cattolica  tali cosmovisioni ripugnavano.
Ma nel Jantar Mantar a iniziare dallo strumento supremo,  il Samrat Yantra, troveremo anticipate,  per ingrandimento colossale degli strumenti metallici, al fine di una precisione superiore,  in triangoli gnomici, concavi emisferi, edifici circolari, con un pilastro al centro, al contempo  su scala ridotta rispetto alla loro  ripresa architettonica, le forme solide  del moderno costruire indiano, cosi come si faranno metaforiche della cosmologia  vedica del Vastu purusha mandala e e della moderna concezione di un Universo in espansione, a iniziare dal bing bang, entrambe con un vuoto generativo al centro,  nel Jawahar Kala kendra di jaipur e nello IUCAA di  di Pune,  opere entrambe di  Charles Correa. Con il che si  chiude il cerchio del nostro itinerario breve.


Alla sultan ghari ( itinerari in Delhi, 1)

“ The Safdarjiung tomb?”
“ no, no, the Sultan Gari, the Sultan gari” ripetevo stizzito al giovane addetto dell’ufficio Turistico governartivo in Janpath, “ che lei dovrebbe ben conoscere, visto il mestiere che fa ”, invece di dovere cercare in internet  le informazioni del caso. Ma ciò che mi adirava non era la sorpresa , quanto che quel giovane svogliato e ignorante che con il suo compagno d’ufficio si trastullava al computer,  fosse l’esatta conferma delle mie aspettative, a dispetto delle quali mi ero avventurato nel traffico rischioso da un capo all'  altro di Connaught Place,  ripercorrendone tutto il decorso anulare, pur di evitare il traversamento dello squallore commerciale del Palika Bazar.
Pur sempre a  dispetto di ciò che mi era lecito attendermi, presso il B blok  mi ero lasciato irretire,  come da dei “lapka” , da alcuni giovani  che pur supponevo che gestissero  un fittizio ufficio turistico di informazioni, pur di sibilare loro lo sprezzo furente per il loro tentativo maldestro di invischiarmi  nel loro viscidume azzimato in camicia e cravatta, quando mi hanno detto che no, non si poteva raggiungere che noleggiando un’automobile.
“ E visto il mestiere che lei dovrebbe saper fare, sono venuto in quest ufficio legalmente autorizzato, dicevo ora invece al giovane funzionario governativo,  con verve polemica più sottaciuta, per sapere quali autobus posso prendere dal centro in direzione di Sultan Ghari, la prima tomba monumentale dei sultani di Delhi.
Non ne sapeva niente e non sapeva come informarsene, , o non voleva perdervi tutto il tempo necessario alla ricerca, ovviamente, ma  individuata l’area in cui si trova il monumento ripiegava sullindicazione di comodo di quale fosse la meno distante a suo avviso delle fermate del metro
“ Lei può scendere a Chattarpur e poi prendere un autoricksw”
Era quanto avevo desunto benissimo già da solo, semplicemente consultando la mappa di Delhi.
“ Il problema è che resta alquanto distante, e non credo che gli stessi conducenti di autorickshaw  ne sappiano qualcosa del Sultan Ghari, in Chattarpur”
“ Chieda e vedrà che colà tutti sapranno di esso e potranno condurvela”
Era un’autentica provocazione una simile risposta,  avesse avuto una minimo di esperienza motivata da un cointeressamento effettivo alla bellezza monumentale di Delhi,  una qualche cognizione fattuale, non si sarebbe azzardato a spacciarmi con sicumera una così  illusoria  rassicurazione. Che ne sanno mai  del patrimonio storico di Delhi a milioni i suoi abitanti, quando a milioni sono degli emigranti che vi ci si sono  avventurati solo per disperazione dalle campagne dell’India:
Non mi restava che congedarmi  con deferenza del tutto formale, e reimmergermi nel caos stradale di Delhi, incerto, data l’ora già pomeridiana, se rinviare all’indomani la visita del Sultan Ghari, con tutto il tempo di una giornata davanti, o se tentare di giungervi quello stesso pomeriggio,  prendendo un  metro per Chhatarpur.
La stessa linea gialla avrei potuto altrimenti utilizzarla in direzione opposta,  fino al Chawri Bazar per poi recarmi al Karim Restaurant presso la Jama Masjid, e tentarie la sorte di potervi finalmente  ordinare con successo un pesce sia pure intero, tikka o karaj o curry che fosse, visto che è possibile richiedervelo solo d’inverno, e che quando lo avevo ordinato  di sera, per Capodanno, accettando di cibarmene di uno intero, dato che non era cucinato altrimenti, non ve n’era più , “ finished”., con mio smacco deluso  “ Venga dopo le undici del mattino”mi aveva consigliato il cameriere, ed ora era da poco passata l una del pomeriggio.
Nell’incertezza  facevo due biglietti per ambo le direzioni, e già mi ero deciso per la “ grotta del Sultano”, quando a decidermi a rinviare l’escursione all'indomani,  era la costipazione di corpi fino al boccheggiamento traccheggiante, che vedevo oltre i vetri di ogni vagone delle vetture del metro che viaggiavano in direzione di Chhatarpur.
La sorte di una bella vita quotidiana mi avrebbe così riservato al Karim restaurant finalmente la goduria di un intero fish tandori, e  l’indomani il risveglio in una meravigliosa giornata di sole, che propiziava l’escursione nel suo  fresco albore mattutino.
In nottata,  riconsiderando la mappa di Dehi,  e incrociandone i dati con le coordinate del sultan Ghari fornitemi dalle varie guide,  mi era parso che per giungervi fosse meglio utilizzare la linea metropolitana aeroportuale, scendendo ad Aerocity, che appariva di gran lunga più vicina al sito monumentale che non Chhatarpur . E in tal senso mi indirizzavo
E straordinario sul metrò espresso , usciti dal tunnel, ritrovarsi ad attraversare, come in  un salone mobile, la periferia di Delhi in cui le selve di neem vengono cedendo all’avanzata dei quartieri più lussuosi, scendere e ritrovarsi nella sua periferia a cielo aperto, tra i prati e le radure in cui si gioca a foootball o a cricket, prima di inoltrarsi sotto il sovrappasso,  trovare conferma che nessuno ne sa niente di alcun Sultan Ghari,  ma che vi era pur anche una stazione degli autobus,  a dispetto di tutte le smentite di addetti al turismo del cazzo, prendere nota anche solo dei numeri delle loro  linee, il 717, il  543,  prime di salire su uno di essi,  in direzione di Chhatarpur, lungo la Merhauli road, con il solo supporto di chi sapeva dove dovessi scendere per ritrovarmi all'altezza dellIndian spinal injures center, che secondo una delle guide è in prossimità del Sultan Ghari.
Ma una volti scesi al sovrappasso che reca all’ospedale, e si chiede a chi vi  è operante , o a chi  è del posto da un certo qual  tempo, i rivenditori di frutta o di bevande, qualcuno inizia a saperne qualcosa,  e insorge il dubbio che molti altri saprebbero indicarti la via, il sito, pur che si chieda di esso sotto un altro nome per cui è universalmente conosciuto. Sta di fatto che consentendo con le indicazioni fornite che tra loro sono coerenti,   lasciato l’ingresso al nosocomio  si è indotti a intraprendere la prima via che si diparte sulla sinistra ritornando sui propri passi, a percorrerne l’intero rettilineo sterrato  per svoltare a destra e quindi ripercorrere, svoltando sempre a destra  una strada parallela alla  precedente , lungo la quale ville lussuose e palazzine a schiera s’inselvano nell’aperta brughiera, fino a che non si incoccia in un muro,  oltre il quale da chi ti dice di avere inteso che cerchi la masjid, si  è indirizzati ad avviarsi ove vi si apre un varco,  e dove tra le fronde degli alberi appare infine il Sultan garhi, la grotta del Sultano,  a poche centinaia di metri di distanza dal punto in cui ci si è  avviati a piedi per almeno alcune miglia.
Appaiono innanzitutto le sua mura di cinta, turrite agli angoli, e antistante, a valicarne il portale d’accesso recandovisi in pellegrinaggio, una folla che il giorno in cui vi sono giunto ( il 2 di gennaio del 2014) sorprendentemente ne gremisce la radura antistante, tra tende e cucine di campo,  dove primeggiano bambini e ragazzi, i più quasi tutti allineati in fila per cibarsi di dhal e puri e di una dolcea purea,  attavolandosi e sedendosi a saziarsene in congreghe separate,
Mi si dirà poi che è  un bandhar dove ognuno può saziarsi liberamente,   istituito per celebrare  l’anno nuovo-  è il 2 di gennaio del 2014 il giorno in cui compio la visita-, ma che tanta folla, composta di uomini e di donne e vecchi e bambini,  sia accorsa  e seguiti ad accorrere ad una festa allestita nella radura del monumento sepolcrale, rafforza la mia supposizione che esso sia più popolare di quanto ritenessi , sotto le specie /le spoglie  di un altro nome.
Avrei dovuto chiedere del Mazaar del Pir Baba mi si conferma  dirà più tardi, quando non avrò ancora cessato di meravigliarmi di quanto sarò venuto scoprendo.
Antistanti al monumento tombale vi sono bancarelle che vendono drappi sepolcrali e dolci e lumi e fiori per le offerte, il che è  la riprova di come sia divenuto un luogo sacro di culto, il sito della sepoltura di chi in vita fu un principe guerriero, Nasiru’’d –din Mahmud, figlio primogenito dell illustre Iltutmish,  e predestinato a succedergli, non fosse  caduto in battaglia nel 1229 a Laknauti. La tomba fortezza fu eretta in suo onore due anni dopo da suo padre,  riservando alla preghiera solo la parete occidentale, volta alla Mecca, come nella propria tomba che fece edificare nell’area del Qutub minar, un anno prima della propria morte, avvenuta nel 1236.
E’ un fattore di meraviglia che non tardo tuttavia a relativizzare, avevo già avuto modo di constatare come lo stesso  fosse avvenuto dei lasciti tombali della stessa sorella indomita del nostro principe Nasirud’din Mahmud, ossia la sultana Raziya, la quale salì al trono alla morte del padre Iltutmish, nel 1236, e fu la sola regina  che abbia avuto Delhi come sua sovrana, prima che in epoca moderna vi si attentasse a divenirlo la signora Indhira Gandhi.Come il fratello  anche la sultana Raziya trovò  la morte in battaglia,  a Kaithal, nel distretto di Karnal, nel 1240, a seguito di una rivolta dei nobili che l’avevano costretta alla fuga. Una  delle  sue  tombe presunte,- l’altra  è nella località dove rimase uccisa , è ora accerchiata dalle case a cielo aperto nell’intrico di vicoli che si dipartono dalla Turkman gate nell’old Delhi, dentro una  recinzione che apparta l’area dei sacelli come un luogo sacro
Del dato che gli avelli di principi o dignitari secolari possano prestarsi alla loro sacralizzazione devozionale per lo stesso stato d’ abbandono in cui versano, che assurge a correlato oggettivo  della loro sorte di sante vittime sacrificali,  che il cielo ha preservato dalla profanazione di una sacralizzazione secolare monumentale e del vilipendio turistico che ne consegue,  ne avrei avuto una riprova il giorno seguente, quando la Nila gumbad retrostante la meraviglia della tomba-giardino di Humayun, sul cui incanto visivo solo  i battenti della sera potevano chiudersi per me definitivamente,  al limitare della stazione ferroviaria di Nizamuddin e dei suoi bivacchi di povera gente avvolta per il freddo nei propri mantelli,  mi è apparsa illuminata all’interno, e vi  ho visto salire un giovane per onorarne i sepolti nei catafalchi che ho potuto solo intravedere sotto i loro verdi ammanti islamici, sospintovi lontano dal ringhiare dei cani che  me ne precludevano l’accesso.
una sorte opposta è toccata invece  alle  tugluquidi  moschee fascinose Kirki e Begampur, la cui  conversione in monumenti protetti solo nominalmente, ha sortito la desacralizzazione del loro degrado a trafficato luogo di transito, non che a orinatoio per chi vi conviene nel bere e nel gioco.
Giunti così al portico  d’accesso  alla  Sultan Ghari tomb, è  la finzione marmorea di un arco che vediamo sovrastare la scalinata che ascende al portale che inquadra nelle scritte coraniche delle sue cornici marmoree il tetto ottoganale della sala di preghiera sul  lato opposto dell’edificio sepolcrale.
Analogo destino fittizio graverà sugli archi della tomba del padre, e occorrerà attendere ledificazione a fine secolo della tomba di Ghyathud- din Balban per  vedere comparire in India un primo arco vero . Non lo costituiscono ancora,  infatti, blocchi di pietra a forma di cunei, i voussoirs, disposti circolarmente e culminanti nella pietra o chiave di di volta, ma una successione di pietre disposte orizzontalmente , una sopra l’altra,  con i bordi arrotondati ad una delle estremità.
Valicato l’accesso, ci troviamo in un cortile da cui emerge la parte superiore della  tomba a camera ottagonale di Nasiru’d-din Mahmud, per metà della sua altezza. 
Il porticato circostante si risolve nella sala di preghiera, di cui quattro colonne marmoree supportano la trabeazione ugualmnte marmorea e la copertura ottagonale,  senza che vi sia tentato alcun arco, per i limiti che ben sappiamo, e che approssimano suggestivamente  la sala di preghiera a un tempietto greco in terra di Armenia.
Dintorno i frammenti decorativi, l’ornamentazione , con motivi vegetali naturalistici, che soggiace al rivestimento marmoreo della parte superiore della tomba del sultano, voluto da Firuz Shah ( 1351-88), insieme alla riparazione del Qutub Minar o della Suraj kundi,  oltre un secolo dopo,  attestano quanto  fossimo ancora in tempi di spoglio delle vestigia di templi hindu demoliti, come nella edificazione e nell''ampliamento della moschea Quwattu’l-islam, ma al contempo di soggiacenza alla perizia  e ai limiti delle maestranze hindu. Nella sala di preghiera è perfino ravvisabile l’utilizzo di una yoni o pietra di scolo del lingam ,  nella sua pavimentazione laterale.  Forse l’area fu scelta per edificarvi questa ed altre tombe dinastiche dei figli di Iltutmish, perché si prestava particolarmente a tale attività di reimpiego per la presenza di un tempio hindu, risalente all'ottavo secolo dopo Cristo, dalla cui demolizione potevano largamente attingere i dominatori islamici, edificato, si congettura, da un feudatario dei Pratihara. In esso l’uso di arenaria grigia o bruna avrebbe fatto seguito all'impiego antecedente in loco di arenaria rossa, in epoca Gupta.
E ora il tempo, con i devoti di discendere nella sala della tomba del Sultan Ghari, che la costruzione intorno ad essa della piattaforma, ha trasformato in una cripta , o ghari, appunto, in persiano.
E come ci si avventura, l’emozione si fa palpitante.
Occorre discendere per ripidi gradini, mentre la vista si obnubila, per riacquisire gradualmente la visione di una realtà stupefacente. Un raggio di luce filtra pulviscolare dall'entrata, in cui si calano i corpi dei visitatori e dei  fedeli, ma a vincere l’ottenebramento sono le innumerevoli fiammelle,  esalanti sentore d’unguenti ,  che brillano nei lumi delle candele e delle  coppette di ghee che alimenta fumigante l’ardore degli stoppini   intorno ai catafalchi del principe e di altri membri della famiglia del sultano.  E i devoti depongono fiori e offerte di dolci,  depositano sulle tombe verdi bendaggi , e nei gesti rituali che compiono , l’aarti con i lumini accesi ,  appaiono essere quasi tutti degli hindu coloro che si raccolgono  in preghiera sulla tomba di un principe islamico santificato per le sue imprese compiute in battaglia contro la loro fede e i suoi antichi seguaci, rari sono i musulmani che compongono le mani a coppa nel gesto rituale della preghiera, per poi passarsele sul volto e sul cuore.

 Ed è dato  dato di  vedere anche il  reperto di un amalaka inghirlandata di un tempio hindu antecedente, come ne sono state desunti i pilastri di supporto interno, nei sincretismi mirabili che nella cripta compone la fede.
Risaliti all’esterno, tra le rovine di altre tombe dinastiche, di una moschea in rovina ,  basta avviarsi per il sentiero che si diparte di fronte alla tomba del Sultan Ghari, per ritrovarsi  lungo la Merhauli road da cui fare rientro.





sabato 18 gennaio 2014

17 gennaio, cronaca di una tranquilla giornata indiana

17 gennaio cronaca di una tranquilla giornata indiana

Mi sveglio tardivamente, mentre di fuori sta ancora piovendo, i lampi e i tuoni, il “boom bom” come li traduce in inglese Kailash, dell’imperversare di un temporale nel corso di queste piogge monsoniche fuori stagione, non hanno perturbato più di tanto il mio sonno profondo, talmente me lo concilia il tremendo terribile che dopo che a kailash è stato prescritto a me ugualmente dai medici del Christian hospital di Chhatarpur, al termine della mia breve degenza, la settimana scorsa, che ha fatto seguito ad una comune diagnosi di dementia precox, come avrebbero sentenziato degli psichiatri ottocenteschi, di schizofrenia secondo la psichiatria contemporanea. Una caligine grigia seguita a gravare su Khajuraho, precludendone lo splendore invernale, Kailash lo ritrovo a letto, e comprende benissimo che è a lui che muovo i miei addebiti, quando gli chiedo come mai Ajay e Poorti non siano a scuola, mentre sottaccio che egli non è al lavoro Per il gran temporale scrosciato in mattinata i bambini tutti non sono andati a scuola, si è protratto quindi ulteriormente il regime vacanziero indiano, che feste islamiche a parte, dura oramai da lunedì corso, a seguito del freddo per il quale le scuole indiane restano chiuse in gran parte del paese, in mancanza di qualsiasi impianto o forma di riscaldamento. Per me ha dell’incredibile come un così mite tiepido fresco possa indurre gli indiani a un imbacuccamento con sciarpe e paraorecchi, come io stesso ne abbia patito il rigore e la diffusività di virus e batteri, quando alla mia partenza per Delhi ho patito un gran freddo e mi sono ritrovato all'addiaccio nel vagone sleepers, e ne rabbrividissi al ritorno in stato influenzale, oppresso di nuova da una tosse che mi si accaniva nel petto ogni qual volta tentavo di emettere parole. Ieri, l’occasione o le circostanze impellenti a seguito delle quali Kailash ha dovuto disattendere il lavoro in autorickshaw, è stato il gran riassetto dell ufficio in un vano adiacente, risistemandovi l’arredo e l impianto elettrico, un lavoro che si è protratto unintera giornata, per il venir meno dell energia elettrica fino alle cinque del pomeriggio, a seguito dei lavori in corso in Chattarpur per l'installazione della nuova rete ferroviaria, non che per il gran numero di perforazioni e di chiodi da sistemarvi, da parte del balai, il falegname, perchè sulle pareti vi riapparisse in un ritrovato ordine tutto l’apparato decorativo inter-religioso e del più multicolore artigianato indiano, incluse miniature del rajasthan e dipinti Madhubani o Gondi. Nella mattinata odierna, sono le undici e Kailash è ancora attardato in casa per cucinarmi il breakfast, dopo di che si mette a letto in uno stato di torpida sonnolenza e di indisposizione indisponibile a qualsiasi darsi da fare, accusando il suo cronico bruciore agli occhi, per tutta la polvere che aveva dovuto spazzare ieri n ufficio a seguito del trapanio dei buchi per sistemarvi i chiodi cui appendere quadri e ninnnoli. Già nel decorso del risveglio la mia mente aveva conosciuto i suoi propri travagli, perché la soddisfazione di come il giorno avanti ero riuscito a far risorgere il mio ufficio ancora più bello e più incantevole che nel suo corredo precedente, era stata perturbata dalla pretesa del brahmino Balbil, che del vano del mio ufficio è il proprietario, un ordine richiesta più che una domanda, che dall'indomani mi mettessi a servizio delle due donne che gestiscono il suo ritrovo d'infanzia assistenziale. Non era dunque servito a nulla che oramai due settimane fa, alla partenza per Delhi, avessi rintuzzato il suo esercizio abusivo della propria autorità di brahmino e di proprietario dell’ufficio che è il cuore delle mie attività in India, con l’ordine che mi facessi l’insegnante personale del figlioletto di una donna musulmana che vagheggiava,- come lord Krishna ha mille giopi, one thousand amanti vaccare, a detta di Kailash- in questo caso la moglie del driver Anklet , che a tanto l’aveva istigata, sapendo del debole del brahmino per la sua signora, e con il quale ho un conto da lungo in sospeso, per avere egli scaricato su due piedi con un “ Madar chod” in quel gran intrico di vie che è la vecchia Varanasi, a oltre due chilometri di distanza dal loro hotel, il cliente italiano e la sua famiglia di cui io e Kailash gli avevamo commissionato il trasporto sino a Varanasi da Khajuraho, per essergli essi venuti in gran dispetto in quanto non gli avevano elargito alcuna bakshhesh. E mitigatasi tale mia inquietudine angosciata, grazie anche al lenitivo dei farmaci, ora la letargia di Kailash, il riacutizzarsi della gravità che assumeva per lui la lacrimazione degli occhi, pur se il sole è diuturnamente schermato da una grigia foschia, la sua collericità con Vimala, nel persistere del mio parossismo mi mettevano in stato di estremo allarme, era forse finito, temevo, l’effetto della sua cura farmacologica, mentre nessuno dei familiari sembrava avvertire la situazione di rischio, nè Vimala canora nei suoi lavaggi e rilavaggi, nè Ajay come sempre irreperibile nella sua incoscienza esasperante. Sicché mi limitavo a tenermi daccanto al ragazzo mentre assisteva alla sfuriata del padre, e nel puntargli il dito contro, con foga iraconda, riuscivo a contenere l’aggressività del mio astio per la sua volatilità mentale, per essere egli ancora “chotan” più nella sua incoscienza della gravità delle cose e della pesantezza della nostra situazione che nella statura del corpo.
Per via, avvertivo tutta l’alterazione in corso del mio stato mentale, che i farmaci possono sedare solo nelle sue reazioni, per l’odiosità che assumevano i volti e i corpi della popolazione locale, in specie i giovani che bighellonano in tre in sella alle loro moto, senza prefiggersi niente da fare, alcun vero mestiere da intraprendere, o alcunché da leggere o studiarsi, i lapka e i bimbi già in cerca di turisti da accalappiare, o al loro seguito incalliti, come demoni custodi che se ne sono impossessati di un lascito in rupie per essersene impossessati della fiducia o della incapacità di farne a meno, o di cacciarli via, tale e tanta è di costoro l’ottusa incultura o insicurezza, o pochezza di mete, che fanno si che per un “misto di insolenza, di capriccio e vanità”, non credano o diffidino di chi parla loro in tutta sincerità e onestà, e cadano invece inevitabilmente nelle sporche grinfie di chi non sa pratica re altra arte o parte che il raggirarli, come ben loro sta, sia pure a dispetto di chi studia ogni pietra templare o usanza o vestigia locale, cerca di venire a conoscenza dogni organic farming o organizzazione effettivamente no profit con cui sia fecondo l’incontro del viaggiatore o turista. Era stato il ricadere in tale retaggio locale, al mio rientro da Delhi, quando mi si è irriso al saluto o mentre in bicicletta faticavo nellerta che conduce al tempio Chaturbuja, o neanche nel negozio del balai , il falegname a cui stavo affidando le mie miniature da incorniciare, mi sono trovato al riparo dalla altrui indiscrezione assoluta, alla richiesta del farmacista di quanto mai mi pagasse il "principal" per le mie lezioni di italiano, e dopo che certe bambine si sono unite alle loro compagne che erano i soli allievi delle mie ultime lezioni di italiano, solo per chiacchierare con loro e sottrarsi agli insegnanti e alle sberle che da loro avrebbero ricevuto se si fossero comportate nello stesso modo , che la mia mente ritrovandosi per mia libera scelta, o per vocazione d’amore, in un contesto dinferno simile a quello delle scuola dItalia a cui mi sono ritrovato libero, è entrata in depressione ed ha ripreso a vacillare, è crollata e precipitata nelle sue patologie aberranti.
Con il brahmino Balbil ho incrociato solo il saluto e lo sguardo, al ritorno nel market che ha il suo nome di famiglia, e ho serenamente trascorso l’intero pomeriggio a riordinare sugli alamari dell’ufficio le effigie delle divinità hindu e i loro apparati di culto, ad appendere ai muri i residui dipinti madubhani o gondi di cui disponevo, i pupazzi e le ghirlande rajasthani, o quant'altro lo ha reso per me un sito ameno di riparo e conforto, in cui è riapparso Kailash verso sera.
“ non ripetere ancora una volta quanto è bello il nosro ufficio, porta male” ha insistito. E pur nella sua inettitudine a complimentarsi e a rendere merito e grazie, mi è mostrato soddisfatto che non apparisse più come la congerie di uno show rom dell'artigianato liturgico indiano. Solo dovevo decongestionare l'intasamento di seggiole e tavoli e panche. Del mio amico ho in gran pregio ogni giudizio estetico, tanto più da quando ha biasimato la mia scelta di un dipinto madhubani perché conteneva solo l'immagine composita di un mandala di pesci beneauguranti, dicendomi laconicamente, in tutta franchezza quale motivo di scontento estetico.“ there is not subiect”

Insieme abbiamo mangiato delle frittelle di patate con ripieno di ceci e salse piccanti, prima che mi lasciasse solo e ch’io facessi ritorno a casa per depositarvi un quadro e un quadrettino devozionali islamici da riparare.
Dell ufficio non lo persuadeva ancora, mi ripeteva, l’ingombro che vi costituivano le giare di terracotta, la disposizione della panca per lezioni o conferenze, che andava per lui disposta invece lateralmente.
A un mio ulteriore rientro a casa, per prelevarvi decalcomanie e una coroncina del rosario indiano da sovrapporre all’immagine di Pope Francis , beneaugurante come quella di un Shiva o di un Buddha in abayamudra, ho chiesto ad Ajay se voleva cogliere l’occasione di riprendere il mio insegnamento dell italiano, per vedere il riordino dell’ufficio nel nuovo vano, e di sollecitare Poorti ad essere della partita. Sul l’istante si sono fatti ritrovare disponibili tutti quanti i fratellini, con me in bicicletta era pronto a venire anche Chandu, fresco e profumato e lieto nel suo incanto infantile.
Piovigginava, ma Kailash sarebbe venuto a prenderci con l’autorisciò se fosse piovuto a dirotto.
Che mi sia dimenticato di portare con me i libri di testo, è stata la circostanza che ha propiziato che tenessi solo una piccola lezione breve sul “ciao e il buon giorno o il buona notte o buonasera”, -con gli amici o con le persone di riguardo non familiari-, tra i più impertinenti schiaffeggii e pugnetti graziosissimi che mi infliggeva l’adorato chandu, il mio presunto e improvvisato assistente, di cui saltellante sul lettino dei massaggi sottostante la lavagnetta, dovevo fronteggiare tutta l impertinenza dei tentativi di cancellare quanto vi scrivessi con il pennarello.
Poi li ho lasciati disporre dei pennarelli e della lavagna a loro piacimento, di rientro a casa per prendervi la videofotocamera della cui card avevo recuperato i contenuti e le funzioni del dowload dei dati il giorno avanti, insieme con delle berrette per ripararci dalla pioggia al rientro di lì a mezz’ ora.in video e foto ho tentato di riprendere e fissare l incontenibile gioia dei miei bambini, sino a che è stata l'ora che si rimettessero le scarpe e si avviassero verso casa . Nemmeno il tempo di chiederci se fosse il caso o meno di rientrare in bicicletta, che per l''ffetto di noi tutti che sprigionava alla sua sola vista, è ricomparso Kailash che era venuto a prenderci con il tuk tuk.
Le biciclette le avremmo lasciate dentro l’ufficio. Visto che era ancora aperta la pasticceria cui l’ufficio fa seguito, ho invitato i nostri bambini a cibarsi di qualche dolcetto. Di la dai vetri Kailash si è immancabilmente oscurato alla loro gioia, come supponevo, al pensiero di Sumit, che ne sarebbe potuto esserne gioiosamente ugualmente partecipe, “ My Sumit”, come non manca di dire le poche volte che ne ha modo di parlare. Al nostro povero caro Sumit era già corso anche il mio pensiero, quando per accertare linglese di Poorti, le ho chiesto di dirmi quanti fratelli avesse.
Due, certo, tra me ho pensato, ma se non si conta il fratellino che è già nel Nirvana.
Aveva cessato di piovere a dirotto quando ci siamo decisi a rientrare, sicché solo Poorti e Chandu sarebbero tornati a casa sull'autorisciò, mentre io ed Ajay avremmo riportato a casa le biciclette.
La caduta di tasca del portafoglio è stato poi il pretesto per avviare Ajay a precedermi mentre lo raccoglievo da terra, e per recarmi allo shop center di Agrawal per acquistare le colle che mi servivano per riparare la copertina di “ the religious imagery of Khajuraho” e il quadrettino devozionale muslim, per ritornare indietro al negozio di articoli per la casa di un negoziante jain, ed acquistare la cesta metallica che ancora occorreva, perché Vimala potesse disporvi rialzate dal suolo tutte le stoviglie e le posate in uso.
Ma mi illudevo ,se cosi credevo di completare la felicità domestica: “ E adesso, brontolava la costernante Vimala, perché non portare indietro quello che avevo acquistato il giorno avanti, che come avevo adocchiato in cucina ad un mio rientro a casa, non bastava per l’occorrenza. Una micragnosità che faceva il paio con la sua ostilità al paio di babbucce che si era provveduto ad acquistarle, perché stando con i piedi sempre in ammollo nel cortile, non seguitasse a contrarvi infezioni.
“ Cerchi piuttosto di salvare denaro acquistando meno gutka”, la rincalzavo.
“ E’ una old lady”, ribadiva esacerbato Kailash, mentre mi cucinava gli spaghetti, e lei assisteva come in atteggiamento di sfida e senza avere niente da voler apprendere, vista la sua ritrosia a muoversi oltre il raggio di duecento metri da casa e ad alimentarsi che di ciò che non fosse cucinato di vegano con le sue mani, a nessun altrove se non il suo villaggio d’origine,” le altre donne cambiano quando vanno in un nuovo posto, lei invece è rimasta tale e quale”, pronta a farsi beffe della mia eccessiva tema di versare nel condimento e sugli spghetti più timo del dovuto, dal vasetto dai cui fori non voleva saperne di uscire.
“ Con tutto il riguardo che ho nei suoi confronti”, commentavo con Kailash, mentre lei si allontanava, per la sua sguaiataggine che è il suo eloquio naturale, per il suo maneggiare la merda con cui sacramenta la porta di casa con la stessa naturalezza con cui prepara il cibo e le bevande, e recupera da terra ogni cosa che vi cade e non la rigetta o la usa di nuovo senza lavarla..
Ma il tragitto verso la quiete del sonno riservava ancora una reprimenda di kailash contro Ajay per la sua persistente irreperibilità, cui mi associavo con ferocia danimo , visto anche che Ajay si negava a una risposta, e un lungo indaffararmi al computer con le immagini di Ajay e Poorti e Chandu in ufficio, per scegliere quella da destinare a facebook, prima che sulla volontà di scrivere prevalesse il sonno, dopo quella di navigare in internet. Ma la pioggia si era fatta intanto talmente scrosciante, che mi correva il pensiero al rosmarino che restava esposto alla sua inclemenza, mentre un gattino mi si infilava nella camera senza che avessi alcun intento di osteggiarne il ricovero,. Salivo sul terrazzo a raccogliere il rosmarino di cui il vaso era divenuto una conca d’acqua,e lo ponevo al riparo in stanza, prendevo i medicinali di turno, l' oleanz incluso, e il sonno mi ghermiva all’istante.

lunedì 13 gennaio 2014

E’ la strada per Umaria, quindi per il parco di Bandhavgarh, la stessa che da Satna  reca  prima a Barhut , poi a Maihar, e da Maihar a Marahi, lontanandosi da Satna per la sua periferia polverosa.
S’infoltano gli alberi come il viluppo stradale si sbroglia nella direttrice risolutiva, mentre  a manca e a destra  si disegnano rilievi , sin che un grande cartello segnaletico , dopo 15 km ,  in concomitanza con l’apparire di un monte di  altezza  imponente , sulla sinistra,  avvertono che svoltando nella sua direzione, a non più di 6 chilometri di distanza vi soggiace Bharhut,  il sito archeologico di una della stupe capitali del buddismo indiano,  insieme con quelle di Sanchi, di Sarnat, di Amaravati nel Sud dell India, risalente nella notte dei tempi all epoca Shunga, nel secondo secolo prima di Cristo, forse fondata dallo stesso Ashoka,  e che nessun  testo di storia dell’arte indiana può consentirsi di ignorare. A onore del vero, il sito originario della stupa è talmente  considerato irrilevante in ogni guida e manuale, rispetto ai resti mirabili delle sue vedika che si possono vedere nei musei di Kolkata, Delhi, Allahabad o in  pochi frammenti residui, della vicina Ram van,  che figurano tra i primi esemplari dell’arte indiana, inconfondibili nella forza icastica del taglio ligneo con cui sono stati scolpiti, che nel lasciare Khajuraho a meno o poco più di 150 chilometri di distanza, dubitavo della sua stessa esistenza , o ne figuravo mentalmente la ricerca come la romantica quest del ritrovamento immaginario  di un sito perduto, alle stesse parole di Tiziana Lorenzetti, che mi avvertiva che non c’era proprio nulla da vedere.  "No antiquities exist at Bharhut now" recita la stessa voce Wikipedia. Che in Satna ci fosse un hotel Bharhut del Mp tourism, avvalorava l’ipotesi che celebrasse in loco la perdita assoluta di ogni vestigia in materia, dopo che le autorità inglesi ne decisero il trafugamento in Kolkata ed altrove di ogni illustre vestigia, dopo gli scavi condottivi nel 1874 da Alexander Cunningham, che era stato in Bharhut già l’anno prima, e seguitati dallassistente Beglar,  così  come in Firenze ogni hotel o casa o statua di Dante non fa che esaltare ancor più il reperimento solo altrove di lasciti e salma del sommo poeta.
Né certo poteva fugare il mio scetticismo sull'esistenza tuttora di una qualsiasi Bharhut, il fatto che l’addetto alla reception del mio modesto hotel in Satna, tenuto pur conto del fatto che foss’egli pure di  un ignoranza assoluta in materia di qualsiasi reperto monumentale, o del passato , ne smentisse ogni esistenza, o alludesse a un Bharhutnagar ch’era un sobborgo attuale di Satna, nella cui denominazione soltanto, in memoria, dovevo rassegnarmi che consistesse ogni  rimanenza in loco del giacimento un tempo di una stupa gloriosa, senza più alcuna traccia del suo passato, un po' come solo il toponimo Virgilio rievoca nelle vicinanze della mia città di Mantova  che ci fu un luogo , nei suoi vaghi paraggi, che diede i natali al poeta massimo latino .
Non c' è da meravigliarsi che anche quando ho iniziato da umile pedonauta il percorso che sulla sinistra reca a una Bharhut così vistosamente indicata  dalla segnaletica stradale indiana, con una simbologia inequivocabile sulla giacenza di un sito monumentale circolare quanto uno stupa, per chi fosse tardo a comprendere,  mi ci sia inoltrato ancora agnostico del tutto, e che fosse un primo germoglio di una fede ancora scarsa, nel suo fioco lume, la conferma che si c’era alcunché corrispondente a una stupa, solo poco su, od oltre, rispetto al villaggio, di un lattaio in motocicletta che mi ragguagliava sulla effettiva distanza, scorciandola alquanto.
E uno dei luoghi più comuni che si presume sia un detto originale, che la strada  è la stessa meta, ma il percorso che reca a Bharhut si faceva e si presenta al  viaggiatore così  incantevole, che può essere una compensazione più che bastante del ritrovamento del nulla alla fine. E come un sussidiario che squadernava via via  l’abc del mondo rurale indiano del Madhya Pradesh, prima un villaggio le cui case i cui tetti ribassati declinavano sulle pareti di malta e le soglie fumiganti nel folto degli alberi, poi , deviando sulla destra,  per una scorciatoia,  il percorso che si  faceva la più rimarcata  delle cavedagne tra i campi insolitamente aperti,  senza recinzioni di sorta,  allora degli arativi o dei filari dei primi germogli di grano, mentre tra i fiori di * e le fronde degli alberi grandiosi, l’orizzonte appariva dominato dalla sagoma sempre più incombente del rilievo di Bharhut, la montagna rossa. Un rivo vi è traversabile da un pontile su cui  può essere  dato di assistere al transito in bicicletta delle ragazze che vi si recano a scuola,  quando si è oramai nelle vicinanze del villaggio (di Bharhut,) e nei campi che ancora si interpongono,  è possibile vedere all'opera tanto il trattore quanto l’aratro di legno sospinto da  buoi, o  nell’aia rifulgere i pani con le sementi di legumi - e la pula a riseccarsi nel sole .
Bharuth, come già ci addentra, si rivela subitaneamente pari ad ogni più illustre sito dell’India che corrisponda al suo glorioso passato,  poco più di un pugno di case,  una viottola che ne è la decorrennza  e a cui affluisce una ancora più esigua, prima di ritrovarsi nell’aperto di una radura che conduce a casolari sparsi, ad un altro raggruppamento di case, di cui alcune,  in numero di quattro, presentano un corpo centrale i cui tetti spiovono su quello circondario che fa da bordo  sottostante , come più a Nord Est, nei distretti montani di Rewa prossimi oramai ai confini con l’Uttar Pradesh. Poco oltre è  dato di ritrovarsi tra i coltivi  in un un folto d’alberi, grandioso e ombroso, di un tale rigoglio di fronde e foglie che assorbe il respiro, tra cui fanno la loro comparsa  incantevole due tempietti o edicole remoti.  Poi il folto degli alberi si schiarisce in coltivi e radure,  in prossimità del manto stradale che si è lasciato per la scorciatoia, o da cui si giunge a sinistra in Barhut, oltre il quale il farsi declivio del suolo precede i cancelli e il filo spinato d’ingresso a ciò che oramai, indubitabilmente, al di la della stessa fede che fin qui ha guidato i nostri passi,  è la certezza assoluta che siamo prossimi al sito della stupa di Barhut, in virtù della sua presenza reale che così ci si manifesta,
Spero che il visitatore incallito trovi accompagnatori meno stolidi dei giovani  quelli che si sono uniti al ragazzo che mi accolse all’ingresso del villaggio,  che non fecero certo un motivo di mia gloria il fatto stesso che a piedi e in stato trasandato dal viatico avessi raggiunto un sito così inusitato e sconosciuto a chi non sia del luogo o dello stretto circondario,  senza mostrare propensioni al fumo o all’alcool o a gutka di sorta,  e nonostante l’handicap dell’artrosi e il retaggio di un corpo appesantito dalla sua senilità,  che mi impediva di sforarlo insieme con gli abiti nel traversamento cui mi invitavano del filo spinato, in assenza del custode di turno. Ma anche nellIndia più primordialmente al passo con la modernità dei tempi, esistono  le anime gentili, e al mio appartarmi schifato e autistico per diradarne il seguito, sopraggiungeva l’angelo provvidenziale di un giovinetto , forse avvertito dai miei stessi precedenti accompagnatori così ravvedutisi di quanto aveano inscenato, che si poneva in contatto telefonico con il custode del sito, il quale  sopraggiungeva alfine dopo quasi mezz’ora.  Avevo così accesso finalmente al sito della stupa di Bharhut, poco oltre sulla destra: un sito elisio, tra  gli alberi che facevano corona o serto al basamento circolare superstite del corpo circolare della stupa, ai brani del selciato del percorso intorno della pradakshina, a ciò che restava degli stipiti iniziali di uno dei torana,  al di qua di una recinzione che  isolava la sacralità o intangibilità dei reperti, sancita da una stele di uno Yaksha  convertito in un Hanuman dalla devozione locale, adiacente  all’area depressa dello stupa, dai pascoli d’armenti immediatamente contigui,  negli avallamenti che preludevano al monte di li a poco sovrastante , a compimento della solennità naturale dell amenità del sito. Ad avere il tempo e la voglia e le gambe buone sul monte sono ravvisabili rilievi rupestri, un’ iscrizione antica, concernente lo stupa, come mi informavano la guida inutilmente disposta a condurmici, il giovinetto che mi aveva accolto all ingresso del villaggio, e che avrei ritrovato dopo l’ospitalità concessami da due anziani fratelli che vivono in uno dei casolari del raggruppamento di dimore e rustici e stalle nelle vicinanze,  e che sulla sua motocicletta sarebbe stato ben felice di condurmi all'incrocio di ripartenza per Maihar.
In Maihar  si situa oltre l’intero villaggio la prima destinazione del nostro recarvicisi,  al di là della stazione degli autobus, avviandovicisi per la stradicciola sterrrata, sulla destra, che seguita il bordo di un talab, per poi deviare sulla sinistra, volgendoci alla collina su cui biancheggia in lontananza il tempio della Sharada Devi. Ancora qualche centinaio di metri, e oltre le fronde degli alberi ci appariranno l’amalaka e il pinnacolo del Golamath, il purana mandir al dio Shiva eretto dai Kalachuri nel  960 dopo Cristo.
E un tempio vivente ove accorrono ben più fedeli che visitatori, e lo rimarcano la cinta muraria e il calcinati e tinteggiati di bianco e di rosso, in strenuo contrasto con la finezza, che ne è ancor più esaltata, della preziosità retrostante del decoro ornamentale irrinuciabile, a quei tempi,  del  piccolo tempio che ne rifulge nel portale d’accesso al santuario. Ne  precede la cella il portico d’entrata, enfatizzato dalla gronda ricorrente, lo sovrasta un’ armonioso e fulgido sikkara, che le modanature di due kapota intervallate da una pattika sopraelevano sul jangha dei fianchi del tempio, ove  su un basamento dai forti rilievi curvilinei ricorrono due ordini di statue, nella loro natura individua superstite alloo stucco di cui sono incrostate, alle tante ripassate sopra di esse di una devozione indifferente e indiscriminata.
Ritornando al portale d’accesso al garbagriha, cui nel portico  è innancabilmente antistante un Nandi in adorazione del lingam, ne fregiano la trabeazione la serie superiore  delle saptamatrika e quella sottostante dei nove pianeti, prevenuti da Brama alla loro destra e cui fa seguito Vishnu alla loro estrema sinistra, mentre in posizione centrale si attesta la divinità di Shiva, quale destinatario del tempio.
La banda laterale principale incolonna mithuna di coppie amorose sulle divinità fluviali di Ganga e Yamuna, tra un’attendente e d'un guardiano naga, mentre una mirabile cornice a volute arriccia ed inflette ed inarca le sue spirali sinuose tutt’intorno al portale. Non  meno incantevoli sono le ondulazioni fluttuanti nei pilastri che separano il vestibolo al di là del portale e la cella vera e propria, ornamenntati nelle testate daimotivi dei ghata-pallava e del kirtimukka,  al pari delle fluttuazioni delle navigazioni celestiali delle coppie dei capitelli del portico.
L’apparato statuario che nelle loro proiezioni e nei loro recessi adorna le pareti  laterali del tempio,  nella fascia inferiore dispone come secondo copione le divinità guardiane dei punti cardinali, i vyala leogrifi e le ninfe apsaras, .nelle nicchie delle  principali proiezioni solo Shiva uccisore del demone cieco Andaka è ravvisabile al suo posto dovuto,  le altre statue postevi risultandovi illeggibili e incongrue,  appaiono invece di minori dimensioni le figure statuarie del registro superiore, tutte composte di coppie amorose.
Una volta lasciato il tempio, la via lungo la quale ci siamo incamminati poco oltre l’autostazione, seguitando verso le alture ci conduce all’area di sosta e di parcheggio degli autoveicoli oltre la quale occorre procedere a piedi per raggiungere il Trikuta hill, il monticello del tempio della dea Sharada.
Confluiscono nel culto della Devi  quello di Saraswati, Sharda Mata, la dea bianca dell intelligenza, sia essa quella della musica, delle arti, o della scienza, sposa di Brahma, e  la tradizione mitica che vuole che sulla collina Trikuta sia caduta la collana( har ) di Sati, ( Mai, la Madre Dea) , quando il suo cadavere portato in spalla dal Dio Shiva furente per la sua morte per autoimmolazione, in reazione all  ostilità del padre Daksha nei confronti del proprio coniuge divino, fu fatto a pezzi, 51, da Vishnu con il proprio chakra, per arrestare i passi della danza cosmica di Siva, il Tandava, che stava annichilendo il mondo,  sicché il Trikuta è uno dei 51 Sakti Pitha dell’India, luogo sacerrimo di culto, pur se mai quanto il sito dell’Assam dove della Dea cadde la vulva, nei pressi di Guwahati.
Sarà una interminabile serie di bancarelle di oggetti liturgici e di offerte votive,
noci di cocco, dolciumi, drappi o coloratissime polveri,  o souvenir della Dea, giocattoli e capi di abbigliamenti per ladies, un bazar religioso che per multicolore e fragrante che sia, ci estenuerà sino allo spiazzo ai piedi del colle, dove tertium datur solo se a tal punto si ritorna indietro, tra il  valicare la porta e iniziare la salita a piedi degli scalini dell erta, o retrocedere fino alla stazione della funivia per ascendere in cabina. L’importo sarà minimo, ma una lunga coda stremante è assicurata, data il suo ammontare, 70 rupie only, alla portata di un'infinità di pellegrini indiani. Chi si reca a omaggiare la Devi è comunque inserito in un pellegrinaggio tecnologicamente avanzato che ripudia le forme estreme di sacrificio cui si può ancora assistere nel perikrama di oltre  chilometri della collina di Citrakoot, dove trovarono la loro residenza Rama e Sita in esilio da Ayodya, che delle coppie terrene percorrono per l’intera lunghezza vicendevolmente distendendosi e protraendo per tutta la lunghezza del loro corpo la ciotola che si trasmettono l’uno l’altro. Solo la ressa e la calca di lunghe file spossanti è quanto si deve patire e a cui deve adattarsi, in Maihar anche chi claudica o è ricurvo e piegato in due sulla sua schiena, sempre che  non sia possibile eludere la sequela ed abbreviare il tragitto.
A chi sceglie di far prima a piedi vi sono invece da affrontare 1152 comodi gradini, al cui termine dovrà condividere con chi è salito in funivia la confluenza nell'accalcamento/ affollamento asfissiante di una serpentina tra le sbarre, che prelude salmodiante alla darshan della dea. La vista può intanto essere risollevata dalla profusione di ghirlande appese ovunque, dei filamenti votivi rossi e arancione che cingono i tronchi degli alberi dello spiazzo del tempio, dalle serie di campane donate dai devoti  cui si scorre di lato.

E giunti che si  è in cima della scalinata , la vista preveniente di ciò che è riservato a chi si fa astante alla dea, non può che diradare la maya di ogni illusione in proposito, giusto il tempo di depositare l’offerta , che sia raccolta da uno dei pujari, cedendone una quota di prasad come ricevuta in cambio, che l’altro ti sospinge già via nei modi più spicci, per fare scorrere tutto al più presto. Resta, di lassù, la gran vista della piana sottostante, dellle anse  fiume che vi scorre, degli specchi dei talab che rilucono nella vasta distesa  di piante e coltivi.