venerdì 24 febbraio 2012

paroupkara


Qui dove la tigre che ti fronteggia
è il pupazzo di stoffa di Chandu,
e nel dolce lume il gioco e il canto
è la felicità di bimbi tra l’immondo
che lieve brezza qui ti riconduce,
vi trattiene i tuoi giorni tra sibili e incanto
prima che cedano al sonno ed al silenzio,
popolati dai ladri ,
della luna sui terrazzi e gli orti di Sevagram,

cum complexa sui corpus miserabile nati
lo stesso colpo di tosse nell ultimo nato
e già è il tremendo del sereno
di cui i muri vi sono assorti nei giorni,
tu vi schiudi il cuore e le braccia
e quanta delicatezza tenera
discopri nel morso
ch’è il calore della schiusa dei piccoli cobra,

mentre non hai più altra vita che questa
che ti adempia o ti smentisca per sempre,
tra gli strilli e il pianto o il crollo di schianto
deus nobis haec otia fecit
dove il villaggio riposa all’ombra dei nim,
nell’attesa del rientro al tramonto
dalla giungla di bufali ed ox,
e la senape ingiallisce i campi quando febbraio già è estate,

tutto si è consumato nella tua remissività ad ogni oltraggio
da che cedesti la gola per il taglio a Kali bhairavi
e potesti lasciare il tormento delle aule
dove chi è rimasto rimarrà ancora più a lungo

ed altrove qui in India
eccoti di già sulla via del ritorno
con l’amico sotto le stesse fronde ospitali dell’imli,
in lontananza dove alle acque del Ken discendono i colli,
approdano ai giunchi le rive del parco,
“come il fiume senza farne uso e ricevere offerte
dona la sua acqua a pecore e cervi,
così l’albero ci da la sua ombra”,
sotto la quale possiamo ancora indugiare (su che sia paroupkara),
è nelle vicinanze o il tempio di chattarbuja
che preannuncia la nostra antica città,

poi conterà solo andare avanti,
e sarà questo il nostro canto più alto




















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