martedì 30 aprile 2013

in Chandigarh


Quando ho sognato il mio arrivo in Chandigarh, mi accoglievano luminose case bianche con verdi finestre squillanti, tra la frescura frizzante di un vento montano, cui succedevano quartieri di case in cui il  cemento aveva grigiori perlacei, di longilinee haveli di arenaria fulgente, con intarsiati rilievi  arabescati.
Ma dopo le piatte distese oltre i filari di pioppi dei campi dell’ Haryana pulverulenti, l’arrivo nella  Chandigarh reale è stata  la disillusione istantanea che realisticamente non potevo che attendermi,
Per anonimi quartieri moderni l’autobus è pervenuto nella più anonima e grigia stazione di autobus,  aperta a  una piazza centrale di un grigiore ancora più squallido. E come ho trovato e lasciato la  stanza di albergo,  attardato dalla impossibilità di sostare nel primo hotel perché non disponevo del  permesso di residenza in Chhattarpur, è subentrata l’anonimità dei viali a quella dei caseggiati popolari e di utilità pubblica  dei settori centrali,  verdi di una moltitudine di alberi estenuati dalla calura  estiva e senza vigoria di fronde, lungo incerti e sterrati camminamenti pedonali, rispetto ai quali  predominavano le auto in ogni corsia. Ma non solo  le larghe arterie stradali a percorrenza veloce erano riservate al dominio pressocché assoluto degli autoveicoli, e lo erano anche le corsie a scorrimento più lento, mentre le piazze destinate al traffico pedonale ne erano degli esclusivi parcheggi, in cui spadroneggiavano i carapaci delle loro sagome allineate, mentre nei parchi  i viandanti erano sparute presenze fantasma.
 Delle forme di vita di strada,   le uniche attestazioni erano due venditrici appiedate di frutta, mentre per dissetarmi, in assenza di qualsiasi chiosco o rivendita di bibite analcoliche,  ho dovuto rifarmi a uno degli spacci frequenti di vino e birra.  Uscendo avevo mirato solo a raggiungere il centro capitolino, credendo che per quanto a quell'ora tarda ne fossero inaccessibili e inavvicinabili gli edifici pubblici, con il flusso del traffico potessi raggiungerne gli spiazzi resi più magnificenti dalle illuminazioni notturne.
Ma giunto a qualche settore di distanza, senza ravvisarne ancora alcuna parvenza, non mi restava che avviarmi al rientro tra le repliche seriali dello stesso tipo di edifici pubblici rinfrescati di bianco, a loro volta delle  repliche seriali di filari di balconi senza sporto rispetto ai loro supporti.
All’uscita dell’hotel, l'indomani avrei  visto  appiedati i chai walla del settore 22,  i venditori di tè, prima di trovarmi più a mio agio nel traversare un settore agiato, per raggiungere per i suoi viali il teatro Tagore.  Un  esercizio di rigore, più che di fantasia, il  parallelepipedo in muratura tra due cubi di vetro che ne costituiva il tutto, Era odoroso anche nello spiazzo esterno delle travature e dell’acustica in legno, ne era il sentore dell’ascetica degli allestimenti, l’ambito in cui  la cultura popolare indiana sembra  trovare  in Chandigarh  il solo diritto ad una sua rappresentazione scenica,
Poi, nella  pioggia che si intensificava nel  tardo mattino, nemmeno l’iter procedurale che si complicava per ottenere il diritto di accesso al centro capitolino, poteva lasciarmi presagire ciò che esso mi avrebbe riservato: già l’approssimarvisi aveva la cupezza di un incubo,  il verde incolto di radure ed alture lo appartava al di fuori della città abitata,  destinandolo al solo accesso militarizzato della burocrazia amministrativa, in un sogno di città in cui con la pianificazione urbanistica  cadeva ogni effettiva  ragione d’essere di una partecipazione politica.
Eppure, oltre il mostruosario del Secretariat , che splendidi edifici aveva vagheggiato la fantasia geometrica di Le Corbusier,  quali armoniose ricomposizioni incruente di ogni  vertenza politica e giudiziaria, nel parlamento e nell’alta corte di giustizia, in virtù del semplice decorrervi  civico dei cicli naturali dell’essere.  Si arriva a fronteggiare il Parlamento dopo averne costeggiato l’azzurro delle vasche d'angolo, che frescheggia e riflette la sua attività rinnovatrice, mentre  il profilo corneo della tettoia si allunga in un’inflessione che è come una ricezione della spiritualità celestiale, la sovrastano una piramide inclinata, una sorta di sifone svasato che pare un’ ameba, a significare tutto ciò che di  straniato e sghembo si ricompone in ogni ordine. E le vacuità dei supporti di cemento costituite di  circolarità irregolari,  esaltano come l’ordine geometrico comprenda intrinsecamente anche l.‘organico. Nel suo manifestarsi alla vista in cromatismi vistosi,  bellissimo il pannello che nei cicli della vita include la sede istituzionale del Parlamento. Ma il magnifico edificio primeggiava in un immenso isolamento deserto , senza impronta alcuna di alcuna vestigia umana  partecipativa, conteso dal cemento armato del grande spiazzo di fronte, e dall’erba matta che vi cresceva incolta e lo attorniava con grami alberi. Una recinzione che divideva l’ampio spiazzo, troncava ogni flusso vicendevole con il palazzo di giustizia,  rinviando al presidio militare della riduzione a burocrazia della democrazia.
Ridisceso l’avvallamento  e raggiunta e percorsa, a sinistra, la china  in salito del   manto stradale divisorio, mi ritrovavo presso la scultura celeberrima del’open hand, della mano aperta, pronta a ricevere e dare, in virtù di una risorsa civile di Chandigarh, così vitale, che sembrava non aver bisogno di alcun concorso  politico od istituzionale  nel suo auto asserirsi. La frequentazione diurna delle aule giudiziarie spiegava come il verde circostante l’Alta corte fosse stato aggraziato a giardino di rose, tra getti d’acqua, e come con il traffico umano di vakil, avvocati e loro clienti, vi circolasse quello veicolare. L’Alta corte era un’altra invenzione fantastica del genio architettonico di Le Corbusier, avvivata da un reticolo di parallepidedi che hanno la funzione di frangisole,  da pilastri nei più  brillanti colori primari, sullo sfondo di rampe di ascesa così innovativamente profilate di vuoti.
L’esercizio del rigore giudiziario vi era convertito nell’applicazione delle regole di un  gioco, come quelli dell’ infanzia, che attraverso le sentenze che emana ci riconsegna  alla innocenza di una ritrovata armonia  con l’ordine naturale delle cose,
Del  rigore costruttivo applicativo della città in cui tornavo, senza sublimazione ascetica o invenzione fantastica, nel suo destinare il pregio di abitazioni e negozi e ristoranti solo ai più facoltosi, era una sorta di compensazione complementare l’esuberanza fantastica del rock park che Nek  Chand, ispettore e supervisore di strade profugo dal Pakistan,  dopo la Partizione, aveva prodigiosamente popolato delle sue innumerevoli  creature scultoree, ottenute con il riuso clandestino dei più vari rottami  della città in formazione, cocci in ceramica di  vasellame, di prese della corrente, ferramenta di biciclette, senza che tuttavia lo strabiliante assumesse ai miei occhi  una valenza più che artigianale, pur nel suo evocare le cromie luminescenti degli edifici di Gaudi.
Il romantico Gandhi Bavan, di Jeanneret, nell’arcuarsi della tensione delle sue linee spezzate, per frangersi ancora, in una ricomposizione ciclica ternario che prende orpo nel corso della pradakshina deambulatoria, materializzantesi nel calore della sua bellezza granulare parietale, sotto il sole ritornato a splendere e ad avvivare i parchi e i giardini del campus universitario in cui il memoriale è situato, è stata la visione del bello in cui si era commutata in farfalla la crisalide  delle parvenze da incubo di Chandigarh, prima che il Satabdi-express mi consentisse il sollievo di distaccarmene, per ritrovarmi gioioso nella vitalità di Delhi.

una ritrovata innocenza in armonia/ all’ innocenza di un ritrovato equilibrio

giovedì 18 aprile 2013

l'arrivo del tuk tuk


Neanche due giorni sono intercorsi, tra l’arrivo del mio bonifico nel conto corrente dell‘amico,  quando già ne disperavo, e quello dell’autoricksaw nuovo di compera nella casa di Kailash, dopo che per anni e anni mi sono dato da fare, ed ho atteso invan,o  per vedere Kailash  intento al lavoro nei suoi campi, o nel nostro negozio generale di paese, fare anche solo la barba ad un solo cliente in quello di barbiere, invece che stazionarvi a farla da padrone in chiacchiere supponenti.
In Chattarpur, dove l’autoveicolo è  stato acquistato, con alla sua guida un conducente amico si è stati  già di ritorno,  martedì scorso,  una seconda volta, per la registrazione dei dati identificativi dell‘autoricksaw , sobbollendovi sotto un caldo torrido in compagnia di Ajay edi  Chandu. Insieme con il lavoro ed un  guadagno non irrisorio, stando a quanto ha raggranellato già il primo giorno, pare sia sopraggiunta anche la fine dell' insonnia notturna che alimentava il suo ozio in un circuito vizioso esasperante, quando non c’era pomeriggio che non dovessi contrastare la sua propensione a letargire in un letto, od al suolo, tra i bambini inaccuditi che gli stavano intorno.  A mezzogiorno ora lascia che anche al  mio pranzo  provveda Vimala,  per essere quanto prima in postazione di nuovo presso l’automezzo, pur se deve ancora attendere che gli arrivi a giorni la licenza del trasporto di viaggiatori che non siano dei familiari, o dei conoscenti, per potere seguitare a trasportare liberamente i suoi clienti occasionali. Nel frattempo non si attenta più a farlo, dopo che ieri la polizia l’ha intercettato e redarguito presso il tempio di Durga ch’è in prossimità dell‘aeroporto, mentre con due ragazze, oltre Vimala e Poorti, e Chandu, era avviato a Byathal per mostrare l’automezzo ai propri genitori. Con Ajay io ero invece in  Mahoba e dintorni, per visitarvi gli antichi  templi Chandella di cui avevo ritrovato l’indicazione del sito, quando ho recuperato il foglietto su cui ne avevo trascritto i nomi dai pannelli,che durante il festival di danze internazionale di Khajuraho, pubblicizzavano tali località archeologiche. Un incanto il tempietto dedicato alle Chausat yogini di Sijahari, la cui scalinata digradava nei ghat di un talab, tra le fronde di un pipal e di nim che ne custodivano la sacralità delle granitiche forme architettoniche primeve, sei sikkara sopra seidelle nove celle interne, corrispettivamente di diversa grandezza, un portale di accesso alla sala interna su cui davano le celle multi residenziali delle dei, i motivi ornamentali esterni puramente geometrici, in un’alternanza di poligoni e di rombi diamantini, sopra le flessuosità curvilinee degli stipiti inferiori, in un’assonanza di forme e decoro che evocava  i tempi del Lalguan Mahadeva di Khajuraho, e ancor più il Chusat yogini mandir, l’adiacente tempio a Ganesha, anch’essi in riva a un talab, di MauSahanya, o i presumibili tempietti alle dee e il tempio al Dio Shiva in loro puntuale prossimità , di Bhima Kundha, situati nei vicini paraggi di Dhubela.

in memoria di don Ulisse Bresciani


Dall’India in  cui ancora  mi trovo, la lettura in rete del  commento  di don Ulisse Bresciani alla Genesi e alle Lettere di Paolo, negli incontri che teneva ogni martedì nelle sale canonicali della basilica di Sant'Andrea , puntualmente  quanto implacabilmente vi arrivavo in ritardo, era rimasto fino a questi giorni il mio solo legame continuativo  con la realtà di  Mantova più propriamente  culturale e spirituale. Avrei voluto prima o poi un giorno o l’altro scrivergli, a riguardo, e rendergli grazie di quanto nel corpo a corpo dell’esercizio sanguinante dell’amore  reale, in tutte la vulnerabilità cieca e le fragilità umilianti della mia carnalità spirituale, avessi trovato sostegno e conforto decisivo nelle sue riletture illuminanti dei sacri testi che sono l‘alfa e l’ omega della spiritualità cristiana, in particolare,ad esempio, sulle orme esegetiche del biblista  Andrè Wenin,  di come la  cupidigia sia il peccato alla radice di ogni altro, quando il desiderio non sa accettare il limite che consente il ritmo dell’essere, e la " bestia, che in noi è accovacciata" si fa distruttiva di ogni alterità umana e naturale che ci è affidata in dono perché se ne sia responsabile, o di come per Paolo  la potenza e sapienza di  Dio nel suo splendore di gloria, si manifesti  proprio nella vulnerabilità fragile per cui per il mondo siamo solo debolezza e follia, sua spazzatura  e rifiuto di tutti.
Con che luminosità annuente mi aveva manifestato come fossi proprio nel vero, che avevo inteso al volo, quando gli ebbi  timidamente a chiedere  se nelle loro candide vesti lavate con il sangue dell’agnello, i 144 mila eletti dell’Apocalisse , riscattati dalla terra, non fossero gli stessi eunuchi evangelici,.
Invece per un’ispirazione che non è pura casualità naturale, dopo innumerevoli giorni ho aperto in internet  questo martedi 16 aprile la Gazzetta di Mantova,  per ritrovarvi la notizia dolorosissima della sua morte il giorno avanti, senza più alcuna possibilità di alcuna ripresa con egli di alcun discorso  ad un mio futuro rientro. Non lo ritroverò dunque più nella sala della colonna di Sant’Andrea,o in quella d’attesa del nostro comune medico personale, senza che potessi supporre la gravità del male che ve lo recava, per la stessa serenità imperturbata e gioiosa con cui mi salutava e poi, in sincronia, si reimmergeva  nelle letture dei libri che vi recavamo per leggerli in attesa, e fin che avrò vita terrena resterà così consegnato solo alla riesumazione della mia grata memoria, il ritrovarvi  in questo mondo  l’unico volto e l’unica voce in cui nelle ore estreme del dolore e della disperazione, dei miei ultimi tempi, ho confidato e che ho ritrovato immancabilmente pronta ad ascoltarmi, per accompagnarmi nella remissione o a riavviarmi alla speranza fiduciosa . Così è stato , per la sua indefettibilità spiurituale, quando a lui si è rivolto in lacrime il mio Io affranto per la morte del mio piccolo Sumit, o  quando con la dignità ed il lavoro, ogni prospettiva di vita e di futuro  sembrava  andata distrutta.-
In tal modo egli si assimilava a Dio, nel suo debole per i deboli di cui parlava nelle sue omelie mirabili, autentici improvvisi del Suo Spirito.
 Allo stesso modo, si è assimilato alla Sua passione per la libertà di ogni uomo, quando con fermezza assoluta mi ha categoricamente invitato a lasciare  affidata alla autonoma scelta del mio amico indiano, e della moglie,  il compimento della gravidanza da cui sarebbe nato il nostro adorato Chandu , pur dopo averli consigliati nella loro fede hindu secondo quanto mi dettava la mia ispirazione cristiana.
Resta  ora compito di chi a differenza di me è dentro la comunione di vita parrocchiale della Chiesa cattolica, che non vada disperso l'insegnamento del suo Cristianesimo, così radicalmente fedele alla  Parola del Verbo e così  eversivo al contempo della vulgata devozionale religiosa, nel farsi flagello sferzante, di domenica in domenica,  di chi  annuendo tra i banchi sapeva benissimo, in conformità  di fede a questo mondo,  come essere assolutamente cattolico senza essere per niente cristiano.

venerdì 5 aprile 2013

6 aprile


Kailash, immensamente caro, a notte inoltrata finalmente ha trovato il suo sonno  occupando il mio letto,  nella stanza della televisione Vimala e i bambini si godono ora il riposo di una vita serena, mentre io solo insonne, custodisco la mancanza insostenibile di Sumit.alla nostra unione familiare
Nei campi circostanti Khajuraho, alla cui vita agreste  l'altro ieri ho fatto ritorno da Delhi, ancora compaiono ampie distese di grano, tra i coltivi in cui già le spighe ne sono state recise e raccolte in mannelli,  una quiete profonda quanto la realtà delle cose sovrintende al lavoro nei campi e alla pastura dei bufali nelle radure,  in un'intensità d'ombre che addensa la pace sotto le fronde.
Prima di partire per Delhi, due settimane fa, sulla via che reca ai villaggi di Citrai, Beni Gangi, Bamnora, un contadino mi aveva coinvolto nella separazione che ancora era in atto dei grani dil pisello dalla pula, con un'elica che fungeva da ventilabro di fronte ai cesti di cernita,  era agli inizi la raccolta dei ceci, i campi intonsi di grano primeggiavano su quelli in cui era iniziata la semina, un incanto era la luce che invigoriva la viridescenza nel fogliame, non ancora si era illanguidita nel velame delle nubilagioni che ne offuscano ora la luminosità, mentre la calura incrementa, ed allo spirare  del vento turbini crescenti di  foglie morte ingialliscono nei fondali stradali, delle radure e dei campi di stoppie.
Nella stessa vita di ogni giorno del villaggio di Khajuraho, intanto ho dato l'addio al giovane commesso del k
Kashmir , così riguardoso e gentile, ho ritrovato Ganesh senza più lavoro come guida, con il dottor Dubey ho differito di parlare del suo affido del suo podere alle mie cure, mentre con Kailash ho pattuito compensi e fatto acquisti, ho vagheggiato un futuro in cui ogni iniziativa intrapresa giunga a buon punto, l'acquisto dell'autoricksaw, il lavoro nei campi propri ed altrui, inseminandovi con il grano od il sesamo le colture ayurverdiche, il progetto di un negozio di item islamici desunti dagli atelier dell'urdu Bazar, dell'apertura di una bottega di giocattoli e di beni domestici e capi ornamentali,  in materiali poveri quali carta riciclata, legni non pregiati, pezzi di stoffa,  giunchi e vimini e cordami, lavorati dalle mani di donne ed adolescenti o di popolazioni tribali di villaggi adivasi,
Da Delhi vi sono stato di  ritorno con nuovi seggiolini di canne palustri,  acquistati nella solita bottega  del Nehru Bazar, ma questa volta dai giovani che li fabbricano mi sono fatto condurre nella casa in cui le costruiscono, in strettoie di vicoli quali quelli in cui mi è venuta meno anche solo l'idea di inoltrarmi ulteriormente,  oltre la Turkman Gate, quando sono pervenuto sino alla breccia tra le case che costituisce con i loro muri il vano a cielo aperto del luogo di culto islamico delle presunta regina Tugluq *, morta in Delhi di fine violenta come l' altra signora che vi ha tento di erigersi nella storia recente a despota dominatrice dell'India.
Non meno care mi erano nei bagagli le cards con i  girasoli, od il trenino,  o le libellule e altri fiori e insetti  intorno ad essi volanti, ricavati da ritagli di stoffe e filamenti colorati, o la collana di simulate pietre ottenute con le policromie, e i caratteri devanagar, di striscioline arrotolate di ritagli di giornale, che nel National craft Museum avevo acquistato da una luminosa e intensa Jan Sandesh, che li fa  creare a donne ed adolescenti dei sobborghi di Delhi, ripromettendomi che sarei tornato/ tornerò/ quanto prima a trovarla, perchè le cose non finissero a tal punto, facendomi estensione, a mia volta, della  rete di relazioni del suo atelier solidale, come  non possono finire nel nulla le mie dichiarazioni di intenti con Bablu,  in Chitrakoot,di diffondere tra i bambini indianii suoi meravigliosi giocattoli di legno, in luogo di quelli di plastica, o che espressi con la signora di Nagpur che ho incontrato nel Silpgram di Kajuraho a fine febbraio, che a delle famiglie adivasi assegna la fabbricazione, o il disegno e la stampa, di meravigliosi manufatti o di tribali figurazioni warli.
 Nè vi avevo accantonato come acquisti occasionali, la maglietta con l'effige di Ganesha, dall'aureo profilo stilizzato, o quella con l'immagine in bianco e nero di Ghandi, accompagnata dal suo asserto che "Dio non ha religione". Come non ritrovarmici d'incanto, nella ricerca di un Dio da adorare in Spirito e Verità, tramite una fede liberata dal sacro di qualsiasi religiosità? Non per altra ragione raccolgo o indosso al contempo simboli hindu e islamici e cristiani, con la rabbia in corpo che mi si sprigiona in furore,  quando non posso nemmeno  inoltrarmi poco oltre la soglia di un  tempio con le scarpe, per lenire i  tormenti artrosici che insorgono nel levarmele,   dove possa sedermi  lì accanto, che ecco, all'istante, c'è già chi mi ha avvistato ed inveisce contro la impurità contaminatrice delle mie calzature, o al solo ricordo della suoricina di Khajuraho che mi rimbrotta per il rosario hindu con il quale ho partecipato al rito della messa la domenica delle palme, compiacendosi di dirmi che li tagliano loro, non appena sia loro dato di farlo,  simili  oggetti di perdizione...
Anche il samadhi del luogo di cremazione dello stesso Gandhi  ne è divenuto un sacrario, per chi mi ha redarguito che anche il vasto circondario di pietra che a distanza vi si eleva intorno,  ne era un baluardo intoccabile dalla borsa in cui avevo raccolto dei libri.
 Ma  nel tardo mattino di oggi  6 aprile,  Kailash mi ha or ora recato la notizia che dopo oltre una settimana non gli sono stati accreditati i 1.500 euro che gli ho inviato per l'acquisto dell'autorickshaw, ed io già immagino che siano finiti dispersi, e voglio soltanto sfigurarmi e levarmi la vita distruggendo la sua.