giovedì 27 dicembre 2018

un tempio ignoto ai più in khajuraho


Nella stessa Khajuraho, lungo il vialone alberato che reca al Chausat Yogini Mandir basta deviare sulla sinistra ,  poco dopo che  lo si sia intrapreso, per ritrovarsi alla vista  delle rovine di un piccolo tempio dei più antichi della capitale religiosa dei Chandellas,  come   la stradicciola intrapresa s’incurva tra le dimore rustiche . Krishna Deva ne fa solo una menzione di poco più di 4 righe ,  Devangana Desai nessuna, nelle loro opere che sono gli studi ultimi più considerevoli dei templi di Khajuraho.
Sovrastati da un cumulo di frammenti su cui si erge un lingam , ne sopravvivono due lati del basamento dell’adhishthana,  che si ergono su di una piattaforma ch’è finita interrata.
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I resti del tempio frammischiano parti e in granito e parti in arenaria,  il che già di per sé   ne riconduce   l’edificazione ai tempi di  quelle   dei templi di Lalguan  o di di Brahma, in realtà visnuita e originariamente un cenotafio.  A posporlo ad entrambi e a considerarlo più recente è il dato rilevante che in successione ad un anonimo zoccolo o bitha, l’adhishthana presenta nel plinto o pitha  le modanature già  susseguentisi di un  jadhya khumba,  che consiste in una modanatura simile a una cyma reversa, convessa e poi concava, ruvidamente profilato in takarakas superiori.  e di un acuminato  karnika, nei suoi netti profili taglienti. che a differenza della precedente modanatura non  compare  nei templi Lalguan e di Brahma.
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 E’ l’ordine di successione che si fisserà come canonico nelle modanature dei templi hindu,  mentre è ancora inverso nello stesso tempio -già un cenotafio- Matanghesvara, che questa  configurazione del suo basamento attesterebbe come antecedente il tempio in questione, non fosse che la sua architettura disadorna è tutta in arenaria. Come il nostro tempio lo si è cronologizzato così esso appare, sormontato come il Bijamandal da un Linga più recente che lo riconduce a un’affiliazione direttamente o indirettamente shivaita,  come gli altri templi dell’area, il  Chausat Yogini mandir e il tempio a Ganesha che lo fronteggiava, nonché  il tempio Languan.
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  Suggestivamente  in adorazione del linga è stata posta un’effige che per il  gioiello  kasturba che pende sul petto si desume sia quella di VIshnu, in meditazione,  affiancata a un’immagine femminile Un kutha nella sua miniaturiazzione del tempio nel suo complesso induce alla suggestione che la sua sovrastruzione, come quelle del tempio Brahma o Matanghesvara fosse quella di tipo phamsana, ossia una piramide a gradoni.
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 Il tutto nel contesto attuale dell’architettura domestica più tradizionale del Bundelkand rurale. Al profilarsi oltre il talab dei templi maggiori Kandarya e Lakshmana.

27 dicembre 2018


Dopo oltre un mese, in India
 In un  dicembre indiano  di una mite luce,  ricordo come oramai remoti e distanti  i giorni febbricitanti della mia partenza dall Italia ai primi di novembre, agitati dall’ansia  se ce la potessi fare ad  affrontare il viaggio, nel mio invecchiamento aggravato dalle crisi fisiche che erano insorte.  Due volte mi aveva appena costretto al  ricovero l’ipertensione, preannunciata dai miei affaticamenti anche nel percorrere piccoli tratti di strada della mia città, dal non potere più procedere senza essudorazione.  Con le gambe che mi vacillavano ad ogni gradino, ce l’avrei fatta sotto il peso dei bagagli a raggiungere la stazione, l’aeroporto, nei contrattempi ed affanni delle soste intermedie e dei cambi dei tragitti e dei voli,poi  a muovermi in Delhi e a raggiungere la stazione di Nizamuddin per il treno della sera per Khajuraho? O durante il viaggio sarebbero insorte di nuovo vertigini e nausea e vomito? Era la trepidazione freddolosa di chi pure presagiva che il cimento, una volta affrontato e superato con tutte le avvertenze del caso, nel lasciare l Italia e nel transito per Mosca come nelle traversie per raggiungere in Delhi Pahargangj, si sarebbe disciolto nella dolcezza brumosa dell’India anche dove sui suoi rifiuti gracidano corvi,  nel primo  mattino in cui si rianima la sua capitale,  nella gioia al risveglio di  ritrovarmici  tra  Kailash e i nostri  bambini avviati alla scuola, anziché solo tra le mie stanze in Italia, a fronteggiarvi la mia vita come se già vi  fossi nel mio loculo mortuario ,  di  ordinarvi a poco a poco le opere e i giorni  mentre nel cortile accompagna il mio risollevarmi e riprendermi  l’acciottolio delle stoviglie che sta lavando Vimala. Immaginavo che in giorni tranquilli non avrei dovuto che confermare nel lavoro o nella scuola intrapresa  Kailash, Chandu, Poorti edAjay,  avevo già  assegnati i miei ambiti di ricerca e le mie possibilità di viaggio, e  solo Mohammad supponevo che restasse problematico, ma  perché credevo che dovessi forzarlo a restare a Khajuraho finchè non fosse guarito dall’infezione che aveva contratto lavorando in Delhi in uno stabilimento chimico,  mentre egli avrebbe voluto ritrovarsi al più presto nella capitale, ed in quanto temevo che l’intensificazione del nostro rapporto l’avesse già condotto al fallimento, sotterrato soggiacente al  fatto che solo io avessi tentato di riprendere dall’Italia i nostri contatti,  e che le poche volte che mi aveva risposto fosse stato  come per scherno o rancorosa disperazione, come quando era in Delhi afflitto dal male e senza niente e nessuno. Invece i primi giorni che mi sono felicemente ritrovato in Khajuraho è stata  la più gioiosa delle sorprese che egli ogni mattina e di pomeriggio mi abbia invitato a casa sua o  tra meravigliosi campi cinti da altissime piante, perché stessimo insieme a discutere di grandi cose come dei nostri casi immediati, luminoso e sereno nei suoi tratti in cui si era accentuata  l’insorgenza dell uomo  nei suoi aspetti infantili e giovanili. Già in Delhi, in brevi magnifici giorni mi era stato dato di ritrovare nella nuova biblioteca nella nuova sede immensa dell’Archaelogical Survey non solo i testi che ricercavo su Kalinjar, ma con il frutto del suo lavoro raccolto in volumi ed in un agile libretto l’archeologo che aveva condotto le indagini più approfondite sui templi di kadwaha  cui intendevo fare ritorno in un mio viaggio e nei miei studi, e di prendere contatto con lui. Ed in  Khajuraho  non avrei potuto ricevere accoglienza migliore da Kailash e i nostri cari, come da chi mi ci rivedeva nel viavai quotidiano o tra i propri clienti abituali. E se per le mie ristrettezze economiche dovevo adattarmi a trascorrervi quasi tutti i miei giorni in India- finora me ne sono allontanato per un giorno solo per recuperare dati ed immagini dei templi hindu in granito di Doni, una  escursione insieme ad Ajay che è diventata una vera avventura, per lo stato della strada interamente distrutta per il suo rifacimento, che reca a Doni da da Nowgong -, una breve diversione sulla sinistra dal tratto di strada che reca al Chausat Yogini Mandir mi faceva scoprire nella stessa Kajuraho il basamento di un tempio che ancora ignoravo, la pagina in merito di Krishna Deva mi poneva sulle tracce dei resti di un tempio jain ancora più a sud presso il ristagno di un fantomatico tal NIshoi che non ho ancora ritrovato, e le festa a fine novembre in onore di Kartikkeya mi dava l’occasione di inoltrarmi di villaggio in villaggio lungo la strada che reca alle  Raneh Falls, e di unirmici alle luci e ai colori delle donne che celebravano puja in onore del dio della guerra. Mohammad era in vena di celie amabili e deliziosamente divertenti, al Madur cafe quando credevo che volesse magnificarmi come un  sadu nella mia indianizzazione, dicendomi che non ero un uomo occidentale, era invece per schernirmi che fossi come un adivasi , un  selvaggio aborigeno, per il modo in cui leccavo con la lingua anche lì involucro di un delizioso muffin. “ Dovresti rivestirti di foglie di alberi” soggiungeva sarcastico. Felice in tanta familiarità di essere pur sempre e ancora il suo guru di elezione, gli ho chiesto tra le altre cose se fosse ancora muslim. e “ muslim o non muslim, mi ha risposto, io sono un essere umano innanzitutto”. Mi inquietava soltanto che avesse iniziato a fumare mariuana,  e che non si trattasse solo del residuo delle scorte che ne aveva fatto in Delhi, dove era stato il padrone dello stabilimento in cui lavorava ad averlo avviato a consumarne, le sere in cui gli chiedeva  di restare con lui nell’appartamento che si era creato nella fabbrica, facendogli anche bere alcol e saggiare le sue prostitute. Era ancora giovane  e non intendeva sposarsi,  gli aveva detto che  voleva cambiare pietanza ogni sera per cena. Aveva un bel ripetermi che non  assumeva marjuana e alcol  per assuefazione, che poteva smettere come e quando voleva. Di fatto lo ritrovavo ogni volta con i suoi amici abituali e intento con loro a fumare di nuovo, sapendo come rifarsi a chi lo approvvigionasse di droghe ed alcolici,   pur senza avere in tasca una rupia.  Sapeva benissimo così facendo che cosa volessero farne di lui, ma si sentiva padrone del gioco, laddove io solo avevo esperienza di come ne uscisse trasformato. Il decorso ero lo stesso  che aveva manifestato Kailash. Non riusciva a farne a meno in preda all’angoscia per la sua situazione, al ritrovarsi senza lavoro e senza un soldo in tasca, tra famigliari insofferenti della sua realtà,  in uno stato iniziale di evasione scherzosa in un mondo ludico. Mi invitava allora a che anch’io ci provassi , per amicizia, poi per amore, chiedendomi di farlo di nuovo perché non aveva ben visto quanto il fumo l’avessi aspirato.  Quando a distanze di ore o di giorni lo ricontattavo,   dopo che egli era andato ben oltre, specie con l’alcool , come Kailash non aveva che parole d’odio e  di  crudeltà ricattatoria,  prive di qualsiasi affetto e gratitudine.  Dietro le sue professioni di dolore esacerbato sapevo fin dall’inizio che si nascondeva una richiesta di denaro, che non sapeva a chi altri rivolgersi che gli appianasse il debito che aveva contratto per recarsi per lavoro una prima volta a Delhi, ma  come con un sorriso conciliante lo invitavo ad essere esplicito, si ritraeva e affondava il morso, dicendomi che non mi preoccupavo che di questo, che volevo solo disfarmi di lui perché nonb mi pesassero più le sue richieste, che lo trattavo solo come un mendicante e che lo facevo sentire tale. “  Questa è l ultima volta che  ci vediamo.” Oppure “ ti telefono per l ultima voolta solo per dirti ancora questo”  “ Non voglio più vedere la tua faccia…”. Così è stato soprattutto quel giovedì in cui  si è fatto vagabondo, dopo avere litigato con i suoi  perché a suo dire a differenza di quando lavorava lo facevano sentire un peso, e per la collera lui aveva stracciato le proprie vesti e degli abiti del padre e del madre, rendendosi irreperibile. Al Madhur cafe dove di sera mi aveva dato una sorta di ennesimo ultimo appuntamento, mi ripeteva che sarebbe rimasto lì al freddo per la tutta la notte, senza più una famiglia o una casa cui volesse fare ritorno.  Ma appena l ho assicurato che l’indomani  avrei pagato  in parte il suo debito,  tutto è rientrato nell’ordinario, ed ha mosso subito  i suoi passi verso la dimora di un amico  in  cui ha pernottato. Come Kailash puntualmente  non ricordandosi più nulla l’indomani, di ciò a cui aveva esposto  le persone più care mettendo a dura prova il loro amore ed affetto.  Come Kailash  nei suoi riguardi,  dicendo le cose  che potevano più ferirmi ed essere più atroci sul suo conto. “ Tu sei solo un suo schiavo,” his gulam”, lui è il tuo re, “ he’s you king for You. Ti sta solo usando, come ti stanno usando tutti coloro che sono di Khajuraho. Prima beveva ed ora spende al gioco i tuoi soldi”. Come se il fare esperienza, il vivere la vita come una prova che ti tempera , ti rivela a te stesso nel  metterti  a cimento e ti fortifica o ti fa cedere, sempre al bivio tra resistenza e resa, per cui lo avevo invitato a vivere la miseria che no  lo aveva ancora stroncato come una sfida permanente che gli riproponeva la sua vita quotidiana, -al che con la crudezza del suo realismo affamato mi aveva replicato in tutta risposta “ come se nei negozi mi offrissero cibo e vestiti in cambio della mia esperienza!...-,  come se tale intendimento del destino che mi ha legato di fatto per sempre a Kailash,  non  fosse  già di  per se esposto alle più dure e scorticanti delle verifiche. Già quando ero in  Italia  avevo appreso per il tramite di insinuazioni malevole di M. che Kailash  stava acquisendo un terreno per costruirci una casa, tramite una rinuncia del padre a  favore di Vimala dei fondi governativi che gli spettavano  come contadino- barbiere, secondo una  nuova legge nazionale voluta da Modi, che obbligava in tal senso i  vari Stati indiani. Ho voluto vedere  quanto prima tale appezzamento, che era quanto Kailash non aveva ancora fatto,  a riprova che tale iniziativa l’aveva piuttosto subita che assecondata.  Mi ci ha portato Ajay a vedere il terreno,  situato in una zona che più che  al  tempio al dio Vamana , come Kailash mi aveva affabulato, era prossima ai miasmi  e  agli acquitrini di un’umidità infestante di insetti del Tal Ninora. Kailash mi aveva detto di una colonizzazione o urbanizzazione imminente dell’area, ma tranne una o due dimore ancora in costruzione in cui erano già insediant i loro abitanti, tra sentieri sconnessi che inoltravano tea l incolto circostante, e  pali e  cavi di energia elettrica a centinaia di metri di distanza , di tale urbanizzazione del tratto di terreno in cui Kailash avrebbe potuto delimitare il suo appezzamento non vi era traccia alcuna.  Co n Ajay cercavo di minimizzare lo scoramento, dicendogli quale mia prima impressione e referto che in ogni caso era davvero il caso di non avere fretta, di aspettare. Ma il procedere delle mie considerazioni si faceva impetuosità di giudizio. “ E qui come potranno giuocare e avere amici Poorti e Chandu? Di qui chi li accompagna a scuola o al mercato?  Chi viene in soccorso in caso di aiuto? L ‘area è davvero pericolosa, specialmente di notte..” Conclusione di Ajay, che bisogna aspettare almeno 20 anni perché vi avvenisse una colonizzazione, mia, a più corto raggio, che per insediar visi avrebbero dovuto ridursi tutti quanti nella condizione di tafarias, insediati tra lamiere, stracci e cartone, e che il terreno si prestava piuttosto solo per essere  coltivato. Il giorno seguente inducevo  Kailash ad accompagnar mici, perché constatasse di persona  a che cosa aveva consentito, contando ovviamente sul mio contributo indispensabile per portare a compimento l opera che aveva lasciato intraprendere Tra una constatazione cruda e amara e l’altra aveva modo di farmi pervenire a sapere che occorrevano  prima o poi  50.000 rupie per  ultimare l’acquisto.  Mentre seguitava a parlarmi come se non mi mettesse  alle spalle al muro di fronte a tale fatto compiuto, vaneggiando di  quali ortaggi o leguminose o cereali  potesse impiantare nel terreno, mi faceva sapere di un altro terreno  del quale  con il padre aveva trattato in precedenza, in un’area in cui c’erano già insediamenti e servizi, e dove avrebbe preferito stabilirsi, perso il tempio Duladeo., lasciandomi costernato quando mi diceva della ragione oppostagli dal padre a cui aveva ceduto, a parte il fatto non irrilevante che il proprietario del lotto di terreno, ch’io ben conoscevo, chiedeva di meno ma non nei termini di pagamento dilazionati delle autorità di governo “ E poi mio padre non voleva  perché tutto intorno vi erano dalit”.  E  dire che in Sewagram viviamo  dirimpetto a una famiglia di fuori casta lavandai e di musulmani agiati.  Ma il colpo più duro era ancora di là da venire e ad infliggerlo sarebbe stato Ajay.  In capo a una settimana,  si era alla fine di novembre,  mi è toccato di accedere alla mia banca  tramite internet per ricaricare la mia carta prepagata,  per anticipare e mandare a buon fine gli accrediti di abbonamenti o i miei acquisti di e-books.   Alla videata delle mie carte di  pagamento  scopro che è stata usata due volte una mia carta di credito, quando io ho fatto ricorso unicamente ed esclusivamente alla più recente delle carte di debito.  Risalgo immediatamente facendone consapevole Kailash all unico  autore possibile del  furto, Ajay, reo confesso di ritorno da scuola,sotto l  incalzato dal fare furibondo e minaccioso di Kailash, alla stregua di un agente di polizia più che del padre che così spesso ha mancato di essere nei confronti del figlio. Ajay l’avrei invitato la sera al lassi corner per un chiarimento e un atto riparatorio, ma la sua contrizione pentita era quella di un cobra, avrebbe riparato  andandosene via per lavorare,  manco parlarne di riavere indietro quanto potesse recuperare dell’ammanco infertomi di oltre 200 euro, non era certo disponibile a dirmi  come quei soldi li avesse spessi, se non che doveva risarcire i danni arrecati a un’auto guidando la motocicletta di un compagno, resisteva di fatto a strenua difesa di quel che aveva commesso, e n capo a un giorno si sarebbe già ravveduto di ogni pentimento. Quel che di certo voleva in quegli istanti era sottrarsi alla vista del padre,  talmente lo sentiva maldisposto nei suoi confronti, e ne aveva ben le ragioni,  Kailash era giunto a brandire un coltello da cucina che non era certo l’arma più propria per ucciderlo, disperato di avere un figlio diciottenne su cui non era lecito fare alcun affidamento,  in  cui non nutriva alcuna fiducia e in cui avvertiva più lo scoglio di un problema  disperante che un figlio da amare, nei confronti del quale benché fosse arrivato all undicesima classe seguitavo io stesso a incollerirmi spazientito,  accertando che non fissava niente di niente del corso di biologia che gli tenevo, a dispetto della mia passione per protisti, o monere, vedendo che per parte sua non assumeva alcuna iniziativa, né di tenere aperto il nostro negozietto di handicrafts né di aiutare il  fratello in difficoltà,  o la madre a fare ricorso alla lavatrice.
Certo,  per placare il furore disperato di Kailash e farlo rinsavire non era solo un rito d’obbligo rinfacciarli le nostre mancanze di fiducia e di amore nel figlio,  quanto  avessimo approfittato del suo non chiedere mai niente e privarsi di tutto,  era la verità salutare su cui non potevo però  contare nei tempi brevi,  talmente la sua mente cadeva sconvolta se gli riferivo altre mancanze  del figlio, che mi avesse richiesto di approfondire le differenze tra scissione e fusione nei processi riproduttivi, per poi andarsene via per conto proprio.
“ Io lo uccido! Lo uccido! “ era giunto a gridarmi di fronte all’hotel dove lo avevo raggiunto.  Er’ stato per me istantaneo ricordarmi di quando al telefono, alla morte di Sumit, era riuscito a dirmi poche dopo il decesso del nostro Bimbo” Non poteva morire Ajay al suo posto?” “ Kailash  è stato bene che tu abbia detto a te stesso quello che senti.  Non devi sentirti male per questo. Ancì’io ho tante volte voluto che mia madre  morisse,  mi sono augurato che vecchia com’è la finisse di ridurmi in miseria per il suo mantenimento, ma usare la mente e il cuore è un’altra cosa.  Pensiamo insieme piuttosto al da farsi per Ajay” Ha finalmente compreso insieme con me che non possiamo più far crescere Ajay senza soldi e senza senso di  responsabilità nell’usarli, comìio non posso pretendere  di lasciarlo a stecchetto e poi deplorarlo che benché abbia scelto biologia come specializzazione non abbia inteso niente di niente della fonda mentalità in natura e per noi stessi della fotosintesi clorofilliana.
Quanto a Chandu pur con tutto l amore che in me suscita questo figlio del mio cuore , non ho potuto più di tanto nel volgere in burla  piangiucchiando sul fatto che il mio Chandu fosse a donkey, un  vero somarello, di fronte agli esiti catastrofici di certi esami intermedi, ancora zero/ cinquantesimi e 2/ cinquantesimi nei dettati di hindi e di inglese. Ed io che confidando nelle mie contromisure educative, annacquate nella polpa zuccherina del mio adorarlo, gli avevo  acquistato lo spartphone delle sue brame….
Mohammad , di suo,  seguitava a mostrare ogni sintomo di peggioramento restandosene in Khajuraho., seguitando a bere e a drogarsi, finanche una pistola è riuscito a farsi concedere da un amico, con nel cuore lo strazio che riemergeva per le nozze imminenti della sua  Mouskan. Né le cose miglioravano a seguito del suo duplice andirivieni da Kanpur, nell’andare a prendere e riaccompagnare parenti,  una vera e propria stoltezza dei suoi  genitori, che così vanificavano ogni mia sollecitazione a che raccogliesse lì’invito a trasferirsi a lavorare in un hotel di lusso di Sagar, fornendogli un diversivo .Da Kanpur mi raggiungevano le solite sue invettive di cui si sarebbe dimenticato del tutto il giorno dopo,  nell’esercizio lucido e crudele di addebiti e rampogne, che prima di ripianargli il debito contratto per recarsi una prima volta a  Delhi,  avessi voluto accertarmi che per sanarlo non si fosse servito  dei soldi che gli avevo trasmesso per pagare ad Abbaz l’affitto mensile del deposito  in un suo vano dell’arredamento dell’ufficio del bapuculturaltours, ritenendomi in dovere di  rimettere per lui il suo debito se  lui avesse rimesso i miei soldi ad Abbaz, che  nel dargli i soldi per recarsi in Kanpur, poco più di 300 rupie, mi fossi doluto che non li avesse richiesti o potuto richiedere a l suo ricco parente bilal o all’ancor più ricco Abbaz. Perché non avevo creduto alla sincerità dei suoi propositi, quando un anno fa,  volto dall’alcol al pentimento delle sue malefatte, mentr’io lo trattenevo dal picchiarsi sul volto mi confessava quanto mi avesse derubato delle mie rupie nei corsi di tutti questi anni?
“ Io voglio seguitare a fumare mariuana e a bere alcool fino a morire”  “ O il carcere o la morte” “ ho sentito tutta la voglia di aggredire qualcuno pur di fare mio il suo denaro”---
Ma domenica scorsa  al lassi corner mi parlava un Mohammad Anas meravigliosamente già uomo,  che mi chiedeva di aiutarlo a raggiungere  Delhi  per un secondo tentativo di trovare lavoro che sarebbe una vera occasione, se quanto gli è stato ripromesso corrispondesse al vero: un impiego come supervisore d’0area nell’aeroporto di Palam in Delhi, 14.000 rupie di stipendio, vitto e alloggio  e cure mediche assicurati. Se nulla interviene a stornarci partiremo tra due ore in treno.  Dico e penso questo perché poche ore fa, quando è stato da me mi ha confessato quanto  Muskhan sia ancora infissa nel suo cuore, se è perché la lontananza lo induca a dimenticarla la ragione principale che lo induce a volere andare via da Khajuraho.  Benchè lei ami il suo futuro marito, a quanto lascia credere,- sarebbe altrimenti una tragedia-,  è stata con lui al telefono da mezzanotte fino alle cinque, per chiedergli di non amare mai nessun altra, una volta che lei sia sposa, perché  lui è ancora  qualcosa” nel suo cuore. “ Ancora qualcosa’ ho fatto eco- Solo ancora qualcosa?”  “ Le ho chiesto anch’io , che voglia dire solo ancora qualcosa”. Lui riesce ancora a ingelosirla, se per averle finto di amare un’altra  ragazza,  neanche cinque minuti dopo lei l’ha ricontattato al telefono. Siamo ancora tra i due alle scene incendiarie, alle dichiarazioni reciproche di voler uccidere l un l’altra,  a lui che prende sul serio le parole di lei e si presenta al suo ingresso di casa nel cuore della notte con un proprio coltello, per uccidere prima lei e dopo lui, senza che lei, affacciatasi in alto, abbia manifestato alcuna intenzione di aprirgli l’uscio di casa.
“ Ma oggi sono come un robot”, mi ha detto per tranquillizzarmi,
“ Anch’io- ho celiato. Nel ripetermi  sempre che è il mio dovere fare si che tu parta, fare si che tu parta, quando poi senza di te”, amore mio.
Le ultime cose che mi ha detto Kaiulash, che ieri ha propiziato l’acquisto dei nostri biglietti, è stata di lasciare 400 rupie ad Ajay  prima di partire. Certo , non senza avergli prima raccomandato di anticip 
infiorescenze e l’introduzione alle biomolecole. Ajay è stato di ritorno di li a poco con due confezioni di riso al curry.
Solo che Kailash seguita a non credere ai miei vaticini,  e a riconciliarsi nel fondo del suo essere con Mohammad, quando come gli ho detto ancora prima, gli ho confidato che Mohammad ha tutta la stoffa per diventare ricco e dare aiuto a tutti noi quanti.
“ li conosco i ricchi. Il mio padrone d’hotel non  lascia una sua sola rupia ai poveri”
Io credo invece che Mohammad dica il vero, ciò a cui aspira e che si avvererà, quando mi promette che un giorno mi compererà una Ferrari.







Gli ultimi che saranno i primi per il nostro governo


Da un governo per i quali gli ultimi che saranno i primi sono solo gli ultimi della classe, che ritroviamo ora ministri, assessori, loro consulenti e consiglieri,  in nome dell’università della vita come la sola che conti, da un governo che sa conferire dignità di decreto solo a disoccupazione, lavoro in nero e ai contratti più deteriori, ,endendo  ancora più illegali e ricattabili i clandestini nei nostri campi e più invisibili e indisturbate mafia, camorra e ‘ndrangheta, da un governo degli onesti che non fa che  condonare gli abusivi  e gli evasori  e mortificare i contribuenti di sempre, lavoratori dipendenti e pensionati,  da cotanto governo gialloverde che c’era da attendersi quanto a educazione e cultura se non la decrescita. di ogni forma di inclusione e di  sapere critico e autonomo,  insieme con quella dell’economia e delle grandi opere,  che avvia i giovani  verso un’ ebetudine ignorante accomodata in poltrona,  davanti a uno smartphpone con un reddito plebeo di  sudditanza da sgranocchiare? E’ tale  politica del no dei 5 stelle  sia a Olimpiadi che  vaccini che Tav , a ciò che sia progetto, ricerca, innovazione non iscrivibile nei loro diktat ideologici, che soggiace al rifiuto di Bonisoli di dare anche solo risposta agli interrogativi del direttore Assmann, in nome di una restrizione degli accessi e della partecipazione al nostro patrimonio culturale e artistico , che intende gelosamente custodire come una riserva a pagamento sempre più cara e meno scarsamente tutelata, per favorire i propri capitoli di spesa elettorali più clientelari e assistenziali. Così mentre in  combutta con Salvini si combatte ogni forma di integrazione di chi è straniero nella sua civiltà di appartenenza, ecco che si negano in bilancio due milioni di euro ai musei autonomi, che si taglia il credito di imposta a librerie e sale cinematografiche .Meno visitatori ma a biglietti più cari, meno rischi di ogni sorta e dunque meno custodi,  Trattasi del peggio del peggio che si poteva  desumere  dalle storture  del ministro Franceschini, che se non altro aveva il pregio di mettere in chiaro insieme con i suoi orientamenti i gravi errori che li viziavano,  in primis quello di avere separato dall’opera di  conservazione  quella di valorizzazione dei nostri beni culturali, la cui  commercializzazione conseguente viene condotta da Bonisoli e i penta stellati ai suoi  estremi più anticostituzionali, inibendo con il diritto di accesso anche gratuito al  patrimonio che tali beni costituiscono, la loro funzione educatrice e  civile di formazione e crescita umana, che resta ancor più riservata ai soli privilegiati commensali di banchetti di gala culturali. Certo nella diatriba con il ministro ha ragioni da vendere Assmann, - è semplicemente ignominioso che non abbia ancora visto la luce o che sia stato stracciato il bando di assunzione di nuovi custodi-, ma egli così subisce l’effetto boomerang di certe storture dei suoi orientamenti, in primis l’avere egli stesso dato più spazio al fasto di eventi di richiamo, o presunti tali, che ai capitoli di spesa del personale o di manutenzione, l’essersi appagato dei riguardi particolari  del ministro scorso, che ora si pretenderebbero per la sua mantovanità da Bonisoli.
Odorico Bergamaschi

Mohammad, ancora


Mohammad,  16 novembre
Ieri pomeriggio, di venerdì, Venerdì pomeriggio, mentre nella mia stanza si intrattenevano Chandu e Poorti,  Mohammad è giunto alle mie spalle più inatteso che mai. Ancora più sorprendente era la sua voglia di parlarmi  che soverchiava le  mie stesse parole,  dopo che per un anno l intimità dei nostri rapporti  si era instaurata a discapito di essa. Voleva che uscissimo prima o poi,  alla luce del sole, per dirmi le cose che teneva segrete, anche se già in stanza trovava il modo di rivelarmene il contenuto .  In Delhi aveva provato il piacere di fumare marijuana,  di stare con più prostitute,  per essere entrato nelle grazie del padrone della fabbrica che per il suo stesso consiglio aveva lasciato,  al manifestarsi  dell infezione per tutto il corpo che aveva contratto lavorando al suo interno, soprattutto per le polveri che vi era costretto ad assordire delle sue  produzione chimiche. Molti altri lavoratori  vi accusavano danni fisici simili ai suoi,  senza  che nessun intervento  o risanamento vi fosse in corso.  Come mi avrebbe precisato quando sul far del tramonto sabato scorso l’ho raggiunto a casa sua e nei paraggi, per assistere al calare del sole tra i rilievi che digradano verso Chhatarpur, costui vive in hotel e dispone di un alloggio presso la fabbrica, dove Mohammad era stato chiamato a convenire per condividerne i piaceri. Costui era single, e tale intendeva restare. “ Voglio ogni giorno un  cibo diverso”, aveva detto a Mohammad,  alludendo alla sua predilezione per le prostitute. In delhi Mohammad che mi era ora di fronte non più come un ragazzo, ma un giovane uomo,  aveva trascorso giorni di prostrazione profonda, in cui era giunto a sputare sangue e a non volerne più sapere di vivere. Muskan era riemersa indelebile come il suo impossibile amore profondo,  quando aveva saputo delle sue nozze  imminenti, e solo  la  rimozione più sofferta gli aveva consentito  di resistere al dolore immenso che stava vivendo.
 “ Mi sono detto, mi confidava,  tu sei il figlio dei tuoi genitori, il fratello di tua sorella, l’amico tuo,  degli altri  tanti che mi sono amici in Khajuraho o in Lucknow,  non puoi  solo per una ragazza cancellare tutto questo,  dimenticala e vai oltre”
Così  mi parlava sabato sera, di fronte alla distesa ora rivoltata in zolle dei campi che ne fronteggiano la casa,  la cui fertilità è assicurata dal rivoletto continuo  che ci scorreva accanto provenendo dalla diga prsso le Raneh Falls, cui Mohammad attingeva conforto nel vivere confinato tra le mura domestiche, per la difficoltà a muoversi che gli causa l infezione che si è estesa all’inguine e ai genitali, senza che possa usare  lo scooter, in mancanza anche delle centinaia  di rupie che gli servono per ripararne lo pneumatico posteriore.
Ieri sono tornato a chiedergli di Muskan, di quando si sarebbe sposata, auspicando che al contrempo egli potesse  ritrovarsi in Delhi.  Tra tre mesi,   mi ha annunciato Mohammad con un cenno sprezzante  della mano,  inteso a farmi credere con le sue parole che si trattasse di acqua passata, poi, in tutta sincerità mi ha confidato.” Così almeno voglio far credere al mio cuore. Che vuoi, il  cuore è stupido,  puoi raccontargliene di cose… Mi sono detto e ho detto a Mouskan che sono felice, se lei è felice, con me o con un altro. Ma le ho confermato che se non potrò sposarla non  sposerò nessun altra”
Seguendo il  mio stesso esempio non intende maritarsi, come scherzando ha confermato alla madre che era sopraggiunta, 2 vero che anche tu vuoi che non mi sposi?  “ no, no, yes married, yes married2, invece lei ha ribadito, carezzandogli più volte i folti capelli , con un atto di affetto che sarebbe inesprimibile nella famiglia hindu di Kailash.
Per me stesso, gli ho detto, il dubbio che il rapporto tra noi due fosse stato da me compromesso fino al suo fallimento,  aveva messo in scacco il valore stesso della mia esistenza.  Non gli ho ricordato come per un anno fossi diventato o mi fossi sentito per lui  quasi indegno di interlocuzione, come vivessi nel sospetto o nella certezza che solo il bisogno che gli assicurassi denaro motivasse ogni ripresa dei suoi contatti con me.
Ma  ora eravamo tornati a parlare di tutto, proprio di tutto,  per lui, prima, durante, e dopo, ero rimasto sempre lo stesso, la sola persona con cui potesse confidarsi in Khajuraho.  E lui era ancora muslim, gli chiedevo?
  Prima ancora che muslim, sono un essere umano”, la sua risposta.
In realtà  Dio è per lui solo una credenza degli esseri umani, che si ritrova in  ciascuno  che ti fa del bene, non la forza attrattiva cosmica che ne fa muovere i cuori, come per me è in realtà.
Peccato,  gli ripetevo, con un rammarico che si era rassegnato al corso e al costo degli eventi, che fosse fallito il mio tentativo di farlo seguitare  negli studi, tale e tanto è il fervore figurativo della sua mente immaginativa.
“ in te ritrovo le immagini e il senso delle cose di Mir taqi Mir che sto rileggendo”. Se ne compiaceva, come già mi si era detto grato che per  me lui fosse  stato motivo di ispirazione poetica. E tornava a dirmi dei versi che conosceva di mIrza ghalib, in cui denuncia l equivoco di chi chiede che sia terso lo specchio quando opaco è il volto che vi si riflette,   in cui chiede di potere bere vino nella moschea, dato che la sua onnipresenza rende altrimenti impossibile berlo dovunque, delle repliche e contrasti  in merito con altri poeti.
  Allora un poeta gli ha ribattuto” Ma Dio non abita nei cuori dei miscredenti e Mirza Ghalib”  Allah è presente anche nei loro cuori, solo che loro non  lo sanno”, e ancora, un altro competitore “  il vino  non si versa  nell’alto dei cieli” e mIrza  Galibh “ Là non serve, perché c’è già soddisfazione perfetta, perfect Satisfation”.


versi di MIr Taqi Mir


Non è che schiuma d’aria la nostra  vita,  nient’altro,
e questo mondo è solo un miraggio  nel suo nocciolo.
Le quinte del mondo sono solo la vastità di un miraggio

Ah, la squisita tenerezza del suo labbro,
la sua grazia evoca un petalo di rosa.

Ancora  una volta  batto alla sua porta
La mia mente del tutto stravolta

basta ch io parli, che ella dice
che tale voce è di appartiene a deve essere  di quell’uomo sventurato

MIr, questi tuoi appisolamenti
sono come tossici respiri alcolici



II
I Tempi sono difficili, signor Mir, stai  dunque in  guardia
Preserva il rispetto di te medesimo con la massima cura


La vita può essere un semplice affare  semplicemente un affare una semplice faccenda
Non complicarla con  seccature non necessarie e inutili affanni

La vita ha breve durata
Sii leale retto  con ciascuno., uomo mio

 Fai pure tutto quello che ti piace, mio caro
Ma curati che sia chiara limpida tersa  la tua coscienza,


Che importa quel che dici e come lo dici,
ovvio, che sei libero di dire quel che  ti è dato di dire.
Va di per se quel che dici e come lo dici,
sempre che tu sia libero di dire quel che ti è dato di dire.



La testa che così fieramente è oggi coronata
Domani sarà interrata nella lamentazione di grida

Nessuno ha lasciato questo mondo integro e sano
Ogni viaggiatore che vi è sopraggiunto ha perso tutto
nell’agguato finale

Anche imprigionata
non è scemata/ non si è rassegnata si è data per vinta la mia passione maniacale 
a questa mia farneticazione mentale solo rimedio
è l impietramento

E’ così delicata la vetreria del mondo
Che anche il tuo respiro qui deve qui essere lieve.



“ Taci frate,  desideravo  gridare forte durante un interminabile omelia di cui per la mia sordità  non capivo nulla, che nei vuoi sapere dell’amore del prossimo nel tuo buen retiro da questo mondo”.  Di notte mi aveva svegliato alle quattro l’angoscia che  mi aveva provocato l ennesima richiesta di altro denaro per mia madre da parte di mia sorella. “ Che vuoi, suicidio per suicidio, decidi tu” le avevo risposto. Lei benestante non poteva capire che per come vivo  la mia situazione e per quello che mi consente, anche solo il suo preannuncio che avrebbe scaricato su di me e mio fratello i costi della tinteggiatura dell’appartamento tutto  dove mia madre  vive in affitto,  decisa di testa sua, veniva ingrossandosi nella soffocazione che mi stesse chiedendo di fatto di rinunciare a tutto, ma proprio a tutto, richiesta dopo richiesta, cui mi fossi piegato, tramutando  la longevità di mia madre  in un  incubo accasciante.
Dopo avere ricontattato Kailash,  di nuovo a rovinarsi la salute  nel lavoro un hotel, preoccupato più di quanto gli rovini il fegato lo stare al fuoco e al fumo di una caldaia che il padrone non vuole sostituire, di come mai  possa fare la buonanima del padrone ora che tutti i suoi  lavoranti di Jatkara  sono in pellegrinaggio a Mathura e Vrindavan, come  si richiede al dodicesimo anno che  per Diwali vanno  in gruppo a  eseguire danze di villaggio in villaggio,  è stata la volta quindi di Mohammad
“Tu sai , già l’esordio,  di che cosa ha bisogno un povero”
Mi ero ripromesso di non ricontattarlo  perché non mi inoltrasse l’ennesima richiesta di un consumo di lusso  quanto più versa in povertà assoluta.   Ma non  era intento a chiedermi un profumo di  marca  o cioccolatini rocher, come è avvenuto dopo che grazie a Kailash gli ho consentito di fare il biglietto di rientro a Khajuraho da Delhi, dove era rimasto senza rupie e dove con  una  febbre e una  tosse che temeva non gli lasciassero scampo lo affliggeva l infezione ai piedi e ai genitali che ha contratto nella sua prima esperienza in una fabbrica di lavorazioni chimiche.  Nel soccorrerlo c faticavo a contenere la mia contrarietà perché non dandomi ascolto,  anziché farsi visitare da un vero dottore in Khajuraho e seguirne le prescrizioni egli aveva voluto ripartire prematuramente la settimana prima per  Delhi, dove in quello stato non aveva potuto  restare che un giorno nel posto di lavoro che aveva trovato presso la Karisma,.Ora  era di nuovo senza i soldi per recarsi da uno specialista  dermatologo in Chhatarpur,  dove benché fosse ancora impedito a parlare per la tosse,  avrebbe voluto recarsi in motocicletta con un  amico, anziché prendere il treno mattutino di buon’ora.
E quando sarei venuto?  In Delhi non volevo e non potevo più consentirgli che mi raggiungesse, dopo avere decurtato l’appannaggio a mia madre perché sia servita e riverita come una regina nella sua evanescenza mentale   E  ci volevo  andare in Paradiso, così intendendo l hotel Paradise, dove il ragazzo non voleva più mettere piede per lavorare.  E se neanch’io   ci volevo più stare come finto alloggiante, con quale home stay  volevo sostituirlo? Ajay, l’aiutante del padrone dell’hotel Paradise, ne avevo uno che faceva per me, poco distante da casa sua, con la toilette occidentale in tutte le camere, e dove altrimenti avrei potuto andare e venire tutto il giorno.
“ Dove altrimenti  possiamo  stare insieme?” la sua  domanda che mi scendeva nell’ intimo come un balsamo risanatore di ogni senso di colpa .
“Mohammad , è la tua amicizia che io voglio più di tutto”
“ Anch’io”
 Era quindi  sempre al rivale e grandioso Kailash che dovevo far capo e ritorno,  perché lo aiutasse in tale emergenza.

Ma 500 rupie, non di più, precisava Kailash, quanto  avrebbe  trasmesso  l’indomani a Mohammad per curarsi davvero l infezione che non recedeva, anzi..La famiglia doveva pur festeggiare  Diwali con acquisti domestici,  e per Chandu non poteva più posticipare il pagamento della retta scolastica. Anche lui, come già  Mohamad, ed Ajay, era pronto a venire in mio  soccorso  a Delhi,  anche lui viaggiando anche solo con un general ticket, se per i miei problemi fisici che mi hanno appena  costretto per due volte al ricovero in ospedale, vomito, nausea, vertigini per l’ alta pressione,  mi serviva il suoi aiuto.  Dapprima ho avvertito il fastidio che lui potesse prendere il luogo dei ragazzi, poi un’onda di intenerimento e di amore infinito ha fatto seguito alle mie spiegazioni delle ragioni per cui benché sia per me il Paradiso in terra stare in viaggio con lui,  dovevo fare a meno della sua compagnia e del suo aiuto.  In Delhi, grazie alla metropolitana,  mi era possibile trasferirmi con i bagagli  su di un  carrello dall’aeroporto fino in centro, dove un tuk tuk mi avrebbe condotto agevolmente in hotel. La vera difficoltà per la mia artrosi e i miei anni, era salire e discendere con tutti i bagagli i passaggi sopra i binari. Ma   avrei potuto chiedere l’aiuto di coolies, nonostante le loro tariffe proibitive. La realtà soggiacente era che dopo aver decurtato  quanto mensilmente verso per mia madre, per coerenza  dovevo negarmi  in Delhi ogni accompagnamento.
In serata  croce e delizia finale mi ha raggiunto la telefonata di mia madre.  Cui inutilmente martedì scorso, quando sono andato a trovarla, ho detto che tra giorni tornerò in India.  Lei restava lì ad aspettarmi. Quando  solo avessi voluto andare a trovarla…
 


venerdì 23 novembre 2018


  1. Oggi riprendo le mie attivita' descrivendo un tempio di khajuraho di cui nemmeno Krishna Deva ha fatto menzione, situata sud del Chausat Yogini mandir,  edificato in arenaria e granito, e con jadhya Kimba e karnika in successione nell' adhishthana, il che lo fa coevo al mathangesvara mandir.
Sono in India felice di starci con chi più amo a questo mondo

martedì 23 ottobre 2018

Lettere ai direttori della Voce e della Gazzetta di Mantova

 Estate 2017 
Se in Italia ora me ne sto tutto il giorno chiuso in casa e non ho voglia di uscirne che per necessità impellenti, una delle ragioni snervanti, più che il gran caldo, è che giunto oramai alla fase terminale della mia esistenza, mi deprime incontrarmi per strada con conoscenti ed amici cui nulla interessi di quel che penso o che sento, quale sia la mia vita sensibile e mentale, ma ben attenti a quanto sia più grasso o decrepito. Né mi va di sentire levarsi nel dibattito la veemenza di chi suppone che chi è avversario o nemico è tale perché è un cretino, fascista o leghista o penta stellato o piddino che sia, e che contro lo jus soli ci sia ancora chi invoca che le colpe dei padri debbano ricadere sui figli , o quelle del forestiero che delinque su chiunque sia ancora straniero in Italia, escludendolo dalla cittadinanza italiana benché in Italia sia nato, ne frequenti le scuole e ne parli la lingua nazionale. Tanto meno mi vanno i panem et circenses estivi di una classe politica che non riesce ad allestire che ciò sa e conosce, nella sua formazione politica cresciuta anziché su poeti, letterati, economisti, filosofi e sociologi, su tutto quanto fa intrattenimento e spettacolo, è parola e musica di cantautori, o mossa o finta di un calciatore.
E a sinistra e a destra, da amministratore o funzionario di stato, favoleggia la via Emilia perché è stata la via di congiungimento degli astri di Zucchero, del Liga, di Vasco Rossi, con quello maggiore di Francesco Guccini, nulla sapendone di quelli artistici di Attilio Bertolucci, Silvio d'Arzo, Pier Vittorio Tondelli, Antonio Delfini, Walter Siti e via continuando. E quanto al bread and circuses imbanditi in loco, non serve allettarmi con i luoghi comuni e gli equivoci (vedasi in merito Scansani Stefano) del mito artefatto di una cucina di principi e popolo, o che , pur di allestire appeasements di richiamo e successo da fare invidia a quelli areniani, da Seamus Heaney si sia approdati ad Elton John, prima di Sting, per la modica cifra minima di 95 euro a cranio,  se in ascolto del baronetto non si è dei Vip.
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Mantova, 10 agosto 2017

Quanto all’operazione di inviare  nostre navi da guerra anche nelle acque territoriali libiche affinché sostengano la guardia costiera di Tripoli nel contrasto ai trafficanti di uomini,  e nel rimpatrio al contempo di migranti e richiedenti asilo che siano in fuga dalla Libia, non  può  acquietarci il consenso all’impresa e l’opposizione ad essa solo di facciata, che con la sola eccezione effettiva di Sinistra  Italiana-Possibile,  hanno espresso tutti i nostri partiti e movimenti politici parlamentari, non che  la generalità dei media nel loro procedere di conserva, i cui editorialisti sono stati  pressoché unanimi  nel ridurre ciò che sta avvenendo a schermaglie tra un  governo italiano intenzionato a  far finire una buona volta per tutte  l’arrivo sulle nostre coste di migranti dall’Africa, e ong, organizzazioni non  governative,  che con il loro umanitarismo ne pregiudicherebbero l’efficacia del respingimento. L’unanimismo di tale” percettibile sintonia di fondo”( Paolo Mieli) tra  Pd, Cinque Stelle, Lega e Forza Italia, in realtà sta sortendo l’effetto di una grande  cecità quanto alla barbarie  che di tale  impresa  si  sottace, così come prenderebbe fatalmente corpo con la riconsegna alle vedette  libiche dei migranti che saranno intercettati dalle nostre navi, un orrore a venire  che con le più avvertite organizzazioni cattoliche e  protestanti hanno vigorosamente denunciato soprattutto Amnesty International ed il Manifesto. E’un respingimento che reinternando i migranti in uno Stato che non riconosce la Convenzione di Ginevra sui diritti umani, (sicché nel febbraio 2012, come ha ricordato Barbara Spinelli sul Manifesto, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che il trasferimento di rifugiati verso la Libia viola l’articolo 3 di tale convenzione),  li riavvierebbe all’inferno dei lager  libici da cui molto di loro si sarebbero illusi di essersi sottratti, un inferno di torture, di sevizie, di stupri, di  uccisioni, secondo testimonianze inoppugnabili, in cui  i migranti  internati possono essere rivenduti come schiavi o riconsegnati come ostaggi, se non riciclati agli stessi scafisti, ammucchiati, un corpo sull’altro, nell’ immondezzaio di escrementi  quale giaciglio comune. E  la soddisfazione istituzionale di Gentiloni e Minniti, dello stesso presidente Mattarella, di Renzi ed Alfano all’unisono, quanto degli opinionisti delle nostre opposte estreme destre  e della borghesia grigia del  Corriere, perché finalmente, bontà divina, si registra una  diminuzione di  sbarchi di migranti sulle nostre coste,  dovrebbe quanto meno chiedersi come mai essa è già avvenuta, se perché sono  calate le partenze di migranti dai paesi  sub sahariani, oppure  per quello che di loro ne hanno fatto le tribù del Fezzan al confine tra il Niger e la Libia, o durante l’ attraversamento più a Nord intentato dai migranti del deserto libico, dopo le intese raggiunte tra tali tribù di cui a Roma il 31 marzo scorso si è fatto garante il governo Gentiloni. Forse che la morte di migliaia di emigranti è meno tragica, se anziché per acqua , nel nostro Mediterraneo, avviene per sterminio in un entroterra libico di carceri e sabbia ?


Bergamaschi Odorico


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L'este che la nonna diventò una puttana 






 A. Roy 


Mi spiace, per certe anime cortesi mantovane, ma quando in discussione non sono gli spacciatori o chi delinque facendo violenza o rubando, ma gli stranieri che incutono paura ed avversione per il solo loro aspetto, perché per il solo fatto di starsene senza far niente "fanno cattiva mostra di sé", quando basta che una siringa con del sangue sia ritrovata per terra o che avvenga un minimo screzio o alterco tra migranti e autoctoni perchè il fatto finisca in prima pagina come un evento, che uno dorma su di una panchina perché lo si debba espellere immediatamente,- guai, allora, anche a fare ancora un picnic sull’erba?-, a tal punto il problema non sono tanto gli stranieri ma chi nutre certe fobie ossessive, che in termini clinici si chiamano disturbi paranoidi di personalità, in termini politici odio razziale o razzismo tout court. E i giornali che alimentano queste sindromi, anziché porle sotto razionale controllo, se ne rendono corresponsabili. Quando come nella Delhi della shining, risplendente India, dello scorso decennio, i poveri e i balordi vengono cacciati altrove, senza sapere dove, per il decoro urbano di una città che non vuole recare più tracce del dolore e della miseria del mondo, e si imbelletta e si rifa il trucco, ammantata che sia di Daspo o di dichiarazioni quali quelle di un alto giudice della Corte suprema indiana “«Chi non può permettersi di vivere in una metropoli non dovrebbe venirci», beh si merita proprio quello che Arundhati Roy ha scritto della sua e mia amatissima Delhi” “Era l’estate in cui la Nonna divenne una puttana".

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 Sui megaconcerti in Piazza Sordello



I mega-eventi dei concerti di pop star in Piazza Sordello, e magari in un futuro prossimo anche nel Palazzo Te,  per non porre un limite allimprevidenza,  sono a mio  avviso   un classico esempio di come tutto ciò che fa turismo e spettacolo può prevaricare su ciò che è arte e cultura, riducendolo come Piazza Sordello a mero contenitore a rischio  di siffatte  prestazioni. E per lauge di quali grandi artisti, poi, se li misuriamo con il metro del riguardo e del rispetto che hanno espresso per tale splendido scenario? La Nannini lo definì delle vecchie pietre insignificanti, il baronetto Elton ha disdegnato il privilegio di visitare la Camera Picta in aurea solitudine. Alvaro Soler almeno è andato a vedersi il Palazzo Te, il bravo  giovine ha pur anche  interagito con la nostra cittadinanza. Ben altra cosa in piazza Sordello fu a suo tempo lallestimento dellOrlando furioso di Luca Ronconi, durante il quale spettatori, e messinscena e piazza, erano coinvolti nel fiabesco intreccio di un gioco incantevole. In tali eventi rock, stando a immagini e video, Piazza  Sordello non è  che un abbuiantesi fondale assordato. Ha dunque ragioni da vendere Paola Bulbarelli, dellopposizione, quando sostiene che lallestirli altrove, tali strepitosi eventi, avrebbe reso possibili più afflusso ed incasso, senza pregiudicare il nostro patrimonio artistico e consentendo agli spettatori di posare con più agio a sedere su gradinate  ed  erba, anziché avere da  tripudiare su di un duro pavé lastricato di ciotoli,  esonerandoli,  oltretutto,  dal volgere il proprio augusto retro di Vip al Duomo di Mantova, come con i selfie il turismo ovunque lo volge alle opere d'arte. E  tali concerti che a cranio possono costare come minimo 95 euro d'ingresso, a pro di chi vanno, briciole a parte,  se non, oltre che dei baronetti Elton e delle loro bands, di chi in Mantova, e fuori di Mantova,  è già popolo ben pasciuto e grasso?
Odorico Bergamaschi
Insegnante ora in quiescenza
Mantova, piazza dArco 6/f

0376 360396



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-Era l’anno 1470, il 22 ottobre, ed il marchese Ludovico II( Gonzaga )aveva di che  dolersi che il rivestimento pittorico della Camera Picta da parte del Mantegna che aveva iniziato l opera ben  otto anni addietro, fosse stato portato a termine solo per metà,  nella sola  parete settentrionale in cui aveva affrescato  la scena della corte. Restava ancora da dipingere la parete ovest, in cui  avrebbe dovuto figurare l’evento dal cui accadimento erano ugualmente trascorsi oramai 8 anni, l’incontro ,  a Bozzolo, avvenuto il 1 gennaio del 1462, dello stesso Ludovico II con il secondogenito Francesco ,  reduce da  Milano  fresco della nomina cardinalizia conferitagli  il   18 dicembre 1461 , e di cui era andato a gratificarvi gli Sforza per gli uffici interposti. L’evento, da cui forse ebbe origine l’ideazione stessa  della Camera Picta,  sanciva la legittimazione da parte del papato dell’autorità e del potestà dei Gonzaga sui territori del proprio stato,  della cui sublimazione in una temporalità umanistica la scena di corte è la celebrazione evocativa,  quale che sia l’evento a cui allude.  L incontro di Bozzolo  preludeva ad una investitura dei Gonzaga della stessa autorità religiosa sulla città, con la nomina di Francesco a vescovo di Mantova nel 1466, dopo esserlo stato di Bressanone. Ma era un accadimento oramai stagionatosi agli inizi degli anni Settanta del Quattrocento   e  smuovere il pennello del Mantegna e a sollecitare la ripresa del progetto originario cadde a proposito l’occorrenza di un evento analogo al suo  precedente di Bozzolo,  e di esso più ancora elettivo e mirabile, perché faceva seguito alla nomina dello stesso Francesco a legato in Bologna nel 1471.  Trattasi dell’incontro con  Francesco che ebbe sempre lo stesso Ludovico II, in Bondanello sul Secchia, il 22 agosto 1472,  di cui parla la Cronaca di Mantova dal 1455 al 1484 dello Schivenoglia. Tale incontro aveva rinverdito  e altresì  implementato  quello di Bozzolo,  in virtù della maggiore pienezza di poteri religiosi di cui si vi salutava il conferimento a un Francesco Gonzaga non più solo diciassettenne, come ai tempi della nomina cardinalizia. Tutto ciò  consentiva di aggiornare la ripresa del vecchio soggetto nella messinscena dell’incontro di Bondanello, con l’inserimento  in esso,  che vi siano stati realmente presenti o meno, dei componenti in più tenera età della famiglia gonzaghesca, come Rodolfo Signorini ci ha consentito di identificarli, insieme agli altri personaggi inscenati  E’ il caso  del fratello minore  di Francesco Gonzaga,  Ludovico , che gli tiene una mano,  raffigurato come già  ragazzo, mentre all’ epoca dell incontro di Bozzolo aveva solo un anno. Egli subentrerà a Francesco  quale vescovo di Mantova, e nella scena dell incontro di Bondanello  senza alcun anacronismo prolettico appare già nelle vesti di protonotario apostolico , il titolo che gli aveva appena  garantito il fratello cardinale. Insieme a Ludovico possono fare la loro comparsa  l’ancor più infantile  Sigismondo, nato nel 1469 e  figlio secondogenito di Federico, il futuro terzo marchese di Mantova,  pertanto non solo nipote di Ludovico che ne tiene la manina che gli porge, ma predestinato ad una carriera ecclesiastica che ne farà il successore quale vescovo di Mantova, dal 1511, dopo essere stato nominato ugualmente cardinale nel 1506,  non che Francesco futuro quarto marchese di Mantova, posto accanto a Ludovico II,  due  fanciulli, Sigismondo e Francesco, che all’epoca dell’incontro di Bozzolo non erano ancora nati. La realizzazione dell’affresco si protrasse fino al  1474, anno in cui la permanenza nei territori gonzagheschi sia di re Cristiano I  di Danimarca ( cognato di Ludovico II, in quanto aveva sposato Dorotea di Brandeburgo, sorella di Barbara moglie del  marchese di Mantova)-in tale circostanza ebbe a insignire  Ludovico II dell’Ordine dell’Elefante- che  di Federico  III imperatore, impegnatosi a suo tempo per l’elezione a cardinale di Francesco Gonzaga, diede l’occasione al Mantegna di effigiarli a coronamento dell’ investitura universale del potere politico e religioso  dei Gonzaga in Mantova,  come a sottolineare il legame con l'impero e il vanto per la parentela regale.



Così desumo e presumo che siano andate le cose, in concordanza con il Crowe, il Cavalcaselle ( 1871) e l’ Yriarte( 1901), ma così non vuole che si siano svolte la tradizione interpretativa poi invalsa,  che nella scena dell’incontro vuole che risulti rappresentato quello di Bozzolo, con tutti gli anacronismi del caso che ne risultano, a iniziare dalla presentazione di Francesco nel suo pieno rigoglio di adulto, mentre all’epoca dell incontro di Bozzolo non era ancora ventenne, e via seguitando per  ogni personaggio inscenato. Lo stesso Ludovico II appare più solcato di rughe nel cipiglio della fronte, e agli occhi, e l’orecchio ne risulta più floscio, che nell’episodio antecedente della scena di corte, pressocché coevo dell’incontro anteriore in Bozzolo. A tal punto sarebbe davvero dirimente sapere se l’investitura a legato in Bologna pontificio spieghi la  tunica  cilestrina di Francesco, già cardinale e vescovo, o la mantellina purpurea che vi è sovrapposta. Le mie  interpretazioni così delucidate sono pur sempre  solo fondate congetture. Ai critici d’arte di me più emeriti confermarle  o smentirle riaprendo il dibattito.





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Sullo Jus Culturae
demografico irreversibile della popolazione europea, per l incremento di quella asiatica ed africana, da cui dovranno giungere i nuovi lavoratori e i nuovi cittadini delle nostre comunità , cristiani e in massima parte islamici, che lo siano perché credenti o per identità religiosa, al punto che nel 2050 la popolazione europea si prevede che sarà per metà cristiana e per metà musulmana. Sono solo esorcismi vani securitari i blocchi degli sbarchi, gli ostracismi volti a impedire che abbiano voce ed espressione genti d’altre culture e religioni, in particolare gli islamici, con scritti ad esso ostili spesso solo diversamente antisemiti. A nulla serve, per metterne al bando i musulmani, ricercare nel Corano le sure più ostili agli infedeli, è un vano esercizio quanto la ricerca, da parte dei jiadishti islamici, dei passi non meno sanguinari che di certo sono presenti nella Bibbia, almeno nell’Antico Testamento. Non è la lettera che determina la lettura quanto gli intenti del cuore, come le circostanze e i tempi lo inducono a credere. Non è una  presunta islamizzazione dell’Occidente  che sta svuotando le chiese, mettendone in crisi miti, riti e misteri, quanto l’avanzata della modernità e del libero pensiero critico, che ove si diffonde sta facendo rovinare l’assetto teologico-politico tradizionale di ogni religione. Ducunt volentem fatum, nolentem trahunt, Il fato conduce colui che vuole lasciarsi guidare , trascina colui che non vuole, dicevano gli antichi stoici: il che non significa sottomissione o assimilazione preveniente, ma proprio per evitare tale dilemma, con lungimiranza creare le condizioni migliori per una convivenza degli uni con gli altri, che sia di illuminante fecondazione reciproca .La tensione a riguardo si sta arroventando ora in Italia intorno allo jus soli, in una sua forma temperata che ne fa uno jus culturale. E’ la forma primaria di integrazione universale cui si guarda in Italia da gran tempo, che si prevede per tutti i ragazzi di origine straniera che sono nati o giunti da bambini nel nostro paese e vi vivono, ne parlano la lingua, ne frequentano le scuole, di cui i genitori vi soggiornano regolarmente, con permesso permanente o di lungo periodo. Si dimentica da parte degli oppositori ostili ai musulmani perché ritengono che non siano integrabili nei nostri ordinamenti, che il Paese che secondo la stessa Oriana Fallaci meno dell’Europa avrebbe da temere di finire sotto il tallone dell’Islam, ossia gli Usa, ha uno jus soli assoluto, e che i musulmani residenti sul suo territorio vi sono talmente integrati che attualmente il 52% approva le stesse nozze di Lgbt. Quanto ai giovani musulmani che vivono in Italia, di seconda o terza generazione, la frequentazione delle nostre scuole e della nostra civiltà nelle sue forme umanizzanti, ha consentito che sempre più si estranino dalla mentalità integralista e antioccidentale dei loro genitori, che il fondamentalismo attecchisca tra di loro sempre di meno E’ negando loro la possibilità di sviluppare appieno il proprio senso di appartenenza alla nostra comunità, che li si lascerebbe invece più esposti, come estranei non voluti, proprio a quelle identificazioni con l’ integralismo terroristico che si paventano tanto, ( (anche a chiamare in causa il nichilismo che si radicalizza in islamismo, risulta flagrante che la reale disattivazione di ogni forma di nichilismo è la umanizzazione integrale della nostra società, in cui consiste la sua reale cristianizzazione). Se poi si considera storicamente quale pericolo di fatto abbia rappresentato per i nostri interessi nazionali l’ insediamento dei mussulmani in Italia, è da rilevare che da decenni non si verifica sul nostro territorio alcun attentato di matrice islamica, dopo quello di Fiumicino del lontano 1985, tra l’altro di matrice esterna e quanto mai dubbia, né si ha notizia di conversioni forzate, sul nostro suolo, di persone esterne alle famiglie già islamiche, mentre sono milioni nel mondo gli islamici che si convertono ogni anno al cristianesimo. La mancata applicazione dello jus soli, estendendosi a tutti i ragazzi stranieri che vivono in Italia, inoltre  non solo aggiungerebbe discriminazione a discriminazione per chi in Italia è di fede islamica, dato che al tempo stesso si seguita a negare piena libertà di culto, primariamente a molti dei 1.200.000 musulmani residenti in Italia che sono nostri concittadini, in violazione degli articoli 19 e 20 della nostra Costituzione. Accadrebbe, altresì, che pur di negare la possibilità di integrarsi grazie allo jus soli ai ragazzi islamici cresciuti in Italia, i quali secondo una rilevazione statistica recente della Fondazione Leone Moressa non sono più del 38,4% degli aventi diritto, non si concederebbe tale facoltà al 44% di bambini di origine straniera che sono di fede cristiana come ai figli di indiani o di cinesi o di sudamericani di varia appartenenza religiosa. Supporre altresì, che islamiche o cristiane che siano, le donne d’Africa indigenti pur di fare figli italianizzati con lo jus soli sia disposte a traversare per mesi e mesi , se non anni, deserti che sono covi di assassini, a rischiare di finire schiave o stuprate in lager quali quelli libici,  o la morte per acqua di imbarchi clandestini, significa ignorare con il senso della legge dello jus quello della realtà e della umanità. Temere poi che così si dia la cittadinanza italiana a nuove leve di violenti stranieri, è l’azzardo di ogni razzializzazione della violenza, che se consideriamo quella sessuale,  può  facilmente  esserci ritorta contro,  se si considera che solo il 7% degli stupri commessi in Italia finiscono denunciati , che sono consumati preminentemente tra le mura domestiche, e che spesso  vedono coinvolti chi più di altri dovrebbe esserne alieno. Queste sono le ragioni per le quali lo jus soli è una legge giusta in teoria quanto di fatto, la più forte e lungimirante misura di sicurezza protettiva che si può adottare oggi e in futuro, rispetto a tali nuovi italiani per formazione, sempre che si abbia fede e fiducia nelle ragioni espansive della nostra civiltà e delle sue credenze religiose, e nelle capacità superiori di intelligence e di discernimento delle nostre autorità e forze dell’ordine. 


Odorico Bergamaschi
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Quanto alle vicende giudiziarie del nostro Sindaco, l'affare Palazzi,
credo che la massima prudenza e discrezione siano d'obbligo per ciascuno di noi. Se gli avversari del nostro valente Sindaco, non la cittadinanza di certo, hanno modo di compiacersene fregandosi ambo le mani, magari con le affettuosita' del caso rivolte "al nostro Mattia", persuasi che sia oramai in loro balia o volga alla fine, lo facciano tenendo ben presente quanti di loro, se non loro stessi, possono essere caduti in concussioni simili a quelle che Palazzi e' accusato di avere solo tentato, o non vi sono incorsi solo per merito dell'altrui resistenza, vuoi nella loro attivita' professionale oppure nell'esercizio del loro mandato, purtuttavia essi finora facendola ripetutamente franca.
Invece le anime timorate che trovano inconcepibile la cosa ricordino che in situazioni sdrucciolevoli del genere tanto un si' quanto un no possono valere come l'espressione di un ricatto, e che non tutti siamo venuti al mondo tiepidi e votivi nella nostra carne. Se sono giustamente dure le sanzioni per chi compie certi crimini e reati di natura sessuale, e' perché e' di una forza dura a domarsi tale meraviglioso appetito tremendo che abbiamo nel sangue. Omnia vincit Amor, sempre che sia Amore quanto potrebbe disvelare quel memento del Sindaco, per la presunta vittima, che un'associazione quale la sua va avanti solo con il proprio consenso, e che lei deve dunque attenersi alle regole di cui gia' ben sa il tenore, un'avvertenza, pruriginosa o deontologica che sia, in cui non vorrei avvertire un certo che di Scarpia, e che non vedo come sia tranquillamente derubricabile a questione privata. Venendo cosi' ai supporters o fans a spada tratta del nostro Sindaco, trovo francamente inopportuna, se non inopinata, la fede che ripongono nell'impeccabilita' e infallibilita' dell'uomo, nella sua natura integerrima che non può avere compiuto nulla del genere, tale sorta di culto dei santi, d'altri tempi, che essi professano nella persona del nostro Sindaco. Tali attestati di stima temo siano in realtà una sorta di camicia di Nesso, pronta ad infuocarsi nel rigetto e nell'anatema, nella ripulsa e nella damnatio memoriae che si fa terra bruciata intorno al reprobo, la sua messa al bando, se le convinzioni innocentiste di molti di tali sostenitori si rivelassero infondate al riscontro processuale dei fatti; quando, pur se venisse appurato che Palazzi non sia stato al di sopra di ogni sospetto e che non abbia saputo resistere al tentativo di estorcere favori sessuali, egli resterebbe comunque un uomo degno assolutamente di stima nelle nostre considerazioni e relazioni. Resterebbe in ogni caso indelebile quanto di buono e di eccellente ha fatto per la nostra citta', tutto il suo lascito amministrativo, con la profusione di un impegno davvero ammirevole, insieme con i suoi limiti innegabili e indisponenti , quali la graniticita' delle certezze di ogni sua giravolta politica, altrettanto supponente e presuntuosa quanto refrattaria ad ogni critica, e nessuno di chi lo frequenta o conosce, di chi ha creduto nel suo operato e ne e' stato al seguito, avrebbe motivo di negargli il rispetto, il saluto, la frequentazione o l'amicizia.

Odorico Bergamaschi.
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E’ un gran bene per Palazzi e per la nostra città, che la sua vicenda giudiziale sia per ora  finita con un luogo a procedere, che  nulla di questa vicenda giustifichi che non gli si rinnovi la fiducia nel voto amministrativo, stando alle conclusioni concordi della Procura e dei Carabinieri,.E’ ad esse tutte quante che voglio attenermi,  di fronte  alla reazione a propria difesa della casta mediatico-politica che si e’ scatenata di conseguenza, per cui si e’ passati da una sguaiataggine colpevolista ad una sguaiataggine innocentista non meno riprovevole, a copertura del fatto che in termini extragiudiziali non c’e nessuno delle parti in causa che non ne sia uscito con le ossa bastantemente rotte,.e che in quel che e’accaduto non ci abbia messo abbondantemente del suo.
Ora la bufera si addensa sul capo di Giuliano Longfils, per l’ intervento  disinformato  di un Enrico Mentana quanto mai sopra le righe, a ruota di quello di un Pierluigi Battista indignato come non mai, ai quali ha fatto seguito quello di Paola Bulbarelli dettato nella sua tempistica soprattutto dalla convenienza a smarcarsi politicamente. In realtà la condotta di  Longfils non e’stata affatto grillina ma di ispirazione angloamericana, come lo e’ la sua formazione culturale e politica, ed e’stata  altrettanto subdola e infida quanto formalmente corretta ed ineccepibile.
Colpevole o innocente che fosse il sindaco Palazzi, il suo esposto giudiziario ne era già un impallinamento, e un sindaco dimezzato ad anitra zoppa e costretto a dimettersi per difendersi meglio era quanto Longfils si prefiggeva, come ingenuamente ha sventagliato anche in latino Ma e’ arduo ipotizzare che potesse agire diversamente, solo che avesse avuto un diverso modo di intendere che cosa significhi in politica essere un uomo d’onore nei confronti dei propri avversari, e sostenere che quanto di scottante era venuto in suo possesso avrebbe potuto rimetterlo al diretto interessato perchè mettesse giudizio, cosi risparmiandoci  tutto quanto ne e’ seguito, di cui avremmo potuto benissimo fare a meno. In fin dei conti, si sarebbe potuto arguire, v’era il sospetto di una concussione.solo tentata, non c’erano indizi di una condotta seriale del sindaco, e non si trattava certo di circonvenzione d’incapace. In realtà tale suo agire, assolutamente squisito, sarebbe stata mera omertà politica, come  disvela l'accusa  improvvida di delazione mossagli dal Battista  Ma mi sa che per  Longfils  “tutto nel mondo e’ burla”, come per il Falstaff  di Verdi, e cosi con egli passo e chiudo, come non ho modo di concludere diversamente in merito alla signora  Cinzia Goldoni. Quanto  invece alla signora Nizzoli, non so se si debba parlare di leggerezza o di stoltezza o di perfidia più unica che rara, come lo e’ di certo la sua incredibile  bellezza Solo meno di lei dalla vicenda esce infine malconcio  il Sindaco Palazzi: nell’ imprudenza delle sue avances avrebbe dovuto essere devoto  con più discernimento al credo renziano in ogni nuova tecnologia comunicativa. Anche un ragazzino illetterato di ultima generazione sa taroccare  messaggi, attribuendo alla ragazza che  lo ha appena lasciato parole compromettenti con il  suo nuovo boy friend. Non c’ e’ bisogno di azzardare congiure, se fosse stato vittima delle quali Palazzi uscirebbe da tali vicende ancor meno affidabile politicamente
Per gli stessi errori che sa di aver cosi’ commesso, per sua ammissione diretta a denti stretti, e come si desume dal fatto stesso  che ha invitato piu’ volte al rispetto pietoso  della sua privacy, trovo fuori luogo e sgradevole che i big del Pd e lo stesso Maroni siano accorsi  a proclamarne l ‘innocenza in ogni senso del termine, e smodati gli interventi a cui ho alluso di Mentana e Battista, come in una sorta di domino politico in cui chi e' della casta si soccorre a vicenda.Se poi  larga parte della cittadinanza benché.non sia affatto puritana e’ refrattaria a rubricare l’accaduto come un mero fatto privato, forse e’ perché la  propensione e la disponibilita che il Sindaco ha mostrato nel chattare con tanta insistita reciprocita’indiscreta con l’ex vice presidente di un’associazione privata, da cui tutto ha avuto inizio, non dimentichiamolo, non l’ha espressa  nell’aprirsi e nel  cimentarsi altrettanto,  nei termini che egli non voglia, o non predisponga, con la cittadinanza di Mantova ed i suoi esponenti,  nel dare conto vuoi all’ingegner Paolo Rabitti vuoi alle opposizioni  del suo operato, nel prestarsi a  critiche che possa ritenere sensate o degli apporti migliorativi, chiudendosi invece a riccio nel suo trigol magico o in che altro di autoreferenziale, ancor ora con rigenerata sicumera ed arroganza, invece  che con accogliente umiltà resipiscente. Piaccia o non piaccia dalla vicenda la immagine pubblica di Palazzi ne e’ uscita scossa, per cui sta ora ai  suoi elettori e sostenitori ed amici rinnovargli stima ed affetto con accresciuta maturità umana e politica,  consapevoli delle vulnerabilità del Sindaco che ne sono emerse,  insieme ai suoi pregi, evitando giustizialismi  o  innocentismi che siano a senso unico, o rimozioni dell’accaduto, e di quanto ne e’ emerso, che siano una sorta di verginity soap o di imenoplastica.  Si tratta di tagliandi, di sopra e di sotto, che e bene lasciare in tutto e per tutto al Cavalier Silvio.e a chi vuole ancora credergli. 

Bergamaschi Odorico
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Chagall a Mantova come sogna Palazzi? Benissimo, in se’. Solo che una  retrospettiva  bellissima  su  Chagall è stata giaà allestita  a Milano  nei non lontani 2014-2015,  e che una mostra autenticamente tale, che sia cioe’ di ricerca, per quanto io ne so da profano richiede che prima ne sia ideato il soggetto, auspicando che non sia la  mera  escogitazione di un presunto richiamo attrattivo, e che poi in ragione di esso siano ricercati i vari prestatori  di opere. Rifacendosi a un solo Museo si finisce invece per farsi dettare il menu della mostra da quel che offre l’istituto-convento, in tal caso la Tretyakov Gallery di Mosca. Ne sortiscono cosi’ per lo più mostre di rara bruttezza come quella su Van Gogh, sempre a Milano e in contemporanea con quella su Chagall, che fu desunta da quel che di Van Gogh e’attingibile dal Kröller-Müller Museum in Olanda, un cui riciclaggio sotto altre spoglie  e’stato imbandito piu’ di recente a Vicenza, con qualche capolavoro in aggiunta a fini propagandistici. In realta', come trapela vuoi dalla genericità propositiva della ispirazione di fondo- tre mostre in tre anni dedicate ai maestri della pittura del Novecento,- sai che genialata !- vuoi dalla peregrinità della proposta in concreto, -Chagall e il teatro-,  non che dai tempi di breve respiro dell’allestimento, la mostra  di Chagall a Mantova sembra obbedire ad una pianificazione di mero riempimento turistico, di mera e vana attrattiva commerciale, ad un input estemporaneo dall'alto del Sindaco Duca, piuù che  della società civile di Mantova quale città d'arte, di gusto e di cultura, nelle sue intrinseche istanze di valorizzazione partecipativa.
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Signor direttore,
Una mostra d’arte che non sia allestita con perizia, ed ampiezza d’ingegno, si presta a clamorose critiche ed inimmaginabili cadute di immagine, come la recente mostra di Modigliani nel Palazzo Ducale di  Genova , un allestimento di presunti capolavori  che si sono rivelati quasi tutti dei grossolani falsi, o si esporrebbe  a raffronti quanto mai impietosi,  che e’ il destino a cui rischia di andare incontro la  mostra su Chagall ed il teatro che il sindaco Palazzi vorrebbe riservarci per l’autunno e l’inverno prossimi, grazie a dei prestiti impolpati per bene della Tretyakov Gallery di Mosca. Gia’ mi sono espresso su tutta la microscopicita’ dell’idea di desumere una mostra dai prestiti di un unico museo,  una “nanoidea”  che rischia di rivelarsi ancor piu' lillipuziana, se nel contempo, a una distanza che e’ poca  nello spazio ma che concettualmente puo' apparire siderale, ne e’ reperibile una, di ispirazione consimile, al cospetto della  quale quella del Sindaco Palazzi sfigurerebbe come i falsi di Modigliani rispetto a cio’ che e' originale: mi riferisco alla mostra esposta nel Palazzo Magnani di Reggio Emilia, che presumo magnifica, “Kandinsky-Cage musica e spirituale nell’arte”, alla cui profondita’ di ideazione orfico-platonica  il sottoscritto soggiace ammutolito. Ne e’ il tema di fondo la  musica quale  modello delle arti figurative, come  in forme, linee e colori- innanzitutto nei suoi rapporti numerici proporzionali-, fu trasposta nell’opera di Kandinsky, Schonberg, Klee, Fischinger e spiriti affini.
 Sic stantibus rebus  meglio sarebbe, o potrebbe risultare una gran cosa, fin che si e’ in tempo, chiedere a tal punto il trasferimento autunnale e invernale a Mantova di tale mostra, in cio' che puo’ seguitare a permanerne esposto, tanto piu’ che essa  include delle opere del mantovano Giulio Turcato, magari arricchendola, come proprio apporto inventivo ,  con una sezione per l’ appunto su Chagall ed il teatro, desunta dalla Galleria moscovita, che finirebbe per vertere soprattutto su l’Uccello di fuoco di Stravinsky in termini splendidamente congruenti- il rapporto intessuto dall’arte pittorica dell’Otto Novecento con il teatro essendo essenzialmente una relazione con la musica di balletti ed opere, ne’ guasterebbe, eventualmente, un’ ulteriore sezione di gran fascino su De Chirico scenografo. Cio’ costerebbe solo ammettere i propri prestiti ereditari,  anziche' intestarsi cio’ che non e’proprio e ci trascende vertiginosamente.

Odorico Bergamaschi

Siamo alle solite. Il circolo La Salamadra presenta il 3 febbraio il futuro Gay Pride che si terra’ a Mantova il 16 giugno prossimo, ed il Pd cittadino non perde l’occasione per intestarselo, sia pure con qualche discrepanza rispetto a cio’ che fanno intendere alla nazione le sue liste elettorali, tra i cui nominati  ( si mormora da piu’ parti perche’ il Pd dopo le elezioni possa celebrare la propria unione civile con Forza Italia senza i fastidi arcobaleno di richieste di matrimoni ugualitari), non e’ stata di certo sollecitata o motivata a fare rientro la filosofa radicale Michela Marzano, ne’ sono stati ricandidati Logiudice dell’Arci Gay ed il fautore dei diritti civili Luigi Manconi, che solo in questi giorni e’ stato recuperato da Gentiloni come coordinatore dell’Unar. Ed e’ bastato che il Pd abbia egemonizzato  lo starting  del Gay Pride, perche’ le destre non abbiano perso un momento  nell’ invocare il controaltare di un Festival della famiglia riparatore o compensatore. Certo è già una buona cosa che esponenti autorevoli del centro-destra di Mantova, Lega inclusa, rifiutino ogni discriminazione di genere nel loro schierarsi per la famiglia che definiscono tradizionale, cosi’ riconoscendo implicitamente che anche quelle Lgbt sono famiglie, beninteso non tradizionali,  quali nuclei d’amore solidale. Cio’che a tali esponenti non dovrebbe pero’ sfuggire e’che il Gay pride e' un raduno affermativo di diversita’, mentre  i festival della famiglia di cui si ha conoscenza sono intrinsecamente discriminatori, le saghe persecutorie di partite di caccia alle streghe, ora di fattezze gender, intese a cancellare diritti civili e dignita’di esistenza pubblica a chi e’ Lgbt. Sono mine vaganti che prima o poi, nel loro fondamentalismo patriarcale, rischiano di far saltare per aria  l' insegnamento stesso della Bibbia cui si rifanno, dato che le Sacre Scritture continuamente denunciano una natura criminosa e criminogena delle famiglia, insieme ai suoi pregi non solo spirituali, solo che si considerino l'incestuosita' di Eva ed Abele, o di Lot e le sue figlie, la realta' fatalmente rivalitaria delle relazioni tra consanguinei che vi ricorrono, da Caino ed Abele giu ' giu', di patriarca in patriarca, fino a Giuseppe venduto dai fratelli, per non dire di Davide e Salomone, adulterino criminale l’uno e idolatra  poligamo l’altro, e ultimo ma non ultimo, per non tacere che autentico sfasciafamiglie fu Gesu' di Nazaret, con la sua chiamata degli Apostoli. che non ammetteva nemmeno che si indugiasse a seppellire i morti in famiglia. Magari, in concomitanza con il Gay Pride, si istituisse davvero un reale  convegno sulla famiglia, che affrontasse a piu’voci  le ragioni della crisi dell’istituzione familiare  e della denatalita'in Occidente, del welfare domestico di madri e nonni e badanti straniere,  del perche’di tanta violenza o impotenza o serpi in seno alle famiglie, considerandone’ le tipologie  tutte  che sono gia’presenti sul nostro territorio, quelle islamiche, africane, indiane o cinesi incluse,  che in modi diversi strutturano culturalmente  l’ inconscio dei residenti . Ed  a suggello di tutto, che senso ha parlare come il centro destra in nome  di  genitori  e figli, come se fossero o fossimo tutti eterosessuali e monogami ? Non e' gia' di per se'  il discrimine di una rimozione, la rimozione di quella che  potrebbe essere la propria  realta’ in famiglia?





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E scherzo, od e’ follia”, può accadere che in futuro non possa piu’ chiedersi ad Oscar  nel Ballo in Maschera di Verdi , se avesse un seguito la recente denuncia di ogni travestitismo teatrale da parte del Popolo della famiglia, onde non  suscitare tra gli spettatori adolescenti turbative gender di alcun genere . E’ un grido di  allarme lanciato su queste stesse colonne di giornale dal suo esponente itinerante Massimiliano Esposito,  traendo spunto dalla rappresentazione teatrale “ Suzanne”che e’   andata in scena il 18 febbraio scorso allo Spazio Sant' Orsola a Mantova, in quanto metteva in scena come sia successo che in tempo di guerra un uomo si sia travestito da donna per sottrarsi all’arruolamento. E con il Ballo in Maschera, nemmeno più Nozze di Figaro di Mozart con un Cherubino mezzosoprano,  il Fidelio di Beethoven, o il Rosenkavalier di Strauss, a rischio e’ il nostro  stesso Rigoletto, con Gilda che esce dal sacco vestita da uomo, figuriamoci  !  Quanto al cinema, poi, scordiamoceli A qualcuno piace caldo, o  Tootsie, o Mrs Doubtfire, mammo per sempre, e chi più ne ha più ne indichi. Dimenticavo: soprattutto non udiremmo più le arie per i castrati  che furoreggiarono nella Roma della corte pontificia dal 1562 almeno fino al 1903, e che di li si diffusero per tutta Europa,  particolarmente dopo che  per il divieto di Papa Sisto V, del 1588,  a che le donne si esibissero in teatro, tutti i ruoli femminili furono affidati a degli uomini travestiti,  dei castrati fin da bambini, se dovevano primeggiare nel teatro musicale o nei cori delle voci bianche della Cappella Sistina.

Odorico Bergamaschi febbraio 2018


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Se a quanto pare, per l’amico ed ex collega Longfils tutto nel mondo e’ burla, come per il Falstaff di Verdi, cultura ed intelligenza, che ha sopraffine, dovrebbero avvertirlo che da tale sua idea della vita e’ bene che una buona volta preservi le  istituzioni in cui opera, graziandoci di una contro revoca della cittadinanza virgiliana concessa a suo tempo a Mussolini.  Già tale revoca di per se’ e’ una forma di antifascismo da pochade, che per certi suoi colleghi di opposizione ha già richiesto fin troppo dispendio di tempo e di denaro, consiliari : perché tirarla più ancora per le lunghe, sotto il solito ammanto di pretese ragioni legalitarie? E’ una melina che serve solo  a mostrare quanto si sia a corto di idee propositive, se non si ha altro di più serio da criticare o a cui pensare,  screditando tutta quanta l’opposizione al  proprio seguito, proprio  come la stessa revoca della cittadinanza virgiliana a Mussolini ha mostrato tutto il fiato corto di tale antifascismo da establishment, quando piuttosto si sarebbe dovuto evitare di lasciare la piazza solo alla Boje, contrastare le interferenze di Forza Nuova nell’operato di certi nostri sacerdoti, e raccogliere contro l’intimidazione pubblica, da parte del solito manipolo di skinheads, di un’assembea in Medole ch’era consensuale con  le ragioni di una nostra scrittrice italiana di origini marocchine, Chaimaa Fatihilo stesso sdegno che ha suscitato un’ identica incursione in Como. Meglio sarebbe se Longfils, quale edotto insegnante di inglese in quiescenza, invece di ritornare sulla revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini  sollecitasse che si onorasse finalmente post mortem , con qualche convegno, quella gloriosa del nostro concittadino Seamus Heaney, premio Nobel della letteratura, e senza forse il più grande poeta in lingua inglese della seconda  meta’del secolo scorso, alla stregua  delle care memorie dei nostri Giorgio Bernardi Perini, Gianfranco Maretti, Enzo Dara. (!8  febbraio 2018)

 

Odorico Bergamaschi

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A Guidizzolo non vi sara’mai una moschea islamica”,  sicuro del fatto suo comunica alla Voce di Mantova  il sindaco del borgo, Meneghelli, in risposta alla richiesta  di un suo concittadino mussulmano  di poter adibire a centro islamico di studio e preghiera una abitazione in disuso nella frazione di Rebecco.  Cosi’dicendo pare che il primo cittadino di Guidizzolo ignori che il referendum del 4 dicembre 2016, soprattutto con il voto delle forze del centro destra, Lega inclusa, ha confermato in vigore come presso che’ immodificabile  l’attuale nostra Costituzione, inclusi gli articoli 3, 7, 8, 19, 20, 21, 117 comma 2 lettera C, che riconoscono a  tutti il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume, il cui senso del pudore potra’ magari essere  violato  da qualche santo jain digambara, vestito d’aria, non certo da adepti islamici, che di tutto possono essere sospettati tranne che di assenza di decoro. In tali articoli si prescrive solo che gli statuti di tali religioni non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano,  senza fare alcun riferimento a limitazioni che possano essere addotte  per  motivi  di sicurezza o di ordine di pubblico. Ragion per cui il sindaco Meneghelli può legittimamente chiedere che anche i non islamici abbiano diritto di accesso a tale luogo di culto e di preghiera, che chi vi predica sia un imam qualificato dalla sua conoscenza e dal rispetto della Costituzione italiana,  ma non puo’ minimamente negare l’apertura di una centro congregazionale ad alcun rito confessionale, tanto meno se ad avanzare tale richiesta e’ un nostro concittadino musulmano, cosi’ come, sempre per restare attinenti ai fatti di casa nostra, il sindaco Palazzi non può cavarsela  in merito dicendo che sia una richiesta come un’altra,  quella dei mussulmani di Mantova di avere almeno un luogo di riunione e di culto in via Torelli.  L’uscita laconica di Meneghelli in termini giuridici e’ dunque squisitamente sovversiva del nostro ordinamento costituzionale, cui ha giurato fedeltà, e costituisce un’asserzione priva di qualsiasi lungimiranza, quale che sia stato l’esito delle nostre elezioni. In Italia 300 .000 nuovi pensionati ogni anno non vengono più sostituiti nel mondo del lavoro, e di questo passo, se sara’ di fede musulmana almeno un terzo di chi per le nostre stesse esigenze  economiche  emigrerà in Europa,   stando a quanto e’ prevedibile, le moschee dovremo costruirle noi, a nostre  spese, tanto più’ opulente quanto più i musulmani, come fecero i cristiani delle origini nei confronti del paganesimo, facendo erigere basiliche, avranno pur diritto di rifarsi, architettonicamente, di quanto a lungo siano rimasti clandestini  nelle catacombe dei nostri garages.

Odorico Bergamaschi febbraio 2018 

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Odorico Bergamaschi

Non potrò votare il 4 marzo.Votassi voterei Liberi e uguali. I limiti di Leu sono evidenti, più che una formazione politica, più che un’espressione della società civile, e’ ancora una lista che accorpa apparati di partito e uomini di opposizione, di sinistra, tenuti insieme più dall'ostilità a Renzi che da una critica, con il senno di oggi, di ciò di cui il Renzismo e’ un derivato tossico, ossia la illusione in una terza via che cavalcando la globalizzazione potesse realizzare le aspirazioni e gli ideali progressisti di giustizia, uguaglianza e libertà. Ma Liberi ed Uguali raccoglie il meglio, certo difforme, del ceto politico di sinistra che e’ intenzionato a rimanere fedele ai propri valori non retrospettivamente, in forme sovraniste, nazionalpopuliste e anti europee, come Potere al Popolo, ma a partire dall’unificazione irreversibile del mondo prodotta dalla globalizzazione, dalle potenzialita’ e dalle contraddizioni che essa ha creato, prima di tutto in termini di disuguaglianze, pur se la globalizzazione ha elevato le condizioni di moltissimi degli ultimi della terra, al tempo stesso che ha peggiorato quelle dei nostri incapienti. Con Liberi e uguali credo che si possa operare realmente una politica lungimirante, senza dunque assimilarsi alla globalizzazione liberisticamente ne’ demonizzarla apocalitticamente, ne’ recedere nei confronti dei migranti che saranno i nuovi cittadini e lavoratori dell’Italia e dell’Europa, piaccia o non piaccia, dalle prospettive di una società aperta e inclusiva, interculturale e interreligiosa ,che attuino appieno il dettato della nostra Costituzione, avendo con gli articoli 10,19,20, quanto a chi e’straniero e di religione diversa da quella cattolica, l’articolo 1 e l’articolo 9 come vettori primari, quanto alla salvaguardia ed alla rigenerazione del lavoro e del nostro patrimonio artistico e ambientale, valore finale assoluto non mercificabile Tenendo sempre presente, come bussola, quanto e vero più di quanto non crediamo, che”occorre lavorare per gli ultimi per migliorare tutti”.
Odorico Bergamaschi Lettera redatta  il 1  marzo 2018 
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Rocambolesco, grottesco, funambolico Renzi! Si e' da lui chiesto il voto utile contro il pericolo massimo per la democrazia di un governo M5S- Lega, e invece di trattare per evitarlo, fischiettando confida e poi smentisce che se ne andrà a sciare. E gli interessi che intendiamo difendere? O conta di più' il tornaconto della propria bottega partitica? Era alla fin fine tutta una messinscena del teatrino della politica la drammatizzazione del pericolo leghista e pentastellato? La politica e' forse rendere pan per focaccia abbassandosi al livello del proprio avversario, del nullismo insolente di una opposizione pregiudiziale e negativa, sempre a prescindere, qual e' stata quella goliardica, indecisa su tutto e senza discriminanti di sorta dei 5 stelle? Chi ci capirebbe noi di sinistra e tornerebbe indietro? Lo vuole forse l'onore, dopo tante ingiurie grilline d'ogni sorta ? "Sono venuto al mondo per essere calpestato", dice il Gesu' del Silenzio di Shusaku Endo-Scorsese .E i politici di professione lo sono per far politica. In Germania la decisione o meno di aderire alla grande coalizione, ossia sulle sorti della legislatura entrante, e' stata demandata dal Partito socialdemocratico ad un referendum di tutti gli aderenti , non e' stata avocata a se’ da un segretario dimissionario, per tenere vendicativamente sotto scacco l’intera legislatura successiva al suo mandato. Tanto, venga Di Maio, venga Salvini, che ha da perdere l' establishment del Pd.?

Odorico Bergamaschi,
sostenitore di Liberi e Uguali
 Lettera redatta  il 1  marzo 2018 
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 Smarcamenti Signor Direttore,
prima che abbiano inizio le schermaglie della nuova  legislatura  mi si consentano alcuni smarcamenti  dall’opinione corrente sull’ultimo esito elettorale. a) La sconfitta cruciale e la fine della Sinistra non e' avvenuta il 4 marzo. Le aveva dato gia' scacco matto la presa del potere del Pd ad opera di Matteo Renzi, che ne e' stata l'asfaltatura. Il Pd dopo il job act, la resa sui migranti e sullo jus soli e' a tutti gli effetti una forza di centro destra ,nella sua linea politica e nei suoi valori. b) Il 4 marzo ha segnato piuttosto la disfatta ulteriore del cattolicesimo democratico e la sconfitta politica in Italia come gia' nell' Europa continentale e dell’Est del Papato di Francesco. Il cedimento delle gerarchie vaticane sulla linea Minniti e' stata la resa fatale, pur se di fronte a una marea montante inarrestabile. Papa Bergoglio non e' riuscito a convertire al cristianesimo della Parola del Vangelo un cattolicesimo sempre piu' identitario, nazionalista, xenofobo, razzista, degno erede del cattolicesimo anticristiano di Benito Mussolini, assimilabile al Corano di Erdogan, piu' che al messaggio evangelico, quanto alla stessa difesa della famiglia tradizionale. c) Lo scontro reale e' stato tra due populismi di palazzo (il berlusconismo, il renzismo) e due populismi di piazza : e chi di populismo ha ferito (Pd) , di populismo e' perito. Per populismo, e' bene sintetizzarlo, intendo ogni fiction politica, quale che ne sia la coloratura , della contrapposizione di un popolo onesto e virtuoso,  esente da sfruttamento, mafie, evasione e corruzione, ad una elite o casta inguaribilmente corrotta, e nell'arengo internazionale la messinscena dell'antagonismo tra tale popolo nazione, sola fonte legittima di ogni investitura di potere, tendenzialmente diretta e plebiscitaria, ed ogni potere sovranazionale, demonizzato come il sito tentacolare della piovra del capitalismo finanziario. d) Volge al tramonto e si sta sotterrando la grandiosa civilta' liberaldemocratica uscita dalla sconfitta dei totalitarismi nel corso della seconda guerra mondiale, dall’istituzione dell’ Onu e dalla Dichiarazione dei diritti universali umani, come dagli ordinamenti costituzionali delle nostre  democrazie. Nell'illusione di arginare cosi' l'avvento dei populismi dal basso, i populismi dall'alto li hanno assecondati oramai a tal punto da avere dato corso essi stessi agli ordinamenti di nuovi regimi reazionari di massa, secondo la definizione che Togliatti diede dei fascismi, con i loro campi di concentramento dei migranti,i nuovi ebrei, gia' esternalizzati in Turchia o nel Nord Africa. e  la loro nuova estetica discriminatoria del decoro urbano. Tale civilta' e' declinata per effetto della globalizzazione stessa che ha promosso, che ha terremotato la dominazione imperialistica neocoloniale su cui si fondavano i benefici stessi che essa assicurava, pace e welfare in Occidente .La globalizzazione e l’unificazione del mondo che ha prodotto sono ora  il convitato di pietra  dei populismi di piazza semivincenti: questi non sono che retroutopie che mirano a restaurare velleitariamente e illusoriamente una situazione antecedente alla globalizzazione. Il loro sovranismo nazionalista li assimila allo stesso Potere al Popolo, veterocomunista, nella narrazione di quanto sia andato da allora perduto nella redistribuzione dei redditi e delle sorti, non perch
éil mondo da allora e' cambiato , nella sua giungla competitiva e nei rapporti di forza, ma solo per quanto si avrebbe antagonisticamente e moralmente ceduto.                
 Lettera redatta  il 26  marzo 2018
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Signor direttore

 

Per il tramite delle colonne della Voce di Mantova,   mi consenta che chieda al giovane Simone Segna,  quanto alla sua sentita  esecrazione apparsavi lunedì scorso, 16 aprile, di come la cultura scivoli via ai nostri amministratori,  di farmi ora ben capire in argomento: forse che il nostro Polpatelli avrebbe dipinto i suoi desolati vecchi, e il nostro  Domenico Pesenti  l’adorato nipote Azzurrino,  al solo fine di  essere “redditizi” in futuro, parole sue, e le loro opere varrebbero per  quanto  potere e prestigio territoriale conferiscono? E secondo la sua panoramica storica dei Gonzaga, da fiction televisiva medicea, Gianfrancesco I si sarebbe fatto effigiare da Pisanello a puro beneficio dei suoi beneamati sudditi   dell’umanità futura,  nient’affatto per mera vanità egoica e per la gloria dinastica,? Né si saprebbe ancora né come, né perché,  la  celeste Galleria dai magnanimi Gonzaga, tutti spirito e arte,  sia finita inopinatamente svenduta? Ed alfine, sarebbe forse un mero caso e non già l’effetto di una loro estero-maniacalità plurisecolare, foriera  delle fregole  odierne acchiappa esterni di grido, se sotto di loro, a corte,  fatta salva l’eccezione di Giovan Battista Bertani,  l ‘ingegno locale ne è  uscito  talmente depresso che ne è  sortito al più qualche Andreasino? Ma per venire al fine politico di tale parata agiografica, sarebbe al fin della licenza  una non meglio precisata sinistra radical chic, alla quale se è la compagine culturale di Tomaso Montanari e spiriti affini sono ben fiero di appartenere, che avrebbe svilito il valore umano e di umanizzazione  dell’arte del passato, al netto di tanta vanagloria così obliterata? In realtà, pur  alla luce  di una visione dell’arte in pompa magna che resta del tutto in superficie rispetto alla “tragica gioia” (Yeats) che l’ispira, infarcita delle idealizzazioni ed incongruenze suaccennate, quello che di vero e di giustificato in toto  si evince dall’ intensa e bella  filippica di Segna, è  piuttosto  la denuncia dell’identico paradigma che in  politica  culturale accomuna il PD, spacciato ancora come la  Sinistra che ne è stata annientata, alla stessa forza Italia  cui  egli  dichiara di appartenere,   ossia è la deprecazione degli assessorati e delle deleghe alla cultura che la riducono al solo mondo della civiltà del turismo e dello spettacolo, a tutto quanto è di incasso e di successo, e che solo in tali termini è di un certo interesse e valorizzabile. Si tratta di  una visione dei beni culturali che ai piani alti ministeriali, da  Melandri e Urbani, e quindi Bondi, si è trasmessa fino a Galan e  Franceschini, e che a quelli più bassi la giunta Palazzi ha desunto finanche con il copia e incolla da quella Sodano, proponendo una medesima cultura di corte elargita dall’alto dal  Principe duca,  di cui i cittadini sudditi   non  sono che dei fruitori digitali. Ne è proliferata una serie di orrori nostrani che dall’oscena mostra sui ritratti di Virgilio, “ poeta romano”, e dagli idrovolanti Mantova- Como, ai tempi del leghista Chizzini, si è propagginata fino alle isole di Ocno e alla sola  sesquipedale di Eat Mantova, tutta fondata sul falso a suo tempo di successo di una cucina mantovana che fosse la  stessa sui deschi e i tavolacci di Principi e Popolo, con buona pace del nostro Stefano Scansani e del suo  capolavoro sul nostro effettivo e nient’affatto”mangiare cattivo”. Trattasi dell’accaparramento funesto  della cultura e dell’arte quali  mere risorse da sfruttare,  quali giacimenti petroliferi da cui estrarre a fiumi fior  di quattrini, di cui già a suo tempo  trasecolava  il socialista De Michelis, a tutto vantaggio dei transatlantici  sospingentisi fino in vista del   Palazzo Ducale di Venezia, o per restare a noialtri e’ “la Mantova da vendere” a destra e a manca di cui svalvolava a tutta randa  il nostro sindaco Palazzi, prima di rinsavire in merito e non di poco nella sua  versione aggiornata. Certo, così si è evidenziato solo il nesso connettivo in negativo delle politiche culturali delle due amministrazioni poste in discussione, al netto di quanto di buono hanno pur operato, a sostegno e supporto di fondazioni o associazioni e confraternite varie, ben di più, o troppo di più, quella di Palazzi che quella di Sodano, a imparziale onore del vero. Pur se spropositando di Sinistre  oramai fantasma, comunque  ben venga che a  denunciare l’acquiescenza della politica del Pd alla civiltà del turismo e dello spettacolo  sia  un giovine sostenitore di Forza Italia, tuttora di ferrea  proprietà di Silvio Berlusconi  quanto lo è Mediaset, ben sia, tanto più  che per tale bisticcio di interessi ci si trova di fronte al classico bue che dà del classico cornuto al classico asino, pur con tutte le ragioni che il primo ha da vendere, se la stessa Modena democratica  eleva in tempi di Daspo a suo cittadino onorario Vasco Rossi.  E’ questo comune stravedere per concertoni che lasciano il tempo che trovano,  per mostre mercato e feste di gala nel Palazzo Ducale o in quello della Ragione, ridotti, grazie anche ad Assmann , a bei  contenitori espansi  per  ogni sorta purchessia di visitatori e di  acciabattati turisti, e’ in breve dire questo comune credo nella panacea turistica,   che spiega la sottomissione oppositiva del centro destra nostrano alle vedute megaloturistiche del Sindaco in corso, con il quale tale centro destra come non può non essere d’accordo, criticando soltanto quanto Palazzi resti  distante da tali obiettivi da incubo.  Pare di sentirlo, il  centrodestra, in controcanto,  decantare il  modello che sarebbe invece di una virtuosità esemplare della Verona di Tosi e ora sboarianiana, di cui nei dì feriali  tutte le chiese principali  restano chiuse al culto per garantirne l’accesso ai turisti, dove è stato un gioco da ragazzi svaligiare dei suoi tesori pittorici il Museo di Castelvecchio, mentre  ai più che la visitano si prospetta in futuro,  “maravegia de le maravegie”,  nientepopodimeno che  il  museo dell’Amore da Giulietta a Federico Moccia. Tutto questo, in  spregio alla nostra  Costituzione che tutela come nessun’altra al mondo  il patrimonio artistico e ambientale nazionale , all’articolo nove dove si recita a chiare lettere che i beni culturali  sono un  valore finale e non merce strumentale.

Odorico Bergamaschi
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Grande sotto il cielo, giunti a tal punto, pare lo spiazzamento della giunta Palazzi quanto all’ inceneritore ProGest . Personalmente, proprio perche sono radicalmente ecologista, mi sono sempre messo una mano sulla coscienza, ad ogni diatriba ambientalista, chiedendomi se non la ispirasse un qualche fondamentalismo verde inquietantemente reazionario ,  pregiudizialmente ostile alla modernità industriale quanto  tenacemente sordo ad ogni necessità di assicurare  lavoro, magari fino al punto di agitare paure di sradicamenti comunitari, che potrebbero  risvegliare spiriti  sopiti  di Foreste  nere. Ma la partita dell’inceneritore  ProGest da attivare  a Mantova, ed a tutti i costi, dopo che e’ stato rigettato per ogni altra cartiera del gruppo,  oramai si sta giocando a parti invertite, per la sagacia degli oppositori e l’ oscura miopia del Sindaco Palazzi che ad essi seguita a contrapporsi. Nuove tecnologie di recupero e riuso dei rifiuti della cartiera,  lungo  le filiere  di  un’economia e di un’edilizia circolare, giocano esse,  in luogo della solo loro combustione robotizzata, a favore della industrializzazione  e dell’occupazione più estesa ed avanzata  nel nostro territorio, non che in primis della sua salubrità e della salute di cittadini e residenti stranieri, e convolano a nozze  con le prerogative e la vocazione di fondo della nostra città, quale capitale d’arte, di  gusto e di cultura nei secoli dei secoli. Non solo,  sono tali scelte ad integrarsi e a non confliggere con lo spirito che anima gli intenti rigeneratori più meritori della nostra giunta attuale,  in virtù di Mantova Hub o del  risanamento dei nostri laghi. Che senso avrebbe , altrimenti,  sulle sponda opposte a quelle dove l’inceneritore ammorberebbe  ad oltranza  il clima della nostra città, proporre l’istallazione dei laboratori di neurobiologia vegetativa di Stefano Mancuso, dell’idrocoltura delle cui serre galleggianti,  e della esplorazione dei suoli dei cui robot plantoidi,  la salubrità dell’ambiente è una condizione e una finalità  primaria? Se non  quello di sbandierare uno spirito amministrativo  green washing, ben tinteggiato di verde, buono solo a mascherare le proprie compromissioni con gli interessi più  letali  alla cittadinanza di Mantova ed  alla sua armoniosa civilizzazione ?

Odorico Bergamaschi ( Lettera risalente al 12 aprile 2018)



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Odorico  Bergamaschi

Egregi redattori ( della Gazzetta di Mantova)
 data la riemergenza   del caso Palazzi,  a tal punto credo che sia indispensabile e doveroso che la Gazzetta di Mantova faccia conoscere ai suoi lettori per filo e per segno, integrandone le lacune con un approntamento degli atti giudiziari,  il contenuto dell’articolo  Sesso, ricatti e potere, Quella strana confessione,  apparso sul Fatto quotidiano il  25 aprile, scorso,   se e’ bastato a suscitare  non solo il pronunciamento immediato contro il Sindaco, per le sue dimissioni,  di 5 consiglieri d’opposizione ,  ma cosa più ancora  sorprendente , il pronunciamento  in coro  del resto dell’opposizione,  Grandi compreso,  a sostegno della    indiscutibilità della moralità del nostro Primo cittadino e del suo proscioglimento.
Odorico Bergamaschi

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Egregio direttore,( Si tratta del direttore della Gazzetta di Mantova)
In nome della stessa libertà di stampa Le chiedo  che il suo giornale informi la cittadinanza dei contenuti dell’articolo Sesso, ricatti, e potere, Quella strana confessione, pubblicato sul fatto quotidiano il 25 aprile scorso, che verte  sull’ archiviazione  dell’ipotesi di tentata concussione sessuale ai danni della signora Nizzoli, che si rileverebbe nei messaggi chat con lei intercorsi del nostro Sindaco Palazzi. Esso ha provocato l’insorgenza contro il nostro primo cittadino di 5 consiglieri di minoranza , e da essi, per contraccolpo, una presa di distanza della restante opposizione che più timorata non poteva essere, senza che nulla sia pervenuto alla nostra opinione pubblica dei motivi di tanto sopito sconquasso. In chi lo legga, è impensabile che l’articolo  non sollevi inquietudine, se non  sgomento, in un dibattersi di interrogativi  a cui perché ciascuno se ne faccia una libera opinione sarebbe bene che  possa  risalire il lettore del Suo giornale,  magari integrando il testo dell’articolo con atti giuridici documentali. In esso ci si interroga infatti su come si sia potuto archiviare il tutto da parte degli organi inquirenti,  qualora essi fossero stati a conoscenza  che il Sindaco Palazzi non avrebbe consegnato il cellulare con cui aveva chattato con Elisa NIzzoli, e che un altro dispositivo sarebbe subentrato al precedente, sottratto alle rilevazioni delle indagini o da esse scomparso, che  avrebbe  smesso di dare segnali di vita proprio dopo che l’esposto era stato notificato o era divenuto noto al Sindaco. In esso ci si chiede altresì come la magistratura possa avere archiviato il caso a seguito delle dichiarazioni rese dal nostro primo cittadino, se dalle sue  deposizioni e intercettazioni in   possesso  degli inquirenti risulterebbe  che non sia stato in grado di saper rispondere di quel che  abbia fatto nelle circostanze delle e-mail incriminate . In esso ci si chiede   inoltre  come la magistratura abbia potuto archiviare il caso, qualora   fosse stato  per la confessione della Nizzoli  di avere taroccato dei messaggi del Sindaco, quando la stessa non  avrebbe mai smentito che si insinuassero tentativi di  concussione nelle avances di costui, e nella intercettazione di una sua telefonata al suo fidanzato che  era agli atti,   a questi avrebbe  confidato che  il  nostro primo cittadino   ci avesse tentato sia come Mattia Palazzi sia come Sindaco di Mantova, il che  può indurre a pensare che in  quella confessione la Nizzoli non abbia detto il falso senza dire il vero. E altro ancora vi si riporta, di cui preferisco tacere. Tale resoconto glielo chiedo, Signor  direttore, senza alcun intento di macchinazione, ma come libero cittadino che vuole restare tale.

Odorico Bergamaschi.
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Al Fatto quotidiano Mantova 7 maggio 2018


Gentili redattori,

desidererei poter contattare Davide Milosa per dirgli come stanno le cose in Mantova  dopo il suo coraggioso articolo sul sexgate che coinvolge il  Sindaco  Palazzi.
Ciò che posso anticipargli è che non se ne parla e non se ne vuole parlare, che anche i 5 consiglieri di maggioranza che hanno chiesto a seguito dell’articolo le dimissioni del sindaco si sono guardati bene dal mettere in  discussione pubblicamente l operato della magistratura e la credibilità della confessione di Elisa Nizzoli La mia richiesta alla Gazzetta di Mantova che si desse conto in termini non scandalistici del contenuto dell’articolo  ove si  mostrava sconcerto per  l’archiviazione del caso, non è stata pubblicata ed ha trovato risposta in un articolo quanto mai scomposto del direttore, che non mi chiamava in causa ma che era un chiaro avvertimento indiretto  a non rompergli le scatole in nome della libertà di stampa .  Sono un ex insegnante in pensione,  di sinistra, sulle posizioni di Tomaso Montanari, risiedo a Mantova e vivo  senza niente e nessuno alle sue spalle che lo muova o lo difenda  Di altro vorrei  parlare direttamente e a carte scopertissime  via mail o face book con Davide Milosa.
Con i miei più cordiali saluti
Odorico Bergamaschi
Lettera risalente al 18 aprile 2018

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Mi si consenta una breve disamina dell’ arte di Domenico Pesenti, ora che si è conclusa la grande mostra al Museo Diocesano sulla sua opera pittorica. In essa,” il padre della pittura mantovana del Novecento,” si è riproposto come  rappresentante insigne di un’epoca che in tutte le arti fu di transizione, dalla tradizione classica alle avanguardie d’inizio  Novecento (si pensi in tal senso ad un architetto che percorse per intero tale parabola come Otto Wagner).  Fin dagli esordi  accademici Pesenti  è straordinario in ciò di cui meno ricerca l’insegnamento e necessita, nel ritratto e nella resa  dei dettagli . Il rifiuto al contempo  di andare a Milano a scuola dell’Hayez  è  già quanto mai significativo di un rifiuto precoce e definitivo della pittura storica, magniloquente e monumentale, della sua opzione invece  per un sermo humilis nel linguaggio e nei contenuti espressivi,  per una pittura di interni, prevalentemente ecclesiastici,  di scene di vita popolare  e domestica, quotidiana anziché epica. In essa egli  è  fedelissimo alla tradizione figurativa  nella sua resa magistrale di prospettive esaltate da effetti  di luce particolari, e  lo è ancor più nella sintesi compositiva di insieme. Ma in tale sua attinenza fino al limite del bozzettistico a  ciò che  dettava il bello stile figurativo, oltreché,  particolarmente durante il periodo fiorentino, a ciò che esigeva il mercato di vedute, era all’opera fin dagli esordi una resa dei particolari di un’innovatività assoluta, con  accenni luministici mirabili  di stoviglie e cucine e lavatoi o rigovernature, con tratti scomposti di pennello alla stregua degli  arruffii di piume di gallinacei da cortile, ( ad esempio ne “Il pollaio),  per come stenografava con una pittura di tocco cori di chierici,  vetrate o tribune di cantorie, incisioni di lapidi o scritture di codici e messali, profili di cornici lumeggiate e rilievi di colonne in sale di gallerie d’arte. Ciò dà origine già negli anni settanta a opere splendide,  quando  tale resa del dettaglio viene dilatata a visione pittorica più complessiva o globale ( vedansi allora la cucina eccezionale della  “Lettera alla famiglia”, dentro un bozzetto di genere che più oleografico non potrebbe essere, o” La bottega del falegname”,  di una monocromia che fa tutt’uno con la  delineazione prospettica del tratto pervasivo e delineante di pennello. Di ritorno a Mantova e trascesa ogni descrittività  esteriore , pur se resa con bravura di tecnica encomiabile, le tragedie degli affetti familiari, straziati da perdite, il distacco depressivo dalle domande di mercato e dalle urgenze del mondo, tanto più quanto è incalzante il disagio economico, lo orientano in tal senso  ad essenzializzare e ad astrarre sempre più  il quadro in pura resa  di luce e colore. Tale ricerca avrà sempre più il sopravvento sul soggetto figurativo e la sua logica d’impianto,  vuoi  elevando ad elemento primario  ciò che davvero interessa il cuore e lo sguardo, lo sfondo del cielo o la materialità in primo piano  di ciottolato e binari, ( in” La massicciata della ferrovia Mantova Monselice”, o” Il Ponte di diga Masetti”), vuoi  privilegiando i notturni, per come le tenebre dei vicoli di Mantova agevolano il disfacimento formale degli edifici e delle tarde presenze  in effetti di luce e di ombra intenebrantisi , oppure su carta vetrata frangendo in sfavillio e crepitio di luce i macchinari del’ industria pesante. Sarà infine, a dare compimento al suo oltrepassamento della sintesi figurativo-prospettica  di luce e colore in una sintesi pura di luce e colore,  la volta suprema delle marine e dei laghi di Mantova: le loro vedute, dopo che nella “Morte della Vergine” del Mantegna furono raffermate  in un lividore serale del 1462, conosceranno l’ inizio di una somma fortuna novecentesca  proprio negli eccelsi esiti estremi di Domenico Pesenti : strisce di luce e colore, di cieli e terra e acqua. che preludono all’arte stessa di Rothko, come precorrono Morandi le ciotole o i trepidi caseggiati notturni di Pesenti. In essi, come nei suoi tardi ritratti, quelli più  velati, aleggia un senso della realtà oramai fantasmatico, la  cui  manifestazione primaria è  nei ritratti post mortem dell’amatissimo nipote Azzurrino. Quello di collezione privata esposto in mostra è un capolavoro assoluto. L’arredamento interno è altrettanto realistico, di un realismo che è ottico,  nella resa luminosa dei dettagli materiali dei mobili lignei, quanto stavolta innovativa e irreale  e’ la stessa composizione  del loro rassemblement simbolico, secondo una poetica che evoca il Pascoli della Tessitrice: e al centro di tutto,  Azzurrino è tanto teneramente bambino quanto trascende la residua realtà terrena di Domenico Pesenti,  nel richiamo al suo al di là eterno, nell’ ora presente, del lancinante dolcissimo vaghissimo sguardo.
Odorico Bergamaschi
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Signor Direttore
L’annessione del Museo Archeologico Nazionale a quello del Palazzo Ducale di Mantova,  che  i nostri ministeriali, Assmann in primis, hanno avvalorato come il comporsi di un unico Museo straordinario della città, dalle sue origini più remote  sino ai nostri giorni, è di fatto un inglobamento al mero fine di ridurre i costi della gestione e dei servizi dei due Musei, a  spese innanzitutto dei custodi che vigilano ogni giorno  il nostro più prezioso patrimonio artistico e ne accolgono i visitatori. Non solo: rappresenta la logica fine consequenziale del  progetto che ha snaturato in poco più che un Museo civico, incentrato sul passato più antico della nostra città,  una collezione che le sole due sale espositive iniziali prefiguravano un tempo  come una ben più splendida raccolta archeologica territoriale. In sintonia purtroppo con il paradigma municipalistico  e turistico della intera nostra politica cittadina, il Museo  da rassegna dell’archeologia del territorio mantovano, la sola dimensione che potesse conferire ai suoi ritrovamenti una vasta risonanza culturale,come era stato per il Forcello e come è ora per la Tosina  di Mozambano, è stato rifocalizzato dapprima sull’attrattiva di successo del ritrovamento dei presunti “amanti del Valdaro”, sul conto dei quali  e’ stato lasciato intendere che fossero un unicum, quando già erano venuti alla luce gli amanti di Hasanlu, in Iran, correva allora l’anno 1970, e, ironia del destino, altre bisome sarebbero state ritrovate a ruota in Turchia e nel Peloponneso;  e non ci si è sintonizzati su quanto eppure rivelano al visitatore gli stessi pannelli adiacenti, dicendoci che i corpi appaiono intrecciati nelle loro ossa solo a seguito di un rammollimento dei tessuti. Si è poi pensato bene di destinare l’intero primo piano, ed ora anche il secondo,  ai reperti di una fittizia  Mantua Città Romana,  al cui impianto nel nostro territorio il corso degli eventi sarebbe stato  predestinato  fin dalla preistoria. Dico fittizia perché Mantua non fu mai civitas, a tutti gli effetti,  né romana che per annessione e subordinazione, bensì “oppidum”- ovverosia un  sito fortificato, “dives avis”, ricco di antenati, ci dice Virgilio, “sed non genus omnibus unum” , ma” non tutti di un’unica stirpe”, ossia  “capitale di popoli”,  Etruschi di Tarquinia con ecista  leggendario Tarconte o Umbro Sarsinati con Ocno quale ecista ancor più  mitico, proveniente da Bologna Felsina e prima ancora da Perugia (come vuole  Elio Donato, scoliasta di Virgilio ),  giuntivi in una o due colonizzazioni successive, non che popolato di  Galli Cenomani , e Veneti, al più romanizzati, se ci si attiene ai caratteri mitico storici di Mantua, che Virgilio fissa come sua permanente realtà identitaria ancora ai suoi tempi . Mantua fu  romana né più né meno di quanto fu austriaca Mantova sotto gli Absburgo,  a volere avere rispetto delle testimonianze di  Plinio  il Vecchio, di Servio,  ulteriore commentatore virgiliano, di quelle indirette di Aulo Cecina e di Verio Flacco raccolte dallo Scoliasta Veronese, e al postutto della vigorosa affermazione  conclusiva  di Virgilio,   presumibilmente etrusco egli stesso, ( da Maru, . una carica sacerdotale etrusca, potrebbe aver  desunto il titolo di Marone, ed  in quanto tale nelle Georgiche celebrerebbe l’ Italia come Saturnia tellus),  in cui esalta quale  fu di Mantua il nerbo reale, “Tusco de sanguine vires”, ( Eneide X, 198-203), entro i suoi “muros”- un termine che come  oppidum potrebbe rifarsi  esso stesso, secondo Varrone,  alla natura eminentemente  etrusca della fondazione di  Mantova, etrusca a tal punto che da Manth, dio etrusco, signore dei morti del pantheon tirreno, avrebbe desunto lo stesso suo nome ( secondo l’etrusco Aulo Cecina, fervente amico di Cicerone) .  Tali  asserti di Virgilio  suggellano un suo  tragitto mitico-poetico intenzionato  al superamento della propria estraneità originaria al mondo romano- nelle Bucoliche I  e I X egli   spregia come  barbaro, e  straniero,   i veterani di guerra cui sono assegnate le sue terre dall’autorità romana – il cui iter si adempirà  solo con  la riconduzione della stessa romanitas, per il tramite di Enea, alle medesime origini etrusche mediorientali  del  sommo poeta. Quand’anche, ad essere concessivi, i versi dell’Eneide fossero celebrativi  di  Mantua romanizzata  lo  sarebbero di essa quale  capitale di popoli multietnica e multi religiosa, sempre che implicitamente non costituiscano  piuttosto  un’asserzione limitativa di quale fu l’apporto  italo-romano a Mantua etrusca . Non si dimentichi che la stessa tribus Sabatina di Mantua potrebbe essere di origini etrusche ( Palmucci). Ne  sortirebbe un ridimensionamento della sua romanitas e della sua estensione, autorizzata dallo stesso Virgilio nella prima Ecloga ove dice che  Roma  sta a Roma “quantum lenta solent inter viburna cupressi (I, 25), oltreché dal celebra passo di Marziale ( “Tantum magna suo debet Verona Catullo, Quantum parva suo Mantua Vergilio) (Epigrammi Liber Xiv 195), ove i termini di un raffronto chiastico sono la grande Verona di un Catullo minore e la  piccola Mantova di un virgilio maggiore, non ché . dalla marginalità in cui Mantua rimase rispetto alla via Postumia, E tale ridimensionamento avverrebbe  a tutto vantaggio di quella degli insediamenti rurali in villa, il che può trovare  conferma nella localizzazione effettiva  dei  resti di maggior pregio artistico, e valore culturale,  esposti in mostra quali reperti mobili di Mantua Romana. Essi sono stati ricondotti ad essa surrettiziamente sotto la dicitura Mantova fuori di Mantova, benché non pochi  di tali cimeli siano stati ritrovati ben oltre i confini dello stesso Agro Mantovano,  ad esempio  quelli di San Giovanni del Dosso o di Schivenoglia. ( In tale dolente   transvalutazione, a detrimento dei reperti di Mantua vera e propria, se si eccettuano un anello digitale e una gemma incisa, va ahimè incluso   lo stesso   monumento a edicola Sarsinate, di lavorazione Cisalpina, di cui né la  Menotti né la Giordano poterono tacere nei loro scritti i vistosi  limiti scultorei). Tali annessioni  improprie , sortite dallo svisamento del carattere originario del museo quale museo archeologico del territorio mantovano, coinvolgono la stessa sezione funeraria, in  cui i reperti postumi longobardici seguitano ad essere  ascritti nelle diciture cubitali  sempre a Mantua,,  laddove per lo più risalgono a Sacca di Goito.   Culmine  di tale distorsione travisatrice, è che in nessun pannello del piano terra  compare il termine  Etruria, che l’espressione “Cisalpina” è solo geografica,  né vi si fa riferimento ad alcuna fonte di quelle summenzionate, se si eccettua un trafiletto su Virgilio,  e che  nessun apporto  fotografico o grafico o multimediale  rimanda alle ville rustiche  extra moenia, e ai loro scavi, quale diversivo del contesto urbano romanizzato  Nel frattempo, dopo la grande  mostra espositiva sul Forcello di cui si è persa anche la memoria storica,  rimanevano e  restano tuttora in giacenza  nei depositi della Soprintendenza migliaia  di reperti del sito, che il parco archeologico del Forcello non può  esporre perché sono proprietà dello Stato, i quali  fino agli anni antecedenti il restauro  del Museo non avrebbero goduto dei confacenti  spazi espositivi che poi si sono offerti. Il Forcello etrusco è così rimasto confinato in una vetrinetta e mezza, al primo piano superiore,  adiacenti a quella di una Mantua etrusca originaria che vi rimane del tutto  irrelata  con  quella successiva d’epoca romana.  Tali  reperti del Forcello si sono conservati come la sola  testimonianza, nel Museo Archeologico Nazionale,   di un insediamento che ai suoi tempi era stato  non meno fondamentale dell’ oppidum di Mantua, e  il cui ritrovamento è quanto dell’archeologia mantovana è entrato in tutti i libri in argomento di storia antica. Esso aveva raccordato  le rotte fino all’ Egeo e al mondo greco – orientale con i traffici con i popoli d’Oltralpe continentali, e dell’Etruria transappennica, via Bologna, di cui si avvalse lo stesso  abitato etrusco sorto nel sito che fu  poi quello di Mantua,  i cui reperti non sono meno pregevoli di quelli  del  municipio romano successivo. Purtroppo  ebbe a dire invano il  sovrintendente Gambari : “Non si spiega Mantova se non si parte dal Forcello. Era un porto su una penisola del Mincio nato attorno ai commerci etruschi. Venne distrutto dai Galli, che occuparono il territorio circostante. Mantova, molto più difendibile, ne ereditò il ruolo, costruendosi l’immagine di città. E ora non può essere Capitale della Cultura senza considerarne anche il territorio e senza valorizzarne il fondamentale rapporto con gli Etruschi».   E quanto agli scavi archeologici recenti dell’Alto Mantovano, niente, di pervenuto in sede, della stessa Tosina di Monzambano , che  potrebbe rivelarsi secondo il dire dei più il sito neolitico più importante dell’Alta Italia, niente che ci ragguagli in merito anche solo grazie a dei pannelli illustrativi, per salvaguardare l’autonomia del Museo Archeologico dell’Alto Mantovano di Cavriana. Solo una  ricollocazione, e niente più, di reperti da sempre in mostra che sono tra i più splendidi che esistano delle civiltà dei Celti Cenomani, quali quelli delle tombe di Carzaghetto e di Castiglione delle Stiviere, essi sì,  di valore assoluto
Come una pianta epifita che cresce sull’albero su cui si insedia fino a togliergli la vita,  Mantua romana ed altomedioevale hanno finito  così per parassitare e marginalizzare espositivamente l’archeologia del territorio mantovano che ne era la linfa vitale, e che di Mantua  spiegava imprescindibilmente  le stesse origini e la multietnicità; ed il Museo archeologico Nazionale anziché farsi l’hub di tutte le realtà museali del territorio mantovano, che senza operare alcuna centralizzazione, in sé deprecabilissima, attingesse ai loro depositi e scavi per rinviare ai Musei periferici un  visitatore che mai altrimenti ne avrebbe raggiunto lo splendore di cimeli e reperti, è divenuto nei suoi pregi residui un  civico Museo archeologico, buono al più, secondo i  viaggiatori di trip advisor che sono il target reale del suo restyling, per starci dentro non più di qualche decina minuti,  sempre che  l’ingresso sia gratis; a parte i fatidici Amanti, nessun reperto, o cimelio “imperdibile”, che tali turisti rammemorino nei loro post, laddove non mancano di elogiare con gratitudine  la gentilezza e la cortesia estrema del personale.

Odorico Bergamaschi Lettera inviata il 27 maggio 2018
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Eccoli di nuovo in coppia Rebecchi e Palazzi, in prima pagina nei giornali locali, che non paghi di avere sistemato già 420+42 camere di videosorveglianza  in tutta la città, record italiano assoluto,  nei giardini Nuvolari si prefiggono di installarne altre 14 in autunno, più 27 lampioni entro la fine del mese , ripromettendosi di impiantare altri 10 occhi elettronici sul lungolago. Così, tanto per non lasciare il  suo mestiere a  Salvini,   dicono ” ridaremo i giardini ai cittadini”, come se non lo fossero anche i residenti stranieri nella nostra città, o non fossimo tutti residenti stranieri su questa terra in cui siamo di passaggio, e con la destra  leghista il duo di  sceriffi pare più che mai lanciato all’inseguimento del fine  congiunto di un occhio elettronico e di un  crocefisso in ogni luogo pubblico, una body cam per ogni docente e addetto alle poste. Peccato che lo stesso giorno si legga sulla Gazzetta di Mantova di un tentato stupro in un sottopassaggio  lungo la via ciclabile per  Cerese. Chiedo: oltreché sugli autobus Apam, in ogni scuola di ogni ordine e grado, incluse quelle d’infanzia, in ospedali e gerontocomi, non  dovremmo adesso  istallare videocamere di sorveglianza  in ogni sottopassaggio e lungo tutte le ciclabili del territorio comunale?  In realtà i due non sembrano rendersi conto di quanto le  destre ne tirino i fili con  compiaciuto  dileggio e disprezzo,  per il semplice fatto che più si rafforzano  tali sistemi di difesa ,  la cui validità è relativa,  più  aumenta il senso di insicurezza percepito, e il centro destra potrà giocare ancor più al  rialzo della posta,  come sta già facendo con la proposta di istituire” i guardiani dei parchi “.E il senso di tutto ciò?  Non già una lotta al crimine che sia  efficace, che è questione troppo seria per essere materia strumentale di tale continuo spot,  e  che tra l’altro nelle sue forme  più repulsive, lo stupro, si consuma dove più ci si crede al sicuro, tra la  mura domestiche, per mano di familiari, conoscenti,  persone di fiducia, ma la perdita della  vita libera, che è rischio, avventura,  accettazione della  nostra finitezza,  del pregio della nostra fragilità e vulnerabilità,  magari a causa dell’imponderabile di un ramo che si spezza ( Stefano Mancuso), il tutto per la follia paranoica  della pace  cimiteriale anticipata di un ordine pubblico nazificato.   L o spettro totalitario del Panopticon di J. Bentham, -già ne parlava Michel Foucault-, soggiace alla  superficiale presunzione  amministrativa di aver trovato in sempre più  occhi elettronici e fari luminosi la chiave di soluzione unica dei problemi di sicurezza,  vivibilità sociale,  riscoperta del volto della nostra città, sensatezza del viverci qui e ora,  
Odorico Bergamaschi  ( Seconda Versione)
Eccoli di nuovo in coppia Rebecchi e Palazzi, in prima pagina nei giornali locali, che non paghi di avere sistemato già 440 videocamere in tutta la città, record italiano assoluto,  nei giardini Nuvolari si prefiggono di installarne altre 14 in autunno, più 27 lampioni entro la fine del mese , ripromettendosi di impiantare altri 10 occhi elettronici sul lungolago. Così, tanto per non lasciare il  suo mestiere a  Salvini,   dicono ” ridaremo i giardini ai cittadini”, come se non lo fossero anche i residenti stranieri nella nostra città, o non fossimo tutti residenti stranieri su questa terra in cui siamo di passaggio, e con la destra  leghista il duo di  sceriffi pare più che mai lanciato all’inseguimento del fine  congiunto di un occhio elettronico e di un  crocefisso in ogni luogo pubblico, uno body cam per ogni docente e addetto alle poste. Peccato che lo stesso giorno si legga sulla Gazzetta di Mantova di un tentato stupro in un sottopassaggio  lungo la via ciclabile per  Cerese. Chiedo: oltreché sugli autobus Apam, in ogni scuola di ogni ordine e grado, in  ospedali e gerontocomi, non  dovremmo adesso  istallare videocamere di sorveglianza  in ogni sottopassaggio e lungo tutte le ciclabili del territorio comunale?  In realtà i due non sembrano rendersi conto di quanto le  destre ne tirino i fili con  compiaciuto  dileggio e disprezzo,  per il semplice fatto che più si rafforzano  tali sistemi illusori di difesa,  più  aumenta il senso di insicurezza percepito, e  più il centro destra potrà giocare al rialzo della posta,  come sta già facendo con la proposta di istituire” i guardiani dei parchi “.E il senso di tutto ciò?  Non già una lotta al crimine che sia  efficace, che tra l’altro nelle sue forme  più repulsive, lo stupro, si consuma dove più ci si crede al sicuro, tra la  mura domestiche, per mano di familiari, conoscenti,  persone di fiducia, ma la perdita della  vita libera, che è rischio, avventura,  accettazione della  nostra finitezza,  del pregio della nostra fragilità e vulnerabilità,  magari a causa dell’imponderabile di un ramo che si spezza ( Stefano Mancuso), il tutto per la follia paranoica di una pace  cimiteriale anticipata di un ordine pubblico nazificato.   Lo spettro totalitario del Panopticon di J. Bentham, -già ne parlava Michel Foucault-, soggiace alla  superficiale presunzione  amministrativa dei nostri  di aver trovato la chiave di soluzione unica dei problemi di sicurezza. vivibilità sociale,  riscoperta del volto della nostra città, sensatezza del viverci qui e ora,   in sempre più  occhi elettronici e fari luminosi

Odorico Bergamaschi

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Signor Direttore,

Bene  le  trascorse Trame Sonore e il nuovo Festival letteratura, restando in devota attesa, tra le continue feste di corte del Sindaco Duca,  delle mostre di Chagall e di quella di  Annunciazioni varie del solo Tiziano e reperibili nella quadreria locale,   per metterci anche noi  in  coda pur di vedere l’” imperdibile”. Spiace solo che in tale stato dell’arte occorra  restare in attesa del 2019 per la  sola attività culturale che abbia una parvenza di ricerca ,  quella mostra  su Giulio Romano che viene  tuttavia  assumendo sempre più i  connotati  inconcludenti dell’Azione parallela di Musil, come lascia immaginare Baia Curioni , al recente grido di “Non più mostre di grande richiamo”.  Intanto, mentre di convegni non se ne parla nemmeno, si seguita a prendere per le solite buonanime sciocche cittadini e visitatori , con  il propinare loro delle mostre che sono  eminentemente degli eventi spot,  propagandati  ai quattro venti prima ancora di disporre delle idee e delle opere  occorrenti, certamente buoni per farsi pubblicità come Sindaci ad ogni andirivieni moscovita  procacciatore, nonché in anteprima in conferenza magna,  con il bel risultato, però, per dirla in dialetto, che la mostra “ la nas in na suca e la fnis in an suchel” . Così la mostra su “Chagall e il teatro” è diventata una non meglio definita Marc Chagall come nella pittura, così nella poesia, così intitolata per incartapecorare insieme i teleri del Teatro ebraico da Camera di Mosca e le opere di Chagall  di un collezionista mantovano, e la mostra su Tiziano e Richter deve fare a meno del suo stesso  “clou”,  delle cinque  Annunciazioni , a raffronto,  che Richter ha desunto da quella in San Rocco a Venezia del Tiziano (  detto tra noi  una meraviglia il cesto da lavoro della Madonna, la quaglia e il melograno, ma quell’Angelo Annunciante ci fa una  figura  “ pomposamente decorativa” ( Pallucchini 1969)). Se ne duole forse Baia  Curioni, che il museo di Basilea gliele abbia negate? Si chieda piuttosto chi oserebbe affidare cose di pregio a mani quali le sue, dopo aver constatato come  per Mantova città dell’arte e della cultura 2016, che era  un’occasione più unica che rara per fare conoscere all’universo mondo la pittura mantovana del Novecento, non abbia trovato di meglio che esporla  al faceto nell’allestimento  di Quadri di un ‘esposizione di Arienti mostrandone  a sghimbescio,  in festoni da chiosco,  gli originali di cui è custode, in tutta la  gioia  gloriosa o la  bellezza del dolore innocente che può tracimarne? E chi non si deciderebbe per un bel no categorico, irremovibile, una volta aggiornatosi sul video prodotto per il Gay pride nelle stanze dei Giganti, di una stupidità  trasgressiva imperdonabile,  al cospetto di un  Palazzo Te che può ben vantare il titolo di monumento più licenzioso  dell’arte occidentale?
Come prestare ancora  fede a ogni asserito intento della Fondazione di Palazzo Te, quando  il  fresco proclama  sovranista  “ll Palazzo te ai Mantovani “, fa seguito  a una  processione serale commovente  di nostri concittadini tenuti in piedi per ore e ore  solo per una visione fugace,  non più  di qualche secondo, di  alcuni soltanto dei quadri della raccolta civica d’arte che Lor Signori non sono stati ancora in grado di mettere in piedi . Di certo per porre rimedio a tale rimediata magra, quanto a Tiziano e Richter, ci voleva tutta la compiacenza di un  direttore ugualmente Franceschini-ello come quello del Museo di Capodimonte di Napoli,  che sembra considerarlo alla stregua di una sua  collezione privata, se il nostro Baia Curioni ha potuto ottenere in prestito l ‘Annunciazione del Tiziano che vi è ospitata, al solo accenno  invitante“ Va, prenditi quello che vuoi di quel che vedi esposto”. Sono questi i contrattempi  cui si  va incontro, senza poter più fare marcia indietro,  se tali grandi eventi, anzi grandissimi, prima ancora di essere concepiti e di aver preso tutti gli opportuni accordi, sono preceduti da tutta una serie di annunci pubblicitari uno più sensazionalistico e roboante dell’altro, dopo di che ogni ritirata è  preclusa, e la voce deve ancora più intonarsi  all’ Evento fenomenale, al grido nientemeno  “il Futuro della cultura passa per Mantova”  per coprire la  scarsa racimolatura dei più pallidi intenti.




Odorico Bergamaschi

Signor Direttore,
 Comunque la si pensi dei promotori politici del referendum per la Grande Mantova, sta di fatto che sono mesi che ogni giorno li si vede da mattina a sera in Piazza Mantegna impegnati a raccogliere le firme occorrenti,  per cui non è davvero  il caso di sollevare  dubbi sulla credibilità e serietà dei loro intenti. Tanto è vero che   coloro  che li additano come dei critici poco attendibili dei nostri poltronai,  sono gli stessi che non mancano di rilevare che  i promotori del referendum hanno suscitato l’ostilità nei loro  versi degli   apparati della partitocrazia e delle baronie locali. Si dà infatti che partiti quali la Lega, e il Pd, puntualmente inseriscano la Grande Mantova nei loro programmi elettorali, magari fino dai tempi di Vladimiro Bertazzoni Sindaco,  ma che poi i loro eletti puntualmente si rimangino tutto,  al solo rendersi conto che con l’avvento della grande Mantova chi dovrebbe decadere dal maneggio e lasciare gli incarichi sono proprio loro. Sta in questo l’arcano che spiega perché  aspettare ancora che la Grande Mantova si formi dall’alto è scherzo od è follia, e l’iniziativa deve essere suscitata dal basso.
Coloro che parlando proprio nell’interesse di questi potentati amministrativi,  rimproverano ai promotori  “ perché ora e non prima?”, non tengono poi conto di come che la situazione sia  divenuta  d’emergenza, perché  oramai Mantova , con buona pace di coloro che ne enfatizzano ori e tesori e finiscono per farne un outlet turistico, per il suo numero esiguo di abitanti  sta perdendo ora anche il Provveditorato degli Studi, dopo avere già  cessato  per tale ragione di essere sede della Banca d’Italia, della Motorizzazione, dell’ Azienda Territoriale Sanitaria, della Cisl, della Uil, della CIA, dell’ARPA, e dell’ALER. Solo il più radicato localismo mentale  può inoltre suscitare polemiche perché tali promotori andranno raccogliendo firme alle fiere delle Grazie e di Gonzaga,  giacché  non considerano che in gioco è il ruolo di Mantova come effettivo Capoluogo di una nostra provincia che sia sempre meno periferica, in vista dell’Area Vasta con Cremona.
 Forse,  muovendosi solo con i loro mezzi e senza sostegno di partito, i promotori del referendum  hanno commesso errori evidenti,  chiedendo di sottoscrivere per il referendum senza  che abbiano esplicitato una propria visione di una grande Mantova futura,  e che si siano affidati ai media locali per comunicarne i vantaggi indubitabili, ma ciò che è innegabile è la tempestività e l’opportunità dell’iniziativa. Un referendum è l’occasione imperdibile perché dal confronto obbligato con lo stesse forze del No, tra i favorevoli alla Grande Mantova dei diversi schieramenti emergano le concezioni  strategiche che  quanto ad essa ancora latitano, tanto più che oramai incombono le prossime elezioni comunali di cui volenti o nolenti sul  tema della Grande Mantova,  comunque vadano le cose,  si incentrerà il dibattito politico. Coloro che liquidano la grande Mantova  come un  bluff  ignorano che il principale competitore del Sindaco Palazzi sarà presumibilmente Gianfranco Burchiellaro,  il quale  in un suo recente libro di notevole interesse che ne anticipa la discesa in campo, Tra le pietre e la palude, ha ben chiarito che la Grande Mantova sarà il suo cavallo di battaglia, lo spartiacque tra innovazione e conservazione, su cui si gioca per lui l’alternativa” tra una  città festa di corte per pochi, e una città del lavoro, dell’ambiente e della cultura per molti”,  e che in merito a tale referente ideale  obbligherà i contendenti a cimentarsi nelle loro  idee di città  e progettualità alternative . Sì dunque al referendum, con la propria firma,  per aprire un grande dibattito reale  sulla Grande Mantova futura.
Odorico Bergamasch Lettera inviata il 13 luglio 2018,


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L’ampliamento a via Calvi, via Bertani e  strade traverse della zona a traffico limitato, mi sembra davvero che sia  positivo, se serve ad allentare la pressione automobilistica sul Centro turistico, Ztl, nonché su quello storico più ampio,  magari in combinato disposto  con la  chiusura dei parcheggi ” a raso “ in piazze quali quella d ‘Arco e di San Giovanni, magnifiche, che insieme con quella dei Filippini facciano seguito a  Piazza Alberti.  Si tratterebbe di provvedimenti che  fanno  appello ad una Grande Mantova  in cui dislocare  parcheggi esterni, dal 1994 risultando scarsamente praticabile l’opzione di interrarli in  Centro città. Che lascia  però perplessi è ciò in cui  potrebbe consistere  tale ampliamento:  sempre più movida turistica  e plateatici d’intralcio lungo i camminamenti,  la cui concessione a bar fracassoni del resto non è obbligatoria?  Per giunta nell’area- memoriale  della nostra Comunità ebraica?  In materia maggioranza e opposizione sembrano scontare  una visione scarsamente  critica del turismo,  la cui potenza devastante può essere chiarita a partire da un esempio quanto mai  rasoterra. Un  mio amico in face book,  grande scrittore di libri di viaggio,  di ritorno dalla Croazia non ha  voluto perdere l’occasione di fermarsi una seconda volta a Mantova, trovandola ancora una volta bellissima.  Alla richiesta di dirmi brevemente il perché,  mi ha risposto che è stato attratto da Mantova in quanto è una città piccola che non ha perso  la sua particolarità. Peccato che il  turismo che vi si fa attecchire sia come i banyan in India,  una pianta epifita parassitaria che nel proliferare a detrimento di quella di cui  si alimentò il suo seme,  la  fa sparire  fino a strangolarla tra i fusti delle sue radici pensili,  ingigantendosi ad albero-foresta di dimensioni immani. Ecco, la linfa della pianta ospitante da  cui trae vita il  seme del banyan che la strangola, sono arte e cultura ed impresa. Fuor di metafora,  se l’intero centro storico, al  pari  di quello  già  turistico, nel suo stesso arredo   viene  destinato ad  un restyling e ad un decoro eminentemente  ad uso e consumo dei turisti,  prima ancora che alla soddisfazione dei bisogni primari e di sviluppo umano dei suoi abitanti,  compresi i residenti stranieri,  anche quando si voglia far credere di recuperare Mantova nel suo più  tipico aspetto,  la si fa così diventare come non è mai stata e come sono tutti gli altri centri storici del mondo occidentale, stesse tinteggiature e stessa illuminotecnica,  con sonorità, luci, plateatici, totem mostruosi di coni gelato, invasivi ad ogni decibel e piè sospinti, e  perderà proprio la sua particolarità che la rende attrattiva secondo il mio amico,  sopravvivendo al più come un outlet turistico, alla permanenza nel quale i visitatori già preferiscono di gran lunga  i bread and breakfast fuori porta.  Con  il che ribadisco le ragioni  di una Grande Mantova, in cui preservare la piccola Mantova dalla sua inflazione turistica, sicché prima ancora che bulimica acchiappa turisti sia innanzitutto, per i suoi cittadini e visitatori agguerriti,  città d’arte, di gran gusto e di cultura,  distretto all’avanguardia di conoscenza e di economia circolare, fondata sulla salubrità del suo meraviglioso habitat  quale condizione e fine  delle sue attività d’ impresa .


Odorico Bergamaschi agosto 2018

Un consiglio al sindaco Palazzi  per quando il 7 settembre  dovrà incontrare il Ministro ai Beni culturali Bonisoli: non insista più di tanto sulla Domus  di Piazza Sordello, se proprio non può lasciar perdere la cosa. Per inestetica che sia, la Domus non è un vespasiano come dice la canea conformista più conservatrice della nostra città, e con pannelli o vetrate a specchio  riflettenti, allestendo  all’interno piante o dimezzando  il muro  di cinta, si può limitarne l’impatto su una Piazza Sordello che tutto è tranne che  uniforme, senza aprire un altro oneroso buco  di spesa solo per rimediare, con una terza istallazione ex novo,  a reiterati errori di giunta che sono stati  bipartisan Ben più orripilanti, a dire  il vero,  sono le sagome nere a dismisura dei palchi rock che vi si allestiscono. Chieda, piuttosto, al ministro,  che grazie al nuovo bando di concorso siano  aumentati  i custodi del Palazzo Ducale, che sono solo  57  invece dei 78 contemplati in organico,  quando una volta erano un centinaio. Ciò lo richiede il rispetto stesso del visitatore, che ha tutto il diritto di  transitare e sostare in  quanti più ambienti possibili del Palazzo Ducale, in luogo di vedersi invece chiuse le corti o le sale e gli studioli e rifilare l’annessione  al Palazzo Ducale del Museo Archeologico Nazionale, da  Museo  del Territorio  Mantovano  retrocesso a Museo dell’urbe di Mantova, con tutti i falsi svianti del caso.  Le oscenità cui porre riparo , mi creda, sono altre che la Domus, e la prima  di esse è che per un solo giorno di chiusura extra tutta  la città si sia messa  contro i custodi del  suo patrimonio artistico,  i quali si  sentono  addossare dai turisti anche le colpe della disorganizzazione,  e mancata informazione,  su che cosa del Palazzo resti visitabile o meno.
Odorico Bergamaschi 26 Agosto 2018




Lettera redatta il 26 agosto  2018
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Leggo di una mostra in Cremona, “ Il Regime dell'Arte. Premio Cremona 1939-41”, di un’altra “Novecento “in Forli , di un’altra ancora  in Milano, “ Post Zang Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-43”, della fondazione Prada,  tutte ispirate ad arte e propaganda nel  ventennio del duce. 
 A  garanzia del fatto che non si tratterebbe di mostre fasciste,  o addirittura fascistissime, si adduce che sono promosse da amministrazioni del Pd, curate  da uomini  sempre del  Pd, vicini alla stesso Anpi. Ora non mi va di fare il censore, in nessun caso e per nessuna ragione, preferisco attenermi alle testimonianze e alle  lezioni spirituali dei martiri  del nazifascismo e del comunismo, al senso durissimo della poesia di chi ne è stato vittima  come  Mandel’stam o l’Achmatova, piuttosto  che  a quello  funambolico di pittori fuoriusciti  come Chagall,  e lascio discettare ad altri se oramai i tempi siano così neri, e la civilizzazione  amministrativa democratica che dovrebbe far fronte al neofascismo sia così assimilata ed  assuefatta, talmente acritica e aproblematica, da non lasciarci più scelta, anche nella cultura civile, che tra due diversi tipi di regime reazionario di massa , quello  di marca Salvini o quello di marca   Macron. 
 Dico soltanto che qualche dubbio insorge  sulla accortezza e  sugli anticorpi  in grado ancora di resistere  degli organizzatori delle mostre, nell’azzardo di  sbrigliarsi, anche così, a non lasciare il fascismo ai fascisti, illudendosi ed illudendo di  contrastare meglio  così facendo  xenofobia e razzismo di sovranisti e populisti,  se si pensa che il titolo primario della mostra di Forli era a lettere cubitali “ DUX, gli anni del consenso”, e che la dicitura iniziale  della mostra di Cremona  è un motto e il titolo di un volume di Hitler ( “ il Regime dell’arte).

Odorico Bergamaschi Lettera  redatta il 21-23 settembre 2018


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Signor Direttore,
Leggo oggi 22 ottobre, in debita pagina interna su quasi tutti i giornali nazionali, oramai dell’ennesimo vicino italiano che uccide padre e figlio italianissimi anch’essi , in tal caso in Sesto Fiorentino, Via dei Grilli. Un omicidio derubricato a folle gesto per futili motivi, come gli assassini in famiglia della nostra recente cronaca nera locale, senza che provochi alcuna risonanza di allarme o riflessione critica nei social, non dico di certo lo sdegno che si scatena anche solo per un’ orinata fuori ordinanza sui muri, per cui subito si leva la furente richiesta di castrazione immediata, se a compierla è stato un nordafricano invece del cagnolino o del cagnolone della brava signore perbene. Eppure ci sono tutti i motivi per percepire nel fatto di Sesto Fiorentino un serio  pericolo crescente, da parte di un’ opinione pubblica che parrebbe con i nervi a fior di pelle o lucidamente sensibile e avvertita quanto a tutto ciò che ponga in gioco la nostra sicurezza, se anche solo in queste settimane si è potuto leggere di un nostro connazionale che a Catania ha investito per rancore un gruppo di vicini di casa uccidendo un’anziana ottantenne, di un signore di Lecce che ha ucciso tre vicini di casa perché mettevano l’auto di fronte al suo ingresso, di un dignitoso palermitano che ha assassinato a sua volta un proprio vicino dopo una lite per il fumo di un barbecue, di un giovane nostro conterraneo dell’Alto Modenese che ha ammazzato a rivoltellate un suo coetaneo, e via discorrendo, anzi no, piuttosto compiacendosi della multa sacrosanta comminata ai vecchietti che dai balconi irrorando i fiori abbiano fatto cadere l’acqua per strada, come è accaduto recentemente a Torino, a tutela del decoro urbano per via del sacrosanto turismo. Il fatto è, in verità, che  una serialità di crimini di questi tempi  interessa davvero solo se può scatenare l’odio verso “ l infame straniero”, parole di un nostro Ministro dell’Interno tutto altro che super partes, con la conseguenza non indifferente che odio e paura, razziali o razzisti, si sono talmente insediati sotto pelle , che l’ avversione per lo straniero , non più solo per  l’africano o il nero di colore o l’islamico, è dilagata in odio del prossimo tout court, il porto d’armi si è fatto un’attrazione fatale, pulsione di selvaggio Far West, con tutto quello che può capitare se il fucile è a portata di mano. Purtroppo, quando la socialità delle nostre cortesie di rito si disumanizza, e si è stati legittimati a diventare belve, lupi l'uno contro gli altri, compiaciuti o acquiescenti o assuefatti se a colpi di mazze di baseball o impallinati finiscono puntualmente aggrediti  rom o migranti, la violenza si fa illimitata, e anche per noi, oramai, diventa quanto mai vero il lamento biblico di Lamech” Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura ed un ragazzo per un mio livido.

Odorico Bergamaschi


 Lettera inviata il 22 ottobre 2018