sabato 28 dicembre 2013

cronaca di un' ordinaria giornata indiana

cronaca di un' ordinaria giornata indiana
21 dicembre sabato 2013-12-22

Redatta la cronaca del giorno prima, pur nel persistere di tosse e raucedine mi predispongo a recarmi a Panna, per fotografare i reperti eccellenti del museo archeologico dipartimentale che vi ho visitato la settimana scorsa, quando sento all’ esterno farsi acuto il diverbio tra Vimala e le donne del vicinato, ma allorché esco esso ha già superato il livello di guardia: la moglie del lavandaio dalit, dirimpettaio, si sta già avventando su Vimala con una tanica di plastica e a tal punto posso solo contribuire con altri vicini a dividerle mentre si accapigliano e stanno dandosele. Faccio convenire Kailash , che mi spiega che Vimala si lamentava, con i suoi modi insolenti e sgraziati di villica, che la vicina riversasse le acque reflue nella canaletta delle condutture della nostra abitazione, ingorgandole. Sembrerebbe sedarsi il contrasto, che è l’occasione per constatare che il secchio che uso per riscaldare con il water heather l’acqua con cui faccio la doccia , è lo stesso in cui gli avanzi giornalieri dei pasti si fanno il pastone che ambisce la vacca che penetra in casa, chiedo dunque a Kailash di usare il tuk tuk e di andare a procurarmene un altro, insieme ad un vaso in cui inseminare basilico, dato che sono ancora in tuta nell’imminenza di fare la doccia prima della partenza. Me lo procurerà di plastica, insieme con il vaso in cui primeggia un rampollo. E’ talmente lunga e laboriosa la doccia nello stanzino in cui devo trasferirmi con l’occorrente e il minimo dei panni, il seggiolino su cui riporli con l’asciugamano non che lo sgabellino in legno che mi ha fatto fare Kailash, che solo verso mezzogiorno posso essere in partenza, avviandomi a piedi per la stazione degli autobus, perché prenderò un tuk tuk solo dopo avere ricaricato il cellulare, di un importo di 200 rupie, più 20 di abbuono.
Meraviglioso come sempre è il tragitto attraverso il National Park prima dell’arrivo a Panna, dove l’influenza che mi debilita mi induce a un pranzo confortevole presso il Raj Laxmi, prima di recarmi al Museo archeologico, in un altro chowk, dove non ritrovo il direttore con cui vorrei interloquire. Sono affidato alla sorveglianza di un indiano nauseolente, che mi fornisce l’occasione per un forte esercizio di disciplina interiore nel ricambiare con gentilezza la sua vicinanza quando mi presta aiuto. Al vaglio selettivo dei reperti sopravvivono un mirabile tirthankara e una coppia Uma e Mahesvara di epoca gupta, non che più straordinario di tutti, un possente e naturalmente nobile Shiva Rudra, sempre dei primordi classici della scultura indiana, non ritroverò invece le sapta matrika in catalogo nel volume sui master pieces dei musei del Madhya Pradesh, la cui esibizione stessa, come per i maggiori reperti dei musei di Dhubela, Vidisha, Ram van, sembra averne occasionato il trasferimento nel museo centrale di Bhopal.
Un languore sfinente mi pervade di torpore sonnolento mentre concludo la visita e lascio il museo, inutile è la divagazione per rivisitare il Baldeoji mandir, che trovo chiuso, cheaps, un somosa, possono bastare a sostenermi nel viaggio di rientro sul bus che mi scarica a Bamitha, da dove con un passaggio in savari per 50 rupie raggiungo Sewagram in Khajuraho. Nonostante lo stato influenzale uscirò per acquistare delle bottiglie dell’acqua e delle caramelle che mi pasticchino contro la tosse notturna, e lo sciroppo ayurvedico squisito che si sta esaurendo, per farmi fare la barba da Moma, sempre che trovi ancora aperto il negozio di barbiere, consegnandogli un'immaginetta della Sharda Devi di Majhar da tenere nel nostro negozio in comune, ed eventualmente telefonare a mia madre,- ma quando faccio rientro di li a poco per depositare le bottiglie dell’ acqua e ripartire, trovo una piccola folla accalcata di fronte a casa con Kailash uscito in chaddiqi, nient’alro che mutandine, sicché Vimala gli consegnerà un asciugamano per farne un longi: è uno strascico virulento delle beghe della mattinata, a seguito di quanto avrebbe detto e minacciato la consorte del lavandaio dalit con madre congiunta: insinuando che Vimala sarebbe la moglie di due mariti, dei quali sarei io il secondo, e ripromettendo malefici , jantar manthar, contro i nostri bambini. Dentro di me , imperturbato dall’accusa senza fondamento che mi coinvolge, penso che almeno essa scongiura la vociferazione , a suo tempo, ch’io fossi invece una delle due mogli di Kailash, mentre mi dà sollievo cheegli non resti sconvolto dalle minacce di un jantar manthar, dopo che per un maleficio del genere ebbe a temere la morte improvvisa e senza ragione apparente di Sumit. Egli ripromette di andare con me dalla polizia di Chhatarpur, per sporgere denunzia, forte della mia autorevolezza di straniero, e la minaccia concretamente legale sembra sortire i suoi effetti. “ sorry, sorry”, si scuserà il lavandaio per la moglie linguacciuta quanto essa, si, cornifera a sua insaputa. Per farmi radere la barba mi allontano solo allora dalla piccola folla del vicinato, radunatasi intorno, e che non accenna a disperdersi, ma l’avvistamento di una camionetta della polizia lungo il percorso, mi induce a telefonare a Kailash dal negozio di Moma, per sincerarmi che non sia accorsa a motivo della diatriba che ci coinvolge.
Trovo Moma ancora al lavoro quando sono ancora le nove di sera, meglio non fare confronti con la disponibilità a sfiancarsi per i figli di Kailash, dall’altro capo dell’abitato non trovo invece aperto il negozio di prodotti ayurvedici, nei paraggi è ancora in funzione solo un altro esercizio di barbiere, telefonerò a mia madre da casa con il cellulare, senza trovarla, anzichè via skype, dal shiva.net center, ancora in funzione, mentre sta ancora chiudendo l’Agrawal center shop, il che mi consente di assicurarmi altre caramelle per la notte. A casa ritrovo sereno Kailash, confortato dalla solidarietà del vicinato, mi imbandisce pasta asciutta un pò scotta ma dal condimento squisito, prima di potermi offrire dei puri fatti di farina di lenticchie che mi sono immangiabili, offertigli dalla famiglia che vive accanto alla nostra, e di avviarsi con me verso il caro sonno notturno, da cui mi risveglierà , sul far della mezzanotte, per sgridarmi di non avere tenuti chiusi i battenti delle porte della mia stanza, essendo io precipitato a letto nel sonno tutto quanto ancora vestito.

cronaca di un' ordinaria giornata indiana

cronaca di un' ordinaria giornata indiana
21 dicembre sabato 2013-12-22

Redatta la cronaca del giorno prima, pur nel persistere di tosse e raucedine mi predispongo a recarmi a Panna, per fotografare i reperti eccellenti del museo archeologico dipartimentale che vi ho visitato la settimana scorsa, quando sento all’ esterno farsi acuto il diverbio tra Vimala e le donne del vicinato, ma allorché esco esso ha già superato il livello di guardia: la moglie del lavandaio dalit, dirimpettaio, si sta già avventando su Vimala con una tanica di plastica e a tal punto posso solo contribuire con altri vicini a dividerle mentre si accapigliano e stanno dandosele. Faccio convenire Kailash , che mi spiega che Vimala si lamentava, con i suoi modi insolenti e sgraziati di villica, che la vicina riversasse le acque reflue nella canaletta delle condutture della nostra abitazione, ingorgandole. Sembrerebbe sedarsi il contrasto, che è l’occasione per constatare che il secchio che uso per riscaldare con il water heather l’acqua con cui faccio la doccia , è lo stesso in cui gli avanzi giornalieri dei pasti si fanno il pastone che ambisce la vacca che penetra in casa, chiedo dunque a Kailash di usare il tuk tuk e di andare a procurarmene un altro, insieme ad un vaso in cui inseminare basilico, dato che sono ancora in tuta nell’imminenza di fare la doccia prima della partenza. Me lo procurerà di plastica, insieme con il vaso in cui primeggia un rampollo. E’ talmente lunga e laboriosa la doccia nello stanzino in cui devo trasferirmi con l’occorrente e il minimo dei panni, il seggiolino su cui riporli con l’asciugamano non che lo sgabellino in legno che mi ha fatto fare Kailash, che solo verso mezzogiorno posso essere in partenza, avviandomi a piedi per la stazione degli autobus, perché prenderò un tuk tuk solo dopo avere ricaricato il cellulare, di un importo di 200 rupie, più 20 di abbuono.
Meraviglioso come sempre è il tragitto attraverso il National Park prima dell’arrivo a Panna, dove l’influenza che mi debilita mi induce a un pranzo confortevole presso il Raj Laxmi, prima di recarmi al Museo archeologico, in un altro chowk, dove non ritrovo il direttore con cui vorrei interloquire. Sono affidato alla sorveglianza di un indiano nauseolente, che mi fornisce l’occasione per un forte esercizio di disciplina interiore nel ricambiare con gentilezza la sua vicinanza quando mi presta aiuto. Al vaglio selettivo dei reperti sopravvivono un mirabile tirthankara e una coppia Uma e Mahesvara di epoca gupta, non che più straordinario di tutti, un possente e naturalmente nobile Shiva Rudra, sempre dei primordi classici della scultura indiana, non ritroverò invece le sapta matrika in catalogo nel volume sui master pieces dei musei del Madhya Pradesh, la cui esibizione stessa, come per i maggiori reperti dei musei di Dhubela, Vidisha, Ram van, sembra averne occasionato il trasferimento nel museo centrale di Bhopal.
Un languore sfinente mi pervade di torpore sonnolento mentre concludo la visita e lascio il museo, inutile è la divagazione per rivisitare il Baldeoji mandir, che trovo chiuso, cheaps, un somosa, possono bastare a sostenermi nel viaggio di rientro sul bus che mi scarica a Bamitha, da dove con un passaggio in savari per 50 rupie raggiungo Sewagram in Khajuraho. Nonostante lo stato influenzale uscirò per acquistare delle bottiglie dell’acqua e delle caramelle che mi pasticchino contro la tosse notturna, e lo sciroppo ayurvedico squisito che si sta esaurendo, per farmi fare la barba da Moma, sempre che trovi ancora aperto il negozio di barbiere, consegnandogli un'immaginetta della Sharda Devi di Majhar da tenere nel nostro negozio in comune, ed eventualmente telefonare a mia madre,- ma quando faccio rientro di li a poco per depositare le bottiglie dell’ acqua e ripartire, trovo una piccola folla accalcata di fronte a casa con Kailash uscito in chaddiqi, nient’alro che mutandine, sicché Vimala gli consegnerà un asciugamano per farne un longi: è uno strascico virulento delle beghe della mattinata, a seguito di quanto avrebbe detto e minacciato la consorte del lavandaio dalit con madre congiunta: insinuando che Vimala sarebbe la moglie di due mariti, dei quali sarei io il secondo, e ripromettendo malefici , jantar manthar, contro i nostri bambini. Dentro di me , imperturbato dall’accusa senza fondamento che mi coinvolge, penso che almeno essa scongiura la vociferazione , a suo tempo, ch’io fossi invece una delle due mogli di Kailash, mentre mi dà sollievo cheegli non resti sconvolto dalle minacce di un jantar manthar, dopo che per un maleficio del genere ebbe a temere la morte improvvisa e senza ragione apparente di Sumit. Egli ripromette di andare con me dalla polizia di Chhatarpur, per sporgere denunzia, forte della mia autorevolezza di straniero, e la minaccia concretamente legale sembra sortire i suoi effetti. “ sorry, sorry”, si scuserà il lavandaio per la moglie linguacciuta quanto essa, si, cornifera a sua insaputa. Per farmi radere la barba mi allontano solo allora dalla piccola folla del vicinato, radunatasi intorno, e che non accenna a disperdersi, ma l’avvistamento di una camionetta della polizia lungo il percorso, mi induce a telefonare a Kailash dal negozio di Moma, per sincerarmi che non sia accorsa a motivo della diatriba che ci coinvolge.
Trovo Moma ancora al lavoro quando sono ancora le nove di sera, meglio non fare confronti con la disponibilità a sfiancarsi per i figli di Kailash, dall’altro capo dell’abitato non trovo invece aperto il negozio di prodotti ayurvedici, nei paraggi è ancora in funzione solo un altro esercizio di barbiere, telefonerò a mia madre da casa con il cellulare, senza trovarla, anzichè via skype, dal shiva.net center, ancora in funzione, mentre sta ancora chiudendo l’Agrawal center shop, il che mi consente di assicurarmi altre caramelle per la notte. A casa ritrovo sereno Kailash, confortato dalla solidarietà del vicinato, mi imbandisce pasta asciutta un pò scotta ma dal condimento squisito, prima di potermi offrire dei puri fatti di farina di lenticchie che mi sono immangiabili, offertigli dalla famiglia che vive accanto alla nostra, e di avviarsi con me verso il caro sonno notturno, da cui mi risveglierà , sul far della mezzanotte, per sgridarmi di non avere tenuti chiusi i battenti delle porte della mia stanza, essendo io precipitato a letto nel sonno tutto quanto ancora vestito.

martedì 10 dicembre 2013

fluttuando in un sogno

Ora mi sembra di fluttuare in un sogno,  nel saperli che dormono in uno stesso letto nella stanza alle spalle,  Kailash insieme a Vimala, Chandu accanto a Poorti e Ajay, quando domani, non fossi sulla via di Maihar, riesploderei ancora contro Kailash,  se lo ritrovassi oltre il previsto immerso nel sonno, incatenando la mia vita tra queste mura fino alla fine dei suoi giorni, per una letargia che non ne farà mai un lavoratore cui trasmettere la responsabilità del futuro dei figli, per i quali soltanto vale la resistenza più che la resa, o mi vedessi costretto ora che sono in India  a potergli parlare solo al telefono,  e a sentirne solo il duro tono di voce, Vimala che rumina gutka susciterebbe la mia ripugnanza,  e tornerei a smaniare di dolore, al sacrificarmi per  chi , moglie e marito, nonostante ogni rampogna, sminuzza in bocca metà del proprio guadagno giornaliero negandone il frutto ai nostri piccoli,  quali un Ajay, il più bisognoso di aiuto,  nei cui confronti avrei dovuto trattenermi ancora una volta dallo scuoterlo fisicamente fino alle lacrime, quando  il vederlo vagolare senza aprire nemmeno i Panchatantra a fumetti, il riscontrare mettendolo alla prova che non sa  riconoscere i verbi, volgere in inglese i nomi al plurale, o dividere venticinque per cinque,  mi avrebbe infiammato d’ira per essere egli stato assente da scuola interi mesi prima del mio arrivo in  India...complice la mortificazione sistematica del suo essere operata dai genitori, e innanzitutto dal padre,  e nel rabbonirmi, e nel puntargli il solo indice  alla fronte, carezzandone una guancia, avrei sentito dirmi la voce di Dio“ vuoi distruggere ora anche lui, di tutto quanto ti ho dato  e ti  è stato qui concesso...?”

Stamane non sono stato capace di raggiungere in lacrime la scuola, affranto dal dolore che potessi avere inflitto la prima umiliazione ingiusta al mio amatissimo, amatissimo Chandu, che prima del mio arrivo  ignorava ancora che cosa fosse il giocare, in cui impazzisce di gioia, quando  denunciandolo a voce alta  l’ho richiamato in casa e distolto dal gioco, facendogli finire nel canale di scolo la palla con cui giocava a cricket, -che sono stato  incapace di raccogliergliela per il dolore artrosico ch'è sopraggiunto nel chinarmi-, perché mi dicesse dove avesse mai messo il mio portafoglio, sottrarmi il quale di tasca, sventolandone una banconota di poche rupie, è uno dei giochi che più lo diverte..Si è chinato a fianco del letto e si è chiuso in un silenzio amaro di lacrime, prima che ritrovassi  il portafoglio e  ricoprissi il mio bimbo di baci e di scuse...Non me ne ha voluto e il suo volto ha seguitato ad accogliermi adorato con la gioia luminosa  di sempre,  e non già perchè di palline gliene ho recate due nuove, con una  mazza ulteriore, e per sovrappiù il telefonino cui aveva rinunciato per  i rudimenti del gioco del cricket.

W la mia Poorti ribelle

W la mia Poorti ribelle che alcuni giorni scorso ha piagnucolato a lungo prima di andare a scuola perchè non sopportava la gavetta di poori invece che di riso, predispostale dalla mamma, scaraventando per due volte a terra il contenitore della scatoletta di plastica all'arrivo dell'autorisciò, alla faccia di tutte le mistificazioni insopportabili della decrescita felice che accetta i poveri solo se obbedienti e contenti del minimo vitale , come le esemplifica il brano seguente.
UNA RICETTA CONTRO L'OBESITA' E ... I DISTURBI DELL'ATTENZIONE
Guardate le scatolette di plastica di questi bambini della scuola materna del Progetto Alice di Sarnath. Contengono la loro colazione e merenda insieme. Si sono alzati presto, al mattino, per venire a scuola. Troppo presto per la colazione che la mamma preparera' dopo qualche ora. Sono, quindi, a stomaco vuoto da diverse ore. Solo al momento della ricreazione possono calmare i crampi della fame grazie al contenuto microscopico di quelle scatolette colorate che qualcuno della famiglia ha provveduto a fargli avere a scuola. Durante il break, si siedono tranquilli sul pavimento dell'aula e consumano il loro pasto. Nessuno deve insistere affinche' mangino. Nessuno li ricorre con il cucchiaio pieno di cibo per ficcarglielo in bocca per forza. Nessuno li prega come se mangiare fosse un favore che fanno a mamma e papa'. Nessuno di questi bambini si sognerebbe di ricattare i genitori "rifiutando" il cibo, fingendo di non aver fame. Mangiano composti, senza ingordigia. A volte, dividono quel poco che hanno con chi ha ancora meno. NOn c'e' pericolo che ingrassino, perche' la moderazione e' una necessita' e loro non se ne fanno un problema. Nessuno fa i capricci. Nessuno vuole di piu' di quello che gli viene dato. Niente Coca Cola, ovviamente. Niente junk food. Niente sovraesposizione a internet, computer e altre invenzioni "pericolose" delle societa' che rincorrono il cosiddetto "progresso". Risultato? Bambini pacifici, socievoli, senza disturbi del comportamento e dell'attenzione. Bambini non viziati che saranno ottimi cittadini della futura societa' impostata sulla "decrescita felice".


W Poorti

W la mia Poorti ribelle che alcuni giorni scorso ha piagnucolato a lungo prima di andare a scuola perchè non sopportava la gavetta di poori invece che di riso, predispostale dalla mamma, scaraventando per due volte a terra il contenitore della scatoletta di plastica all'arrivo dell'autorisciò, alla faccia di tutte le mistificazioni insopportabili della decrescita felice che accetta i poveri solo se obbedienti e contenti del minimo vitale , come le esemplifica il brano seguente.
UNA RICETTA CONTRO L'OBESITA' E ... I DISTURBI DELL'ATTENZIONE
Guardate le scatolette di plastica di questi bambini della scuola materna del Progetto Alice di Sarnath. Contengono la loro colazione e merenda insieme. Si sono alzati presto, al mattino, per venire a scuola. Troppo presto per la colazione che la mamma preparera' dopo qualche ora. Sono, quindi, a stomaco vuoto da diverse ore. Solo al momento della ricreazione possono calmare i crampi della fame grazie al contenuto microscopico di quelle scatolette colorate che qualcuno della famiglia ha provveduto a fargli avere a scuola. Durante il break, si siedono tranquilli sul pavimento dell'aula e consumano il loro pasto. Nessuno deve insistere affinche' mangino. Nessuno li ricorre con il cucchiaio pieno di cibo per ficcarglielo in bocca per forza. Nessuno li prega come se mangiare fosse un favore che fanno a mamma e papa'. Nessuno di questi bambini si sognerebbe di ricattare i genitori "rifiutando" il cibo, fingendo di non aver fame. Mangiano composti, senza ingordigia. A volte, dividono quel poco che hanno con chi ha ancora meno. NOn c'e' pericolo che ingrassino, perche' la moderazione e' una necessita' e loro non se ne fanno un problema. Nessuno fa i capricci. Nessuno vuole di piu' di quello che gli viene dato. Niente Coca Cola, ovviamente. Niente junk food. Niente sovraesposizione a internet, computer e altre invenzioni "pericolose" delle societa' che rincorrono il cosiddetto "progresso". Risultato? Bambini pacifici, socievoli, senza disturbi del comportamento e dell'attenzione. Bambini non viziati che saranno ottimi cittadini della futura societa' impostata sulla "decrescita felice".


martedì 12 novembre 2013

a Luigina ( il 10 di novembre 2013)

Cara Luigina, 
torno con grande gioia a ricevere una tua lettera.
E’ un tale affanno anche per me ogni partenza per l’India - a dire il vero quasi 
una piccola morte, tale è il distacco che mi richiede- che la tua situazione 
l’avrei vissuta come una rianimazione dopo un coma profondo.
Sei stata davvero brava ad affrontarla con tale tua forza 
E quanto alla prenotazione ed al costo del volo?
Qui in India sono oramai pienamente addentro al mio ritorno alla mia attuale 
esistenza principale, integrata e parallela a quella che conservo in Italia, in 
una piena continuazione di rapporti con chi vi ho lasciato, senza che ora più 
soffra, particolarmente, per una lontananza da persone e realtà e cose di cui 
serbo affetto e attaccamento e radici, ma da cui intendo restare lontano, almeno 
fino a giugno.
Ho ripreso ad insegnare l’altro ieri, venerdì. Un allievo, commovendomi, mi ha 
detto al termine della seconda lezione che sono “ a very good teacher”. In due 
giorni ho ritrovato già identici e nuovi volti, un ragazzo perturbante dell’anno 
scorso che è divenuto il mio supporter più fidato.
Il principal e la moglie mi sono amici, mai avrei supposto un rinnovo del 
contratto di assunzione, vista la dispersione dell’esperienza scorsa, ma seguitano 
ad improvvisarmi l’allestimento della classe. 
Bruciante, per me ed il mio amico, è stata invece la scoperta degli indizi, a 
ridosso di Diwali, come ho messo mano ai quaderni dei nostri due figlioletti più 
grandi, e poi l’accertamento ancora più macroscopico che il bambino e la bambina 
avevano approfittato della sua assenza, alla guida dell’autorisciò fin dal primo 
mattino, per marinare la scuola nel corso di intere settimane. Ora sono sottoposti 
alle nostre comuni attenzioni, e ad un insegnante pomeridiano.
Nel prendermene cura, e vigilare, cerco di restarne il Baba evitando di 
diventarne il padre in luogo del mio amico, al fine di ricondurli al suo cuore e 
che egli non scada a loro genitore soltanto.

Quanto al progetto Alice, non sono certo io a disconoscerne l’ ispirazione 
metodologica originaria. Ma a quanto pare, nemmeno fare proprie le circospezioni 
buddhiste sulle cautele da assumere nella trasmissione del proprio pensiero è 
servito a gran che. Eppure non ho detto niente di diverso dalle raccomandazioni in 
loco dello stesso Dalai Lama, quando ha esortato a chiare parole a un’educazione 
secolare, e non religiosa, non opposta o aliena al senso comune e al pensiero 
scientifico. 
Quanto ai miei progetti, di lunga lena, te ne potrò parlare in una lettera 
ulteriore , o in Sarnat,oppure qui in Khajuraho.
Anche a te ora buon lavoro, cara Luigina, nella serenità di spirito in cui spero 
di potermi conservare, di ritrovarmi con te e di rivederci in India.
Un forte abbraccio
Con affetto
Odorico

lunedì 11 novembre 2013

12 novembre 2013, al mattino

 Allorchè mi sono destato ancora una volta per la mia incontinenza,  già alle cinque del mattino Kailash era in  partenza con il nostro autorisciò per la stazione dei treni, quando l’aurora non si era ancora diffusa su Khajuraho nellla sua lattiginosità cerulea, che prelude al dolce lume brumoso del novembre indiano che tanto m'incanta, salutandomi con il tono epico di chi parte per una missione sul darmakshetra  del campo di  battaglia decisivo, poi Ajay, mentre Chandu  piangeva a dirotto perchè gli era differito  il dud  del latte materno,  e l’intimità tra le coltri con il suo seno che le poppate gli avrebbero concesso, nel cui godimento persiste quando già ha più di quattro anni , mi avrebbe risvegliato appena sul fare delle sette, perchè la sorellina Poorti faceva ammoina nel lasciare il letto per la scuola,  e mancava solo meno di mezz’ora all’arrivo dell’autoriscio che ve l’avrebbe condotta,  nel suo sopraggiungere carico di bimbi lungo la stradicciola interna di Sevagram, già trafficata da vacche e passanti nel suo fresco biancore mattutino.
Ora ad avviarla alla scuola era alle sue spalle la stessa madre che nei mesi scorsi , mentre Kailash era fuori casa con il tuk tuk  ed io ancora in Italia,  tanto si era resa indifferente a che vi andasse o meno, nel suo analfabetismo che non capiva le ragioni,  mentre dalla soglia seguiva l'andamento delle cose Ajay che in precedenza mi aveva dato la voce della svogliatezza odierna della sorellina, lo stesso Ajay  che del fatto di lasciare la casa per la scuola in bicicletta prima della sorellina e di rientrare più tardi, se ne era fatta una ragione non solo per disinteressarsene, ma per disertare la scuola più ancora di Poorti, come prima delle vacanze ulteriori di Diwali è emerso dai registri di classe che consultavo insieme con il principal.
Ho potuto così riassopirmi  in pace nella mia stanza,  pur sapendo quanto fosse solo relativamente a posto ogni cosa, come giaccia  incompiuto tutto ciò che finora ho ordinato, che mi allietavo dell’irrequietudine felice di chi ha davanti tutta una giornata e un tempo di vita piena di cose da fare , a iniziare dal basilico da irrorare sul terrazzo, dalle preghiere da inoltrare tra la vita che riprendeva nei cortili sottostanti delle case contigue, da un mio verso  da rivedere, in una delle poesie di un tempo che ho ritrovato in una cartella che ho aperto per riordinarla, impilata in uno degli alwari a muro che sovrasta il mio letto.

Negli occhi  chiusi in un improbabile rientro nel sonno, sostando l’immagine dei lumi che nel tempio Duladeo ieri sera brillavano accesi di fronte alle sculture miniate  di Ganesha e Sararwati,  che stanno nello stipite inferiore del portale d’accesso al santuario del garbagriha,  per la festività che  cadrà l’undicesimo giorno dopo Diwali, che ribadisce l’ordine delle caste e inaugura la stagione dei matrimoni.

martedì 15 ottobre 2013

di cicloni, e calche e resse

Ieri sera Kailash era solo in casa, mentre dalle case e le vie intorno, fino ai tempietti presso il talab, provenivano al telefono gli ultimi clamori della festa di  Dusshera.  Tutta la famiglia, i bambini e Vimala,  era ancora nel villaggio natale di Byathal,  presso i genitori di Kailash, dopo la puja di ieri, in comune, fino al rientro a scuola di Ajay e Poorti posdomani. E per mio sollievo era svanita nel nulla la richiesta di Vimala di potere andare a Mathura prima del mio arrivo in India, per non essere di meno della famiglia del barbiere autoriscio-wallah che ha un amico ricchissimo australiano, il quale li porterà tutti quanti in volo da una città all'altra dell'India del Nord, al suo arrivo in Delhi lo stesso lo stesso giorno del mio. Tanto aveva potuto il flusso mellifluo del'insinuazione dell'invidia nelle orecchie di Vimala della moglie del barbiere, il cui esempio 
era stato forse di nuovo di cattivo influsso anche sul larvato rimprovero mossomi da Kailash per la mia onestà, dopo avere minato sino alla distruzione possibile la nostra amicizia durante il mio ultimo soggiorno.
Dei devoti a Durga di Khajuraho, mi diceva intanto un didascalico Kailash,  c’era chi si era recato presso il bacino artificiale di Beni Sagar, chi fino al fiume Ken, per immergervi ed affidarvi alle acque la statua della Dea.
Ieri, quando al telefono l’ho raggiunto in Byathal, mancandovi la televisione ed essendovi sospesa l’erogazione di energia elettrica, l'amico era ancora all’insaputa di quanto, di cui parlavano anche i nostri telegiornali,  era appena accaduto in Ratnagarh, presso Datia, nello stesso nostro Madhya Pradesh, dove 115  pellegrini di quanti a decina di migliaia transitavano su uno dei due ponti che li portavano a un santuario di Durga, nel concorso dei devoti a centinaia di migliaia nel sito di culto, erano rimasti uccisi  a causa della ressa e della calca insorta nella folla  impauritasi, schiacciati sotto chi li sopravanzava, o morti annegati nelle acque del fiume in cui si erano gettati. Nel dirglielo era venuta già meno la soddisfazione che potevamo condividere perchè l’uragano che si era avventato sulle coste dell' Orissa e dell’Andra Pradesh aveva fatto meno di dieci vittime, per lo schianto d’alberi o il crollo di case di fango, a seguito dell’evacuazione di oltre mezzo milione di persone predisposta dalle autorità indiane, che aveva evitato che si ripetesse nella sua entità la catastrofe del 1999 nella stessa area.
Con apprensione avevamo seguito il procedere del “ tafun”, il giorno avanti, prima che Kailash lasciasse Khajuraho, e quando poteva seguire il decorso del tifone mediante le news” Ora è a quaranta chilometri dalla costa, viaggi a dieci metri sulle acque del mare, c’ pioggia e un gran vento a Bubhaneshwar...”
Di rientro in Khakuraho, quanto all’accaduto in Ratnagarh, gli aggiornamenti che gli interessava o che poteva darmi riguardavano tutte le responsabilità della polizia e delle autorità politiche, del BJP innanzitutto, e del suo primo ministro nel Madhya Pradesh.
“ Quando ci sono da tenere sotto controllo “laks, and laks, and laks of people”, quando le folle dei pellegrini sono dell’ordine di centinaia di migliaia, occorrono almeno 10.000 poliziottti, ed invece non ce n'erano che 200... I poliziotti poi si sono  fatti corrompere, sul ponte di legno e ferro  sul fiume , verso il tempio , hanno lasciato passare per 200 rupie a persona interi gruppi in motocicletta,  mentre la cosa non era per niente consentita” e dal fiume per lo spavento, mi ha ripetuto, la gente ha cominciato a buttarsi giù, “ the people died, died, died in the water..”. ( e moriva, moriva, moriva).
Seguitava a piovere intanto su Khajuraho, a intermittenza, e chi aveva seminato a suo tempo sesamo, alle prime piogge, aveva già raccolto e fatto affari d’oro,  135 rupie al chilo invece della 60 dell’anno scorso, mentre chi aveva tardato a seminare sesamo o lenticchie, sotto la pioggia stava perdendo tutto, “ losing  money, money, and money”,  restava ancora possibile salvare il raccolto per chi avesse seminato soia, più bisognosa d’acqua, come suo padre, sempre che le piogge terminassero e riapparisse stabilmente il sole .
Così mi parlava l’amico, mentre seguitavano a scorrermi nella mente i ricordi e le immagini delle circostanze in cui la calca delle circostanti folle mi aveva angosciato, o terrificato, in sua compagnia, e dei nostri  bambini, o viaggiando da soli, in Jhansi, quando l’ho indotto a rifiutare di salire sui carnai umani dei vagoni dei treni stipati anche sui tetti di  pellegrini in viaggio verso Mathura per Holi, o nell’esodo universale per la festa fratello-sorella, in Vidisha, quando  ho gridato perchè scendessimo immediatamente dall’autobus per Gyaraspur, in cui avevamo perduto il controllo dei nostri bambini, all'ammassarsi degli scolari che  l’avevano stipato senza più un interstizio ad ogni fermata che si susseguiva ad ogni uscita  da scuola, o tutte le volte che tra Chhatarpur o Khajuraho ho strepitato e sono sceso dagli autobus, o dalle camionette,  il cui carico umano era  pari  a quello di un trasporto di bestiame passivo eccedente  del doppio, pur di  ottenere quante più rupie  in spregio ad ogni sicurezza... od ho seguitato trattenendo il fiato e  l’angoscia, sapendo che in quel fittume in cui ero sommerso non ci sarebbe stato scampo al minimo incidente.

E le file, nelle processioni islamiche di Ajmer, o in quelle innumerevoli hindu, che ci trascinavano via,   al loro seguito,  o in certe code per un biglietto od un’entrata,  nel salire sui vagoni del metro,  in cui anche l’incespicare poteva essere drammatico...)

martedì 8 ottobre 2013

mentre in Khajuraho

Lunedì scorso Kailash era senza parole quando gli ho chiesto come andassero le cose, perché la voce gliela aveva tolta la vista di un cobra sul bordo della finestra della television- room.
Era un piccolo cobra , ma di quelli neri, assai pericolosi.
I giorni seguenti è stato per lui motivo di sconforto che essendo già ottobre, non avesse più motivo di credere che l'arrivo di altri monsoni potesse portare a compimento la coltivazione della soia intrapresa dal padre, evitandogli di farne mangime per le bufale con la perdita secca di 20.000 rupie, quando, avesse scelto di coltivare il sesamo,  sarebbe già stato in corso il raccolto ed avrebbe potuto beneficiare dell'ascesa dei prezzi a 110- 120 rupie al chilo, rispetto alle abituali 60-70 rupie delle stagioni scorse. Ma  nemmeno l'arrivo a sorpresa della pioggia propizia ha giovato a mutare il suo umore, si era trattato di un vero monsone, concentrato solo sull'area intorno a Khajuraho, mentre sulla stessa Bhopal, capitale dello stato, nel notiziario figurava "dark and only a umbrela".  Scarse le possibilità di guadagno, in quei giorni di pioggia battente, e Chandu per il fondo reso scivoloso dalla pioggia era scivolato in cortile, rompendosi un labbro.
Su mia sollecitazione, essendo sabato, giorno di scuola ridotta, avrebbe mandato Ajay al villaggio, per chiedere al padre se il raccolto fosse stato agevolato da tanta pioggia, in cui la stagione monsonica si prolungava oltre i suoi termini soliti, ma l'amico, inutile a dirsi, non ci sperava più di tanto, troppo incessante era stata la pioggia, mentre i tuoni  nella sera, di cui mi faceva sentire al telefono il " bum bum",  non lasciavano presagire un termine a breve.

E quando ieri, lunedì, (il 7  ottobre),  l'ho ricontattato, nuove serie ragioni di ansia, e di preoccupazione, già oscuravano la schiarita per i raccolti del padre, talmente tutto è in India incerto, precario ed insicuro.
Vimala aveva di nuovo la piorrea, il suo fiato era maleodorante, ma lei non voleva saperne di andare da un medico, seguitava piuttosto a confidare nella gutka cancerogena, benché anche le donne del vicinato l'avessero sollecitata a smettere di masticarla ed a curarsi sul serio,  facendole temere che la malattia degenerasse nel cancro.
" Io non voglio spendere per lei denaro, se non si cura" Kailash  ha deprecato deprecabilmente. " Mamma è pronta, per andare dalla dottoressa", mi avrebbe detto a sera Ajay, cui avevo delegato l'incarico di  essere  di monito alla madre.
L' amico, più che per la salute della moglie, era invero preoccupato per le turbolenze che agitavano la vita sociale in Kajuraho.
Un conducente muslim era venuto a diverbio con i due figli di un raja locale, perché era loro parso che non avesse voluto sapere di trasportarli nella vicina Bamitha, che in spregio al loro rango castale ed al loro essere degli hindu riservasse  il suo servizio ai soli suoi correligionari.
Il più adulto dei due figli del raja l'aveva allora malmenato, ed egli, rientrato nel sobborgo di Manjunagar, di popolazione al 99,99% di fede islamica,  aveva chiamato a soccorso i muslim del villaggio e della vicina Rajnagar.
Costoro non avevano frapposto indugio, ed in gruppo si erano precipitati  a casa del padre dei due aggressori, malmenandolo e pestandolo a sangue, al punto da pregiudicarne la sopravvivenza. Mentre costui dai familiari veniva condotto agli ospedali di Chhatarpur, e poi di Gwalior, talmente era in debito respiratorio e necessitava di apparecchiature cliniche per l'ossigenazione, i raja in Khajuraho e dintorni si mobilitavano per la loro replica, in odio ad ogni muslim che si presentasse a loro davanti. Il giorno avanti tutta Khajuraho era stata da loro tenuta in stato d'assedio, ogni attività ed esercizio era rimasto sospeso,  scomparsi per strada tutti gli islamici, ognuno intanato in casa, come era avvenuto nel corso dello sciopero per una viabilità umana della primavera scorsa, che aveva bloccato ogni attività del villaggio. Il Gole market era campo di guerra di almeno 250 raja convenuti in motocicletta dai paesi limitrofi, tali e tanti ne aveva contati Kailash, prima di finire acquattato in casa, con il tuk tuk al riparo da assalti nella viottola davanti. Tutto quanto era avvenuto nel solo giorno in cui abbiamo allentato i nostri contatti, giusto il tempo che scattasse il dispiegamento della polizia, che teneva ora sotto controllo tutta Khajuraho ed ogni via d'accesso, impedendo con una sorta di coprifuoco ogni assembramento, vietando, pena il finire in guardiola, che oltre le dieci di sera la popolazione locale potesse costituire gruppi di più di quattro persone.
"Ci sarebbero stati già molti morti, senza il loro intervento", secondo il mio amico.
Ora tuttavia tutto era " more quiet", ed in mattinata Kailash era potuto uscire in tuk tuk per un sightseeing, turistico, un turista straniero, nell'hotel Harmony, era in attesa che potesse accompagnarlo alla diga di un vicino lago artificiale.
Questa sera la situazione era ancora più sotto controllo, tutto era come se fosse rientrato nella  normalità, ma Vimala non si era recata dalla odontoiatra, aveva le mestruazioni e bisognava attendere ancora tre giorni. Il guadagno in giornata era stato di  "no more than", or di " 185 rupees only". Era già tempo di Navaratri, ma di bengalesi che nel corso della festività della Devi Durga erano soliti affollare Khajuraho, non più di qualche presenza vi  era ravvisabile a tutt'oggi. Kailash era venuto a sapere, spiegandosi così la cosa, che le autorità di Kolkata non erogano più festività remunerate per viaggiare ai propri dipendenti. Ma ancora per me più allarmante per il seguito dei nostri avatars, ,  è stato quel che Kailash mi ha replicato quando gli ho confidato che mediante la chat line mi aveva contatto il giovane Rishikant da Varanasi, per chiedermi se potevamo collaborare come agenti turistici, e gli ho rivelato che io gli avevo risposto che potevo assicurargli solo il lavorare bene, in conformità con il dharma e al servizio dei clienti, per propiziarne l'incontro con l'India reale, la sua arte, la sua spiritualità e la sua storia, perché è stato rendendomi un omaggio ch'era una sorta di rimprovero amaro, in via di dissociazione, che Kailash mi ha scandito che a sua volta gli avrebbe assicurato al telefono che a nome mio, di "O-d.-o-r-i-c-o B-e-r-g-a-a-m-a-s-c--h-i",  si lavora solo onestamente, senza " to make cior" , senza potere fare denaro- e avere  fortuna- " con il farsi  ladri degli altri "



abbozzo di una ottava ecloga indiana

 
Come potei, già una volta,
levare su di te la mano,
serrarti la gola,
dirti di volerti morto, anima mia,

quando tu sei la mia vita e l’amor mio,
e così di lontano
non so pensarti che con viscere trepide
nel al tuo impigliarti ogni giorno nella ruota del dharma nell’afflizione che stride,
e il tuo “ bad Karma” che mi squarcia ( come ti inasprisci)
sentendo la tua vita senza scampo e senza senso,
il tuo “ bad Karma” che mi lacera in petto,
e ritrovi riavverti e la tua vita è senza scampo e senza senso,
anche ora che con il tuo nuovo tuk tuk, alla sua guida sicura,
(a prezzo in contanti di che lacrime e sangue della follia d'amore )
a prezzo in contanti di che follia di lacrime e sangue,
hai la dignità di un lavoro e un qualche guadagno,

“whats’ news? it s raining, raining, raining,
only raining,
mi ripeti allora al mio ripetermi,
in khajuraho everyday are the same things,
the same market, the same business with the tourists,…
You know, lo sai,
(that )they don’t respect me, that if I speak true,
instead they pay money, money, money( to the travel Agency,
and don’t see nothing, nothing, nothing,..”
finchè, oasi radura di luce,
trovi un po' di contento nel nuovo tran tran
I lose fuel, time, going every day slowly to the railway station
but I safe my life, my tuk tuk autoricksaw”

“And Chandu, my love?
He’ s asking you cycle,..”
Cycle!”, come mi grida la sua voce al telefono
prima di non volerne
già più sapere di me, che sono il suo baba,
nella terra dove straniero
oramai avrei ucciso un uomo per una scalfittura,
un ragazzo per un mio livido,

di ritorno dove anche ogni mite ha voce di lupo,
all'arrivo per mare di altri ancora che cercano scampo (di chi cerca scampo )(tra i resti cadaveri),
in infelici tempi di agonie satrapiche /di satrapi
che prima che le tasche svuotano l'anima
che svuotano l'anima ridotta/ prostrata in miseria,
assetandola di vendetta al loro sotto il (loro) ricatto
al gravare cumularsi per il cumulo più ancora dell'afflizione dei torti
nella cui morsa più ancora la stringe,

Solo che risenta la tua voce accorata
e quanta più luce ritrovo nella tua vita di stenti,

e allora tu parlami ancora
di come al sesamo si apre la bocca che schiude il seme
nel timore che si perda /che può perdersi nel fango (del terreno )se la pioggia continua,
di come la luce si è spenta di nuovo sulle nostre parole,
sulla tua cena di solo mango pickle e un po di chappati,
ch'io approdi ancora ai tuoi lidi d'amore
quando nelle tue parole sento inumidirsi frusciare scorrere schioccare la lingua
della tua bufala che lecca il suo nuovo Lalosha,

e lo sbadiglio lenisce (impasta)la tua ruvidità di modi,
For other things we speack more tomorrow,

See you later, Kallu, “

See you later”.

 abbozzo originario

Come potei, già una volta,
levare su di te la mano,
serrarti  la gola,
dirti di volerti morto,  anima mia,
quando tu sei la mia vita e l’amor mio,
e così di lontano
non so pensarti che con viscere trepide
nel tuo impigliarti ogni giorno nella ruota del dharma nell’afflizione che stride,
il tuo “ bad Karma” che mi squarcia
il tuo “ bad Karma” che mi lacera in petto,
“whats’ news?  it s raining, raining, raining,
only raining,…
the tourists
that don’t respect me, if I that speak true,
they pay money, money, money,
and don’t see nothing, nothing, nothing,..”
“And Chandu, my love?
He’ s asking you cycle,..”
“ Cycle!”, come mi grida la sua voce al telefono
prima di non volerne

già più sapere di me, che sono il suo baba, 


lunedì 7 ottobre 2013

il limite, l'Altro

Più che tra credenti o non credenti, disse il cardinal Martini, conta la differenza tra l’essere pensanti oppure no. Soggiungerei che non meno discriminante è la differenza tra chi, sia esso ateo o credente, riconosce il limite e l'Altro, e chi pensa invece di autorigenerarsi fondandosi sul proprio Io narcisistico, come se fosse l’ Io di Dio al fondo dell’anima , sia egli l’indignato antipolitico o il mistico monista, che credendo di fondersi in Dio si perde solo nel proprio Ego smisurato.

domenica 22 settembre 2013

le foto

“Kallu?”
“Nothing...”
“Why, nothing.?”
“ What can I speak, che cosa ti posso ancora dire, dopo che ho visto Chandu con in mano le foto di Sumit...
Stando a quello che mi parso di intendere, con Ajay e Porti aveva messo le mani nelle fotografie ch'erano riposte nella mia stanza, e ognuno era uscito con i propri reperti..
Gli aveva chiesto di chi fossero quelle immagini, se fosse lui stesso, qualche anno prima...
“ Kallu, non significa niente, gli ho detto come mi sono ripreso,.
Lo so...”
E  allora stato possibile iniziare a poco a poco a parlare d’altro, delle fotografie di gruppo che avevano preso Poorti ed Ajay, in cui insieme a me e a Kailash, e ad Ashesh, con gli abiti intrisi di pioggia  erano al riparo della grotta del  grande Varaha  in Udaigyri, presso Vidisha.
Si è parlato come al solito del tempo, dei ricavi, di quanti sono i turisti, del fatto che quel giorno c’era stato troppo concorso  di folla per una festività, perché  la gente circolasse in tuk tuk..
“ Ti senti meglio, ora?”
Si era ripreso, e potevamo congedarci.
Ma io ho poi seguitato a vagare confuso con la testa tra le mani, la gola disseccata, prima che potessi trovare il bandolo, riordinare ogni cosa, lasciare la casa ed avviarmi alla stazione un’ora più tardi per essere da mia madre a Modena  prima che fosse già notte.


Gloria degli uomini e gloria di Dio nell' Ethica di Spinoza




Odorico Bergamaschi
Gloria degli uomini, Vanagloria, e Gloria di Dio in Spinoza

Odorico Bergamaschi

Gloria degli uomini , VanaGloria, e Gloria di Dio in Spinoza

Nell’Ethica di Spinoza la Gloria è considerata  per il ruolo che la sua ambizione assolve nell’asservimento o nella liberazione degli uomini, entro l’ordine comune della Natura di cui fanno parte ed in cui rientrano gli stessi ordinamenti sociali e politici,.
In Natura, nell’ordine e nella connessione sociale delle idee, la lode o il biasimo degli altri per le nostre azioni ed opere è ciò di cui ci Gloriamo o ci vergogniamo ( Ethica, III, definizioni XXX, XXXI).
Lode, o Biasimo, suscitando idee di Gloria, o di vergogna, felicitano o rattristano  la nostra Soddisfazione interiore, o Acquiescentia, intensificandola o deprimendola.
Gloriarsi è una nostra felicità, in sè, e come ogni felicità corrisponde ad un incremento di potenza e di perfezione, dunque è  buona cosa, sempre che  non sia eccessiva,  e sempre che  ad originarla, in un contesto conveniente, sia ciò che è onesto, ossia ciò che giova anche a perfezionare gli altri uomini. Per la naturale tendenza dell’ uomo a trarre piacere dal fatto di piacere agli altri,           ( Ethica, III, XXIX, Scolio“), un  circolo virtuoso si instaura dove sia vigente Cortesia, o Humanitas, ( Ethica, III, XXIX; Scolio), ogni qualvolta ci fa felici di essere  lodati e amati dalle persone che amiamo, per  la felicità stessa che origina in loro ciò che di favorevole, alla vocazione della loro natura, abbiamo compiuto a loro vantaggio. In queste circostanze l’amore e la gioia  reciproca sono pertanto la felicità di  un incremento reciproco della nostra potenza  di conoscere e di agire, e buona è  tale Gloria e la sua ricerca.       
E’ questa la dinamica deterministica virtuosa del retto uso della Gloria a cui Spinoza invita nello Scolio della Proposizione X del libro V dell’Ethica, quando elabora i principi di un retto metodo di vivere, da memorizzare e mettere in pratica, finché non si abbia una conoscenza perfetta degli affetti della natura umana, ossia dei modi in cui la nostra  potenza di agire  è incrementata o diminuita dalle cause esterne che agiscono su di essa.
La Cupidità di piacere agli uomini è allora la Modestia della Moralità, o altrimenti a dirsi della Generosità, ( Ethica, III, LIX, Scolio),  l’anelito di fare il nostro bene  facendo il bene altrui (Ethica IV, XXXVII, Scolio), così  unendo a se gli altri uomini in amicizia.
 L’uomo che è animato da tale anelito alla Gloria è virtuoso perché cerca innanzitutto l’Amore degli altri  per il bene che reca loro, e non è mosso principalmente dall’aspirazione “di suscitare la loro ammirazione, affinchè una dottrina porti il suo nome, in generale, di dare alcun motivo di Invidia” ( Ethica,IV, Appendice, capitolo XXV).
In unità di amicizia,  la Gloria di questo mondo, è la modestia della Humanitas cui è immanente l’anelito allo scopo più alto, che per Spinoza è di godere insieme con quanti più uomini è possibile del sommo bene. Tale sommo bene è l’altro ordine di Gloria dell’Ethica di Spinoza,  la Gloria di Dio dei testi delle Scritture. Essa va reinterpretata secondo la scienza di Dio di Spinoza per la quale la Divinità è inseparabile dalla Natura,  e dunque da noi uomini, di cui è  causa, principio e fondamento, per cui ne dipendiamo continuamente per la nostra essenza ed esistenza.  La Gloria di Dio ci fa pertanto di sé partecipi quando ci eleviamo alla nostra più alta conoscenza, la conoscenza intellettuale  di Dio come causa della nostra natura, che di Dio ingenera un Amore costante ed eterno. E’ la nostra salvezza e  libertà raggiunte nell’Amor Dei Intellectualis, in cui, per mezzo della Mente, è Dio medesimo, in noi al fondo,  che volgendosi a se stesso  come nostra causa, ama se stesso di Amore infinito, al contempo in cui essendo in noi ed essendo per causa nostra che si ama, ci ama del medesimo infinito Amore.  L’Amore di sé dell’iniziale Soddisfazione Interiore  della nostra Gloria terrena, si rivela, così perfezionandosi,  una parte dello stesso Amore di sé di Dio,  ch’è la stessa beatitudine della Gloria divina di cui parlano le Scritture.
Ma lungo l’itinerarium mentis ad Deum  in cui Spinoza ci insegna “come l'uom si eterna” nella sua vera Gloria, prima che tale perfezionamento trovi la teoreticizzazione del suo compimento nel libro V dell Ethica, egli ci viene invece ammaestrando come l’uom si perde nella VanaGloria.

Infatti ciò che può farci più attivi e potenti, e che può rendere la nostra mente più capace di conoscere, è ciò stesso che può renderci passivi, e ridurci nelle forme estreme di impotenza.( Ethica V, IV, Scolio). Pertanto la ricerca della Gloria degli uomini  che può elevarci fino alla Gloria di Dio, fino ad eternarci nell’Amor dei intellectualis, in cui la nostra felicità diventa beatitudine, ed è la beatitudine medesima di Dio, dell’Amore di sé divino che in noi si invera, (di cui ci facciamo espressione nell’amore di cui l’ amiamo e in cui egli si ama come nostra causa), se tale aspirazione di Gloria si fa una letizia eccessiva o ci depotenzia nelle passioni delle nostre tristezze, può invece asservirci alle forme estreme di follia della mente che sono gli opposti, spesso solo apparenti, della Superbia dell’Ambizioso o dell’Abiezione di chi di sé si vergogna intensamente, con l’aggravante, rileva Spinoza, che benché  l’Ambizione sia una specie di autentico delirio, come l’Avarizia, o la Libidine, non  appare tale agli uomini, che non l’annoverano tra le loro malattie ( Ethica, IV, XLIV, Scolio, Ethica III, XXVI, Scolio).
Tale VanaGloria, coltivata dall'educazione stessa, “giacché i genitori sono soliti spronare i figli alla virtù mediante il solo stimolo dell’Onore e dell’Invidia” (Ethica III, 55, Scolio),  inizia ad insinuarsi come si fa eccessiva  la Soddisfazione interiore che originano le lodi degli altri, e quando, ad originarla, non è la Cupidità di piacere agli uomini della Modestia dell’Onestà che è Humanitas, o Cortesia, che  aspira  all’amore degli altri uomini perché ne causa il bene, ma  (è) la Cupidità di piacere agli uomini, e di esserne lodati,  a causa del fare od omettere cose a danno proprio e al contempo altrui (Ethica III, XXIX, Scolio),  pur di piacere in particolare  alla moltitudine superstiziosa del volgo, come rileva Spinoza a più riprese  nell’ Ethica, secondo la lunghezza d’onda della critica del potere teologico politico che  ispira il suo grande Trattato Teologico-Politico (Ethica IV, LVIII, Scolio). Il volgo è infatti incostante nei suoi umori, e l’Ambizioso, se vuole conservare la sua buona reputazione nell’opinione dellle moltitudini, deve assecondarne la mutevolezza continua, in competizione accanita con gli altri che ne contendono a lui i favori, e “ da ciò nasce un’enorme sete di opprimersi a vicenda in qualunque modo, e chi alla fine riesce vincitore, si Gloria d’aver più nociuto agli altri che d’aver giovato a se stesso. Questa Gloria, dunque, ossia questa soddisfazione è veramente vana, perché inconsistente”. Il Teologo o Politico che intende soddisfare la sua Ambizione conformandosi al volgo, porta alle sue estreme conseguenze la nocività distruttiva ed autodistruttiva della VanaGloria, vanificante il bene proprio ed altrui, poichè finisce per trarre soddisfazione dalla felicità smodata di avere portato alla disfatta il nemico, nel contendersi i favori delle moltitudini, anzichè, generosamente, dall’avere fatto il bene degli altri assecondando il proprio. L’ Ambizioso, altrimenti, secondo l’appetito comune a noi tutti  (Scolio della Proposizione XXXI, Terza Parte dell’Ethica), che gli altri vivano secondo il proprio modo di sentire, appetisce la lode degli altri per la contentezza che costoro trarrebbero dal conformarsi a lui,  solo che non essendo guidato dalla ragione, vorrà che si conformino a ciò che non è  meno dannoso e molesto a se stesso che  agli altri. ( Scolio a Ethica V, IV, o , differentemente, Ethica, III, XXXI, Scolio, ove tale Aspirazione  univocamente è sempre Ambizione, di cui la stessa Modestia  altrove è una manifestazione misurata ( Ethica, IV, Definizione degli affetti XLVIII, Spiegazione).
L’Ambizioso, o Vanaglorioso, crede in tal caso di suscitare un piacere che è tale soltanto nel suo immaginario, mentre reca agli altri esclusivamente danno, e per trarne ancora più soddisfazione, insisterà  ancora di più, rendendosi ancora più nocivo e molesto (Ethica.III, XXIX., Scolio)
L’Ambizioso, o Superbo, persevera così facendo, perché presume di essere più di quello che non  è (Def XXXVII ), sopravvalutando se stesso al tempo stesso in cui svaluta gli altri. Per rinforzare la sua presunzione, a dispetto di ogni evidenza si circonderà di parassiti o adulatori ( con quale garbo, va detto,  Spinoza ne omette la definizione perché ritiene che siano finanche troppo noti), mentre rifuggirà gli uomini generosi e la loro sincerità (  Ethica, IV, LVII). Egli “ si compiace solo della presenza di coloro che assecondano il suo animo impotente e che da stolto lo rendono pazzo”.(ibidem)
La sua esaltazione è  tale,  allora, che diventa una autentica forma di delirio, per cui l’uomo sogna ad occhi aperti di poter fare tutte le cose che egli compie solo in immaginazione ( Ethica, XXVI, Scolio).
L’ Ambizione,- ossia , com’è definita altrimenti, la Cupidità immoderata di Gloria, - essendo una Letizia eccessiva, sfrenata, come tale è più che mai difficile da contrastare per chi ne è affetto, perché alimenta tutte le altre sue affezioni. A proposito, Spinoza cita Cicerone, per affermare che i migliori sono più degli altri guidati dalla Gloria. E ne trae la notazione di come gli stessi filosofi mettono il loro nome sui libri che scrivono sul disprezzo della Gloria, smentendosi nel loro biasimo all’atto stesso di intestare il libro su tale disprezzo( Ethica III, Definizione 44 degli Affetti), come fanno innumerevoli maestri odierni di saggezza spirituale,- se mi è dato di aggiornare la disamina di Spinoza-, che raccolgono fama, ricchezza e successo con l’insegnamento ai propri discepoli di ridursi al fallimento integrale, fino a non essere più nemmeno qualcuno in grado di soffrire.
Ma a vociferare contro la Gloria, sono anche gli Ambiziosi che sono impotenti a conseguirla, disperandone essi diventano Iracondi, e presumono di apparire sapienti quanto più criticano l’abuso di Gloria e la vanità del mondo.
Il disprezzo della Gloria di questo mondo contraddistingue anche gli animi deboli degli Abietti, la cui Vergogna di sé dipende dal sentimento del disprezzo che gli  altri nutrirebbero nei loro confronti, per cui tengono conto di se stessi meno del giusto. Ma secondo l’analisi di Spinoza, tale senso infimo di sé è sempre relazionale, può infatti dipendere dal fatto che l’Abietto immagina, a causa della sua debolezza,  “ di essere disprezzato da tutti, e ciò mentre gli altri a nulla pensano meno che a disprezzarlo” ( Ethica, III, Definizione 28 degli Affetti), o altrimenti può dipendere  dal fatto che egli svaluta se stesso perché sopravvaluta gli altri, che il senso della sua impotenza nasce da un’eccessiva stima  degli altri,  in quanto “ giudica la propria impotenza dalla potenza, ossia dalla virtù degli altri” ( Ethica IV, LVII, Scolio).
Ecco perché la sua tristezza trae conforto dal potere immaginare che siano viziosi anche coloro che stima eccessivamente, “ donde è nato quel proverbio: è un sollievo per i miseri avere dei compagni di sventura”(ibidem).
Nessuno è più incline all’Invidia  degli Abietti, secondo Spinoza,  al punto che suppone nell’Ethica che l’estrema Abiezione spesso sia più apparente che reale, e che coloro che sono creduti estremamente Abietti siano di fatto estremamente Ambiziosi ( Ethica, III, XXIX, Spiegazione), o che Abietto e Superbo siano ravvicinabilissimi e ravvicinatissimi dalla comune Invidia, benché le loro passioni siano l’una contraria all’altra, la Superbia essendo una felicità eccessiva e l’Abiezione una tristezza estrema.

La VanaGloria dell’Invidioso è l’ estremo dell’insocievolezza, perchè trae soddisfazione solo dalla mancata condivisione di ciò che vale e che giova, dal  fatto che l’Invidioso possa sentirsi superiore ai propri pari per qualcosa in sè di singolare, che nega degli altri. Egli può salvaguardare intatto tale senso di superiorità, finchè gli è  dato di godere della debolezza dei suoi pari, mentre lo indebolisce ogni constatazione dei loro pregi,  sicchè, arguisce Spinoza,egli si sforzerà di allontanare questa Tristezza, sia interpretando malamente le azioni dei suoi pari, sia abbellendo le sue, per quanto può” ( Ethica, III, LIV Scolio). L’eccesso di affezioni liete, superiori alla nostra potenza, ingenera nella Mente un sovrappiù di immagini, che cominciano pertanto a confondersi. La letizia eccessiva dell’Ambizioso che è al tempo stesso Invidioso, in luogo delle nozioni comuni delle proprietà comuni delle cose, su cui si fonda la conoscenza intellettuale, origina allora le astrazioni immaginative dei Termini Trascendentali, come Ente, Cosa, eccetera, e le Idee Universali come Uomo, Cavallo, Cane ( Etica II, XL, 1; De Intellectus Emendatione LII), Si tratta di immagini-modello  generali,  assunte a forme archetipiche normative delle cose, che si formano a seconda delle disposizioni passive differenti del proprio Corpo, e negli Ambiziosi che per di più sono Invidiosi, diventano  le idee stesse che scatenano gli antagonismi interumani e le controversie  dei filosofi, perchè costoro vogliono di conseguenza piacere,  essere amati, creduti ed onorati dagli altri, proprio universalizzando in tali idee immaginarie di uomo e tentando di imporre conformisticamente agli altri, le affezioni che più li differenziano e li singolarizzano, rendendoli più contrari  gli uni agli altri.



Ponendo a raffronto il Superbo e l’Abietto, Spinoza rimarca che mentre il Superbo loda e Gloria se stesso, disprezzando gli altri, e “ non racconta di sè se non le proprie virtù, e degli altri se non i vizi, e vuole essere preferito a tutti, l’Abietto riserva lode e Gloria alla propria Abiezione”, ossia, - se ne ricapitoliamo quelle che secondo Spinoza ne sono le manifestazioni, all’essere egli“ l’umile che arrossisce assai spesso, che confessa i suoi vizi e racconta le virtù degli altri, che cede il passo a tutti, e che infine, cammina a capo basso e trascura di ornarsi” e “ per eccessiva paura della vergogna non osa ciò che osano altri suoi pari”( Ethica, III, Definizione degli Affetti, XXIX, XXVIII).
Solo l’immaginazione vergognosa di sé dell’Abbietto, in conformità totale a  ciò che immagina che gli altri pensino di lui, o che gli altri siano a differenza della sua debolezza, per Spinoza può indurre l’uomo a tali forme di Lode e di Gloria di sé, proprio per ciò che egli è nei propri stati di estrema impotenza e di tristezza, perchè la natura umana in sé, “si ribella” contro tali stati di Umiltà e  Abiezione , nessuno, infatti “ per odio di sé , tiene conto di se stesso meno del giusto, in quanto immagina di non potere questo e quello”, non fosse per la  idea di sé che formiamo in rapporto a ciò che immaginiamo che gli altri pensino di noi,  o che più di noi siano capaci di fare o di essere.
Di Spinoza è talmente consequenzialmente impietosa e inesorabile la considerazione della natura umana a riguardo, che a tal punto sente l’esigenza di avvertire i lettori che sta considerando gli affetti umani, e le loro proprietà, alla stessa stregua delle cose naturali, che dunque desume  le conseguenze di ogni nostra tristezza o letizia, come “ dalla natura del triangolo segue che i suoi tre angoli sono uguali a due retti”, e sente l’urgenza di rammentare loro che il solo criterio di valore che l’ orienta è l’utilità umana ( Ethica IV, LVII, Scolio). Ed  è secondo tale criterio,  in ragione della nostra convenienza ad essere utili l’uno all’altro, potenziandoci a vicenda, che Spinoza è critico della Vanagloria quanto lo  è del disprezzo della Gloria umana,  dato che l’utile reciproco richiede lo sforzo, soprattutto, di osservare le azioni degli uomini più per correggerle che per censurarle, al contrario di ciò che fanno gli Abietti.
 Occorre considerare infatti le virtù più che i vizi umani, se il nostro reale intento è di lasciarci guidare dalla ragione nel governo dei nostri affetti ed appetiti, grazie al solo amore della libertà. Solo se procederemo in tal senso, infatti, è alle virtù e alle loro cause che guarderemo,  per godere della loro conoscenza e della vita in conformità ad esse, più di quanto non ci compiaceremo di considerare i vizi degli uomini,  per godere di quella falsa specie di libertà che consiste nell’abbassare gli uomini” hominesque obtrectare” per elevarci a loro danno.
(Ethica V, 10, Scolio).
Fine


Altre considerazioni spinoziane in tema di Gloria

Ho così  raccordato, nella loro dinamica, gli Affetti di gioia e di tristezza che originano la ricerca della Gloria umana e la Vanagloria, e la cui soddisfazione interiore trova la sua perfezione nell’Amor Dei intellectualis.
I teologi delle varie religioni per assoggettare ai cupi sogni di Gloria del  proprio potere teologico- politico le moltitudini del volgo, devono assecondare le manifestazione di Speranza, di Paura, di Umiltà, di Pentimento, della Superstizione del medesimo volgo, cosi terribile se non ha paura “ terret vulgus, nisi metuat”, asserisce Spinoza citando Tacito. A sua volta la moltitudine del volgo asseconda le ambizioni di Gloria del clero finchè ne può essere alimentata la credulità che i teologi, e i loro “predikanten”, siano depositari della rivelazione diretta di Dio in parole e opere. Essa si manifesterebbe nelle Scritture ritenute Sacre, che in ogni loro lettera  sarebbero la parola di Dio, di cui tali pastori e guide siarrogano di essere i soli legittimi interpreti.  Le altre principali manifestazioni di Dio assoggettanti sono i miracoli, compiuti  contro natura dalla mano immediata di Dio, e che i religiosi certifichino come veramente accaduti, o altrimenti sono le loro virtù profetiche, o la loro ispirazione divina grazie ad un  presunto lume soprannaturale. E’ per affermare la libertà di pensiero minacciata dalle autorità dogmatiche  e dai loro sostenitori politici nella libera Repubblica d’Olanda dei suoi tempi, che Spinoza scrisse  il Trattato Teologico –Politico.


Come egli confessò  nella prefazione al  De intellectus Emendatione, debole era il lui l’attaccamento alla Gloria terrena, che pure anima a suo giudizio i migliori spiriti, quanto intenso era l’anelito alla Gloria biblica dell’Amor Dei Intellectualis. Avrebbe potuto altrimenti affrontare l’oltraggio recato dai  poteri teologico-politici e dagli uomini del tempo alla sua ricerca filosofica ed alla sua persona? Disebraicizzato dall’herem della scomunica inflittagli dalla Comunità ebraica di Amsterdam, costretto a differenza di coloro di cui disse che ripongono il proprio nome nella copertina delle opere in cui disprezzano la Gloria, ad attribuire un’identità falsa all’autore del proprio Trattato Teologico-Politico, per evitare la tortura e il carcere, o il patibolo,  messo al bando degli uomini con la sua opera, quando si scoprì che ne era l’autore, costretto a non dare mai alla luce in vita la propria Ethica somma; essendo egli rivoluzionario ed empio, perchè era il fautore intransigente e coerente  della più onesta vita morale, votata alla libertà rischiarata dalla luce della ragione, e insieme da una religione ispirata dai soli principi fraterni di giustizia e carità.

  Dalla mia tesi

VIII. Passioni.  Le Letizie eccessive

 

Il tipo ulteriore di Passioni è dato dalle Gioie immoderate. Se una o più parti del Corpo, come della Mente, sono affette più delle altre da dei corpi esterni e dalle loro idee, si  determina una Gioia eccessiva o Titillatio del Corpo. la cui potenza, essendo più forte di quella degli altri atti del Corpo e della Mente, si fissa tenacemente, impedendo al Corpo di essere affetto nei moltissimi altri modi che non consentono alla Mente di concepire adeguatamente ( Etica IV, 43, 39).

   L’Amore e la Cupidità eccessive che ne derivano sussumono sotto di sé la Mente ed il Corpo, fissando la natura dell’ uomo nella considerazione di u n solo oggetto e nell’ attaccamento ad un solo affetto.

E’ il caso dell’Avarizia, dell’ Ambizione, della Libidine, della ricerca smisurata ed esclusiva, fine a se stessa, di onori, ricchezze, piaceri. ( Etica, IV, 43, 44).

   Nella Titillatio le forze  esterne non favoriscono lo sviluppo della nostra potenza assoluta di agire, la quale soltanto ci consente di sussumere, sotto le sole leggi della nostra natura, gli stessi affetti esterni che ne hanno assecondato l’affermazione.

   Potenziando eccessivamente una o parecchie parti soltanto del nostro Corpo, queste Gioie o Letizie passive impediscono le altre azioni del Corpo e le percezioni adeguate della mente, determinando la nostra forza ad esprimere la potenza prevalente delle cose esterne.

“ Strumento passivo delle cause esterne che l’utilizano per realizzare i propri effetti, l’uomo è forte e cionostante impotente”, asserisce a commento Mugnier Pollet ( Mugnier Pollet, 1976:97).

L’eccesso di affezioni liete, superiori alla nostra potenza, ingenera nella Mente un sovrappiù di immagini, che cominciano pertanto a confondersi. La letizia eccessiva dell’Ambizioso che è al tempo stesso Invidioso, in luogo delle nozioni comuni delle proprietà comuni delle cose, su cui si fonda la conoscenza intellettuale, origina allora le astrazioni immaginative dei Termini Trascendentali, come Ente, Cosa, eccetera, e le Idee Universali come Uomo, Cavallo, Cane ( Etica II, XL, 1; De Intellectus Emendatione LII), Si tratta di immagini-modello  generali,  assunte a forme archetipiche normative delle cose, che si formano a seconda delle disposizioni passive differenti del proprio Corpo, le quali negli Ambiziosi che per di più sono Invidiosi, diventano  le idee stesse che scatenano gli antagonismi interumani e le controversie  dei filosofi, perchè vogliono piacere,  essere amati, creduti ed onorati dagli altri, proprio universalizzando in tali idee immaginarie e tentando di imporre conformisticamente agli altri, le affezioni che più li differenziano e li singolarizzano, rendendoli più contrari  gli uni agli altri.

   L’eccesso di un’affezione parziale di Gioia, superiore alla nostra potenza, implica nella Mente un eccesso di immagini rispetto alla sua potenza immaginativa, che cominciano pertanto a confondersi .Soprattutto nelle Letizie eccessive , in luogo delle nozioni comuni delle proprietà comuni degli enti, hanno così origine le astrazioni immaginative dei Termini Trascendentali, come Ente, Cosa, eccetera, e le Idee Universali come Uomo, Cavallo, Cane ( Etica II, 40, 1; De Intellectus Emendatione 42).

   Si tratta di immagini-modello  generali,  assunte a forme archetipiche normative delle cose, che da ciascuno sono formate a seconda delle disposizioni passive differenti del proprio Corpo, le quali sono le idee stesse che scatenano gli antagonismi interumani e le controversie  dei filosofi, quando vogliamo essere amati, creduti ed onorati dagli altri, proprio in ciò in cui più le affezioni più ci differenziano e ci singolarizzano, rendendoci più contrari  gli uni agli altri.

   Le principali Sollecitazioni eccessive definite da  Spinoza sono la Stima eccessiva, la  Superbia, che è una forma di Stima eccessiva, l’Ambizione, la, la cieca Audacia,  l’ Ingordigia, l’Ubriachezza, l’Avarizia e la Libidine.

  La Superbia è la Stima eccessiva di se stessi in chi si ritiene superiore agli altri solo perché li considera meno del giusto( Etica III, Definizione 28 degli Affetti; Etica IV,  57). E’ pertanto il contrario della Umiltà.

    L’Ambizione è invece l’eccesso  della stessa modificazione delle Cupidità che è costitutiva della nostra socialità  individuale,  è infatti la modificazione immoderata dell’ Appetito di una cosa  che si genera in noi per imitazione degli Affetti dei nostri simili ( Etica III, 27).

   L’immaginazione di un  affetto di un  Corpo esterno simile al nostro esprime infatti un’affezione del nostro corpo che è simile a quest’affetto, come è possibile rilevare già nel transitivismo del comportamento infantile:

Sperimentiamo, infatti, che i bambini, il cui corpo si trova continuamente come in equilibrio, ridono e piangono solo perché vedono ridere o piangere gli altri; e tutto ciò, inoltre, che vedono fare ad  altri , subito desiderano imitarlo, e infine desiderano per sé tutto ciò di cui immaginano che altri si dilettino; e ciò perché le immagini delle cose sono, come abbiamo detto, le affezioni del Corpo umano, cioè i modi in cui il Corpo umano è affetto dalle cause esterne ed è disposto a fare questo o quello ( Etica, III, 32, Scolio)”.

  Basta pertanto che noi immaginiamo l’ Amore o la Avversione di un nostro simile per una cosa, perché  anche noi amiamo questa cosa o l’abbiamo in odio.

E’ l’Emulazione questo semplice sforzo che compiamo per piacere ai nostri simili ( Etica, III, definizione 32).

Ma noi possiamo allietarci  ancora  di più a causa dell’ imitazione degli affetti di gioia nei quali i nostri simili, da noi sollecitati,  già ci emulano a loro volta, godendo della Gloria di essere elogiati ed amati da essi, come la causa  della loro Gioia ( Etica III, definizione 31 degli Affetti).

   L’ Ambizione è di conseguenza l’ulteriore sforzo immoderato della Cupidità  volto a che ciascuno approvi od abbia in odio ciò che noi emuliamo od irridiamo, allorché per esagerato o cieco amore di Gloria noi vogliamo essere approvati dai nostri simili, sottomettendoli proprio a quelle nostre passioni e a quei modelli universali che ne sono le idee, nei quali possiamo essere maggiormente contrari gli uni agli altri ( Etica, definizione 44 degli Affetti; Etica III, 31 ed Etica IV, 37, Scolio I).

Ma in sé, in quanto sia invece Appetito attivo, determinato prevalentemente dalle leggi della nostra natura, la stessa Cupidità di cui l’Ambizione  è un eccesso, ossia l’aspirazione che gli altri ci imitino nel nostro modo di sentire, può esprimere una volontà positiva di umanità e di concordia, costituendo la Cortesia o Modestia della Moralità ( Etica III, 29, Scolio; Etica III, definizione 43 degli Affetti).

Si deve infatti notare anzitutto che è uno solo e medesimo l’ Appetito per il quale l’ uomo è detto tanto attivo quanto  passivo. Per esempio, noi abbiamo mostrato che la natura umana è stata disposta in modo che ciascuno appetisca che gli altri vivano secondo il suo modo di sentire ( vedi lo Scolio  della Proposizione 31 della Terza parte); e questo Appetito in un uomo  che non è guidato dalla ragione è una passione che viene detta Ambizione e non differisce molto dalla Superbia; mentre, in un uomo che vive  secondo il dettame della ragione, è una azione, ossia una virtù, che si chiama Moralità ( Vedi lo Scolio I della Proposizione 37 della Quarta Parte e la Dimostrazione 2 della medesima Proposizione.) “ ( Etica, V, Proposizione IV, Scolio).

( Vedi Etica III, 32, Scolio***).

Mentre l’Ambizione è una volontà  del nostro conformismo passivo, è la Cupidità di essere approvati dagli altri assoggettandoli alle nostre stesse passioni , la Moralità è invece l’ambizione del nostro conformismo attivo, è la volontà di unire a sé gli altri in amicizia che in noi è dettata dall’ Onestà, ossia dall’ esigenza, immanente alla ragione,  di comunicare la propria conoscenza intellettuale, che è quanto per Spinoza promuove  la vera vita di relazioni interumane.

La Moralità è dunque la volontà di conformismo attivo dell’ uomo libero che” non si conforma  a nessuno se non a sé stesso” ( Etica IV, 66, Scolio), ed aspira all’ accordo con gli altri uomini in ciò in cui gli uomini, cercando al massimo per sé il proprio utile, vivono prevalentemente secondo le leggi della loro natura individuale e convengono al massimo tra loro, rendendosi di somma utilità gli uni  agli altri, nel godimento comune della vita relazionale, il cui sommo bene, la conoscenza adeguata dell’ essenza eterna ed infinita di Dio, è un bene che  suscita unanime concordia, poiché ”è comune a tutti gli  uomini e può essere posseduto da tutti gli uomini, in quanto sono della medesima natura” ( Etica, IV, 36, dimostrazione), un bene, che per imitazione virtuosa degli affetti di gioia che sono costituiti dall’ amore intellettuale di Dio comunicato agli altri uomini, affinché tutti ne godano, e tanto più ( per la proposizione 37 della III Parte) quanto egli fruirà di questo bene…( Etica IV, 37, dimostrazione 1[m1] [m1]). [1][1]



[1][1] Confronta lo Scolio  I alla Proposizione 37 della Parte Quarta dell’ Etica
SCHOLIUM I. Qui ex solo affectu conatur, ut reliqui ament quod ipse amat, et ut reliqui ex suo ingenio vivant, solo impetu agit, et ideo odiosus est, praecipue iis, quibus alia placent, quique propterea etiam student et eodem impetu conantur, ut reliqui contra ex ipsorum ingenio vivant. Deinde quoniam summum, quod homines ex affectu appetunt, bonum saepe tale est, ut unus tantum eius possit esse compos, hinc fit, ut qui amant, mente sibi non constent, et dum laudes rei, quam amant, narrare gaudent, timeant credi. At qui reliquos conatur ratione ducere, non impetu, sed humaniter et benigne agit et sibi mente maxime constat. Porro quicquid cupimus et agimus, cuius causa sumus, quatenus Dei habemus ideam, sive quatenus Deum cognoscimus, ad  r e l i g i o n e m  refero. Cupiditatem autem bene faciendi, quae eo ingeneratur, quod ex rationis ductu vivimus,  p i e t a t e m  voco. Cupiditatem deinde, qua homo, qui ex ductu rationis vivit, tenetur ut reliquos sibi amicitia iungat,  h o n e s t a t e m  voco, et id  h o n e s t u m , quod homines, qui ex ductu rationis vivunt, laudant, et id contra  t u r p e , quod conciliandae amicitiae repugnat. Praeter haec civitatis etiam quaenam sint fundamenta ostendi. Differentia deinde inter veram virtutem et impotentiam facile ex supra dictis percipitur: nempe quod vera virtus nihil aliud sit, quam ex solo rationis ductu vivere; atque adeo impotentia in hoc solo consistit, quod homo a rebus, quae extra ipsum sunt, duci se patiatur et ab iis ad ea agendum determinetur, quae rerum externarum communis constitutio, non autem ea, quae ipsa ipsius natura in se sola considerata postulat. Atque haec illa sunt, quae in schol. prop. 18. huius partis demonstrare promisi, ex quibus apparet legem illam de non mactandis brutis magis vana superstitione et muliebri misericordia, quam sana ratione fundatam esse. Docet quidem ratio nostrum utile quaerendi necessitudinem cum hominibus iungere; sed non cum brutis aut rebus, quarum natura a natura humana est diversa, sed idem ius, quod illa in nos habent, nos in ea habere. Imo quia uniuscuiusque ius virtute seu potentia uniuscuiusque definitur, longe maius homines in bruta, quam haec in homines ius habent. Nec tamen nego bruta sentire, sed nego, quod propterea non liceat nostrae utilitati consulere et iisdem ad libitum uti; eademque tractare, prout nobis magis convenit; quandoquidem nobiscum natura non conveniunt et eorum affectus ab affectibus humanis sunt natura diversi. Vide schol. prop. 57. P. 3. Superest, ut explicem, quid iustum, quid iniustum, quid peccatum et quid denique meritum sit. Sed de his vide sequens scholium.
SCHOLIUM
 


 [m1][1][1] Confronta Etica  IV, £7, Scolio 1:SCHOLIUM I. Qui ex solo affectu conatur, ut reliqui ament quod ipse amat, et ut reliqui ex suo ingenio vivant, solo impetu agit, et ideo odiosus est, praecipue iis, quibus alia placent, quique propterea etiam student et eodem impetu conantur, ut reliqui contra ex ipsorum ingenio vivant. Deinde quoniam summum, quod homines ex affectu appetunt, bonum saepe tale est, ut unus tantum eius possit esse compos, hinc fit, ut qui amant, mente sibi non constent, et dum laudes rei, quam amant, narrare gaudent, timeant credi. At qui reliquos conatur ratione ducere, non impetu, sed humaniter et benigne agit et sibi mente maxime constat. Porro quicquid cupimus et agimus, cuius causa sumus, quatenus Dei habemus ideam, sive quatenus Deum cognoscimus, ad  r e l i g i o n e m  refero. Cupiditatem autem bene faciendi, quae eo ingeneratur, quod ex rationis ductu vivimus,  p i e t a t e m  voco. Cupiditatem deinde, qua homo, qui ex ductu rationis vivit, tenetur ut reliquos sibi amicitia iungat,  h o n e s t a t e m  voco, et id  h o n e s t u m , quod homines, qui ex ductu rationis vivunt, laudant, et id contra  t u r p e , quod conciliandae amicitiae repugnat. Praeter haec civitatis etiam quaenam sint fundamenta ostendi. Differentia deinde inter veram virtutem et impotentiam facile ex supra dictis percipitur: nempe quod vera virtus nihil aliud sit, quam ex solo rationis ductu vivere; atque adeo impotentia in hoc solo consistit, quod homo a rebus, quae extra ipsum sunt, duci se patiatur et ab iis ad ea agendum determinetur, quae rerum externarum communis constitutio, non autem ea, quae ipsa ipsius natura in se sola considerata postulat. Atque haec illa sunt, quae in schol. prop. 18. huius partis demonstrare promisi, ex quibus apparet legem illam de non mactandis brutis magis vana superstitione et muliebri misericordia, quam sana ratione fundatam esse. Docet quidem ratio nostrum utile quaerendi necessitudinem cum hominibus iungere; sed non cum brutis aut rebus, quarum natura a natura humana est diversa, sed idem ius, quod illa in nos habent, nos in ea habere. Imo quia uniuscuiusque ius virtute seu potentia uniuscuiusque definitur, longe maius homines in bruta, quam haec in homines ius habent. Nec tamen nego bruta sentire, sed nego, quod propterea non liceat nostrae utilitati consulere et iisdem ad libitum uti; eademque tractare, prout nobis magis convenit; quandoquidem nobiscum natura non conveniunt et eorum affectus ab affectibus humanis sunt natura diversi. Vide schol. prop. 57. P. 3. Superest, ut explicem, quid iustum, quid iniustum, quid peccatum et quid denique meritum sit. Sed de his vide sequens scholium.
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