domenica 3 luglio 2016

A C. P.

Gentile signora Cinzia,
un immenso grazie per avere affrontato l’ardua lettura del mio reportage, trovandolo originale  e davvero interessante(  spero grazie  anche alla presentazione che ne ho formulato. visto che lo stesso Krishna Deva dopo aver dedicato ai templi Kalachuri di Amarkantak e Sohagpur una pagina  del suo pur  esiguo Temples of North India,  non li ha  nemmeno citati nel  suo ben più cospicuo Temples of India, e che nelle guide che li concernono di Good earth, edite per conto del Madhya Pradesh Tourism,  mentre ci si profonde in miti e leggende- magari un tantino scipite, -ne  faccio ammenda – , ai soli templi di Amarkantak non si dedicano che tre righe, ove  per giunta se ne  menziona a sproposito l “intricate carving”).  Quanto alla forma espressiva dello scritto, su cui lei ha fatto bene ad essere quanto mai critica, credo che sconti  le incongruenze che io stesso avevo preventivato tra il racconto  del viaggio, nella sua accidentalità empirica,  ed i referti forse troppo sintatticamente condensati delle varie descrizioni dei templi, che pur  nella loro accuratezza  tecnico-formale ne hanno  perso assai d’ importanza. In merito a tali considerazioni di stile, spero almeno che sia vero ciò che avrei potuto far presente a Claudio Magris, quando al festivaletteratura di Mantova del 2014 ci siamo incontrati per un attimo al termine di una  sua conferenza sui  propri diversi  tavoli di scrittura, ed ho mancato di rilevare che magari  le proprie capacità ad uno di uno di questi tavoli pregiudicano  quelle che agli altri si tenta di far valere In  tali mie pagine, in realtà,. da dilettante appassionato quale io sono, ho voluto assolutamente trascendere il puro approccio dilettantesco di certi scrittori di viaggio che si appagano al più di far “sniffare” sensazioni od emozioni, magari  spiritualmente aromatizzate
Quanto alla grafia dei termini tratti dalle lingue indiane,  ho fatto ricorso concordatario  ai glossari dei volumi di Krisna Deva e di R. D. Trivedi editi dall’ASI, e  se mi si abbuonano i segni diacritici,  la cui  trascrizione  mi creerebbe difficoltà che mi appaiono ora pressoché  insormontabili,  non mi sembra  che  in essa risieda la questione linguistica  più ostica,  refusi a parte.
Avverto come un cimento maggiore il problema, che è per altro assai avvincente,  della selezione lessicale dei termini tecnici da impiegare
E’ il caso ad esempio  di  adhishthana o  vedibandha,   che impiego il primo per l’ intero basamento, il secondo per la sua conformazione  originaria in Khura, Kumbha, Kalasa ( non che poi, abitualmente, in  antarapatra e kapota), divenutane  il solo podio superiore in quelli di Khajuraho,  o  dell’uso di tilaka o di kuta,   di chaitya o gavaksha o kudu, di bhitta o di pitha,  e via dicendo.
Questo per dirle che credo che un esperto sia solo relativamente dirimente, in tale ambito, e che la cosa  resti quanto mai problematica, e non di meno affascinante.
Se poi si considerano i problemi retrostanti di come individuare con precisione le varie modanature, se una proiezione sia autonoma od una espansione laterale sussidiaria, con tutte .le corrispondenze che vengono a scandirsi differentemente, il tutto si fa vertiginoso.
.(Istanbul, Dacca....mentre il terrorismo mi sta sopraffacendo, paralizzandomi facoltà e sogni.)
 Un  vivo  saluto
Odorico Bergamaschi


Nessun commento: