venerdì 29 novembre 2019

il caso " Falsetto" ( Ascendenze montaliane )


Ascendenze monta liane ( Il caso” Falsetto”)

Se per quanto concerne il mottetto delle Occasioni “ Addii, fischi nel buio, cenni, tosse” dalla critica letteraria è stato evidenziato l ‘implicito richiamo e rimando alla ode barbara carducciana “ Alla stazione in una mattina d’autunno” ( significative, in proposito, come ha messo in luce l’analisi variantistica di Dante Isella, la sostituzione di “suoni di tromba”, nel primo verso, con “fischi nel buio”, trasmutazione dei versi 31-32 dell’Ode carducciana . “immane pe’l buio / gitta il fischio che sfida lo spazio, o “gli sportelli abbassati” in Montale, variazione minima degli “sportelli sbattuti” carducciani , per non tacere la ripresa nel mottetto del tema degli altri viaggiatori resi estranei, al Carducci dall’inerzia dolorosa dell’accidia, per entrambi dall’ennesima frustrazione del distacco e del farsi assente della persona amata), invece non mi risulta che sia stato finora riportato in luce che già un antecedente testo illustre di Montale è la metamorfosi superiore di un altro testo carducciano; e mi riferisco a “Falsetto”, del 1924, che se sfogliamo anche solo le “ Poesie scelte “ di Carducci negli Oscar Classici Mondadori, e a pagina 213 la poniamo a diretto raffronto, del 1881, con un’altra pur meno insigne “ barbara”, ossia “ Saluto d’Autunno”, vi ha luogo l’agnizione inequivocabile del suo archetipo.
Falsetto

Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra
l’arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.

La dubbia dimane non t’impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
L’acqua’ è la forza che ti tempra,
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo
come un’equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.

Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.

Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.


Ossi di seppia (Mondadori, 2001)

Saluto d’autunno
Pe' verdi colli, da' cieli splendidi,
e ne' fiorenti campi de l'anima,
Delia, a voi tutto è una festa
di primavera: lungi le tombe!

Voi dolce madre chiaman due parvole,
voi dolce suora le rose chiamano,
e il sol vi corona di lume,
divino amico, la bruna chioma.

Lungi le tombe! Lontana favola
per voi la morte! Salite il tramite
de gli anni, e con citara d'oro
Ebe serena v'accenna a l'alto.

Giú ne la valle, freddi dal turbine,
noi vi miriamo ridente ascendere;
e un raggio del vostro sorriso
frange le nebbie pigre a l'autunno.




Innanzitutto pressoché lo stesso si disvela il tema di fondo: ossia il poeta che celebra la vitalità che gli è preclusa in una giovane donna, Delia/ Esterina alias Ester Rossi, impavida ed imperturbata dall’idea della morte e del tempo a venire. E comuni risultano ugualmente determinati motivi essenziali che costituiscono il tema principale: la disinvoltura con cui la giovane donna può rimuovere l’idea della propria sorte mortale e del suo futuro incerto; la sua virtù di sventare l’insidia che le recano gli anni; l’atteggiamento di contemplazione inerte della vitalità di lei che è riservato al poeta, che ne figura ugualmente impartecipe in posizione contrapposta, giù nel fondovalle mentre lei sale in altura, il Carducci, ( “giù nella valle, freddi dal turbine, noi vi miriamo ridenti ascendere), a permanere a riva mentre ella si tuffa nel mare, analogamente Montale ( “ ti guardiamo, noi della razza/ di chi rimane a terra!).
E c’è altro di testamentario: a certificare l’origine da “ Saluto d’autunno” di “Falsetto” corroborano l’autentifica le ulteriori evidenze di metafore simillime: la fiducia nel futuro che prevale sugli oscuri presagi, infatti , è espressa da entrambi i poeti ricorrendo all’immagine di un risuonare favorevole di strumenti celestiali ( “Salite il tramite/ degli anni e con citara d’oro/Ebe serena v’accenna a l’alto..”( Carducci), “ Un suono non ti renda / qual d’incrinata brocca/ percossa; io prego sia/ per te concerto ineffabile di sonagliere…”( Montale); mentre le difficoltà e le inquietudini che si addensano e che la giovane donna agevolmente travalica sono espresse dalle immagini affini “ delle nebbie pigre a l’autunno” e della fumea che il vento lacera o addensa”. E in entrambi i testi v’è un corso e ricorso di primavere e d’autunni.
Alfine, suggello ingeminato di “Saluto d’autunno”, incastonato ancora più a rifulgere in “ Falsetto”, (voilà, che) a sgominare le tenebre residue di ogni infugato dubbio, ci si offre il prezioso che costituisce il debito più alto e più esaltante di Montale, nei confronti di saluto d’autunno: ossia , ancorpiù magnifico nella risignificazione assuntavi, lo splendido sintagma del “divino amico”, che in Carducci è il sole che inaureola la bruna chioma di Delia, in Montale il mare nel cui abbraccio Esterina si tuffa. lla luce di tali evidenze clamanti, a differenza di quanto ha di recente scritto Ettore Bonora ( a pagina 47 di La poesia di Montale. Ossi di seppia Padova, Liviana, 1982), Carducci non risulta più affatto estraneo, pertanto, al neoclassicismo giovanile di Montale, di cui “Falsetto” è indubbiamente l’esempio più alto, e si fa invitante la ricerca di quanto l ulteriore opera poetica di Montale gli sia debitoria, oltre i casi già scoperti . A parte “ Falsetto”e “Addi, fischi nel buio, cenni, tosse”, già Pier Vincenzo Mengaldo ha riconnesso l’espressione “ t’attedia”ricorrente nei versi “ e t’attedia la ruota/ che in ombra sul piano dispieghi” di Fuscello di Montale, a “ o Miramare, a le tue bianche torri/ attediate per lo ciel piovorno… “ del secondo verso di Miramare., ed il “se ne illustra” del verso montaliano “il cavo cielo se ne illustra ed estua” di “Marezzo” al verso 37 carducciano di “ Pe’l Chiarone di Civitavecchia” , “ il sole illustra le cime”; mentre l’Isella , nel commento già citato dei Mottetti”, dai lombi dell’ “Inno a Satana “, verso 170, “ Un bello e orribile mostro si sferra”, ha fatto discendere del mottetto “ Il fiore che si ripete” il si sferra” del verso “un cigolio si sferra, ci discosta”. Tali e tante e così schiaccianti sono le prove che di “Falsetto” “Saluto d’autunno” fu la matrice, che si potrebbe considerare l’affare di tale filiazione un caso con archiviato. Ma a precludere ogni acquiescenza è l insegnamento del pensiero genealogico che un’ origine ultima non esiste mai; tantomeno in letteratura. Se Delia di “Saluto d’autunno “ è la genitrice certa di Esterina di “Falsetto”, ha dunque da sussistere già un’immediata avola comune, pur sempre progenie a sua volta di ulteriori stirpi, cui forse è ora senz’altro facilissimo pervenire , per sentieri tut’altro che interrotti, bensì disseminati di spie e clamorosi indizi, tanto la pagina canta; innanzitutto a quel “ Salite il tramite degli anni”, che ci rimanda ad un salire assai prima terminato, “ sul limitare/ di gioventù” e a “ la bruna chioma di Delia”, come inanellata pria a più famose “negre Chiome”. Eppoi le tombe, pur anco, che Silvia, lei , appunto, addita morta da lontano, mentre delia, nella natura contrastiva che appare assumere il loro rapporto, quale “ lontana favola” ne distoglie da sé il pensiero remoto, “ lungi le tombe”, iterato per due volte, a significare quanto Delia, come Esterina, le anti-Silvie della nostra letteratura, in conformità con il mito superstite della loro incoscienza si disimpegnino con tutte le forze della loro vitalità dal farsi coinvolgere letalmente nella cadute delle speranze del poeta, protese a non divenirne affatto, con la loro morte fisica, prematura l’allegoria defunta.
Sintomi incalzanti che neo-leopardiano è anche il solidale contesto di “falsetto” in cui tali spie segnaletiche si inseriscono, a loro volta si disvelano leopardiani nel timbro i congruenti stilemi montaliani , a ricorrervi, de “ la dubbia dimane” e del “ sorridente presente”. E sempre ostinandoci, se non accanendo, nella ricerca di antenate di Esterina immanenti nel testo, ”l’intento viso che assembra l’arciera Diana” in lei, 8 forse nel suo disdegno di ludi sessuali, a tutto vantaggio di quelli natatori, che appagandola ne preservano l integrità), non ne richiama forse, altresì, più remore e pur sempre illustri ascendenze liguri? Nell’aspraLiguria già avendo avuto la sua natal patria altra giovane già assembrata alla casta figlia di Latona, se a Simonetta nata Cattanei di Marco Vespucci, alla di lui teda legittima poi soggiogata in Etruria, tali sono gli accenti che nelle Stanze del Poliziano proferisce Julio già sconvolto d’amore: “ O qual che tu sia, vergin sovrana, / o ninfa o dea, ma dea m’assembri certo; / se dea, forse se’ tu la mia Diana”.
“ hai ben ragione tu…”, commenta Montale il “crollar di spalle” di Esterina, che a lei basta per rimuovere ogni molesta incertezza d’avvenire; così come “ Forse/ gli automi hanno ragione” nelle loro esistenze murate negli scompartimenti dei treni, secondo il suo sentenziare poetico nel mottetto di cui è ugualmente in debito con il Carducci.
Il che ci fa indulgere a un ultimo ulteriore sospetto conclusivo: che dove Montale riesuma Carducci sia in particolare laddove ha di che ben dare ragione a esistenze meccaniche e incoscienti; laddove si auto denigra spiritualmente; come già in “Davanti San Guido “ o in “ Idillio Maremmano “ Il Carducci, nel rimpiangersi pur anche buttero, piuttosto che ” pover uom” “sudar dietro il piccoletto verso”; anti-artifex, o anti-vate, insomma.

1983

giovedì 28 novembre 2019

Al voto( risale all'agosto 2019)


La nostra Costituzione è di una chiarezza assoluta quanto ad elezioni anticipate. In Italia esse sono un’extrema ratio, ci si può ricorrere solo se da parte del Presidente della Repubblica non è componibile alcuna maggioranza diversa da quella che ha cessato di esistere. Sostenere che una volta che una formazione politica ha deciso di andare alle elezioni bisogna concedergliele, per il largo favore di cui gode nel paese, altrimenti chissà che cosa succede, e che nelle attuali contingenze è meglio che si paghi l’onere dell’ aumento dell ‘ Iva che fare di tutto per sventarlo, così l’aggravio delle nostre condizioni di vita sarà messo in conto di chi la crisi l’ha voluta, mi sembra la resa anticipata anziché la resistenza nei confronti di chi pretende come un nuovo Hitler i pieni poteri, e nei confronti del Presidente della Repubblica ha lo stesso atteggiamento di Mussolini verso re Vittorio Emanuele III all’atto della marcia su Roma, ed è l’esatto contrario di una politica di responsabilità nazionale. Mossa geniale del cavallo è stata invece quella di Renzi, che ha sparigliato i giochi e ha rimesso in moto l opposizione. E non dimentichiamo, per quanto localmente ci interessa, che una delle ragioni per le quale Salvini si è deciso ad andare al voto è il rifiuto degli inceneritori espresso dal Ministro dell’Ambiente Costa, del M5S.
Odorico Bergamaschi

Arte e desiderio


Signor Direttore, l’intero programma delle celebrazioni giuliesche si prefigura come davvero allettante e magnificamente orchestrato, non fosse per la mostra “Giulio Romano, Arte e Desiderio , tanto più dopo il suo lancio come “ la mostra più sexy dell’anno”. L’assunto, dato il titolo, avrebbe dovuto far tremare le vene e i polsi, se preso sul serio. Nell’arte sia occidentale che orientale, certamente nella fabella di Amore e Psiche da cui dovrebbe trarre origine la mostra, il desiderio rimanda a Dio ed all’unione dell’anima con Dio, per partecipazione o per fusione. Per lo stesso Raffaello, maestro di Giulio, ogni altra espressione del Desiderio la si vuole una manifestazione insufficiente e votata all’ insoddisfazione dell’Amore di Dio, e comunque sia, per tale sua radice, o non, tale desiderio è presente in ogni nostra intensità ed attaccamento, sia esso sensoriale o intellettuale, nello stesso mondo animale e vegetale, o altrimenti è in tensione agonistica contro ogni nostra brama, se l’unione a Dio la si persegue per distacco o per rinuncia, nella mortificazione fino al sacrificio volontario della stessa esistenza. Così era o avrebbe dovuto essere per Apuleio nelle sue Metamorfosi in conformità con il culto di Iside dei cui misteri è il risvolto essoterico la storia di Amore e Psiche a cui è ispirata la stanza omonima di Giulio Romano, e così avrebbe dovuto essere per lo stesso Giulio Romano, sempre che l’assunto non sia stato per il Pippi un mero pretesto, come sembra esserlo per gli organizzatori della mostra. E’ oramai indubbio, infatti, come hanno inteso la cosa lor signori, in vista di un facile e certo successo, quale sia, in esclusiva, l’ oggetto per niente oscuro di Desiderio ed arte che è il loro target, in sintonia prestabilita con i visitatori di massa che si attendono a frotte, riconducendoci alla solita Mantova tra delizie e malizie. Solo che anche il vedere il desiderio solo sotto quel lato, ci rimanda sempre ad Altro, senza essere per questo dei Lacan: all’energia espressiva che è infusa nella sua manifestazione artistica, ai maestri del fare figurativo da cui la si è attinta, poiché di per sé anche la più esplicita della scene erotiche ben poco accalora, o suscita, in noi , nel sentire estetico che è di più del nostro io pornografico, se non è emozionante in virtù di linea o colore o matericità e imprimitura, etc. etc Senza di che sai che gran risultato , direbbe il poeta, cosi uscirne dal Te come da a un “Eldorado banal de tous les vieux garcons “. Chi poi ci dice che non ci sia più desiderio in una marina di Monet o in un notturno di Van Gogh, nelle stesse mele di Cezanne, che nei “modi” sessuali del duo Giulio Romano- Marco Antonio Raimondi? O per privazione sublime nello stesso ascetismo delle bottiglie fantasmatiche di Giorgio Morandi? E comunque sia non c’è , di fatto, discorso su Arte e Desiderio come esplicitazione espressiva proprio della sessualità, che non debba fare i conti come terzo incomodo con il Potere, le cui divagazioni sessuali principesche si vollero sdoganare con i fasti degli Amori degli Dei e di Giove che furono dipinti dal Correggio e da Perino del Vaga e che saranno in mostra, un felice ritorno di certo quello del Bonaccorsi, nelle stanze del , ma guarda caso sempre sotto le insegne dell’ Electa. Il Potere, è beninteso, da intendersi non solo come l’istanza che consentiva in Roma tutto quello che al Pippi o al Raimondi era rappresentabile solo in una Mantova od in una Venezia, ma pur anche come l’ abuso di posizione dominante che sollecitava al nostro “genio” e “ gigante” l’infamia di anticipare per il marito della Boschetti, Francesco Cauzzi Gonzaga, quale terzo incomodo tra lei e il duca Federico secondo, di lei amante, nell’artigliatura dell’ occhio del coniuge da parte di un Giove duca già in procinto di penetrarne la moglie Olimpia-Isabella , l’assassinio non tanto oscuro di cui il Cauzzi sarebbe stato vittima nel 1528. Ed a tal punto della licenza per accortezza e delicatezza taccio

Esclusivi ed escludenti


Non credo che dagli scontri tra la maggioranza che governa Mantova e l’opposizione di centro destra , pur se a potenza di fuoco assai limitata, possa nascere nient’altro che la delegittimazione reciproca, fintantoché il centro destra non riconoscerà i meriti e i pregi indiscussi di questa amministrazione, e al contempo non ne risalirà ai limiti che sono assai maggiori di quelli che discerne , e se il centro sinistra, ossia il sindaco Palazzi e il suo trigol magico, non riconosceranno alcun errore possibile che sia stato da loro commesso, e almeno le attenuanti generiche alla precedente giunta Sodano, per aver essa operato in stato di emergenza a causa del terremoto e dei limiti di spesa allora imposti ai bilanci comunali , il che certo non toglie che tale governo locale sia stato di una tale desolazione da non lasciare rimpianti. Nessuna autocritica significa per me ben poca credibilità politica degli uni e degli altri in quello che asseriscono. A rendere paradossale tale negazionismo dell’altrui operato ed a spiegare perché al contempo tra tali duellanti non c’è mai stata alcuna sciabolata d’affondo, è il dato di fatto che i presunti contendenti condividono lo stesso modo di far politica e la stessa idea di città, che altro non è che un derivato tossico del suo paradigma virtuoso, di città dell’accoglienza e partecipativa, d’arte, di gusto, di cultura e della conoscenza, fondata su un’economia territoriale verde tecnologicamente avanzata. In realtà i due schieramenti sono l’amalgama fluido di uno stesso magma di potere, come attesta il fatto che l’opposizione di centrodestra più che un’ antagonista è parsa una copertura assicurativa per questa giunta, nei momenti critici in cui sembrava che dovesse venire giù tutto . Centro destra e il sindaco Palazzi e i suoi alleati vari sono infatti portatori tutti quanti di un’idea identica di democrazia esecutiva , escludente ed esclusiva, per cui chi vince si prende tutto , decide tutto e non vuole saperne niente delle ragioni altrui, in una rivalsa continua tra chi vince e chi perde, tutta giocata a brutto muso e niente “acceptance” della cittadinanza, che è tutt’uno con la condanna della nostra città a eleggere maggioranze che debbono disfare i magoni lasciati dalle precedenti intanto che ne edificano di nuovi, più mostruosi. Con tale governance e dispersi dentro la nebulosa del suo futuro ch’è implicita in tale prassi politica, sempre più Mantova è destinata, di fatto, ad essere una borgata in cui periferie e centro storico, cultura, lavoro ed ambiente, i bisogni dei vecchi e dei lavoratori della conoscenza, di artigianato e commercio finiscono subordinati all’ ipersviluppo turistico acritico e velleitario della zona Ztl, un blob di Airbnb, negozi di asporto e fatturato alle stelle di pochi eletti, contrassegnato dal predomino concomitante di una cultura festivaliera di corte e del suo mostrificio, acchiappa turisti, su di un pensiero critico diffuso e sulla funzione civica del patrimonio storico, che è di formazione educativa della soggettività dei cittadini . Insomma Mantova quale Outlet turistico, secondo le aspirazioni di entrambi i contendenti, anziché il suo comporsi in un Distretto umanistico e tecnologico della conoscenza, in sintonia con il grado di sviluppo industriale del territorio limitrofo. E cosa non meno grave , nel frangente attuale, se tra tali due schieramenti si risolve la partita, la loro alternanza è la strettoia di un vicolo cieco che ci nega , insieme con le istanze di partecipazione vera dei cittadini ai processi decisionali e alla loro attuazione, che è il solo vero antidoto ai magoni seriali, qualsiasi alternativa di scelta sulle questioni oggi fondamentali per la nostra città: penso alla Grande Mantova, boicottata ignominiosamente sia da centro sinistra che da centrodestra, con larghe intese da marpioni, e all’ inceneritore, al cui insediamento in città entrambi i presunti contendenti sono di fatto a favore, checché ne dicano con infingimenti tattici, e con loro lo sono i loro accoliti al seguito, in grande spregio o noncuranza dello stato di apprensione diffuso per i danni che l’inceneritore potrebbe arrecare alla nostra salute. Quanto poi al M5s, quale terzo incomodo, se quello che ha da offrire è l’” In work poverty”, 54O euro al mese di reddito medio del lavoro di cittadinanza, per 16 ore alla settimana di corvèe verde, il cielo e la fuga all’estero ne scampino i nostri giovani.
Odorico Bergamaschi

L'arte di Giuseppe Bazzani


Signor direttore,
quanto alla bellissima mostra che grazie soprattutto ad Augusto Morari fino al 6 gennaio del 2020 nel Museo Diocesano consente di ammirare l’opera pittorica e i disegni del più grande pittore nativo di Mantova, Giuseppe Bazzani, a 250 anni dalla sua morte, qui vorrei dire che cosa ritrovo di grande nei dipinti e nei disegni che vi sono esposti , onde sollecitare ad andare a vederla, chi mi legga. Mi terrò dunque alla larga dalle diatribe su ascendenze e influenze delle opere di Bazzani, e sulle periodizzazioni controverse inflazionate dal poco o nulla che si sa sulla sua vita, per cercare invece di far luce su come un pittore marginale quanto poteva essere ai suoi tempi la stessa città di Mantova dopo la caduta dei Gonzaga e la sua relegazione alla periferia estrema dell’impero austriaco, sia riuscito a convertire il suo isolamento nella più intima e libera adesione della sua arte al suo sentire interiore, sino a diventare un artista assolutamente universale , almeno il primo nostro pittore di vaglia europea Difficilmente sulle sue tele si schiarisce l’ imprimitura cupa, di fondo, del suo senso della vita come trepidante sofferenza senza quiete, di cui la fede cristiana sembra addensare più che fugare le angosce più profonde, innanzitutto quanto alla realtà ineludibile della nostra morte terrena Così i suoi fondali, abbandonati i trascorsi giovanili di scene e tele di palazzo allegoriche e magniloquenti, e con essi l’ostentazione della sua assoluta pienezza di mezzi formali e compositivi, tendono a farsi un mero contrasto di chiaroscuri agitati, da cui al più emergono solo colonne come quinte storiche, fronde squassate da turbini. Da tali meri paesaggi dell’anima le figure devozionali e dei personaggi biblici o dell’ antichità pagana sono evocate ora come le comparse di larve appena individuabili, ora in una corposità di protagonisti raramente soffusa e morbida, dal tormentato profilo tortuoso continuamente frangentesi, nei panneggi di inquieti balenii zigzaganti, e questo perché sia la luce , in una spiritualizzazione geniale del suo ravvivare il colore, a disvelarvi i nodi sentimentali e drammatici che avvincono le figure , illuminando il protendersi e il ritrarsi o l’abbandono dei corpi, l inclinazione espressiva delle teste nella loro gola, siano rappresentate scene della Sacra Famiglia allargata, la Vergine e il Cristo compianto, i santi in adorazione ed estasi. E la luce si addensa abrasiva, corrodente sino all’ incandescenza, in filamenti bianchi o in grumi di colore, che contrastano con la stesura più piana delle parti ove regna l ombra. e nei tuoi guizzi la pittura di tocco raggiunge certi estri estremi, come nei pizzi dell’abate Petrozzani di Santa Barbara o nel velo della figlia di Jefte. Sottostante, una semplicità compositiva di sbalorditiva bravura, nel disporre le figure in “ strutture piramidali attuate per incroci di assi obliqui” ( Chiara Tellini Perina) , lungo diagonali che non pregiudicano mai l equilibrio e la ponderazione visiva delle parti rispetto all’ asse mediano del dipinto o del disegno, Al centro assoluto di tale intensità drammatica, la cui tragicità non è più drammaturgia, come lo era ancora nei dipinti di palazzo d’ Arco, il dibattersi di luce ed ombra, di fragile grevità terrena e di esaltazione divina , l una compartecipe dell’altra, nella dolorosissima figura del Cristo, la cui rappresentazione è l’acme dell’arte del Bazzani . Egli è Gesu Bambino che sguscia in una vitalità ancora inconsapevole tra le braccia di una madre che sa del destino del figlio, e poi, già nel Battesimo, nei suoi atti miracolosi, nella sua Passione, alfine nella cena di Emmaus e al confronto ultimo in Tommaso con la debolezza umana , Egli è fondamentalmente l’incarnazione nel dolore estremo del servo sofferente di Isaia. Per Bazzani Egli è venuto nel mondo sostanzialmente per farsi portatore di tutta la sofferenza degli uomini, per patire e compatire, come nel suo sguardo volto all emorroissa, per bere fino in fondo il calice dell’angoscia dell’uomo per la propria mortalità. Nell’adorazione dell ‘ orto, soccorso Egli da un angelo, sotto la croce che lo strema, il Gesù di Bazzani ha già davvero la morte nel volto, e nulla più che le sembianze livide o sbiancanti del Cristo deposto dalla croce, con il viso disfacentesi in un grumo terreo d’ombra ,mentre la luce rivela solo già il procedere del suo decomporsi, nulla più che il disfacimento cadaverico proprio di chi alla morte avrebbe tolto il suo pungiglione, rivela l angoscia e i dubbi di fede del pittore, tanto che nel miracolo del bambino che S. Mauro resuscita disattende ogni rianimazione pittorica del piccolo, nel transito di Giuseppe protende a Cristo il proprio stesso corpo consunto. Nel suo essere vero uomo e vero Dio, nel grado più alto possibile, il Cristo di Bazzani è vero cadavere ai piedi della Croce prima ancora che vero risorto, luce di gloria proprio nelle tenebre del patimento estremo,- sicché non è un caso che Bazzani, distoltosi dalle mondanità dei palazzi per le sole committenze di chiese di città e di campagna del mantovano, non realizzi alcuna immagine pasquale del trionfo di Cristo risorto sulla morte . Con i dipinti delle Deposizioni del Museo Diocesano, del Cristo nel Getsemani sorretto dall angelo , sono un culmine, in sintonia, del Bazzani grafico che la mostra opportunamente esalta, sublimi per intensità tragica non meno che per virtù compositive e degli scorci di volti e di corpi, i disegni altissimi delle scene di via Crucis della Fondazione d’Arco, di una remissività del Cristo al dolore morale dell ‘ingiusto giudizio e a quello fisico del patimento sfinente della Croce, la cui apprensione emotiva è quanto meno straziante. Indimenticabile il solo sguardo che può rivolgere alla madre nel loro incontro lungo il calvario, per comunicarle il senso di tutta la propria Passione, di cui uando era tra le sue braccia lei poteva avere solo il presagio. E a significare l’indifferenza del mondo al suo Salvatore, ecco comparire come nelle scene di Alessandro, già in Vulcano ed Eros, o nel proprio autoritratto, lungo la stessa strada di Emmaus, la figura di un meraviglioso cane, che dal Mantegna, a Rubens, al Fetti, è insieme con il cavallo, la cui equinità ha un così grande risalto giuliesco, l'altro animale mirabile dell’arte figurativa di Mantova

domenica 17 novembre 2019

Concertone di capodanno


Signor Direttore
ci mancava solo il Concertone di Capodanno del costo di 130.000 euro + Iva, e voci varie, il gran botto elettorale di fine mandato di questa nostra giunta comunale, ovviamente a spese di noi tutti cittadini di Mantova. E’ quanto basta e avanza per levare di tasca a chi di noi è avanti negli anni l’aumento annuale delle pensioni voluto dal governo congiunto. Una trovata da far scancherare tutti i santi, con buona pace o desistenza rock-rap di Sinistra italiana e ultrasinistre varie. Ma invece di unirmi in una sola voce al coro degli angeli che imprechi su in cielo, qui propongo più ponderatamente: se il fine eminente del nostro fare amministrativo è far divertire il popolo e farlo spendere ancora di più, come vuole la leggenda del “mostro mite “di A. de Tocqueville, che “vuole che i cittadini se la godano, purché non pensino ad altro che a godersela», perché non limitarsi all’ opzione più economica della lista concertistica, di 13.500 euro+ Iva , che tanto il popolo in piazza balla e canta ed è contento ugualmente, e trattenendo in cassa l’ammontare del Concertone per far fronte ai mancati introiti corrispondenti di quanto propongo, non destinare tale risparmio a fare propria la proposta caldeggiata dal consigliere Pierluigi Baschieri , di Forza Italia, di concedere a chi venga da fuori il parcheggio gratuito la domenica e durante gli altri giorni festivi nella nostra città, almeno per il sollievo delle tasche dei nostri commercianti, invece che per la felicità di quelle dei soli Subsonica ( e altro non aggiungo)?
Odorico Bergamaschi.

ultime news dall India


Un mio scritto personale Le ultime news dall India

Domenica scorsa, mentre stavo rigirando la chiave per uscire dal mio appartamento e recarmi a leggere i giornali in un caffè del centro città, l’anziana signora che abita nell’appartamento di front e che ha la stessa età di mia madre, si è affacciata alla porta per rendermi la copia delle mie chiavi che le avevo affidato,“ “visto che adesso per provvedere a sua madre non può più partire per l India”
L’ho pregata comunque di conservarle, per ogni possibile emergenza.
“Non si sa mai, se per l’aumento della pressione o qualche incidente in bicicletta mi capita ancora di finire in ospedale”
Nel primo pomeriggio una volta tanto mi ha risposto dall’ India il ragazzo Mohamnmad.
“Quando vieni?” si è affrettato a chiedermi nel suo anelito.
Gli ho detto delle ragioni che mi trattengono in Italia, dell’appartamento di cui a 67 anni sono costretto ad andare in cerca fuori città, delle richieste di denaro esorbitanti che per l’assistenza a mia madre mi inoltrano i miei familiari in Italia, le sole che sanno avanzare a me che di tutti loro sono chi è in stato di povertà e di precarietà, chiedendomi proprio ciò che sono meno in grado di offrire. Tant’è che qualora si appellino ai giudici io non mi difenderò e non mi presenterò in tribunale, perché né in Italia né in India trova riconoscimento o è legale l’amore che mi lega a chi ho adottato.
“ dunque per quest’anno non torni in India…” il ragazzo ha concluso con tristezza mortificata.
“ Mohammad dimmi comunque come ora posso aiutarti…”
I need you, not your help”
“ Io ho bisogno di te, non del tuo aiuto”
La linea è quindi caduta , ed io ho contattato allora Kailash perché aiutasse il ragazzo a farsene una ragione, come Kailash se l 'è fatta già a sua volta, essendo io inquietato ancora una volta dallo sconforto del mio caro ragazzo.
Kailash ha potuto risollevarmi dicendomi,qualche ora più tardi, per quel che aveva saputo dal padre di Mohammad, che non era prostrato da uno stato di inedia, ma che si trovava con un businessman in Rampur, un villaggio nei pressi di Panna.
Quanto al figlio Ajay, non avevo motivo di dolermi che non mi avesse ancora inviato le pagine degli ultimi argomento di studio di biologia perché lo aiutassi nell’apprendimento,con test o lezioni via skype, in quanto che in India erano sospesi social e network, per evitare che tramite il loro uso si infiammassero gli animi e si aizzassero rivolte, dopo la sentenza emessa il giorno avanti sul caso plurisecolare di Ayodhya. Il sito dove sorgeva la Babri Masjid, che nel 1992 era stata demolita da migliaia di fanatici hindu perché era il sito dove sarebbe nato il presunto dio Rama, e dove anticamente sarebbe stato eretto un tempio hindu commemotativo abbattuto dall’imperatore moghul Babur proprio per edificarvi la moschea che i facinorosi hindu avevano abbattuta a sua volta, era stato riconosciuto come di spettanza agli hindu, e i musulmani erano stati risarciti assegnando loro 5 acri di terreno dove avrebbero potuto far risorgere la moschea Babri. A riprova del fatto che un tempio hindu preesisteva alla moschea demolita nel 1992, Kailash mi adduceva le testimonianze di archeologi dell’Archaelogical Survey of India che avevano accertato che una struttura sorgeva in precedenza, un tempio hindu , sicuramente, come confermavano i resti ritrovativi di un amalaka e di un pranala, che sussistono solo nei luoghi di culto dell induismo. Un altro archeologo aveva addirittura sostenuto che risaliva ad Ayodhya la statua del dio Rama che io e Kailash avevamo onorato a suoi tempo in Orccha, nel tempio edificatovi in onore del dio Rama in cui sarebbe stata traslata. A onore del vero suffragava tale ipotesi anche un archeologo islamico, i cui accertamenti a suo tempo, negli anni settanta del secolo scorso, non avevano trovato seguito, a suo dire, per la prevalenza di orientamenti di sinistra nell’Archaelogical Survey of India. Ad ogni buon conto , come avrei concluso e detto solo l’ indomani a Kailash, trovando un suo consenso, l’area sacra contesa non si sarebbe dovuta assegnare né agli hindu né ai musulmani, perché né i musulmani avrebbero dovuto erigere una moschea proprio dove gli hindu immaginavano che fosse nato il dio Rama, né tanto meno, quattro secoli dopo, neanche trent’ anni fa, gli hindu avrebbero dovuto distruggere tale moschea, guarda caso individuando il luogo dove sarebbe nato il dio Rama proprio al centro del vano sottostante alla sua cupola centrale. Si sarebbe così emessa una sentenza che sarebbe stata di perpetuo monito a chi, hindu o muslim, intendesse usurpare i siti religiosi di culto per l’altrui fede. La preoccupazione delle autorità indiane per possibili reazioni di rivolta, che data la sentenza della corte suprema era da paventarsi che fossero soprattutto di matrice islamica, era tale che in tutta l’India per lì intera giornata della sentenza erano rimaste chiuse tutte le scuole, le quali nell ‘Uttar Pradesh, dove sorge Ayodhya e dove numerosi sono i mussulmani che vivono nei grandi centri urbani, sarebbero dovute restare chiuse anche di lunedì. La preoccupazione pubblica aveva oscurato negli animi anche la gioia e la soddisfazione per l’evento, di natura opposta, dell ‘apertura del corridoio di Kartapur, che nel 550 anniversario della nascita del guru Nanak, il fondatore della religione sik, aveva ricongiunto i due luoghi di culto sik negli opposti Punjab, dell India e del Pakistan, di Dera Baba Nanak Sahib, in India, e del gurudwara Darbar Sahib, in Pakistan, consentendo agli indiani sik di transitare senza un visto il fiume Raw di confine e di raggiungere nel Pakistan il gurudwara Darbar Sahib*. Un corridoio di neanche 4 chilometri, ma che allevia di molto la tensione riaccesasi tra India e Pakistan e che ne smorza i recenti venti di guerra , dopo la revoca dell’articolo 72 che concedeva al Jammu Khasmir uno statuto speciale.
Kailash trovava modo invece di dilungarsi su quanto i documentari in rete gli avevano consentito di apprendere sui diversi luoghi dove avrebbe sostato il dio Rama, nel suo tragitto d’esilio da Ayodhya e poi sulle tracce dell’amata Sita rapitagli dal demone Ravana, signore dello Sri Lanka.
Oltre a Citrakoot dove con il mio amico o da solo mi sono recato più volte, con Mathura e Vrindavan il solo sito in cui Kailash abbia potuto condurre in pellegrinaggio l' intera famiglia, quando era ancora in vita il nostro Sumit, che Dio l’abbia nella sua gloria, i luoghi di soggiorno del dio sarebbero stati il parco di Bandhavgarh, Nasik, nel Maharastra, Rameshwaram nel Tamil Nadu, che io e Kailash abbiamo visitato insieme indimenticabilmente. Kailash si ricordava ancora che da Rameshvaram avevamo preso l’autobus per Madurai, prima di raggiungere al termine dell’ India KanyaKumari, anziché pervenirvi direttamente da Rameshwaram, A diciassette ( in realtà ventidue) miglia dal suo abitato sorge un tempio, mi ha detto,( quello di Sethu Karai) , nel punto preciso a iniziare dal quale con l’aiuto di Hanuman e della sua armata di scimmie Rama avrebbe costruito il ponte di pietre, ( corrispondente effettivamente alle secche dell’Adam Bridge ), su cui avrebbe raggiunto lo Sri Lanka, intrattenendosi in un’isola , (quella di Mannar), che precede lo Sri Lanka di soli sette chilometri, Poi di ritorno , una volta che ebbe ucciso Ravana e recuperato Sita, ad una ad una avrebbe ritirato le pietre del ponte, su consiglio di Vibheeshanan, il fratello di Ravana, che nello scontro cruciale si era schierato dalla sua parte. Kailash mi raccontava ciò come se le sue credenze corrispondessero ad eventi reali, ed io lo lasciavo dire senza sollevare alcun dubbio, ben felice di assecondarlo.
Ho invece cercato di indurlo a fornirmi solo informazioni, senza che io avessi a fare né egli a chiedermi commenti, quando durante le settimane scorse ha voluto parlarmi dell’arroventarsi dei rapporti tra India e Pakistan, a seguito dell’abrogazione dell’articolo 72, delle minacce e degli attacchi terroristici che in risposta provenivano dal Pakistan, e delle contromisure dell’ India che irrigidivano il controllo di internet e delle telecomunicazioni,e insieme limitavano i flussi di denaro che provenivano in India, rendendo sempre più difficoltoso e per vie traverse, mediante il ricambio degli agenti del cambio che si facevano titolari, i miei stessi versamenti di denaro. Kailash mi ha parlato di invio d’armi mediante droni da parte di terroristi pakistani a guerriglieri islamici stanziati in India, appena oltre il confine, di reiterate uccisioni di camionisti che rifornivano il Kashmir o se ne allontanavano con i loro carichi di merci, dei finanziamenti di guerriglieri infiltratisi in India dal Pakistan attraverso Dubai. Da un ricco commerciante pakistano e da un suo addetto musulmano indiano, originario del Gujarat, nella stessa Dubai era stato organizzato l’attacco del commando che in Lahore aveva ucciso un leader politico hindu, reo di parole per loro offensive del Profeta Maometto, la pace sia con lui. Kailash provava un sentimento di pietà sconfinato per le vittime, soprattutto se erano povera gente che aveva visto pianto compiangere la morte di un proprio caro, ed ha avversato con calore solo un leader musulmano di Hyderabad dal quale anche i musulmani avevano preso le distanze, quando aveva paragonato una missione della Comunità europea nel Khasmir a chi, come il mio amico si era ricordato, in sua presenza avevo deplorato che un negozio fosse intitolato in Reva, con tanto di baffetti, ah, Hitler, come finalmente capivo dalla sua formulazione approssimativa del cognome del fuhrer nazista.
Sono stati questi i discorsi che hanno contrappuntato i lunghi giorni in cui in Kailash si sono acutizzate di nuovo le emorroidi, con sanguinamenti che gli hanno fanno temere di non avere più una lunga vita davanti, per le infezioni cancerogene che potevano causare. Di esse mi faceva sapere dolorosamente che era morto il conducente d’auto Bishmillah cui ci eravamo a suo tempo rivolti, quando credevamo che un’agenzia di viaggi culturale potesse arrecarci un minimo di fortuna. Della propria morte addolorava il mio amico soprattutto che avrebbe lasciato orfani e senza sostegno Poorti e Chandu, mentre quanto alla moglie Vimala e ad Ajay non dubitava che fossero già in grado comunque di cavarsela. Ma il terrore della morte l’ha convinto finalmente a farsi operare, vincendo la paura che aveva delle stesse iniezioni, e con la solidarietà del mio aiuto e del mio sostegno ho potuto persuaderlo a recarsi di nuovo dallo specialista di Chhatarpur con cui aveva già dimestichezza, e senza doversi recare al più rinomato centro specializzato di Nagpur, assai più distante, dopo due settimane a farsi operare con il laser nella più vicina Damoh, giorno dopo giorno consigliandolo sul meglio da farsi, nello stabilire i contatti con il medico di Damoh, nel preventivare l’arrivo e la degenza, nell’ indicargli il modo migliore per giungere a Damoh. L’ho confortato e incoraggiato quando sembrava recedere in preda alla paura, ne ho raccolto emozioni e impressioni prima e dopo l' intervento, ho seguitato a tranquillizzarlo durante una convalescenza che si prolunga tutt’ora, con il dirgli come corrispondesse a quanto da Damoh, a cui ha fatto ritorno per gli accertamenti, il medico gli faceva presente che era contemplato nel decorso degli eventi. Kailash ha dovuto dispiacersi solo di non avermi dato retta quando insistendo più di tanto avrei finito per scongiurarlo senza lasciarlo libero di decidere , nell’ invitarlo a fare ritorno in treno da Damoh, lungo un tragitto ferroviario ben più lungo ma assai più agevole di quello che gli avrebbe riservato il ritorno in pullman, la cui cuccetta non gli ha evitato i continui sobbalzi che hanno pregiudicato il decorso post- operatorio. Contrappuntava l’angoscia per il suo stato di salute il destino catastrofico che si prefigurava per il suo lavoro in hotel e per la Khajuraho turistica, ora che da Delhi i tour operator più che mai tra di loro in competizione, quanto allenell‘ inoltrare offerte di itinerari che siano le più economiche possibili che inviano alle agenzie di viaggio dei paesi di inbound, eliminano Khajuraho dagli itinerari proposti, per limitarsi alle località raggiungibili in un più breve raggio, Agra, Jaipur, o con costi di volo inferiori, come Varanasi, anche se in tal modo pregiudicano al turista ogni acquisizione dell’arte hindu, del che non può importare a loro di meno. E il mio amico ha avuto modo di comprendere e di farmi comprendere mia volta che i turisti indiani sono sempre di meno per l'incremento dei costi che morde i consumi e gli stili di vita di un consolidatosi regime signorile di massa, affine a quello instauratosi in Italia negli ultimi decenni, anche per quanto si viene erodendo la possibilità dei figli di vivere senza un lavoro del patrimonio accumulato dai loro genitori, che in India come in Italia spesso è la tesaurizzazione di anni e anni di proficua corruzione. Così il mio amico si è persuaso ad accogliere il prossimo anno l ‘invito di altri membri della sua stessa casta, ora che il suo fisico è riabilitato, a trasferirsi da solo a lavorare in hotel o al ristorante nella lontana Goa, dove le retribuzioni sono almeno il doppio che in Khajuraho, si spera non anche il lavoro ai tavoli in sala. Ho accolto tale sua risoluzione con una gioia immensa, perché liberava la sua figura d’uomo dai vincoli del mio aiuto, e agli occhi dei suoi cari e dei suoi amici poteva farlo comparire sempre di più come uno che realizza se stesso mediante se stesso. Era per me una gioia altrettanto grande di quella che mi aveva recato , settimane prima, dicendomi che oramai tutti in Khajuraho chiedono di me come del babbà in famiglia, il nonno in cui tutti loro confidano, facendomi avvertire quanto mi sia oramai naturalizzato presso di loro come un indiano, che a tutto deve provvedere, di tutto deve tenere il conto quanto alla propria vera famiglia, a partire dal dato che in un paese dove i poveri vivono per lo di verdure e chappati, ed è così a pranzo e cena per la famiglia di Kailash al bazar i costi delle verdure stanno intanto aumentando vertiginosamente Le patate e i pomodori soltanto costano meno di 80 rupie al chilo, ed è ben difficile, come mi esemplificava Kailash cucinare pietanze, fossero anche il dhal di lenticchie, l’ aloo gobi, il mattar o il palak paneer, ogni curry masala , senza insaporirli con le cipolle che ciclicamente tornano a farsi in India costosissime. Ancor più, mi ha fatto sapere Kailash, la interruzione dei rapporti tra India e Pakistan in ogni loro forma commerciale, con lo stop a treni, autobus, autocarri, sta intanto prostrando soprattutto le possibilità di consumo dei pakistani. “ Un chilo di pomodori costa in Pakistan 200 loro rupie, adesso. E le cose vanno ancora peggio per le medicine”, di cui l’ India è il produttore di avanguardia per i paesi non sviluppati, e di cui i pakistani debbono ora rifornirsi altrove.“ Una medicina contro i morsi dei cani, che in India costa 950 rupie, in Pakistan ora ne costa 4.000”. Ma ieri sera aveva di che dire contro lo stesso Narendra Modi, per i controlli divenuti asfissianti sulle nostre stesse transazioni di denaro e sul flusso delle comunicazioni, al fine delle autorità indiane di non lasciarsi sfuggire ogni finanziamento e ogni contatto possibile del terrorismo internazionale con agenti operanti in India, dopo l’ acuirsi della minacciosità del terrorismo a seguito dell’abrogazione dell’articolo 72 per il Jammu Kashmir. Il che obbliga Kallu a cercare prestanomi diversi per le donazioni che gli faccio, volta mi costringe a dei loro frazionamenti, ola successiva a scaglionarle in più lunghi lassi di tempo, pur di fargliele pervenire. Che giudizio politico si possa trarre da tali vicende lo dirò a Kailash quando mi sarà mai possibile ritornare in India, e parlargli di nuovo faccia a faccia, sempre che l intensificarsi dei nostri colloqui a distanza non mi abbia fatto finire in una black list, In termini di teologia politica universale di certo si riafferma anche in tali vicissitudini il principio di fede fondamentale, calcedoniano, che nella realtà , come per la natura umana e divina di Gesù, per i rapporti tra uomo, Dio e cosmo, è sempre fonte di errori, della interminabilità dei conflitti, pretendere di separare ciò che è in unità, così trasformando ciò che è complementare in polarità opposte, quanto nel verso contrario il confondere ciò che permane distinto. Ossia ogni dualità secondo il pensiero advaita.

mercoledì 6 novembre 2019

VITA E MORTE


Vita e morte, la loro desiderabilità o temibilità, gli affetti, o ch’io tenti ancora di vivere , per me sono oramai soltanto ed esclusivamente entità e pulsioni economiche .Mia madre è per me l incubo anche di notte di quanto dovrò corrisponderle fino alla morte, dei costi da dividere tra noi consanguinei fino a quelli della sua sepoltura , è l’angoscia che quanto dovrò versare per lei mese dopo mese, sempre di più , in una voragine di cui non posso chiedere conto o ragione, è quanto mese dopo mese verrà a mancare per me e per la sola famiglia che per me conti a questo mondo, Kailash e i nostri cari. Lei e i miei consanguinei che si accaniscono contro di me , loro che a differenza di me hanno una casa, un’auto, chi assicura il loro futuro, non avendo altri a cui provvedere, come se io facessi resistenza non per altro che per seguitare dare soccorso anche alla mia famiglia dì adozione, per la qual cosa non posso accampare ragione e diritti di sorta, che mi considerano un’obbrobrio vivente per tale mia strenua difesa che mi priva di tutto, loro non fanno che togliermi vita e autostima sino all’asfissia, quant’è la vita che mi danno ed alimentano in me Kailash e l India cui non posso così fare ritorno, lasciandovi i miei campi d’indagine e di ricerca abbandonati. E quanto vengo spendendo per chi ho più cari al mondo in perdita continua, per me si fraziona negli anni che posso avere ancora davanti secondo le comune aspettative di vita, che per me diventano tanto più orribili quanto si allungano, sapendo che nel tempo potrò provvedere sempre meno a se stesso, e che non posso fare affidamento che su una pensione che sarà insufficiente anche al solo ricovero diurno . Abbandonassi al loro destino Kailash e i suoi cari, Mohammad, nella loro indigenza e impossibilità di risollevarsi onestamente, non potessi affrontare i loro osti di matrimoni e studi ulteriori, della loro salute,in un’India dove tutto costa di meno ma tutto costa, per me sarebbe tradire con le sole persone che a questo mondo amo davvero, che mi danno linfa di vita e mi mantengono in vita, e per le quali non valgo solo il denaro che vero, mancare alla mia esistenza in ciò che la riscatta dal suo fallimento, riconsegnandomi al senso di me stesso che coltivano i miei consanguinei, ch’io sia mera immondizia umana. Anche tutte le cose che scrivo e che pubblico non sarebbero per me di riscatto da tale giudizio di infamia, pur nel loro valore, né lo sarebbe il mio passato di insegnante che ho rimosso e consegnato all oblio, come i detenuti il loro trascorso- il mio per decenni- in campi di concentramento cui facevo ritorno ogni giorno come la pecora al macello. Che mi tiene in vita in tale stato di cose, è che non potendo contare sull’uomo , meno che mai in chi mi è amico e mi stima, ma soltanto in Ciò che si intende per Dio, io seguiti a scrivere e scrivere ancora, a pubblicare opere su opere sulle mie passioni estetiche e culturali, siano Rubens o l’arte indiana, ch’io cerchi di trasmutare ciò che leggo e che sento e sperimento in poesie e narrazione, a dispetto di chi interpello e si dice sempre puntualmente troppo impegnato per darmi una mano, che legge o cataloga di tutto tranne che un solo rigo di quello che gli trasmetta gratuitamente. Che persona assai gentile, dicono che io sia, come se non fossi per questo un soccombente nato. Jeunesse, oisive jeunesse, par (trop de) delicatesse, j’ai perdu ma vie. Que les temps viennent que les coeurs s’éprennnent. E con la lettura e la scrittura perenne, mi salva pur sempre Kailash,l’ amico del mio cuore, quando dice che come gli ho raccomandato ha chiesto a Chandu di fargli vedere i quaderni di scuola, di fargli sapere che cosa stia studiando , perché ha compreso che è lui che più di ogni altro può fargli da maestro. O Ajay che finalmente mi invia mediante what aps lo svolgimento del test di biologia che gli ho inviato,e mi chiede per conferma se si legge bene quello che ha scritto.. £Come fai a non venire più in India, nei tuoi viaggi che ti interessano tanto, anche i tuk tuk driver tra Chanderi e Kadwaha mi telefonano chiedendo di te…!”

martedì 5 novembre 2019

vita e morte


Vita e morte, la loro desiderabilità o temibilità, gli affetti, o ch’io tenti ancora di vivere , per me sono oramai soltanto ed esclusivamente entità economiche .Mia madre è per l incubo anche di notte di quanto dovrò corrisponderle fino alla morte, dei costi da dividere tra noi consanguinei della sua sepoltura , e l’angoscia che quanto dovrò versare per lei mese dopo mese è quanto mese dopo mese verrà a mancare per me e per la sola famiglia che per me conti, Kailash e i nostri cari. E quanto vengo spendendo per loro in perdita continua, per me si fraziona negli anni che posso avere ancora davanti, secondo le comune aspettative di vita, che per me diventano tanto più orribili quanto si allungano, sapendo che nel tempo potrò provvedere sempre meno a se stesso, e che non posso fare affidamento che su una pensione che sarà insufficiente al solo ricovero. Abbandonassi al loro destino Kailash e i suoi cari, Mohammad, che sono a loro volte l incubo della loro indigenza e possibilità di risollevarsi onestamente, i costi di matrimoni e studi ulteriori, della loro salute,in unìiNdia dove tutto costa di meno ma tutto costa, per me sarebbe tradire le sole persone che a questo mondo amo davvero, e con loro tradire la mia esistenza, in ciò che la riscatta dal suo fallimento, riconsegnandomi al senso di me stesso che coltivano i miei consanguinei, ch’io sia mera immondizia umana. TED ora anche il cambiar casa, con tutto quel che ne segue nella mia precarietà…utto quanto scrivo e pubblico non sarebbe per me di riscatto da tale giudizio di infamia, pur nel loro valore, né lo sarebbe il mio passato di insegnante che ho rimosso e consegnato all oblio, come i detenuti il loro trascorso- il mio per decenni- in campi di concentramento. Che mi tiene in vita in tale stato di cose, è che non potendo contare sull’uomo ,meno che mai in chi mi è amico e mi stima, ma soltanto in Ciò che si intende per Dio, io seguiti a scrivere e scrivere ancora, a pubblicare opere su opere sulle mie passioni estetiche e culturali, siano Rubens o l’arte indiana, ch’io cerchi di trasmutare ciò che leggo e che sento e sperimento in poesie e narrazione, a dispetto di chi interpello e si dice sempre puntualmente troppo impegnato per darmi una mano, o leggono o catalogano di tutto tranne che un solo rigo di quello che gli trasmetta gratuitamente. Che persona assai gentile, dicono che io sia, come se non fossi per questo un soccombente nato. Jeunesse, oisive jeunesse, par (trop de) delicatesse, j’ai perdu ma vie. Que les temps viennent que les coeurs s’èprennnent. E con la lettura e la scrittura perenne, mi salva Kailash,l’ amico del mio cuore, quando dice che come gli ho raccomandato ha chiesto a Chandu di fargli vedere i quaderni di scuola, di fargli sapere checosa stia studiando , perch ha compreso, che è lui che più di ogni altro può fargli da maestro. O Ajay che finalmente mi invia mediante what aps lo svolgimento del test di biologia che gli ho inviato,e mi chiede per conferma se si legge bene quello che ha scritto