giovedì 9 maggio 2013

antichi templi di khajuraho


Poco prima del sinuoso ingresso nell’intrico della vecchia Khajuraho,  così simile all'arroccamento tra le sue mura del suo riottoso induismo, scartando biciclette, o autoricksaw, l’ ingorgo al crocicchio del traffico umano ed animale, si apre sulla sinistra la stradicciola da intraprendere per iniziare il nostro itinerario, che costeggia l’acquitrino del Ninora Sagar. Nel suo breve tratto, un maialucolo nero che s'intrufoli nel vostro percorso lasciando le sue abituali immondizie od il liquame di scolo,  delle donne che si abbeverano alla pompa dell'acqua con accanto il loro vasellame metallico da rilavarvi, altre che sopraggiungono tra greggi ed armenti nel clangore dei loro campanacci,  con in testa un carico  di sterpi  o recando il loro fascio dell'erba stagionale, delle bambine che si dilettino a spalmare di sterco scaramantico la soglia di casa,  tra lo strombazzare di autoricksaw Ape e di motociclette, di trattori agricoli o vagoni di trasporto,  possono farvi ritrovare pienamente immersi nell' India in cui siete, mentre addossato alla arginatura del bacino del talab,  già si prospetta  il primo dei templi della nostra peregrinazione mirabile, il Brahma mandir,  come erroneamente siamo già indotti a ritenere dalla credulità popolare. E’ invece dedicato al dio Vishnu, il dio della forza di coesione onnipervasiva che conserva l'universo, secondo quanto attestano, indubitabilmente, le prominenze centrali delle immagini scultoree del dio  sugli stipiti d’accesso,  o il servente Garuda, metà uomo-metà uccello, che prono in perenne devozione, sulla sua fronte di ingresso principale, onora tuttora il proprio dio della sua cavalcatura aquilina.




Nella spoglie vesti rudimentali in granito della  sola cella di cui consiste, non che dellaphamsana piramidale d'arenaria in cui culmina, che nella Khajuraho dei Chandella non  aveva ancora ceduto il passo a curvilinei sikkara, il tempio, che era forse un edificio memoriale come il Matangheswara, l' edificio di culto ancor  vivo che sorge accanto ai templi celeberrimi ma monumentali del gruppo occidentale,  mostra di primo acchito quale fosse ancora lo stato  dell’arte sotto i Chandella ai tempi della sua costruzione, ancorata  al 925-950 dopo  Cristo. Dei templi tuttora superstiti, era stato fino ad allora eretto in Khajuraho  il solo  Chausat yogini mandir, cosi possente quanto primordiale, nel fornire a tutte quante le 64 deità della fertilità in cui si manifesta la sakti dell'energia divina, 64 tempietti minimali più tre altri, non meno essenziali, per le divinità femminili loro alleate, al riparo ciclopico delle muraglie di un’antica fortezza templare, ed era prossimo a sorgere, o da poco era stato eretto, in tutta la modestia delle sue pretese, il solo tempio shivaita ora a perdersi tra i campi di Lalguan, prima che i Chandella,  al cospetto delle divinità brahmaniche, sbaragliassero ogni rivalità mimetica che tra i sovrani hindu dell’India centrale potesse insorgere nelle edificazioni templari dinastiche, con l’elevazione fenomenale del tempio Laksmana..
Come  si sia invece  ai piedi del nostro tempio, ancora così umile e rude, numerato in ogni sua scabra pietra, è sufficiente risalirne la scalinata  per scoprirne  all’interno la ragione duplicemente erronea della sua denominazione brahmanica quale lo è quella, addirittura seriale, dei templi Chalukya di Alampur, nel lontano Andra Pradesh. Del resto, la dedica di un  tempio al Dio Brahma, pur se è il Principio o Sorgente di ogni realtà, e fa tutt'uno con essa, è in India altrettanto inusuale quale lo è nella cristianità occidentale quella di una chiesa a Dio Padre, laddove prolifereranno lungo il nostro stesso percorso i tempi e i tempietti dedicati a Durga o al leggendario Hanuman, il dio.scimmia aiutante in capo di Rama,  così come, nei paesi della cattolicità cristiana, quali l 'Italia, non si contano le cappelle e le edicole votive alla Vergine beata, erette tra i  campi o dove svolti una strada, ad attestare tuttora, nelle mie campagne d’origine padane, quali fossero i termini della centuriazione romana cui ci si rifaceva  nella loro dislocazione. Basta, per rendersi  conto del fenomeno analogo in India , già dal limitare del tempio in cui ci ritroviamo, seguitare ad inoltrare lo sguardo lungo l’argine del talab, per scorgere il biancore del primo dei templi alla Devi che onoreranno il nostro percorso.
Ma prima ancora di distanziarci insieme con il nostro sguardo, occorre  risalire, al termine della piattaforma,  alla ragione d’errore che resta da dirsi e vedersi, per cui il tempio è conosciuto come un tempio brahmanico.
Gli stipiti del portale cui siamo al cospetto, consentono intanto una chiara lettura di quale fosse l’iconologia statuaria imprescindibile di ogni accesso alla cella del  santuario: all’altezza del devoto, sulla sua sinistra la dea fluviale Ganga in posizione centrale, con ai suoi piedi  un coccodrillo rimasto intatto quale sua cavalcatura, alla sua destra, in perfetta corrispondenza,  la dea confluente Yamuna, con invece una tartaruga quale suo caratteristico veicolo animale. Le affiancano verso l’interno due assistenti  con un vaso di acqua purificatrice diruto, sovrastate da una corona di cobra anch’essa erosa. Sono nel regime protettivo delle divinità acquatiche serpentiniformi, o Naga, in relazione di subordinata inimicizia con  lo stesso Garuda.  Lo abbiamo infatti già ritrovato solo a debita distanza,  soggiacente al Dio Vishnu, al centro dell’architrave del portale, nella   posizione d’onore che al dio  Vishnu.è dovuta essendogli dedicato il tempio, mentre alla sua destra ed alla sua sinistra  si stagliano complementari e distinti Brahma e Shiva,  per quanto si interpenetrino nella trimurti hindu trinitaria . Ma è lord Shiva, che oltre il cancello che ci preclude l'accesso, al centro del santuario del tempio la fa da Signore, ossia da Ishwara, per un'incongrua traslocazione di un suo lingam a quattro volti, o chatarmukka,
che fu scambiato per un cippo brahmanico,  a seguito di una concatenazione di errori in cui si è così disvelata la ragione  della erronea denominazione del tempio. Shiva, il dio che tutto porta a compimento ed a distruzione, rigenerando la vita , ci appare ora di fronte incantevole ed orrido, nei quattro volti simultaneamente sereni e tremendi che affiorano dal suo lingam, rivolti nelle quattro direzioni cardinali a presiedere i quattro elementi della terra, dell’acqua, del fuoco, dell’aria, mentre il quinto elemento, la spazialità originaria dell’etere, o akasha, è da Shiva sovrinteso, quale Ishana, in un sua quinta attribuzione  che per la sua natura immanifesta è  qui simboleggiata dal lingam stesso,  data la sua realtà  non figurativa
 ( qualora si visiti il  Museo Archeologico di Khajuraho,  si potrà ammirare una traduzione inversa, delle manifestazioni di  Shiva, che gli attribuisce un suo viso personale come Ishana,  cui in un rovesciamento delle parti corrisponde invece una resa astratta, in forma di sfere, delle sue manifestazioni che assumono invece la personalità di un volto nel nostro chaturmukka. Si confronti Devangana Desai The religious Imagery of the Temples of Khajuraho, pg 60)
Nei suoi quattro volti inferiori, il  primo sembiante che ci appare è quello  meditante che il dio  assume nella sua potenza di Tatpurusha, o “ Spirito supremo”, una sua manifestazione che ha un volto analogo a quello della sua retrostante visualizzazione quale “Sadyojata”, mentre se procediamo  in senso orario lungo le pareti, come vuole la pradakshina, o deambulazione rituale, oltre le griglie, in posizione intermedia, sono gli opposti estremi del Dio che vediamo affrontarci, prima nel  suo volto spaventoso di Aghora, quindi  in quello soavemente femmineo di Vamadeva, poichè Shiva vi è tutt 'uno con  la soavità femminile della consorte Parvati.
Dall’alto della scalinata, qualora vi ci si soffermi, visitato il tempio, il bacino lacustre del Ninora talab si offre alla nostra vista sino all’opposta sponda, dove bambini e bufali, nel guazzo che li accomuna, trovano insieme il loro divertimento  e la loro pastura.  Di fronte invece all'entrata del tempio,  il vecchio villaggio ci concede  a sua volta un suo brano spettacolare,
che ci anticipa la fatiscenza sino allo sgretolio estremo in cui ritroveremo superstiti negli ulteriori  villaggi gli edifici di fango, tutto il rosso fulgore dei filari di mattoni cotti in cui ancora resistono all’usura del tempo le murature delle  altre costruzioni tradizionali, tra il sovraegersi, sopravanzante, dei fabbricati più recenti, e dei piani aggiunti, con supporti in cemento e travature  metalliche.
Presentano, le case in mattoni, le forme grezze e solide che consentono le intese edilizie tra capomastri  e committenti , secondo  la logica architettonica, o Vastu vidya, che sovrintende il fabbricare hindu dalla notte dei tempi dei Silpashastra, gli antichi trattati canonici che tali norme rielaborarono  Sui dossi che si avvallano tra le rovine di alcuni edifici diroccati, se non è la stagione delle piogge ci apparirà l’ altra più alta nota di colore, ocra, del paesaggio rurale , dataci dai pani di sterco stesi al sole a seccare, nel brillio dei filamenti di paglia incorporati.Ci si offra a tutta la loro vista benefica, è il loro consumo energetico,  per la cottura dei cibi, il riscaldamento, o la messa in fuga degli insetti molesti, ad opera delle dense fumigazioni che ne emanano aromatiche, che salvaguarda gli alti fusti e il diramarsi degli splendidi alberi che vedremo frondeggiare tra i coltivi:
E già non c'è tregua alle nostre emozioni, Come cessano i caseggiati da cui si risalga in strada, oltre tutta  l’ immondizia e la verde pastura della immensa radura successiva,  in cui pascono numerosi quanto stenti armenti, alla vista si  dona tutta quanta la grazia del tempio Javari, sullo sfondo d'incanto dei rilievi Vindhya.
Ci tragga pure in inganno la loro apparenza, che li fa  sembrare alti e distanti nei loro dirupi sommitali, quando sono invece ravvicinati e di altura modesta, lasciamo pure che ne tragga ancora più slancio ascendente il sikkara del tempio, il raccogliersi in armonia degli ulteriori  suoi picchi ascendenti , di forme al contempo così compiute e ridotte, prima di  accertare  che tale è la bellezza ideatrice di questo gioiello tardivo dei Chandella, che sopravvive al restauro di tanta sua parte ed alla scalfittura più rovinosa del suo complesso statuario.
Se il  tempio Javari  è di tale e tanta bellezza,  specialmente se lo si ravvisa di fronte dal  giardino circostante,
a dispetto di una denominazione che ha a che vedere solo con il miglio che si coltiva intorno, eppure pianta simboleggiante la fertilità germinale femminile, lo è  per  come  vi è armoniosamente raccolta, in  erte distinte, la tensione ascensionale prima piramidale, e poi curvilinea, delle sue sommità  sovrastrutturali che lo ragguagliano al Mont Meru,  celestiale dimora degli Dei hindu ed Asse del cosmo. E' un'ascesa cosmica che si sospinge a risalire fino all'Uno nel pinnacolo, che  secondo il profilo terminale del sikkara simboleggia il punto, o bhindu non spaziale, in cui   tutto ritorna per esservi riassorbito ed emanarne di nuovo.
Ad esso, con l'anelito del tempio tutto, tendono a risalire lungo il corpo del sikkara le sue riproduzioni in miniatura che vi sono aggettanti, come tante balze al monte che ne è la mole,  in conformità  ad un'idea frattale della divinità del reale, secondo la quale lo stesso ordine e le stesse forme si ripetono ad ogni suo diverso livello. E' cosi anche per  le sovrastrutture piramidali delle sale profane del tempio, che trovano una loro replica in tanti isomorfi tempietti- edicole, o tilaka. Il tempio inoltre incanta per quanto l'eleganza del torana, l'arco festonato del portale d'accesso, così come s'inflette in una quadruplice falcatura dai dorsi di coccodrilli-  makara,  si accorda con le svasature delle finestre balconate del portico  e del mandapa, la sala interna,
in un concorso, di festoni ed aperture, uniformate nell'ornamentazione, del cui consentire l'accesso alla grazia divina, tutto il corpo dell'edificio e l'apparato scultoreo di deità e ninfe celesti, le apsaras,  si fanno luminosamente partecipi, per un adito ch'è la stessa porta della morte di cui i coccodrilli sono i guardiani.
Chi, prima di  accogliere tale invito,  inizi il percorso di rito intorno al tempio in senso orario, la pradakshina, come si è detto, che visualizza la coesione con cui il divino si espande in ogni verso del mondo, tra le proiezioni di divinità amorose e ninfe celesti,  o apsaras, in tutta la bellezza dell'energia divina che crea semplicemente essendo e desiderando  se stessa, e la disposizione nei recessi delle figurazioni della nocività dei desideri illusori, rappresentate dai leogrifi o sardula, o detti altrimenti vyalas, presi per la coda o sormontati dai combattenti della virtuosità pugnace, insieme con le immagini di coppie umane, sensualmente intente,  per il loro piacere e per propiziare la fertilità di mogli e campi e ogni buona sorte dei devoti del tempio, vedrà comparire quali statue di maggior risalto, per il loro  stato di conservazione, gli otto dikpalas, o divinità guardiane delle direzioni spaziali,  duplicate, e ben individuabili, perchè ognuna di esse  è sovrastata dalla divinità vedica, ossia propria della religione originaria dei grandi testi Veda, di  un corrispettivo ashtavasus, con la facies bovina, non che  per la collocazione di riguardo che a loro è riservata, entro nicchie impreziosite da colonnette sovrastate da un fregio diamantino, e raccordate da un torana flessuoso, così come è dato di vedere altrimenti, non in Khajuraho, ma nel tempio a Shiva Neelkanteshwara di Udaipur. A iniziare, a Sud, da Yama il dio della morte, che tutti gli esseri viventi cattura con il suo laccio, o pasha,  a tale compito tutelare del tempio appaiono retrocesse  le grandi divinità vediche originarie,  Nirriti, il dio dei virtuosi sfortunati che volge a Sud Ovest, ignudo e con il trofeo di una una testa mozza, ad Occidente Varuna, dio dei cieli e delle loro acque superiori , a Nord Ovest Vayus, dio del vento e del soffio psichico vitale, a Nord Khubera, dio di ogni fortuna tesorifera, a Nord Est Ishana, dio della spiritualità trascendente, a Est Indra, dio delle piogge e  del fuoco celeste della folgore, a sud est Agni, dio del fuoco del mondo terrestre, del focolare e dell'altare.
Nelle proiezioni centrali campeggiano, da sinistra, in senso orario, sormontata da Vishnu e Laxminella edicola dei loro amori , l'incarnazione vishnuita di Narashima, così ammalorata, da indurci a dire di Narashima quando ricorrerà più integro nel tempio seguente, valga lo stesso discorso per  l'incarnazione sbrecciata di Varaha nella proiezione opposta, su cui si ergono in coppia Brahma e una splendida Brahmani, compiaciuta del suo amato come del fondo stesso del proprio essere, mentre intriga identificare il dio tricefalo della parete di fondo, su cui si effondono in considerazioni amorose Shiva e Parvati: Dattattreya forse, in cui si  presero corpo Brahma, Shiva e Vishnu , sotto l'ascendente di quest'ultimo, per la felicità virtuosa dei saggi Atri ed Anasuya.
Seppe costei accogliere la trimurti con tale purezza di madre nella nudità richiestale, che essi le accordarono di farsi suoi fantolini.
Un dio "vestito di cielo", talmente svezzato dalla rinuncia e dall'insegnamento che ci reca ogni elemento del mondo, da  ritrovare la verità delle cose in ogni possibile dato ed esperienza, la saggezza suprema anche nella stupidità estrema. "Non credere che coloro che sembrano immaturi, creduli, sciocchi, lenti, profani o falliti non abbiano nulla da insegnarti. Tutti loro insegnano qualcosa, tu impara dunque da essi." 
Sulla sua destra una coppia, per quanto mutilata, esibisce la penetrazione del membro con precisione di orifizi e corpo cavernoso,  non meno esplicito è il mukka mithuna, l'accoppiamento lingua -lingam che ricorre eroso e abraso nel recesso che precede nella parete ultima l'ultima proiezione dei dikpalas, in un chinarsi della donna al cospetto dell'uomo che richiama, nelle sinuosità rispettive, quella del combattente del vyala e del vyala stesso, ad essi soggiacenti , proprio mentre sono intenti l'uno a prendere per la coda la natura viziosa dell'animale che sovrasta laltro, flessuoso.. Altrove, ma è un luogo fin troppo comune nei templi di Khajuraho, si profitta di una giovane reclina, ad angolo acuto, nell'abbassarsi a sollevare una brocca, per penetrarla retrostantemente di precisione, altre giovani apsaras si compiacciono delle loro grazie palpandosi un seno, due altre ninfe si dilettano di un infante che recano in braccio.

Entrando quindi nel tempio,  per l'adito di vita e di morte  del  torana,  si transita lungo l'atrio d'ingresso ed il mandapa, sotto soffitti che recano scolpiti fiori cuspidati per trame sovrappposte, fra i quali si interpongono kirttimukka, volti leonini che eruttano festoni , privi della mandibola.Negli innumerevoli fregi in cui ricorrono, nei templi di Khajuraho, - li avevamo potuti vedere anche all'esterno del tempio Jvari,  in duplice fascia, al pari dei makara  sono l' apertura di bocca della "luce del mondo",  da cui esce la vita e in cui se ne rientra , per la porta della liberazione o per le mascelle della morte ( si veda di  Guenon  La scienza sacra, alla pagina.319 dell'edizione italiana),  Sopra le mensole, lungo le travi, ricorrono cortei festanti di gana, o cherubini, celestiali musici e danzatori, tra dei devoti estatici,   avviati alla gioia dal magnifico dio  elefantino Ganesha che rimuove ogni ostacolo, mentre lo fiancheggiano, nel mandapa , accompagnato egli a Kubera.
Danzatori e musici terrenamente umani, o quali celestiali gana,  possiamo ritrovarli nelle varie bande del portale d'accesso alla cella del santuario,  tra fasce di coppie amorose e di rilievi ondulati, mentre immancabili, ai lati, ci affiancano Ganga e Yamuna, nell'estremo transito per acqua purificatore.
L' architrave, come è dato attendersi, reca al centro Vishnu,  Brahma e Shiva al suo lato di destra e ad quello manco, e le nove divinità celesti hindu, o navaghaha,  a fare da intermediarie, in virtù della potenza dei loro influssi sull'esistenza terrena( Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno,  più il Sole e la Luna,  non che i nodi lunari di Rahu e Ketu). Siamo così giunti sulla soglia della cella, o garbaghiha,  l'utero germinale del cosmo in cui il dio del tempio risiede.  La sua statua centrale vi sta  lungo la verticale dell'Asse del mondo che lo raccorda al punto finale del riassorbimento sommitale. In essa finalmente siamo di fronte al Dio del tempio, Lord Vishnu,   benchè senza più la testa e  nemmeno le braccia. Restano da ammirare del suo corpo la posa ferma e l'ornamentazione preziosa . Ma come per un  punto Martino avrebbe perso la cappa,  è per l'assenza in essa di speciali cavigliere, o padangada, che la statua ed il tempio avrebbero potuto non essere fatte risalire ad un periodo oramai tardo, oltre il 1075 della nostra era, in cui divennero diffuse  tra le genti di allora di  Khajuraho,  e furono riprodotte di riflesso nella  statuaria religiosa, figurando alle caviglie di Vishnu Vaikunta  nel tempio Laksmana, od a quelle del dio stupendo del tempio di Chatturbuja, o delle figure scultoree assai meno esaltanti del tempio Duladeo , non fosse,  ad evitare una retrocessione nel tempo, che le padangada le ritroviamo in altre statue del tempio Javari.
Ma a parziale compenso della stroncatura delle braccia e della testa del dio, sono rimaste per lo più inscalfite le immagini circostanti delle sue principali incarnazioni: sulla nostra sinistra, arretrato rispetto alla consorte vishnuita Laxmi, la dea prosperifera, apportatrice di ogni fortuna di questo mondo, Rama regale, di cui  troppo sarebbe da dirsi, per farvi anche solo minimamente cenno, mentre sovrastante la dea  è l'avatar replicatissimo del cinghiale Varaha, che si appaga di appagare la  Terra del sollievo di ritrovarsi, per la sua possanza, risollevata dalle acque oceaniche che la sommergevano, colpevole il demone Occhio d' oro, Hiranyaksha. Sulla nostra destra, invece, arretrato invece rispetto a un Garuda  tutto riccioli e baffi, sta l' incarnazione di Balarama con i suoi bravi serpenti intorno al capo,  ed all'altezza di Varaha a costui è contrapposta  l' incarnazione di Narashima, il dio-uomo- leone che sbrana Hyraniakashipu, il Ricoperto d'oro,  nemico impenitente del proprio figlio adoratore di Vishnu, ( né di giorno, né di notte, né da un uomo né da un dio, né da un animale, né dentro né fuori il suo palazzo, avrebbe mai potuto essere ucciso, secondo quanto Brahma gli aveva accordato, ed infatti al crepuscolo, da un uomo leonino, né vero  uomo né vero animale, sortito istantaneamente dalle colonne del palazzo, dunque né da dentro né da fuori, da Narashima egli fu sventrato con gli artigli, ineccepibilmente) , mentre soggiace a Garuda l'avatar ancora di là  da venire di Kalki,  sul suo cavallo, alla stregua di un messia o di un imam sciita duodecimano. Ancor più miniaturizzate, sono pur visibili le incarnazioni vishnuite nel pesce, o matsya,o nella tartaruga che regge il monte che fece da zangola nella contesa tra demoni e dei della celeberrima frullatura mitica dell'oceano di latte.Nel nembo campeggia un Vishnu Yogashana, in posizione meditativa, mentre nove differenti manifestazioni del dio appaiono  in una  più sciolta posizione lalitsana nella cornice, ognuna di esse differenziandosi per la diversa combinazione che le mani delle braccia  recano degli attributi del dio, conchiglia, disco, loto, mazza, e per il diverso equilibrio, che ogni loro diversa disposizione esprime, degli elementi e delle tendenze naturali corrispondenti ai quattro attributi.


Tornati a rivedere il cielo, a meno di una dilungatoia,  occorre compiere un piccolo balzo su un  rigagnolo fetido,  per seguitare il cammino che ci farà  ritrovare, a poche centinaia di metri di distanza,  già alla cancellata che racchiude il tempio Vamana, dedicato anch'esso al dio Vishnu, ma nella sua incarnazione più divertente, Vamana trivikrama.
Credeva il demone Bali, potentissimo demone ai tempi del Treta Yuga, la seconda età del mondo, che di risibili  pretese fosse quel piccolo brahamano, nel chiedergli quanto del mondo riuscisse a percorrere nell'arco di tre suoi passettini: a concessione ottenuta, peccato che come ognuno dei veri piccoli di questa terra, Vamana si sia rivelato immenso all'istante, in tre dei suoi passi percorrendo e sottraendo a Bali l'intero il triloka,  tutti e quanti i  tre mondi di terra, cielo ed atmosfera.
In realtà, il tempio in suo onore era accampato da tempo alla nostra vista, nella mole del suo sikkara e del gremitio di nicchie della sovrastruttura della sua sala principale, ma ora il suo avvistamento può tradursi nella vista della sua maggiore complessità d'impianto rispetto al Javari,
come anticipa il suo dilatarsi in un mahamandapa, ossia in una grande sala, ai cui angoli sporgono di vedetta mini-elefanti, come nei templi Kandaryia e Vishvanata.
Liscio di ogni appiglio di repliche è il suo massiccio sikkara,   ma sopra la sala principale si addensa una copertura, di tipo samvarana, che come in un mega resort di divinità ritiratesi nella giungla, assembla lungo ogni trasversalità possibile  tettucci  campaniformi, o piramidali, di minidimore divine replicanti l'ingrossamento a cupola della copertura piramidale, meravigliosamente coronata a campane.
Il crollo pressoché integrale del portico di accesso al mahamandapa, è un invito provvido a indugiare all'esterno, ove ci fornirà ampio diletto il complesso statuario architettonico, assai più cospicuo e meglio conservato e vario di quello del tempio Javari, pur se in luogo della abituale terza fascia di angeli musici volanti, con ghirlande, i gandharva, reca una semplice galleria fregiata del motivo ornamentale dei diamanti.
Si può iniziare, in tutta calma, ai lati del portale d'accesso in cui nelle proiezioni  ci fronteggiano Vishnu ed il dio guardiano Indra, da due fanciulle nubili, senza gioielli e trucco, l'una delle quali nuoce all'altra nel gioco innocente della palla, con lo scagliargliela improvvidamente nel bulbo oculare, mentre le due donzelle sottostanti recano l'una un frutto di mango, la seconda legge una lettera. Sopra la cornice del balcone incombente appaiono le prime delle poche scene di accoppiamenti carnali del tempio, Vishnu a farvi da contraltare a Ganesha.
Che tali scene non siano erotiche non dovrebbe del resto sorprenderci, poichè non è  in virtù loro, del sottostare, nei loro allestimenti, di una dama alle voglie di un orso o a quelle di un cane, meno intrusivo, che i templi di Khajuraho sono effettivamente dei templi dell'amore,  altra è la loro funzione che quella di eccitarci, a illustrazione di questa posizione o quell'altra del Kamasutra, a dispetto di ciò che le guide locali vi ripeteranno per comodità di  errore,  come non fu per indurre la cristianità di Modena a tumescenze impertinenti, che la gran donna della potta la mostrava ben schiusa  dall'alto del duomo della città emiliana, servivano siffatte immagini spinte a propiziare la fertilità  delle donne e dei coltivi, ed erano tanto più  fertilizzanti o fecondative quanto più erano estremi e poco giudiziosi gli accoppiamenti che esibivano , sempre che estremizzando non si volesse che una gran risata seppellisse ogni eccesso nel farlo o nell'astenersi, di tantrici orgiastici o di pudichi pruriginosi jain. O altrimenti l'unione sessuale risulta vividamente avvincente, nella rappresentazione della pienezza dell' appagamento dell'atto di godere, in forza del  fatto stesso che l'unione fisica era solo  il significato primario delle sue  rappresentazioni più splendide e ( più) in vista nei templi, la lettera che celava il sovrasenso dell'unione dell'anima con il Sè profondo che è la Divinità del Mondo, per il tramite, esemplificando, delle pratiche yoga che grazie allo stesso congiungimento equilibrano i flussi  del  nostro respiro, come nel coito i corpi raffigurati si compenetrano in una composizione che raggiunge  l'equilibrio formale delle linee di forza degli yantra, o diagrammi cosmici.
Vishnu, superato l'impatto niente affatto traumatico con  tali immagini, ridice la sua per quanto è proiettato oltre la parete Sud, il cui orientamento poco fausto ci è ricordato da Yama, dio della morte, sotto l'ashtavashus di riferimento, cui fa immediatamente seguito Nirriti, volto a Sud Est,  seguitato da due ulteriori riproposizioni di Vishnu, prima che una serie di edicole in verticale, tutte al femminile, all'altezza del vestibolo interno, o antarala, ci  esibiscano Laxmi con l'incarnazione vishnuita di Varaha miniaturizzata, Parvati con luna crescente, Sarasvati, dea dell'intelligenza, consorte di Brahma, attestata dallo strumento musicale della vina, Brahma e ulteriore consorte Brahmani pluricefali.
La proiezione centrale del santuario ci propone l'incarnazione vishnuita nel cinghiale Varaha sotto Brahma e Brahmani, mentre ai lati è una profusione di apsaras l'una più ammaliata, ed ammaliante dell'altra, nel cercare ogni pretesto per ostentare le proprie nude avvenenze, chi svestendosi al più presto dei propri indumenti su cui sta  uno scorpione, così ancor più dandola vinta alla sessualità che lo scorpione stesso simboleggia, come accade alla la ninfa situata più in alto nel terzultimo dei pilastri, dove è preceduta da due altre apsaras, a ridosso della proiezione centrale,  che si allacciano voluttuosamente il corpetto del sari  o si tingono  le palpebre di kajal
 Si è al punto di  svolta verso la parete retrostante, al cui centro stanno l'incarnazione vishnuita di Narashima ,
al di sopra Shiva e Parvati  intenti nel loro sposalizio,  precedute al livello superiore da ninfe che recano cespi di mango, tra le quali una apsara sembra afflitta dal dolore cocente che le reca la lettura di una lettera.
 Gli dei guardiani Varuna e Vayus ci accompagnano e si accomiatano nel passaggio di direzione da Est a Nord Est,  verso la parete settentrionale dove precedono altre creature celestiali a sesso aperto, e scoperto, meravigliosamente intente a decorarsi con l'hennè le palme delle mani o le piante dei piedi , se non a levarvisi un pruno pungente, o ad usare anch'esse per gli occhi il kajal, o il collirio, divinamente indifferenti al troneggiare al centro di Vahmana sotto Vishnu e Laxmi.
Nel pilastro della proiezione  che precede gli dei guardiani Kubera e Isana, affiancati a delle edicole evacuate delle loro divinità, presumibilmente femminili, una apsara ha un bambino accostato all'esuberanza del seno destro, mentre, oltre le nicchie vuote, la più meravigliosa di tutte le ninfe rimira nello specchio tutta la bellezza di cui è vaga del proprio orecchino, intanto che la lady sovrastante si depila l 'inguine senza tante pinze..
Sopra le edicole vuote, si succedono  Shiva con il relativo consorzio familiare,- ossia con la consorte Parvati e le divinità filiali Ganesha e Kartikkeya-, Brahma e Brahmani,  Vishnu più in alto di tutti in solitudine eletta. Non resta che attendercelo di nuovo al centro della cornice superiore del balcone, tra coppie amorose per niente conturbanti.
L'ingresso al tempio incombe, che per la rovina del portico d'entrata ci immette direttamente nel mahamandapa, la sala delle danze e dei riti in comune  che precedevano le offerte, come ci ricorda la sua piattaforma sopraelevata tra quattro pilastri, che risultano tra i più massicci di Khajuraho..
Negli altri pilastri di raccordo con i transetti dei balconi, di accesso al vestibolo stazionano dvarapalas, o guardiani delle porte del tempio, che recano steli di loto o gigli, o  meno delicatamente una serpe, in degna compagnia sull'altra faccia del pilastro di una deità Bhairava dal tremendo aspetto corrucciato,  rigonfi i capelli, gli occhi protuberanti, la bocca spalancata.
Nelle fasce del portale d'accesso alla sala del Dio, di rilevante vi è la successione delle posizioni erotiche delle coppie amorose o mithuna, nella fascia centrale dello stipite alla nostra sinistra, che procedono dai preliminari al compimento , per poi concludersi nel disciogliersi dall'atto dei partners. Gaya Laxmi profusa d'acque da due proboscidi elefantine e la divina Sarasvati, finalmente con un  libro in mano insieme con la vina,  stanno invece nelle nicchie intermedie ai lati del dio Vishnu che campeggia  nell'architrave.
Nella cella del santuario il panciutello Vamana con salva la testa ma infrante le braccia, è affiancato dalle  manifestazioni umane, o purusha, dei poteri di due dei propri attributi, la conchiglia  nel Samkhapurusha alla sua destra, seguitato da Laxmi, il disco nel Chakrapurusha, oltre il quale un barbuto Garuda reca un ostico serpente. Intorno stanno le sue incarnazioni, come nella statua del Dio del tempio Javari , e nella stessa disposizione, con le felici aggiunte di Buddha seduto ai piedi di Laxmi, nella posizione di toccare terra a propria ed altrui protezione con la mano destra, di Parasurama con tanto di ascia, come prescrive il nome, a fianco di un Balarama serpentinato che reca una coppa di vino.

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Tralasciati gli antichi templi Chandella, per disaffaticare la mente ci si può addentrare nel recinto calcinato, che all'ombra di un  bargad dal fusto ritorto,  tra  edicole sparse,  sfusi yoni e lingam e devoti Nandi in adorazione di Shiva, ospita un tempietto di Durga ed uno di Hanuman, come anticipano le bandiere rosse e gialle all'ingresso, e sulla soglia del tempio di lato della Devi, due leoni in pietra colorata, che minacciosi ringhiano ai bordi  del cancello d'entrata.
La cenere sparsa sotto il trisul, o tridente di Shiva, la quiete in cui tutto riposa all'interno del complesso, compresi il  custode e l'officiante  immersi nel sonno, mentre solo qualche refolo di vento può sommuovere le bandiere rosse e gialle, è la serenità del Dio  tremendo che soggiace immanifesto, nel tormento mentale che qui cerchi sollievo.

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Il percorso seguente si addentra in un breve succedersi di casolari, e rustici e stalle, ch'è di conforto alla rianimazione spirituale del tempio Vamana cui gravitano intorno,quasi che senza il loro soccorso e degli alberi che gli frondeggiano appresso, egli già fosse poco più che un caro estinto monumentale, fino a che dal fondo sterrato emerge il profilarsi dell'asfalto che ci reca sollievo. Le sue anse lasciano sulla destra una spianata dai caldi colori, tutto un intrecciarsi di piste tra le radure che ospitano nei giorni di festa giocatori di cricket, con occasionali wicket, per inoltrarsi tra i coltivi e l'addensarsi delle grandiose piante che li recingono,  una moltitudine che si infittisce in lontananza, contro lo stagliarsi  all'orizzonte delle alture montuose, che appaiono più ancora quali dei  maestosi rilievi nelle loro alture dimesse.
 Ma a rammemorarci ad ogni istante che non siamo felicemente regrediti o di ritorno ad alcuna età dell'oro, sia essa d' impronta greco- latina o il Krita Yuga favoloso della dottrina hindu dei cicli cosmici, in cui facile sia il sostentamento, e ignoti gli odi e gli inganni, come può illuderci l'incanto dei prati  tra gli alberi  di mahua o di neem, o il sopraggiungere nel loro clangore di lenti armenti di  pecore o di possenti bufali, di un carro agricolo trainato da buoi nella sua intelaiatura di legno, stanno le recinzioni ininterrotte di filo spinato che ai bordi della strada marcano invalicabilmente  le proprietà terriere, precludendoci, come agli animali voraci e ai ladri endemici locali, ogni libero accesso alla fragranza di spighe e di steli
Sulle ritorsioni dei fili, d'inverno, solo le campanule ingraziano il tragitto.così delimitatoci.
Siamo anche qui, al più, in un'era bucolica segnata dalla storia, e ben di ferro, per quanto ciclico ne sia il decorso annuale, e più che il canto degli uccelli tra i rami, è più facile udire il pigolio dei bimbi che come per strada  vi avvistano quali stranieri, vi si accostano senza remore e riguardi e vi chiedono all'istante " money, pen, chocolate", senza tanti "hello sir", o " how are you", che ben saprebbero come dire, ma non si confanno al sentire che hanno di voi.
Provate allora  a ribattere che l'elemosina  va chiesta rivolgendosi a chiunque sia di passaggio, sia egli indiano o forestiero, accennate all'uomo che segnato dal lavoro dei campi ride alla scena sotto immancabili baffi,       " ma quello è mio padre", vi dirà schernendosi il bambinello ridanciano.
E tanto silenzio, che grava intorno, rotto solo da trattori e vagoni agricoli, da trebbiatrici o mietitrebbia che ostruiscono il passaggio,  o che nei villaggi e nella loro ruralità arcana ne rende metafisici i casolari, è dato dall'esodo dei campi e dallo spopolamento, per opera dei dalit, soprattutto, che in cerca di fortuna vanno in  città che qui dicono Delhi, che  proprio con il concorso delle loro tribolazioni  sollevano ora il capo tra le altre dell'India, quanto qui sogliono le mahua tra le piante di neem.
Ai dalit  non sono bastate le compensazioni del discrimine di out cast con terreni forzosamente sottratti,
l'accesso alle macchine agricole è di pochi, essendo per lo più di costoso noleggio, e insieme con le leggi di mercato, e gli oligopoli multinazionali, che impongono l'esosità di sementi e concimi, qui c'è chi fa la da padrone senza sorta di repliche, su affittuari e vigilanti, sui lavoranti nei campi, con richieste di canoni, e   remunerazioni minimali, che  non lasciano margini di sorta oltre la sola sussistenza.
E poi l'acqua decide di tutto, che sia disponibile solo quella piovana, che sia attingibile  nei pozzi o pervenga canalizzata, che arrivi a tempo o fuori stagione, con grandinate esiziali.

Ma l'occhio , così disincantato, può rimirare meglio lo splendore dei campi, della loro fertilità assicurata dalla ferrugine della terra , che non ha nulla del grigiore cinereo delle polveri di campi aridi o di cremazione, rossa come il  sangue del mestruo delle divinità femminili qui ovunque onorate, specialmente per Dusshera, al termine dei nove giorni della festività della Devi, o per Shivaratri, quando nel tempio Matangesvara si celebra lo sposalizio di Shiva e di Parvati , o nel giorno primaverile o già estivo della nascita del dio Rama, omaggiandole di vasi di germogli di miglio, nelle loro manifestazioni di  yogini o di sacre spose del Dio, di cui sono la stessa energia operativa.
Ed oltre i fili spinati, se non è avvenuto appena il raccolto,  nei campi l'osservatore può assistere al crescere   di grano e di senape, di ceci e piselli d'inverno, di lenticchie e di sesamo nella stagione monsonica, può incantarsi  al fervere del loro verde rigoglio, ingiallito dai fiori,  o al  compiersi della maturazione nel fulgore delle spighe, in un'aurea alonatura  che s'inargenta nei pleniluni estivi.
E se così è giunto il tempo della mietitura, vedrà i campi di grano farsi distese di mannelli per opera della falce, formarsi covoni tra gli steli recisi che inaridiscono a stoppie, sollevarsi la pulverulenza della trebbiatura che separa la granella da paglia e pula. Non immagini alcuna dispersione del tutto nel vento,  diventeranno aurei cumuli sospesi nelle aie e nei campi, destinati a ingrediente del sostentamento dei bufali, che se ne nutrirano lenti e placidi, al riparo dal gran sole,  sotto i tettucci di canne in cui è a loro ammannito come gusha.
E per chi voglia farsi partecipe, basta familiarizzare con un  sorriso, per potersi attivare al ventilabro      
di un 'elica, nella separazione del seme di cece o di pisello dalla pula e dallostelo, o nell'infornata nella trebbiatrice  dei mannelli di spighe di grano.
Senza che qui sia dato come altrove, nel Madhya Pradesh, per le lenticchie nere, di vederne il raccolto disteso per strada, perché la prima trebbiatura la facciano le ruote dei veicoli di passaggio.
Ma ecco che mentre si è così intenti a pensare, un serraglio di casipole rurali che si alzano a capanna sotto i coppi, costituite di rossi filari di mattoni imbiancati sulle soglie, tra cui spicca una parete tinteggiata di un celeste luminescente,  ci riconduce ben presto alle nostri peregrinazioni  archeologiche,  preannunciandoci oltre la curva, sull'altro lato della strada,oltre piante meravigliose di choeula, l'apparire, sullo sfondo dei monti, delle poche e fascinose rovine del tempio Cakra Matha,
 rinserrato da una provvida cancellata.
 Per chi vi sia giunto in direzione opposta, dai villaggi del circondario, è il sepolcro di Bianore che preannuncia la città imminente dell'antica Kharjuravahaka, ed è ora possibile rallentare il passo, deporre il  capretto diradando le frasche.
Del tempio vishnuita sopravvive solo il mandapa con i suoi pilastri malridotti e le trabeazioni sovrastanti, le cui mensole sono rette da gana-atlanti. Ondulazioni vaghe, kirtimukka, angoli  inversi scanalati, fregi di triangoli, le decorazione usuali che si intravedono.
Oltre una cava dismessa, in cui ristà una pozza dove i bufali amano rinfrescarsi,  che precede altre più ridotte e recenti che danno luogo a fabbriche locali di mattoni d'argilla, inizia il tratto più lungo del percorso che ci reca a Beni Gangi,  quale meta imminente, costeggiato da idilliaci casolari ameni, i cui filari infuocati di pietre sono terra della stessa terra fulgida intorno. Essi appaiono talmente ribassati nel distendersi a schiera in una successione di soglie, da essere soverchiati  dai tettucci reclini  di tegole e coppi , quando sia pure di poco non si rialzano a capanna.
Accanto alle dimore si staccano i porticati raccorciati del fienilucolo e della stalletta, mentre gli accessi, tramite bancali ornati di motivi a croce, si dilatano o digradano nell'aia di raccolta degli arnesi e attrezzi e  di  bufali e capre, intenti a pascere all'ombra delle piante che la contornano.
D'inverno, al calare delle ombre dei monti, vi si vedono i fumi dei fuochi aleggiarvi sospesi nell'aria che imbruna. Via via che Beni Gangi si fa più vicino, tra fichi d'india e palme, compaiono coltivi di menta, di canna da zucchero, ed agli alberi di mahua e di nem si aggiungono l' himli, manghi, frondosi pipal.
Intanto la strada s'inflette e risale lungo l'alveo del Kudhar, il cui lento decorso ristagna in uno specchio che pare immoto, si impigrisce sinuoso tra i massi del fondo senza che ne trapelino increspature.
Risalito il dosso, è già prossimo Beni Gangi, che  si apre alla vista come un'apparizione, nelle sue vivide case multicolori, accese di bianco e d'azzurro, disposte su più livelli  e  volte in più versi, tra il digradarvi dei rilievi nel cui varco s'incunea l'abitato.
Meraviglioso  è il contrasto tra i rossi filari dei fianchi delle case , talmente lineari da non consentirsi che qualche profilatura  od una balza sporgente,  ed il bianco od il celeste luminosi di cui sono tinte le facciate,  a ridosso delle quali s'infoltano e diramano violacee  bougaivilles, un contrasto che si fa ancora più intenso mentre si risale la via d'accesso al centro dell'abitato. Su di essa si affacciano i portici delle case a pilastri binati, e i muri si alzano arcani sempre più a vista , finché il suo  percorso,  addentrandoci ove la breccia si sospinge fino all'altro pendio dei rilievi, non ci reca allo slargo terminale, ombreggiato da consueto neem, in cui convergono incantevolmente ben cinque tra vie e viottole del nostro  villaggio
A conclusione della via sta l'unica casa, finora intravedibile in Beni Gangi, morbidamente plasmata  sotto le sue bianche calcinature, mentre  se ci si volge a destra , ci si prospetta una via curva in cui i portici delle case si inarcano a loro volta, lasciandosi  sovrastare dalle sporgenze suggestive di davanzali e terrazzi, secondo modulazioni  che non potrebbero essere più difformi alle  rientranze d'obbligo di atri e balconi  in Chandigarh, secondo Le Corbusier,  così come Le Corbusier  in Chandigarh non avrebbe potuto di meno essere indiano
Sulla sinistra, due stradicciole confluiscono verso il villaggio adiacente di Bamnora, ch'è preceduto dal traversamento di un ponte sul lutulento Kudhar,  sulla destra la incantevole via principale , cui pervengono le confluenze di vari percorsi, e suggestivi slarghi,  tra case dai portici bassi ribassati anch'essi ad arco, si diparte verso i campi che digradano a valle, ed ha il suo seguito, oltre i  campi da gioco e di feste del villaggio, i suoi mela ground, in una strada sterrata che separa i coltivi successivi dai rilievi incipienti, e dai loro boschivi, situati nell'opposta direzione. Lungo il corso  della via principale è ancora possibile vedere i ruderi o i ripostigli cui sono ora ridotte le più antiche dimore di terra cruda  di Beni Gangi, le loro murature furono costruite in pisè, con il getto di argilla, ghiaia, paglia e letame quale legante dentro delle casseforme , come è  ravvisabile dai filari di blocchi che si profilano lungo le loro pareti, quale tratto residuo del disarmo delle casseforme.  L'affianca, più in alto, la via cui dobbiamo risalire per una traversa, se vogliamo pervenire per il suo tramite al tempio di Durga.
Sorge, come quello presso il Ninora talab, all'ombra di un bargad, entro un recinto, che la accomuna a un tempietto al dio Hanuman e ad un altro shivaita,  anticipato da un cippo  in cui il toro Nandi ne onora il linga .
Ma è in posizione più rialzata, al termine di una breve scalinata, ed a fianco di un pendio da cui i rilievi iniziano a  sopraelevarsi sul varco tra i monti. 

Il  biancore calcinato dei rifacimenti dei muri ne attutisce l'antichità originaria nel nucleo interno, ch'è remoto quale quello dei templi di Choukha, o di Achatt,  nel distretto di Chattarpur, quanto lo sono le sue proporzioni eleganti e la sua semplicità formale, costituita della sola cella senza altra copertura che una cupoletta su di un tetto piatto, mentre ne disvela l'origine  antica l'ornamentazione interna della saletta della dea,che è quasi un compendio primario ed elementare dei motivi che ricorreranno con più profusione elegante a Khajuraho, il soffitto a fiore di loto, fregi di  petali di loto, di triangoli , di angoli inversi listati, o "  renverse hald diamonds", seconda la dicitura inglese di tale motivo. 
E la dea, sotto i bendaggi, non è un  idolo fantoccio, ma una Mahishasuramardini in forme femminili naturali(stiche), intenta ad accoppare a più non posso il demone Mahisha, ovviamente emblema del male, tra altre donne sue attendenti e primordiali leogrifi rampanti . 
Una coppia di giovani sposi, mentre visito il tempio, ne effettua la pradakshina. Lui ha indosso il turbante ed i vestiti  sfarzosi della cerimonia nuziale, lei, tra delle sue compagne,   è condotta per mano con il volto nascosto dal sari. 
E' per avere figli, tale rituale, chiedo ai ragazzi che mi accompagnano, aiutandomi, per farmi capire, con il gesto che dilata il mio ventre in  quello di  una donna gravida. Confermano sorridendo. Lo sguardo, dall'altura lieve in cui mi ritrovo, oltre un tempietto alla dea Shanti e il breve muro di cinta  della deambulazione  intorno al tempio di Durga, si volge, per riposarsi,  alla valle sottostante in cui si è svolto il nostro percorso.
La distesa dei profili gialli dei campi, irti di steli, si perde nel folto degli alberi, che s'infittiscono fino alle alture di Rajnagar, sino all'orizzonte in cui cala il sole.
Tra di essi, invisibili, le case ed i covili in cui gli uomini e gli armenti sono di ritorno, o già al riposo, i limitari delle soglie accese, da cui le donne intente alla cena od al riordino della quiete domestica, usciranno a salutarci sulla via del rientro.




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