domenica 29 marzo 2015

cronache di viaggio fine marzo 2015- Garhkundar

Nel Bundelkand e nei distretti di Shivpuri e di Guna- Ashoknagar

1 Garhkundar

All’arrivo in Jhansi, quando erano già le due del pomeriggio, attenendomi a quanto mi è stato confermato da un addetto all’ufficio turistico ch’è  dislocato nella stazione ferroviaria, dopo che ho preso un autorickshaw per quella degli autobus,  vi ho chiesto del primo che fosse in  partenza  per Barwa Sagar,  per iniziarvi la mia escursione a Garhkundar, il primo dei grandi  palazzi e forti dei sovrani Bundela, antecedente lo spostamento della loro capitale ad Orchha.
In Barwa Sagar ho divagato perdendo tempo prezioso senza un orientamento preciso, prima di decidermi o di ridurmi a richiedere se era in  grado di condurmici, ad uno dei  conducenti di tuk tuk  che erano in sosta in un  vialetto ombreggiato da piante che si dipartiva dal punto in cui ero sceso dall’autobus, lungo la via soffusa di sole che proseguiva verso Niwari, in direzione sia di  Chattarpur e di Khajuraho, che di Mahoba.
Non era una richiesta che all’interpellato giungesse peregrina, e per soddisfare la quale avanzasse delle difficoltà rilevanti, se non quanto all'ultimo tratto da affrontare in salita, benché la distanza che intercorreva fosse di 36-38 chilometri, circa, e  Garhkundar mi fosse stato preannunciato come un sito quanto mai fascinoso perché impervio e solitario , e cosa non indifferente a risolvermi ad accettare di mettermi in  moto con lui,  l’importo richiesto, di 800 rupie, come conveniva Kailash intermediando al cellulare, era tutt’altro che esoso. Concordavo prontamente e con i bagagli appresso partivo senza più indugi sul tuk tuk, seguitando in direzione di Niwari.
Nella splendida  giornata  solatia,  traboccavano di luce e colore il rigoglio dei campi e della profusione arborescente ai lati della strada, la  frutta e la verdura dei bazar che apparivano allestiti lungo il suo percorso, già all’uscita di Barwa Sagar, facendo seguito alla pulverulenza calcinata degli ammonticellamenti nei dintorni di Orchha, ravvivata dallo splendore a chiazze delle bouganville, attraverso la quale mi ero ritrovato a ripercorrere l’arteria dei miei primi tragitti che mi avevano condotto a Khajuraho, e di ogni ripartenza dal suo sito verso altre mete od il rientro in Italia, prima del dilatarsi della vista sul corso della Betwa,  del succedersi della profusione di  orti e giardini che avevano preceduto la riapparizione del tempio sakti Jarai Math, che mi ripromettevo di visitare l indomani.
Lasciando pure  che il conducente trasformasse il servizio a me riservato in un savari condiviso, raggiungevamo e traversavamo Niwari, dove se il treno, come in Barwa Sagar, avesse fatto sosta qualche ora prima,  mi sarebbe stata risparmiata la lunga digressione verso Jhansi e nei suoi peripli ferroviari e stradali, pervenivamo di lì a poco alla successiva borgata, oltre la quale svoltavamo sulla sinistra, lungo una viottola asfaltata secondaria che ci inoltrava  tra campi e villaggi,  intraprendendo ad un bivio la diramazione, sulla sinistra, che ci adduceva alle alture crestate che si erano profilate all orizzonte e che il percorso finiva per affiancare addentrandosi tra i loro rilievi, prima che una deviazione sterrata sempre sulla sinistra non ci portasse al villaggio di Garhkundar ed al forte omonimo che infine appariva, sovrastante e imponente,  sommità tra le altre sommità collinari.
Il tempo di posteggiare l’autorickshaw ai piedi della scalinata che raggiunge le mura esterne d’accesso al castello, e la sua entrata, che il guardiano del forte si era già caricato il mio bagaglio in spalla,  per iniziare a procacciarsi una mia compensa. Non mi restava che assecondarlo, nella sua mistura di sincerità e di artificio, perché anche il conducente risaliva l erta al seguito di entrambi fino all’ interno del palazzo.

La sua mole prefigurava  il tipico assetto dei manieri Bundela, dispiegando in capo a sette piani, inclusi quelli del basamento, quattro possenti torri d’angolo quadrate, precedute dalle rimanenze di torri ottagonali,  ed un avancorpo al centro delle  mura,  in cui  si faceva prospiciente l’alto portale.
 L’ arcata  d’ingresso era compresa entro una cornice rettangolare ed all’interno di un secondo arcone cieco, nel cui grembo si apriva la umile grazia di  finestrella, giusto all’altezza  della parte centrale della trabeazione sommitale del portone d’accesso, tale myse in abyme stagliandosi tra le  serie- tre- di due nicchie ad ambo i lati, di cui il portale era l interruzione della successione,  secondo gli stilemi che sono tipici , nell’architettura islamica di Delhi, delle tombe a guisa di palazzo ultraterreno d’epoca Lodi,  delle moschee coeve o risalenti all’ interregno di Sher Sah Sur, oppure ai primordi dell’era Moghul. Tale magnificenza accogliente era enfatizzata, nella sobrietà del suo apparato, oltre lo stacco di un cornicione dalle ulteriori tre schiere di arcate che lo sormontavano, per un totale di sei ordini , se si includevano le arcate che affiancavano il portale, così preludendo a quanti erano i piani interni dell’intero palazzo. Semplici ballatoi mensolati   raccordavano il portale alle torri laterali,  a suggello della severità marziale  del forte schiva di ogni adornamento o decorazione, che non fossero i modesti chattri,  connessi da un bengaldar, che restavano a coronamento di una soltanto delle  torri d’angolo.
Il cortile interno,sopraelevato come negli altri palazzi Bundela rispetto al piano d’ingresso, mi sarebbe apparso il più vasto e immensificante  di ogni altro di loro, per la  serratura entro la schermatura  di una galleria  e dei cortiletti pensili al piano superiore, della proiezione verso l interno, in una serie di sale sovrapposte, dei corpi d’angolo e centrali, un’alternanza di vani chiusi ed aperti ch’era una prefigurazione ulteriore dell’architettura successiva  dei palazzi  mirabili d’ Orchha e di Datia.
Dai parapetti la vista poteva spaziare tutto intorno incantevolmente, per la modesta altura anche dei rilievi circostanti, che due altiforni o ciminiere che fossero sfidavano impunemente verso nord ovest,  mentre nell’opposta direzione tra i ponticelli si schiudeva la vista di un laghetto e del biancore di un tempio sulle sue rive, il sito di preghiera e di culto delle regine d’un tempo del palazzo, quando vi discendevano dal baradar che vi s era rivolto, secondo quanto mi diceva il guardiano,  tentando in hindi  di farmi da guida.
Il suo maldestro tentativo , quando eravamo più soli e più in alto, di estorcermi un ammontare ben superiore per i suoi servigi impostimi e non richiesti, tentando di profittare della venuta alfine di uno straniero in Garhkundar, gli  propiziava poco più di un centinaio di rupie,  di cui aveva modo di ringraziarmi con i più ossequiosi omaggi servili, dopo che un intervento al cellulare di Kailash l’avevo ricondotto al un  ridimensionamento in termini interni al mondo indiano delle richieste avanzabili..
La sera si era fatta oscura quanto la notte al rientro in Barwa Sagar,  di cui fiochi lumi illuminavano le strade,  esponendomi al rischio ricorrente di esservi investito da motocicli od autovetture. Troppo a lungo mi ci attardava l’indeterminazione su quale delle due destinazioni, tra Orchha e Jhansi , avessi a prescegliere per il pernottamento,  apparendomi troppo esose anche le sole 300 o le 500 rupie richiestemi dai conducenti in autorickshaw  per trasferirmi in Orchha, quando per una ventina di rupie avrei potuto raggiungere in autobus Jhansi. Solo che i drivers dei tuk tuk si facevano sempre più rari e indisponibili, sempre più unicamente interessati a stipare sul loro veicolo quanti più passeggeri possibili alla volta di Jhansi, senza spazio o respiro per me ed il mio bagaglio, mentre gli autobus per Jhansi  arrivano già stracarichi al punto da non potere più far salire nessuno. Finalmente ne sopravveniva  uno che non aveva ancora raggiunto la soglia del proprio traffico illimitato, e su cui il bigliettaio mi faceva salire, sollecitato dalla gentilezza premurosa di un signore corpulento che sopravveniva in vettura.
Era dunque Jhansi la mia destinazione notturna, malauguratamente, ancora una volta: perchè ancora una volta vi avrei sperimentato l imprevidenza di farvi affidamento nella stagione dei matrimoni, che ancora una volta ne intasavano a notte fonda strade ed alberghi. Così  solo a caro prezzo vi ho potuto trovare soggiorno al Samrat hotel,  ben deciso, l indomani, a lasciarlo di primo mattino per Orccha. Meta, la rivisitazione particolareggiatissima del  tempio stupefacente  Jarai Math, di ritorno  verso Barwa Sagar
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 econdo giorno il tempio jarai math
Terzo giorno in Barwa Sagar , di nuovo in jarai math , da Orchha a Shivpuri
 quarto giorno Sesai
Quinto giorno terahi mahua
Sesto giorno keldar
Settimo giorno terahi mahua, kadwaha, indor
Ottavio giorno surawaya scindia chattri
Nono giorno  terahi, mahua, kadwaha
Decimo giorno shivpuri, orchhha,  friends of Orchha
Undicesimo giorno jarai math, datia
Dodicesimo giorno  penultima domenica di marzo, orccha,  ram temple, jahangir mahaljhansi khajuraho

Il secondo giorno mi trasferivo sul far del giorno nei tempi più brevi già di primo mattino da Jhansi in Orccha, presso il Gampati hotel che avevo visionato con Kailash già anni addietro. Alla reception c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l hotel vantava di assicurare, mi accordava anche l’uso del computer nella sua stanza,  il che mi acconsentiva di ragguagliare in internet le mie informazioni librarie, grazie al sito putatattva.in, non quanto, però,  il sito mi avrebbe consentito e mi sarebbe  occorso in Kadwaha i giorni seguenti..
Per duecento rupie in luogo delle trecento fino a barwa Sagar e di ritorno,  al parcheggio in  Orchha degli autorisckshaw pattuivouna sola corsa di andata fino al tempio Jarai Math,  per evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che avrebbe trasceso le  supposizioni di ogni aspettativa, e potevo già ritrovarmi, di li a mezzora , in un  giorno incerto d’estate, di fronte alla meravigliosa vista del tempio dove emergendo da una nebbia fittissima tre mesi avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del disinteressato mister Dipak ,
tre mesi avanti eccelso cliente del mio bapuculturaltours..
La grandiosità della magnificenza frontale del tempio era  un effetto fors’anche di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che aveva lasciato in vista in un continuum splendido outdoor l’ornamentazione che  era adombrata al suo interno e quella che lo trascendeva all’esterno, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa, contro il fondale reticolato di gavakshas del sikkara, che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature erano arcuati gli udgamas delle nicchie che si stagliavano sopra la vedibhanda, della coronatura dei tempietti delle proiezioni centrali di ogni parete, delle pratiratha laterali a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate dalle loro sovrastrutture a templi nei recessi e nelle proiezioni  d’angolo delle karnas e dell’antarala, dove gli udgams si dilatavano e si duplicavano, nel loro slancio ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era luminescente la parte superstite del sikhara originario,.
Da uno  scatto fotografico all'altro di ogni aspetto percepito della sua sublime visione, testi alla mano, iniziavo a ripercorrere in ogni suo dettaglio l'arcano sublime del tempio che mi si ripresentava meravigliosamente intatto, nelle sue anomalie, e nei suoi precorrimenti, che pur non ne smagliavano la esemplarità canonica, nella onnipervasività del  suo manifestarsi quale criterio d'ordine di una profusione eccelsa , in cui mi si riformulava al contempo l'enigma o mistero della sua cripticità fascinante, cifrato dal rebus della sua divinità di culto.
Epitome macroscopica dei templi Pratihara, incredibilmente sfuggita/o al cribro del vaglio del maggiore Cunningham, immane come il Teli-ka-mandir di Gwalior quanto egualmente riconducibile al solo apparato architettonico del santuario e dell'antarala del vestibolo, dei templi pratihara osservava l'assetto di rito pancharatha, che contempla cinque proiezioni laterali, badhra centrale, le pratiratha a guisa di pilastro nelle antiche fogge gupta, karna d'angolo con i dikpalas tutelari, riassunte dalle rathas corrispondenti del sikkara nel cielo riassorbente dell unità divina originaria, del farsi molteplice del divino originario e del  riassorbimento  nella sua unità eterna, pur accusando  l'irregolarità sostanziale espressa dalla parete di fondo, che presentava due badhras centrali in ragione della sua dimensione più dilungata. ma si trattava di un'infrazione già registrabile e convenuta in altri tempi e tempietti Pratihara, a iniziare da quello 20 della valle di nareshar, cui era stata conferita parimenti una dimensione oblunga, in ragione del culto in esso riservato alla Dea ed al consesso della sua pluralità d'aspetti. Al tempo stesso, con l'eccezion fatta del motivo delle gantha mala di festoni di campane-, dei templi Pratihara riassumeva tutta l'ornamentazione di rito,  in una preziosità d'intaglio ammaliante, precorrendo nel basamento gli arricchimenti futuri delle sue modanature, come si standardizzeranno , anche nel senso seriale o deteriore del termine,  nelle magnifiche adishtana che insieme con i templi che su di esse vi si sopraelevano  assurgeranno Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella.  Era dai portali che iniziava la mia ricognizione ulteriore, nei più minuti dettagli, a iniziare dalle serventi di due esternalizzate rispetto alle dee fluviali Ganga e Yamuna, in flessuosa tribhanga, che virtuosizzavano l'accesso purificatorio in prossimità del quale erano defilate, pur cedendo insolitamente il primo piano al guardiano dvarapala, al di sotto di un torana sovrastato da un udgama e dal tilaka di un tempietto, replicati nelle protomi ai lati.. Le attendenti  recavano delle borse di approvvigionamento della dea, nel che si è rinvenuto un indizio probante che il tempio fosse luogo di culti esoterici alla  Sakti.
Di lato alle dee  una pianta di loto rampicante si schiudeva in tre boccioli, in cui trovavano ricetto un docente e quattro discepoli. In esso si sono ravvisate le sembianze di Lakulisha e dei suoi discepoli Kusika, Mitra, Garga e Kaurushya, per la sua similarita con altre ricorrenze dello stesso soggetto in posizione analoga, nel portale del tempio della Maladevi in Gyaraspur., o nel Teli ka Mandir , in gwalior,
in cui è ben individuabile la danda di un bastone alle spalle del soggetto centrale. Essendo Lakulisha il riformatore leggendario del culto di Shiva pashupatinath, se ne è desunta una affilazione shivaita del tempio,  ma è una debole traccia, forse per una licenza o una estempooraneità dovuta alle maestranze, a seguito di  loro mera ripresa imitativa.








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