martedì 18 ottobre 2011

lettera calcedoniana a don Ulisse Bresciani

Caro don Ulisse,
sono Bergamaschi.
Finalmente mi sono risolto ad inviarle la mia recensione de “La lotta per la vita” di Enzo Bianchi, che già mi ero ripromesso di scrivere per inoltrargliela ai primi di maggio, allorchè mi ha incontrato in Sant’Andrea e mi ha chiesto che cosa ne pensassi, senza da me ricevere una effettiva risposta. .
I giorni avanti, infatti, avevo lasciato in sospeso la lettura in cui mi ero reimmerso sotto i suoi occhi, una settimana prima, nella saletta d’attesa dell’ambulatorio medico in cui ci siamo ritrovati alcune settimane or sono, a distanza di mesi.
Nel frattempo sono mutate le aspettative e le sollecitazioni con cui mi sono rivolto al testo , come si può intendere in controluce nelle conclusioni seguenti.
La lotta per la vita di Enzo Bianchi non è una lotta per la vita di natura puramente spirituale nella sua universalità. E' una lotta per la vita eminentemente cristiana. Nella fede nella resurrezione di Cristo è fondata in radice. E non può essere vinta senza l'apertura dello spirito a una grazia divina. E' una lotta che può incorporare la meditazione buddista o di altre tradizioni, ma che non può essere incorporata in una pratica buddistha, o altrimenti ispirata, che sia ateologica.
Per la mia esperienza dell’amore in Dio del prossimo, e dell'amore di Dio mediante l’amore del prossimo, per quanto trovi ammirevole l’opera, soprattutto nel raffronto esegetico tra le pagine della tentazione di Adamo e di quella di Gesù e la Lettera ai Filippesi, non so dirle quanti anticorpi contenga il pensiero spirituale di Enzo Bianchi, per aiutare a discernere se la propria lotta spirituale è animata nella sua dinamica dalla conformità con Cristo o dalla fede dei diavoli.
Opere spiritualmente meno accreditate, o screditate, come quelle di Anthony de Mello, mi sono in questo un sostegno più illuminante
Quanto alle altre letture di cui le inoltro le recensioni, che ho redatto per ordinare le mie idee e per una loro pubblicazione impossibile sulla Cittadella, nonostante tutta la benevolenza di Benito Regis nei miei riguardi, l'una concernente le introduzioni di Ramon Panikkar alla propria Opera omnia, l'altra un raffronto illuminante tra l' umanesimo ateo di Camus ed il cristianesimo di Dietrich Bonhoeffer, lo Spirito unificante che vi ho inteso soffiare, così come nell' ispirazione della generalità delle teologie critiche dei Magisteri ecclesiastici recentemente edite in Italia, è in verità la concelebrazione della stessa cristologia calcedoniana, che è pienamente riaffermata dall'ontologia che le accomuna, ossia dalla loro concezione della realtà divina quale realtà al tempo stesso dell' uomo e del mondo, che s'invera in un'ontonomia secondo la quale la separazione o la confusione di ciò che in Cristo o nello Spirito è indiviso e distinto, costituisce la natura del peccato o l’errore del male, per quanto della realtà del peccato può essere comunque compreso dal lume naturale e dalle altre esperienze religiose-. Quanto sostengo l'ho ritrovato enfaticamente esaltato da Fabrice Hajadi nel suo ammirevole – e urticante- “La Fede dei demoni” ( vedi il capitoletto Il principio di Calcedonia sestuplicità dell'errore e altro..,” a pg. 144 dell'edizione italiana)
La saluto con gratitudine e affetto.
Odorico Bergamaschi
Post Scripta
A) Arnaud Corbic riferisce come “ Bonhoeffer che aveva insegnato cristologia all'università nel 1933, avesse trattato del Concilio di Calcedonia. Aveva dimostrato che non si deve “ cosificare” la formulazione dogmatica di questo concilio ma vedervi l'apertura al mistero concreto dell'Unico. ...Il Verbo illumina ogni uomo e ogni cosa. … Se Dio ha riconciliato in Gesù Cristo il cielo e la terra, né il dualismo né il monismo si concilieranno con un pensiero cristiano, ma solo una polifonia” (a pgg. 36 e 37 dell'edizione italiana di Camus e Bonhoeffer )

B) In India ho riscontrato una profonda corrispondenza tra la concezione cristologica della kenosis e quella hindù, diffusa tra i comuni pandit più che nei testi autorevoli, della umana paro-upkar o donazione di sè, al pari di come l'albero dona ad animali ed uomini la sua ombra ed i suoi frutti, senza nulla pretendere di ricevere o di potersi attendere in cambio.

Nota ulteriore
La cosmoteandria non riduce forse la trascendenza divina all' infinità e alla libertà della creatività continua della Natura Naturans che è immanente alla Natura Naturata?
Npn risolve forse Dio nella sua sola natura economica in relazione al Creato, senza lasciare residui all'intima vita divina intratrinitaria, alla sofia increata dell'autorivelazione di Dio in sè stesso?( Bulgakov).

E ancora. c’è una realtà effettiva (positiva) del male, o il male è solo privazione del bene? è effettuale una ontologia e ontonomia satanica, ci sono comunioni e condivisioni maligne, od ogni reale comunione e condivisione è benigna, e il male è solo unione apparente, sempre oppone e distrugge, tanto più quando sembra unificare e interpenetrare, secondo una dinamica del male mimetica e antitetica al contempo?

lunedì 17 ottobre 2011

sino all'eccesso

lunedì 17 ottobre 2011
Sino all'eccesso
“Vado a dormire ora, domattina devo alzarmi prima delle cinque, per il treno ch’è in arrivo da Varanasi.”, quando Kailash dovrà recarsi alla stazione di Khajuraho per tentare di avviare all’hotel Zen i turisti che vi discendano
Poi Kailash avrà da attendere l’arrivo ulteriore del treno da Delhi, di lì a un’ora, per tentare lo stesso o stesso abbordaggio con i turisti che provengano dalla capitale, e in autorisciò gli toccherà in mattinata di recarsi a Bamitha, o a Chhattarpur, ed esserne di ritorno, per due volte, con altri turisti che vi si scendano per Khajuraho, da uno dei bus in arrivo da Satna o da Jhansi.
Sa oramai alla perfezione come intrigare i turisti, è consapevole che non deve far loro parola dell’hotel dove li farà finire pressoché immancabilmente, ma che è bene che chieda loro dei viaggi che compiono in India di cui ha fatto con me esperienza, e se essi si lasciano così irretire, per Kailash il gioco è fatto e l’esito irresistibilmente ottenuto, il più delle volte, i turisti siano spagnoli, svizzeri, polacchi, indiani, o il brasiliano inavveduto che oggi ha ammaestrato a dovere.
Poi, quando cercherà di fare il proprio di interessi, anziché quello del padrone, si ingegnerà con scarsa fortuna di ottenere di poter prenotare il biglietto ferroviario, o un mezzo di trasporto per un’escursione nei dintorni, senza ricavarne nulla i turisti li inviterà pur anche a cena a casa propria, quando entri con loro più in confidenza, ritentando l'azzardo, nella speranza indefettibile che poi lo ricambino in denaro, a dispetto del riscontro che anche i giorni scorsi le sue aspettative siano andate ancora di nuovo puntualmente deluse, sia con la coppia di turisti spagnoli che con il giovane svizzero, a suo dire cosi semplice e affettuoso, che asseriva di averlo nel suo cuore, Kailash
- “Io ho offerto loro cibo da mangiare, e non mi hanno dato niente! nothing...”
L’amico si è mostrato talmente capace di attirare turisti nell’hotel Zen, benché esso non figuri più nella Lonely Planet, appare talmente in grado di compensare con la sua intraprendenza uno svantaggio di cui si tormenta ogni giorno (ch’è il tormento quotidiano del) il suo padrone bestiale (predatorio), che dopo l’ una adesso può restarsene a casa con la sua famiglia fino alle tre del pomeriggio, ed è il padrone ora a pregarlo di fare ritorno al lavoro, se tarda, anziché minacciare di cacciarlo od infuriare su di lui con parole, che a Kailash, i primi giorni levavano la pelle come scudisciate, perché il mio amico si riavvii per Bamitha, di nuovo, quanto prima, a calamitare i turisti in arrivo con il bus di Agra, dopo di che egli dovrà stazionare in hotel fino alle dieci di sera, (stazionando egli in hotel fin che solo alle dieci di sera), allora soltanto potrà essere di ritorno a casa, per risvegliarsi sul far dell'alba se non alle quattro, non oltre le cinque, il giorno seguente, e farsi trovare alla stazione nuovamente in attesa del treno da Delhi, per suo (minimo) sollievo essendo sospeso più volte alla settimana quello precedente da Varanasi.
La paga è sempre la stessa miseria per tanto dannarsi, 50 rupie al giorno, l’equivalente, al più, di un dollaro, è niente, "nothing", come Kailash inveisce, ma per lui non è ciò che più importa, così mortificandosi egli conta di farsi valere, ed al fine di prevalere, come lavoratore onesto, ed io non posso che compatirlo e consentire, benché mi sia insostenibile la sua remissività ad un simile trattamento da bestie, giacché nel suo fervore succube avverto (sento) che egli è riemerso dal fondo della nostra sventura, e che sino all’eccesso riafferma la vita
E' stupefacente come egli sa nuovamente illudersi e può davvero credere, sospinto dallo slancio, che siano in gran ripresa gli affari dei nostri negozi, che costituiscano chissà quali proventi il quintale di grano e i chili di sesamo e di lenticchie con cui dopo i recenti raccolti i dalit del villaggio sono venuti pagando i loro acquisti, in tutto appena due mila rupie, alla resa dei conti, ma gli acquisti, mi assicura, saranno ancora più in crescita per Dipawali, quando da Delhi faranno ritornano al villaggio i dalit che vi si sono trasferiti per lavorarvi come muratori.
“ Ora penso più al mio lavoro, che alla mia famiglia”, è il suo presente rammarico, tant'è che (e ) solo ora che a Vimala è ricomparsa purulenta l’infiammazione in bocca, si è riscosso al punto di preoccuparsene davvero, e di chiedermi di anticipargli il denaro che può occorrere se la farà visitare da un odontoiatra di Chhattarpur.
“ Sarebbe un vero problema se l’infezione fosse invece un cancro, Vimala potrebbe morire ed io resterei senza mia moglie…” ( è come se sapesse soltanto dispiacersene).



Scrittura precedente, riveduta il 29 dicembre 2011

“Vado a dormire ora, domattina devo alzarmi prima delle cinque, per il treno ch’è in arrivo da Varanasi.”, quando Kailash dovrà recarsi alla stazione di Khajuraho per tentare di avviare all’hotel Zen i turisti che vi discendano
Poi Kailash avrà da attendere l’arrivo ulteriore del treno da Delhi, di lì a un’ora, per tentare lo stesso con i turisti che provengano dalla capitale, e in autorisciò gli toccherà in mattinata di recarsi a Bamitha, o a Chhattarpur, ed esserne di ritorno, per due volte, con altri turisti che vi si scendano per Khajuraho da uno dei bus in arrivo da Satna o da Jhansi.
Sa oramai alla perfezione come intrigare i turisti, è consapevole che non deve far loro parola dell’hotel dove li farà finire pressoché immancabilmente, ma che è bene che chiedaloro dei viaggiche compiono in India di cui ha fatto con me esperienza, e se essi si lasciano così irretire il gioco è fatto e l’esito irresistibilmente ottenuto, il più delle volte , siano essi turisti spagnoli, svizzeri, polacchi, indiani o il brasilianoinavveduto che oggi ha ammaestrato.
Poi si ingegnerà di prenotare il biglietto ferroviario, o un mezzo di trasporto per un’escursione nei dintorni, li inviterà pur anche a cena a casa propria , se entra con loro in confidenza, ritentando l'azzardo nella speranza, in lui indefettibile, (che in lui si rinnova) che poi lo ricambino in denaro, a dispetto del fatto che anche i giorni scorsi le sue aspettative siano andate puntualmente deluse,, ancora di nuovo, con la coppia di turisti spagnoli quanto con il giovane svizzero, cosi semplice e affettuoso, che asseriva di averlo nel suo cuore, Kailash
- “Io ho offerto loro cibo da mangiare, e non mi hanno dato niente!...”
Si è mostrato talmente capace di attirare turisti nell’hotel Zen, benché esso non figuri più nella Lonely Planet, è talmente in gradio di compensare con la sua intraprendenza uno svantaggio ch’è il tormento quotidiano del suo animalesco padrone predatorio, che dopo l’ una ora può restarsene a casa fino alle tre del pomeriggio con la sua famiglia, ed è il padrone ora a pregarlo di fare ritorno al lavoro, se tarda, anziché minacciare di cacciarlo o infuriare su di lui con parole che i primi giorni a Kailash levavano la pelle, perché il mio amico si riavvii per Bamitha, di nuovo, a calamitare i turisti in arrivo con il bus di Agra, stazionando in hotel fin che solo alle dieci di sera potrà essere di ritorno a casa, per risvegliarsi sul far dell'alba se non alle quattro non oltre le cinque, il giorno seguente, e farsi trovare alla stazione nuovamente in attesa del treno da Delhi, per suo (minimo) sollievo essendo sospeso quello da Varanasi più volte alla settimana
La paga è sempre la stessa miseria per tanto dannarsi, 50 rupie al giorno, l’equivalente al più di un dollaro, niente, "nothing", come Kailash inveisce, ma per lui non è ciò che più importa, così egli conta di farsi valere, e prevalere, ed io con lui patisco e consento, benchè mi sia insostenibile la sua remissività a un trattamento da bestia,giacchè nel suo fervore avverto (sento) che egli è riemerso dal fondo della nostra sventura, e che sino all’eccesso.riafferma la vita
E' come egli sa nuovamente illudersi e credere, sospinto dallo slancio, che siano in gran ripresa gli affari dei nostri negozi, che costituiscano chissà quali proventi il quintale di grano e i chili di sesamo e di lenticchie con cui dopo i recenti raccolti sono venuti pagando i loro acquisti i dalit del villaggio, in tutto appena due mila rupie alla resa dei conti, ma gli acquisti, mi assicura, saranno ancora più in crescita per Dipawali, quando da Delhi faranno ritornano al villaggio i dalit che vi si sono trasferiti per lavorarvi come muratori.
“ Ora penso più al mio lavoro, che alla mia famiglia”, è il suo presente rammarico, tant'è che (e ) solo ora che a Vimala è ricomparsa purulenta l’infiammazione in bocca, si è riscosso al punto di preoccuparsene davvero, e di chiedermi di anticipargli il denaro che può occorrere se la farà visitare da un odontoiatra di Chhattarpur.
“ Sarebbe un vero problema se l’infezione fosse invece un cancro, Vimala potrebbe morire ed io resterei senza mia moglie…” ( è come se sapesse soltanto dispiacersene).

sabato 15 ottobre 2011

Raimon Panikkar Vita e Pensiero

Raimon Panikkar, Vita e Parola La mia opera, Jaca Book 2010


Vita e parola La mia opera, raccoglie tutte le varie introduzioni scritte espressamente da Raimon Panikkar per i vari volumi e tomi della sua Opera Omnia in corso di pubblicazione presso Jaca Book, poco prima della sua recente scomparsa nell’agosto del 2010, e può rappresentare la migliore introduzione al pensiero del grande teologo, o una sua preziosa sintesi, per chi intenda riprenderne i lineamenti e l’ispirazione di fondo.
Coloro, poi, che attenendosi al principio “ Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono”, (1 TS, 5, 21), nell’accesso primario all’opera di Panikkar, o ad essa di ritorno, muovano dai testi spirituali di quei pensatori religiosi che per innovare il pensiero cristiano, in sintonia con lo spirito dei tempi, si sono contrapposti polemicamente ai magisteri ecclesiastici, vi troveranno il frutto di una mirabile saggezza che tutto ha anticipatamente pensato, recepito e ricondotto nell’alveo, di quanto in fedeltà al mistero di Cristo vi poteva essere recepito e raccolto, trasformandone le “ tensioni distruttive in polarità creative”(pg.36).
Raimon Panikkar, al contempo cristiano, induista e buddista per tradizione familiare, essendo figlio di madre cattolica, della borghesia catalana, e di padre aristocratico indiano, nel saggio Filosofia e teologia, di questa raccolta, nel tentativo di pervenire a comprendere insieme tali diverse vocazioni religiose e di realizzarne la comunione nella sua spiritualità personale, in un raccordo tra cristianesimo, induismo, e buddismo, che procedesse così come all’interno dei loro orizzonti di fede cristiani, induisti e buddisti, comprendono le proprie credenze, rivela che è la tensione originaria tra tali polarità religiose che l’intera sua esistenza ha cercato di rendere creativa anziché distruttiva, assumendole come complementari invece che esclusive l’una dell’altra.
Tale esperienza intrareligiosa è stata intrapresa da Raimon Panikkar in spirito di fedeltà al cristianesimo e nel rispetto dell’assunto, al contempo, di non violare altre tradizioni religiose, perseguendo alla loro luce l’esame critico della cultura contemporanea (pg. 102).
Il Dio in cui si è consolidata di conseguenza la sua fede è il Dio evangelico trinitario, perchè soltanto in esso Panikkar è pervenuto alla comprensione reciproca delle sue religioni di appartenenza. Solo il Dio che è Trinità e Spirito nel suo essere Amore relazionale,- non il solo puro Logos razionale in cui consiste il Dio dei greci e dei filosofi-, può essere l’unione di tutto ciò che se si è distaccati dalla sua rivelazione interiore si tende invece a pensare che sia separato.
Nel Dio che è Amore trinitario tutto, secondo il principio fondamentale della fede calcedoniana, si integra in un’unione di polarità che permangono distinte ma che non sono separate, innanzitutto nell’“unione, con distinzione, ma senza separazione, tra umano e divino” nell’ ”evento Cristico”.
“ L’evento cristico unisce la trascendenza ( divina) con l’immanenza (umana), ma senza cadere in alcun monismo- spirituale o materiale-, né in alcun dualismo metafisico. Non solo Cristo è totalmente divino e totalmente umano; anche l’uomo è chiamato ad essere pienamente umano e pienamente divino”( pg.32).
Oltre ogni dualismo, secondo lo spirito indiano advaita-adualistico-, la spiritualità religiosa è l’esperienza integrale della vita nella sua totalità, ossia è l’esperienza dell’interpenetrazione reciproca di Dio e uomo e mondo, ( secondo la concezione cosmoteandrica di cui Raimon Panikkar si fa continuatore). In essa l’uomo è coinvolto nella pienezza della sua trinitarietà di corpo, mente razionale e spirito (1) .“Dio- in tal senso- non è altro, un altro, per quanto grandioso lo si possa immaginare. Dio è tanto trascendente quanto immanente” (pg.24). Nell’essere tutto in tutte le cose “Dio non sta au dessus de la melée fuori da tutto, separato. Anche Dio sta all’interno di questa interpenetrazione del tutto con tutto”( pg.64)- dell’eterno con il tempo, nel presente della escatologia realizzata della “tempiternità”.
L’esperienza integrale in cui l’uomo, in quanto spirito incarnato, gode la pienezza della vita in cui si interpenetrano reciprocamente uomo, mondo, e Dio, è la mistica, nel senso proprio del termine, e in essa per Panikkar è riposto il futuro del cristianesimo
La mistica è l’ espressione della fede che proviene dalla stessa vita e di cui è capace ogni uomo, ogni volta che in lui pervengono ad un’unione trinitaria il corpo, nel piacere sensibile, la mente, come esperienza intellettuale, e lo spirito mitico-simbolico.
Lo Spirito è il divino del cuore che in noi, in quanto amore, come identità relazionale, sente di essere il tutto che è tutto se stesso in tutte le cose (2), e nell’amore del prossimo esso perviene ad amare il prossimo come un’altra parte di se stesso (pg.23).
Il Dio che è Spirito, in quanto Amore non è soltanto Logos, Verità, non è soltanto Essere intelligibile, un Essere totalmente intelligibile che si rispecchia nella sola coscienza logica (pg.80), lo Spirito, Sorgente apofatica, “ non inferiore né differente dal logos, ma neppure riducibile ad esso”( pg.83), né ad esso subordinato, in tale sua irriducibilità alla logica razionale è la ragione d’essere della stessa incommensurabilità del reale e della sua non trasparenza, della rivelazione della pluralità del reale nei veli di una pluralità di credenze e religioni,( pgg. 78-80), dell’ impossibilità, dunque, di una teologia, o religione generale, che sia universalmente compresa ed abbracciata, come è inattuabile qualsiasi corrispettivo pensiero unico.- Ma lo stesso Dio che è Spirito, poiché in esso tutto è in relazione con tutto, è la scaturigine stessa della possibilità nello spirito medesimo, - non già nella ragione soltanto-, di una mutua fecondazione fra le diverse saggezze dell’umanità, e di tale ibridazione il pensiero di Panikkar è tra le più illuminanti espressioni interculturali e interreligiose- , in seno al vincolo che nella tradizione cristiana “è lo Spirito, in quella hindu brahman”, e in quanto simbolo, mito, culto, “saggezza dell’amore” (3)

Note
1) o nell’essere egli, altrimenti, inseparabilmente, corpo( soma), psiché (spirito), polis ( società), e cosmo, una quaternità in cui si trova e si incontra integralmente il divino, tanto immanente quanto trascendente

2) Sulla purezza del cuore che presso tutte le culture porta all’azione giusta, Panikkar scrive a pg 86, in particolare.

3) In scritti in cui la lucidità critica si fa a volte aridità di tono, è mirabile tale illustrazione esemplare della superiore saggezza spirituale di Salomone “ Le nostre molte soluzioni vogliono tagliare il bambino in due quando non possiamo averlo per noi. La verità è nostra, come lo è il bambino. Ma per mantenere vivo il bambino, per mantenere viva l’umanità, per mantenere viva la polarità delle realtà umane, per mantenere viva la buona fede delle persone, per mantenere viva la libertà come la dignità più elevata, non possiamo giudicare con la Ragione soltanto. Salomone ci ha fatto vedere che il suo giudizio finale era quello corretto, perché quando interviene l’amore, quando il bambino è tuo, tu preferisci perdere, tu preferisci perfino essere battuto, ma il bambino deve vivere”(pg.82).

Albert Camus e Dietrich Bonhoeffer Due visioni dell' uomo recensione


Arnaud Corbic Albert Camus e Dietrich Bonhoeffer Due visioni dell' uomo “ senza Dio” a confronto. Introduzione di Ugo Sartorio Edizioni Messaggero Padova 2011, pagine 91, 8 euro.
Nel suo ammirevole scritto breve “Albert Camus et Dietrich Bonhoeffer, Due visioni dell’uomo senza Dio a confronto”, risalente al 2002 e tradotto e pubblicato in Italia da Edizioni messaggero, Padova, nel 2011, con introduzione di Ugo Sartorio, Arnaud Corbic, ancor giovane filosofo e teologo francese,- è nato nel 1969-, già professore di filosofia contemporanea alla Pontificia Università Antonianum di Roma, pone a raffronto l’umanesimo dell’ateismo dello scrittore esistenzialista francese e l’umanesimo della fede del grande pastore protestante, morto impiccato dai nazisti nel 1945, e per illuminazione reciproca perviene ad un incontro inatteso - ( “Rencontres de deux humanismes” è il sottotitolo originario in francese ),- almeno per chi non è persuaso, o non ha presente, che l'ateismo moderno possa essere un'eresia cristiana1
L'incontro tra due pensatori, “che, per più motivi, taluni potrebbero ritenere opposti a priori”, ha in radice che l’ateismo dell'uno e la fede cristiana dell’altro sono originati dal rifiuto e dalla ricusazione di una concezione “religiosa”di Dio che, per lo stesso Corbic, non è l’ interpretazione autentica della fede cristiana confessata nel Credo.
Secondo Camus il cristianesimo è la fede in un Dio il cui Essere è al di fuori di questo mondo, in un “retro-mondo” che è radicalmente altro rispetto ad esso, è la speranza in un’altra vita, la vera vita , cui si ha accesso solo alla fine di quella terrena, per meritare la quale occorre negare la vita presente e disistimarne i beni, fuggire il mondo e disprezzarlo
Per Camus l’affermazione della dignità dell’uomo, della giustizia e della “fedeltà alla terra” che è insegnata dallo Zarathustra di Nietzsche, l'adesione alla realtà concreta e finita di uomini e cose, significa necessariamente il rifiuto del Dio del Cristianesimo, che è la negazione e la svalutazione assoluta di questa vita, in cui consiste per Camus la nostra realtà originaria ed ultima
Per Bonhoeffer, invece, lo stesso Dio dell’ Antico Testamento benedice questo mondo, ha pronunciato “un sì profondo “ nei suoi confronti, e chiunque “ fugge il mondo non trova Dio, un altro mondo, cioè il proprio mondo, migliore, più bello, più tranquillo, un “retro-mondo”. Chi fugge la terra per trovare Dio troverà solo se stesso” (pg 27), “ è al centro della nostra vita che Dio è al di là” (pg. 28, in nota).
Dio e Mondo, amore di Dio e della sua eternità e amore terreno, ancor più in virtù del vincolo dell’Incarnazione sono “ indivisi eppure distinti”, come lo sono in Cristo natura umana e natura divina , sono cantus firmus e contrappunto di una unica polifonia, asserisce Bonhoeffer mirabilmente( vedi a pg 35)2. “ La terra rimane la nostra madre, come Dio rimane il nostro Padre, e soltanto colui che rimane fedele alla propria madre, verrà da questa riconsegnato nelle braccia del Padre” ( pg.27).
“Già nell’al di quà si vive l’al di là e la vittoria sulla morte , (pg,26) , si impara a credere quanto si è più fedeli alla terra, e agli esseri terreni, (vedi anche a pg 62: “ Più tardi ho appreso - e continuo ad apprenderlo anche ora- che si impara a credere solo nel pieno essere-aldiquà della vità”), appunto come esige l’umanesimo di Camus.
Al credente è richiesto di amare e trovare Dio “precisamente in ciò che egli ci dà,3” ( pg.35), nelle cose penultime cui ci rinvia sempre la realtà ultima di Dio4, grazie alle quali soltanto si accede alla vita eterna e al Regno di Dio.
“Solo quando si amano la vita e la terra, al punto tale che sembra che con esse tutto sia perduto e finito, si può credere alla resurrezione dei morti e a un mondo nuovo…”( pg. 29).
L’uomo, secondo l’ateo Camus, nella sua fedeltà alla terra tuttavia non va riconciliato con l’assurdo del’esistenza terrena, tanto meno si può fare dell’assurdo “il trampolino per l’eternità,” nella conversione che è il salto- kierkegaardiano- della fede che sacrifica la ragione e la rivolta umana contro l’assurdo, contro il male del dolore innocente.
Ma anche per Bonhoeffer non è l’assurdo , la sventura, il luogo obbligato dell’incontro con Dio, come se soltanto e soprattutto aprendosi una via nella fragilità dell‘uomo, in relazione alla morte e alla colpa, Dio potesse essere introdotto nell’esistenza umana, piegandola all’ incomprensibilità consolatoria dei suoi disegni imperscrutabili.
“ Io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma nella forza, non dunque in relazione alla morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell'uomo. Giunti ai limiti mi pare meglio tacere e lasciare risolto l'irrisolvibile”(pg.45)
C’è una via positiva che conduce a Dio, se Dio donatore di vita è al centro della realtà creata pur essendone al di là.
“ Io voglio però arrivare a questo, che Dio non venga relegato di contrabbando in qualche ultimo spazio segreto, ma che si riconosca semplicemente la maggior età del mondo e dell'uomo, che non “si taglino i panni addosso “ all'uomo nella sua mondanità, ma che lo si metta a confronto con Dio nelle sue posizioni più forti,....”(pg 47).
Il Dio che è chiamato a rispondere e a risolvere l’assurdità del mondo, nella concezione ateistica di Camus è il Dio che è chiamato in causa perché è ritenuto onnipotente, responsabile inevitabilmente del male nella sua onnipotenza. Ma il Dio che è amore trinitario, onnipotente creatore del mondo e resuscitatore, secondo la rivelazione cristiana disvelata da Bonhoeffer è l’onnipotenza dell’amore, e l’onnipotenza del suo amore, perché l’uomo possa amare Dio gratuitamente, dello stesso amore con cui preventivamente è amato da Dio, rispondendo “ liberamente con amore al proprio amore”, e non sia costretto a riamarlo, assume liberamente l’impotenza nel Figlio, e lascia libero il mondo e l’ uomo di non riconoscerlo, lascia che a immagine e somiglianza del Figlio l’uomo ne patisca anche lo stesso dolore innocente, che conosca l’abbandono del Padre, e grazie a questo Suo ritiro dal mondo diventi così capace dell’amore gratuito divino,che vince la morte e in cui dal Padre siamo resuscitati
“ Dio si lascia scacciare fuori dal mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli sta al nostro fianco e ci aiuta. E' assolutamente evidente in Matteo 8,17, che Cristo non aiuta nella forza della sua onnipotenza, ma in forza della debolezza della sua sofferenza! ...solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si può dire che la descritta evoluzione verso la maggior età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apre lo sguardo dell'uomo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza”(pg 56). “Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come persone che senza Dio fanno fronte alla vita. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona.... Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l'ipotesi Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo” (pgg.57-58).
Ma così siamo chiamati a vivere come secondo l’umanesimo ateistico di Camus deve vivere l’uomo restituito a se stesso, di quell’amore gratuito, e disinteressato, che nella sua prospettiva senza fede e disperatamente solidale contro l’assurdo, secondo lo scrittore esistenzialista francese è garantito solo dall’inesistenza di qualsiasi Dio giudice e castigatore, per il timore dei cui castighi o per la speranza della cui ricompensa, in vista della propria salvezza i cristiani si presterebbero per interesse a praticare opere di carità.
Ma per Bonhoeffer tale religiosità, che finalizza individualisticamente alla salvezza dell’anima le opere di carità, non è conforme alla fede nella rivelazione attestata dalle Scritture, che raccomanda invece la gratuità disinteressata dell’amore verso il prossimo, cui è analoga la solidarietà fraterna degli uomini propugnata da Camus, come in Matteo 10, 8 “ Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (o in Matteo 25, 31-40, ove solo perchè gratuitamente abbiamo fatto ciò che abbiamo fatto per i fratelli più piccoli, senza cercare la nostra salvezza, inconsapevoli di farlo a Cristo, Egli può dire che salvificamente: “ ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”).5
Tale servizio disinteressato del prossimo secondo Camus deve essere assunto unicamente perchè è il solo atteggiamento autenticamente umano, per sola simpatia, semplicemente per essere un uomo, non già per realizzare la figura ideale, del tutto speciale, di un santo o di un eroe.
E' forse in opposizione al cristianesimo tale ripulsa del perseguimento di modelli di santità e di eroismo?
Non è così, secondo la ripresa di Bonhoeffer della fede cristiana: come il Cristo non si è rivelato in un sacerdote, ma si è fatto semplicemente uomo, pienamente uomo, secondo Bonhoeffer essere cristiani allora significa essere come Gesù non un tipo d’uomo religioso particolare, distaccato dagli altri nell’ambito del sacro, ma semplicemente uomini, pienamente uomini, “ con “ e “per gli altri“, anche nelle situazioni più inumane, così come in Gesù. Dio stesso si è rivelato in un uomo “con” e “per gli altri.”, svuotandosi di se stesso e prendendo forma di servo, in aspetto di uomo umiliando se stesso e facendosi obbediente al Padre fino alla morte, “ anzi alla morte di Croce”, come proclama l'inno cristologico della Lettera di Paolo ai Filippesi.
“Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi ( un peccatore, un penitente o un santo) in base a una certa metodica, ma significa essere uomini: Cristo crea in noi non un tipo d'uomo, ma l'uomo. Non è l'atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo. Questa è la metanoia: non pensare anzitutto alle proprie tribolazioni, ai propri problemi, ai propri peccati, alle propre angosce, ma lasciarsi trascinare con Gesù Cristo sulla strada dell'evento messianico” (pg 61).
“ Così il nostro diventar adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come persone che senza Dio fanno fronte alla vita...Davanti a Dio e con Dio noi viviamo senza Dio” (pg.64).
Non già dunque Dio o l’uomo, ma Dio e l’uomo, in Cristo, e con Cristo, senza separazione e confusione, indivisi, ma distinti. Come atei, o credenti, con gli uomini e per gli altri uomini, comunque.


Note
1 con gli altri, e per gli altri, che dall'amore di se, o philoautia, possono essere ignorati oppure sentiti come indifferenti, disprezzati, o avversati in quanto rivali, lasciati da noi separati e distanti, oppure vissuti in conflitto antagonistico, ed essere rimossi o sottomessi sino all'estremo della loro mortificazione o distruzione reale, ( invece di pensarli e di realizzarli come un altro polo di noi stessi, a noi complementare nella realtà totale in cui tutto è in relazione con tutto).
2)Come attesta la superbia , il peccato ch'è in ogni peccato è in incubazione in ogni forma di dualismo tra Dio e il mondo e l’uomo, tra l'eternità e il tempo, in ogni processo ideale e reale che li separa in luogo di mantenerli indivisi e distinti, interconnessi e reciprocamente inerenti, e induce a credere che ciò che vale per un ordine di realtà non debba valere per l’altro.
3 Nell’analisi di Bianchi l 'immaginazione è una facoltà mentale dal tremendo potere devastante, quando alimenta il peccato, la lussuria e la collera , particolarmente, secondo un potenziale malefico che ha indotto altri teologi contemporanei a sostenere che la più grande delle attività diaboliche è l’uso della nostra immaginazione divina per creare distruzione” (Matthew Fox, In principio era la gioia pg286), trasformando in una potenza di morte la creatività dell'immaginazione che è Spirito
“Demoniaco e diabolico sono molto vicini , li separa solo una linea sottile”( Matthew Fox, ididem)
E purtroppo le stesse parole e la stessa dinamica, se non c’è carità, possono essere espressione sia della autentica lotta spirituale che della glorificazione dell’ego della fede del diavolo
4 Tale lotta della vita spirituale del credente che sia volto a essere Cristo, ha innumerevoli analogie con la pratica del risveglio alla propria buddhità del buddismo, ne condivide il distacco dal proprio agire mediante l'acquisizione della consapevolezza che ci incentra nel proprio Se interiore- che corrisponde al cuore veterotestamentario, al Dio nel fondo dell’anima della mistica cristiana.
In un teste breve dell'” Arte della vita” Anselm Grun ha fatto corrispondere alla disamina ad opera di Evagrio Pontico dell'uso negativo delle anime concupiscibile, irascibile e razionale, i tre inquinanti fondamentali del buddismo, la brama, l'ira, l'ignoranza, le tre cose distruttive della vita secondo Maometto, l'ira, l'avidità e la presunzione
Parole come le seguenti di Abba Antonio, riprese da Enzo Bianchi per insegnarci come lottare contro le suggestioni delle tentazioni, potrebbero ricorrere in qualsiasi breviario buddista
“Quando appare una visione non si ceda al panico, ma di qualunque cosa essa sia, per prima cosa si domandi, pieni di coraggio: “ Chi sei e da dove vieni?” ( pg.48).
“Suggestione, dialogo, acconsentimento, passione” , possono ugualmente indicare per il cristiano le dinamiche della tentazione del peccato e dell'attaccamento dell'errore per il buddhista, vigilanza e attenzione, possono essere i comuni strumenti di lotta,
Il disarmarsi che invoca Athenagoras I nella “ guerra più aspra, quella contro se stesso”(pg 237), richiama vivissimamente l'abbandono di ogni resistenza difensiva, il lasciare andare, la rinuncia alla separazione dalla vita della meditazione buddhista.
E nella conversione a Dio del pentimento, dalla lotta spirituale cristiana certamente è richiesta nei nostri confronti la stessa precisione attenta e gentilezza amorevole della maitri buddhista, in luogo della vergogna del senso di colpa
Per il cristiano si tratta indubbiamente, come per il buddista , di purificare la brama dell’attaccamento e dell’avversione che è alimentata dalla inconsapevolezza o ignoranza o nescienza del reale, del fatto che come ogni altro essere non siamo il principio originario della nostra esistenza, dalla mancata comprensione e accettazione della realtà che ci limita (pg. 73), dalla inconsapevolezza della impermanenza del tutto e della nostra mancanza di sussistenza autonoma,, a causa dell'interdipendenza di tutto da tutto, in cui consiste il vuoto- di essenzialità in se sussistenti- del sunyata,- ma diversa è la forza purificatrice che ci risolleva e ci edifica, perché solo nel buddismo devozionale, quale è quello Amida, lo spirito del Buddha può essere attinto aprendosi alla misericordia e alla grazia di un datore di vita personale, come richiede la lotta spirituale cristiana . Che con l'assiduità con la parola delle Scrittura, che è parola di Dio, richiede la preghiera e l'invocazione del Signore, la confidenza nella sua misericordia, nella eucarestia come magistero spirituale, il fondarsi in radice sulla fede della resurrezione di Gesù Cristo ( pgg.56-63)( Confronta P. Knitter, Senza Buddha non potrei essere cristiano, Fazi Editore, 2011) .
(E' dunque l’accettazione della realtà di noi stessi e degli altri, nei limiti propri e altrui, l’obbedienza, per amore, alla propria creaturalità e all’Amore trinitario, il presupposto della propria attuazione autentica, (pg77), del vero modo di essere a immagine e somiglianza di Dio.






 
 

La lotta per la vita (E. Bianchi) recensione

Enzo Bianchi Una lotta per la vita Edizioni Paoline 2011
 
 
 
La lotta per la vita di cui Enzo Bianchi affronta la decisività nella recente opera omonima, è la lotta spirituale della vita cristiana contro i peccati e le tentazioni capitali che contrastano il compimento del nostro essere uomini.
Ogni personalità umana deve sostenere e vincere tale lotta per realizzarsi pienamente, ma può sostenerla e vincerla solo se lascia fare alla grazia di Dio che agisce nel suo “cuore”.
Nell'accezione che il termine assume per la Bibbia e per i padri della Chiesa, il cuore è la vita umana nella sua totalità, di cui è la spiritualità mistica che esprime l'esperienza integrale: “ sede della vita sensibile, della vita affettiva e della vita intellettuale, il cuore contiene gli elementi costitutivi di ciò che noi chiamiamo” persona “ ( citazione da A. Guillaumont, “ Le sens des noms du coeur dans l'antiquité”, pg.33).
L'uomo, nel suo spirito, in virtù di ciò che diventa grazie all'ascolto della Parola e alla vittoria sulla potenza del male che consegue con il concorso dello spirito di Dio, può pervenire allo “stesso sentire che fu in Cristo Gesù,” al punto di poter dire, come Paolo, “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”( Galati 2, 20), che lo stesso “ vivere è Cristo” ( Filippesi, 1, 21). “ Nella mia lotta sii tu a lottare” invocando come l’autore del Salmi ( Salmi 43,1; 119,54).
In tal senso Enzo Bianchi afferma ciò che della lotta spirituale sostiene Mastro Eckhart, allorché ci avverte che “non è attraverso le vostre azioni che sarete salvati, ma attraverso il vostro essere. Non è per il vostro fare, ma per ciò che siete che sarete giudicati”. Solo l’assimilazione del nostro essere a quello di Cristo, infatti, solo l'assimilazione al suo amore nell’incessante arte di riprendere la conformità a Cristo”( pg.62), il consentire alla misericordia di Dio confidando nella costante accessibilità del bene ad ogni nostra ricaduta nel peccato, può dettarci il vero agire salvifico che salva con noi il nostro prossimo.
Poiché la lotta per la vita è la predisposizione del nostro essere spirituale alla “grazia di Dio che, attraverso la morte dell'uomo a sé stesso, agisce in lui e lo vivifica” (pg 57), tra le otto tentazioni peccaminose capitali della tradizione cristiana risultano particolarmente gravi quelle che precludono l'apertura dell'uomo alla grazia, l'orgoglio, innanzitutto, la vanagloria e l' avarizia che gli sono affini.
L'orgoglio, che è la “radice di ogni male”, secondo le parole di Gregorio Magno, presuppone la convinzione dell'uomo di essere l'origine primaria di se stesso, la fonte del bene di cui ha il senso ed è capace, e consiste, pertanto, nell'“autocostituirsi dell'io come signore di tutto e di tutti”(pg 223), che ne alimenta la presunzione di potersi fare autosufficiente rispetto a Dio, al mondo e agli uomini.
Come afferma Evagrio Pontico, nel passo che Enzo Bianchi premette alla disamina dell'orgoglio, “ Il demone dell'orgoglio è quello che conduce l'anima alla caduta più grave. La incita, infatti, a non riconoscere l'aiuto di Dio, ma a credere che è lei stessa la causa delle proprie buone azioni, e a guardare dall'alto i fratelli, ritenendoli degli stupidi, dato che nessuno di loro sa quanto lei”(pg.219).
La vanagloria, a sua volta, è la ricerca della propria affermazione orgogliosa in ciò che si fa “ per piacere agli uomini” ( Efesini 6, 6), anziché in ciò che si è agli occhi di Dio. “ Come potete credere, Voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene solo da Dio?”( Giovanni 5, 44.).
L'avarizia è per parte sua imparentata con la vanagloria, e l'orgoglio, in quanto l'avaro “ si isola, non solo perché non condivide, ma perché accumula nella volontà di non dipendere da nessuno. L'avarizia è ricerca di un domani egoistico e garantito, un domani in cui bastare a se stessi, in cui gli altri sono esclusi di fatto dal nostro orizzonte” (pg.148).
In una sorta di demoniasi, di perichoresi e di controcreazione antitrinitaria, non c'è tentazione o peccato che non si ingeneri e che non proceda l'uno dall'altro, che l'uno all'altro non inerisca, ma lo snaturamento nella Legione delle Persone dell'Amore trinitario, e della loro creazione continua., opera sempre contro la creatività divina, nel separare ciò che essa pone in comunione, e nel confondere ciò che in essa di indiviso permane distinto, a iniziare dall'unione in Cristo di umano e divino, per originare mimeticamente le comunioni e le condivisioni apparenti, del male che distruttivamente oppone ed oscura.
Radicato nell'orgoglio, soggiacente all'individuazione di tre passioni madri – la libido amandi, possidendi, dominandi,- madri delle otto tentazioni o loghismoi che ne derivano, - ingordigia, lussuria, avarizia, collera, tristezza, acedia, vanagloria, orgoglio- su cui nell'economia di questa presentazione non ci soffermiamo-, secondo l'analisi di Enzo Bianchi sussiste dunque un peccato che è presente in ogni peccato (abbarbicato al quale l'anima resiste al dono di Dio e all’azione di grazia), la secessione da Dio e dagli uomini inoculata dall'amore di sé della carne (sarx ) paolina, la brama che ci “ oppone al desiderio profondo di Dio, quello della comunione tra sé e l’umanità, e degli uomini tra loro”(pg. 71). L’affermazione di sé viene allora snaturata nella negazione degli altri, nell'agire a proprio danno contro gli altri, anziché con gli altri e per gli altri, (cfr pg 23). 1 (nota 1)
A tale comune, grande peccato,2  (nota 2) portando a consequenzialità ulteriore il discorso di Enzo Bianchi, può essere ricondotta la stessa acedia, che ha i caratteri dello stato di perdita del senso che la vita è amore come donazione, quando si diventa inani perché si è divenuti incapaci di condivisione con gli altri del proprio bene. La tristezza, che è invidia e gelosia, può complementariamente essere interpretata come l' incapacità di condividere e di ricevere il bene degli altri, mentre la vanagloria appare la cattiva condivisione, assoggettata e assoggettante, che procede dall'affermazione di sé per imporsi agli altri, dei cui giudizi e pregiudizi si è succubi nel proprio fare ed apparire. Tale vanità si configura anche come peccato di omissione, quando per trarne più fama ci si ritrae dal mondo ( secondo l' acuta analisi di Cassiano a pg. 209 dell'opera in esame ).
Secondo l'esegesi spirituale di Enzo Bianchi così essenzializzata, il peccato originale è il prototipo esemplare del peccato d'orgoglio che figlia il peccato che è in ogni peccato. Adamo nel suo peccato non ha accettato i propri limiti, ha voluto farsi come Dio in un atto di affermazione appropriativa del suo Io, in cui ha disobbedito a Dio perché ciò che ha compiuto lo ha reso antitetico alla vita e alla creatività divina, al farsi dono di sé della Sua natura di Amore trinitario. Il peccato di Adamo, mosso dal desiderio di immortalità, di onnipotenza e di onniscienza, allorché in noi si riproduce è l'amore di sé, del nostro Io, che per la paura della morte ci sollecita alla ricerca della vita in ciò che è peccato e che infonde invece sempre più morte, il peccato originale si riproduce consequenzialmente nella nostra volontà di salvarci il cui anelito ci fa invece sempre più perdere la nostra vera vita, nell'appropriazione e nel geloso possesso delle cose di questo mondo di cui si diventa idolatri.
Nelle varie forme di idolatria, alla realtà subentra la falsificazione dell'immaginario,3 (nota 3) che induce l'uomo a sentirsi tanto più illimitato e permanente, quanto più ha e quanto più domina, in realtà quanto più si fa mortale e caduco, assimilandosi all'impermanenza delle cose di questo mondo di cui si va appropriando e da cui va dipendendo (pg. 72).
L'orgoglio adamitico di farsi come Dio nella divinizzazione dell'Ego, ci pone in antitesi al nostro vero essere, il Cristo che vive in noi, al nostro diventare sempre più umani diventando sempre più a sua somiglianza. La nostra vera divinizzazione, l'entrare in comunione con la gioia di Dio nella vita eterna, esige al contrario il morire al proprio Io ed ai suoi attaccamenti, alle sue identificazioni appropriative, il perderlo, l'Io, con la propria vita, nella donazione gratuita dell'essere che gratuitamente ci è stato donato, in obbedienza d'amore all'essere Amore della creazione divina.4 ()  (nota 4
E' quanto, in un contrappunto mirabilmente tracciato da Bianchi nella sua trama analitica, ci insegnano la lotta vittoriosa di Gesù contro le tentazioni di Satana, in virtù della Sua obbedienza al Padre e dell'accettazione della finitezza della propria incarnazione, e l'inno cristologico sublime della Lettera di Paolo ai Filippesi. In tale contrappasso, all'impossessamento esclusivo tramite il quale Adamo suppone di farsi come Dio, alla sua divinizzazione dell'Io che presume di scongiurare la morte, mentre proprio così ne diventa la preda perduta, è contrapposto l'autosvuotamento in Gesù del suo essere divino, la perdita della vita che la salva in virtù dell'amore gratuito, che solo può vincere la morte, la kenosis di patire la rinuncia ad ogni geloso possesso della propria forma divina per abbassarsi ad essere pienamente uomo, sin nella forma di servo, sino all'umiliazione ed alla vergogna della croce, in conformità con le volontà del Padre, che per questo l'ha fatto risorgere e sovraesaltato. E sulla fede nell'evento pasquale, che in ognuno di noi vivere possa essere Cristo risorto, “la lotta invisibile si fonda in radice” (pg.56)

Enzo Bianchi Una lotta per la vita San Paolo 2011, pg 244, 16 euro.




Note
1 con gli altri, e per gli altri, che dall'amore di se, o philoautia, possono essere ignorati oppure sentiti come indifferenti, disprezzati, o avversati in quanto rivali, lasciati da noi separati e distanti, oppure vissuti in conflitto antagonistico, ed essere rimossi o sottomessi sino all'estremo della loro mortificazione o distruzione reale, ( invece di pensarli e di realizzarli come un altro polo di noi stessi, a noi complementare nella realtà totale in cui tutto è in relazione con tutto).
2)Come attesta la superbia , il peccato ch'è in ogni peccato è in incubazione in ogni forma di dualismo tra Dio e il mondo e l’uomo, tra l'eternità e il tempo, in ogni processo ideale e reale che li separa in luogo di mantenerli indivisi e distinti, interconnessi e reciprocamente inerenti, e induce a credere che ciò che vale per un ordine di realtà non debba valere per l’altro.
3 Nell’analisi di Bianchi l 'immaginazione è una facoltà mentale dal tremendo potere devastante, quando alimenta il peccato, la lussuria e la collera , particolarmente, secondo un potenziale malefico che ha indotto altri teologi contemporanei a sostenere che la più grande delle attività diaboliche è l’uso della nostra immaginazione divina per creare distruzione” (Matthew Fox, In principio era la gioia pg286), trasformando in una potenza di morte la creatività dell'immaginazione che è Spirito
“Demoniaco e diabolico sono molto vicini , li separa solo una linea sottile”( Matthew Fox, ididem)
E purtroppo le stesse parole e la stessa dinamica, se non c’è carità, possono essere espressione sia della autentica lotta spirituale che della glorificazione dell’ego della fede del diavolo
4 Tale lotta della vita spirituale del credente che sia volto a essere Cristo, ha innumerevoli analogie con la pratica del risveglio alla propria buddhità del buddismo, ne condivide il distacco dal proprio agire mediante l'acquisizione della consapevolezza che ci incentra nel proprio Se interiore- che corrisponde al cuore veterotestamentario, al Dio nel fondo dell’anima della mistica cristiana.
In un teste breve dell'” Arte della vita” Anselm Grun ha fatto corrispondere alla disamina ad opera di Evagrio Pontico dell'uso negativo delle anime concupiscibile, irascibile e razionale, i tre inquinanti fondamentali del buddismo, la brama, l'ira, l'ignoranza, le tre cose distruttive della vita secondo Maometto, l'ira, l'avidità e la presunzione
Parole come le seguenti di Abba Antonio, riprese da Enzo Bianchi per insegnarci come lottare contro le suggestioni delle tentazioni, potrebbero ricorrere in qualsiasi breviario buddista
“Quando appare una visione non si ceda al panico, ma di qualunque cosa essa sia, per prima cosa si domandi, pieni di coraggio: “ Chi sei e da dove vieni?” ( pg.48).
“Suggestione, dialogo, acconsentimento, passione” , possono ugualmente indicare per il cristiano le dinamiche della tentazione del peccato e dell'attaccamento dell'errore per il buddhista, vigilanza e attenzione, possono essere i comuni strumenti di lotta,
Il disarmarsi che invoca Athenagoras I nella “ guerra più aspra, quella contro se stesso”(pg 237), richiama vivissimamente l'abbandono di ogni resistenza difensiva, il lasciare andare, la rinuncia alla separazione dalla vita della meditazione buddhista.
E nella conversione a Dio del pentimento, dalla lotta spirituale cristiana certamente è richiesta nei nostri confronti la stessa precisione attenta e gentilezza amorevole della maitri buddhista, in luogo della vergogna del senso di colpa
Per il cristiano si tratta indubbiamente, come per il buddista , di purificare la brama dell’attaccamento e dell’avversione che è alimentata dalla inconsapevolezza o nescienza del reale, dall'ignoranza del fatto che come ogni altro essere non siamo il principio originario della nostra esistenza, dalla mancata comprensione e accettazione della realtà che ci limita (pg. 73),( che per il buddhismo è la inconsapevolezza della impermanenza del tutto e della nostra mancanza di sussistenza autonoma, a causa dell'interdipendenza di tutto da tutto, in cui consiste il vuoto- di essenzialità in se sussistenti- del sunyata,- ma diversa è la forza purificatrice che ci risolleva e ci edifica, perché solo nel buddismo devozionale, quale è quello Amida, lo spirito del Buddha può essere attinto aprendosi alla misericordia e alla grazia di un datore di vita personale, come richiede la lotta spirituale cristiana, che insieme con l'assiduità con la parola delle Scrittura, che è parola di Dio, richiede la preghiera e l'invocazione del Signore, la confidenza nella sua misericordia, nell'eucarestia come magistero spirituale, il fondarsi in radice sulla fede della resurrezione di Gesù Cristo ( pgg.56-63)( Confronta P. Knitter, Senza Buddha non potrei essere cristiano, Fazi Editore, 2011) .
(Sono dunque l’accettazione della realtà di noi stessi e degli altri, nei limiti propri ed altrui, l’obbedienza, per amore, alla propria creaturalità e all’Amore trinitario, i presupposti della propria attuazione autentica, (pg77), del vero modo di essere a immagine e somiglianza di Dio.

avvertenza al mio lettore

Si prega, per i post da maggio al settembre 2001, di affidarsi alla loro revisione presente in www.odoricoamico.it
INDEX maggio giugno 2011 e qui riproposta
9 maggio 2011
Intermittenze dei lavori in corso

Era da Khajuraho, non dal villaggio natio, com’io mi aspettavo, che Kailash mi rispondeva al telefono. Vi aveva fatto rientro perché suo padre gli aveva detto al cellulare che Chandu aveva il raffreddore e la tosse, ma non c'era di che temere, non doveva trattarsi di niente di grave.
“E' che gioca con l’acqua ed è bagnato tutto il giorno, e sempre fa, e fa, e fa, “ he works, works, works,” è proprio come Sumit”.
Sumit che voglio credere che sia con Kailash, in Kailash, con il fratellino che gli è sopraggiunto, come con ogni altro ed in ogni altro di noi.
Intanto le intermittenze del cuore angosciato del mio amico, che non vuole per un altro presunto errore perdere anche Chandu, stavano causando un’interruzione ulteriore dei lavori al nostro dukan, al nostro negozio, dopo gli arresti dovuti alla mietitura del proprie coltivazioni e di quelle delle padre, alla cura che si era preso dei bufali in assenza dei genitori, quando essi si sono posti in viaggio per Allahabad ,ad andarvi a disperdere nel Gange le ceneri della nonna materna, all’errore del padre nella commissione della serranda nel negozio, al malore alla gola accusato la settimana scorsa da Chandu, il cui rigetto di ogni cibo solido ha distolto Kailash da ogni altra considerazione che non fosse la sua salute, finché con il miglioramento del bambino non gli è stato possibile lasciarlo per la continuazione dei lavori nel villaggio, sin che dopo settimane e settimane di riprese interrotte è stato portato a compimento anche il muro frontale, in cui la saracinesca non è ancora stata impiantata.
Kailash con l’aiuto di alcuni masdur, oltre al capomastro, il karighar, passandosi di mano in mano un secchio dopo l'altro attinti a una pompa del villaggio, per sollevarli sino all’altezza raggiunta dai muri, sta fronteggiando la penuria dell'acqua di cui il fiume e il talab sono in secca, e della cui irrorazione i muri, i diwar, necessiteranno anche domani, e fors’ anche dopodomani, mercoledì, quando ritornerà al villaggio proprio a questo scopo, oltre che per accudire nuovamente i bufali nella stalletta attigua, in luogo del padre, che nelle sue vesti di barbiere dovrà allestire un matrimonio ulteriore- “ marriages. marriages, marriages”, sbuffa Kailash, è ora la stagione dei matrimoni in India: e soltanto dopo, che così irrorati, i muri saranno diventati paripakv, egli potrà iniziare la copertura del terrazzo, per poi passare al palastar, all’intonacatura, alla tinteggiatura ed ai rangoli. C'è il rischio, altrimenti, che nei muri si aprano crepe, come nella casa in cui vive il fratello.
Dopo che a lungo si è parlato di cricket, delle ragioni per le quali lo appassionano soltanto gli incontri delle nazionali, “ il vero gioco", a differenza dei tornei tra i club privati, che sono soltanto un occasione per i loro finanziatori per fare affari, - ho sollecitato Kailash a iniziare a fare di conto su quali forniture servano al negozio, a partire dall’elencazione che mi ha inviato dall’India e dal mio completamento che gli ho trasmesso in seguito. Ma i suoi sbadigli leonini e la mia avversione a forzare modi e tempi , mi inducevano a non insistere oltre alcuni generi, citati ad esempio, quali i beni di consumo più comuni come il riso e lo zucchero.
Ne riprenderemo a parlare domani, come della uccisione di Osama Bin Laden.


15 maggio 2011
For Sumit Sen, my son
Per Sumit Sen, mio figlio ( 2007-2009)
*
Che ancora parole,
la musica e il canto
oltre la tua morte
*
Senza più acqua di vita

Alla tua morta imago
anche la rosellina
già è reclina
*
20 maggio 2005
Notti di luna
Ieri notte Kailash era sul tetto della stanza sopraelevata sul terrazzo della casa paterna, da cui poteva vedere finanche le luci in lontananza di Chandnagar", la “città della Luna". Vi stava da solo, poiché il padre, nelle sue mansioni di barbiere, era distolto da un matrimonio in cui doveva fare da cerimoniere, ed egli era intenzionato a restare per più giorni nella casa paterna, pur di mandare avanti i lavori di edificazione del negozio, poco distante. Intanto, lassù in alto, da solo, cercava un po’ di sollievo alla fersa della temperatura, che durante la giornata aveva raggiunto i quarantotto gradi in Khajuraho. A causa della siccità era stato costretto anche ieri ad irrorare d'acqua le pareti del suo "dukan", rivestendole ancora di stuoie impregnate d'acqua, perché non si screpolino e fessurino, in attesa che domani arrivi il capomastro che edifichi il muro interno spartitorio,(- e) prima ancora che la settimana prossima, o chissà quando mai, quelle quattro mura possano conoscere la copertura di un tetto, poi l' intonacatura, la tinteggiatura, l'ornamentazione dei "rangoli "dipinti dal piccolo Ashesh...
Sabato sera Kailash l’avevo lasciato insolitamente esaltato, era appena di ritorno da un matrimonio fastoso tra sposi di casta ksatrya, ch'era stato imbandito in un dharamsala di Khajuraho, una cerimonia, mi ricordava divertito dal raffronto, ben diversa da quella delle nozze del fratello della moglie, ch'erano avvenute in assoluta miseria nella giungla. Accomiatandomi io mi avviavo a visitare nel plenilunio la reggia della mia città, che sarebbe rimasta aperta fino nel cuore della notte, ma senza che poi l’ incanto delle sue gallerie e delle sue sale, le musiche che di sala in sala vi ricorrevano, potessero fascinare l’anima a magnificarvi la vita, a sopraelevarsi nella loro bellezza oltre la morte di Sumit.
Nel frattempo sono intercorse via internet le liste delle spese per le forniture del negozio, nella loro compilazione si è contemplato tutto ciò che potessero richiedere l’alimentazione della gente del villaggio, la loro cura del corpo e della casa, lo svago degli uomini e la vanità anche delle più povere donne, il diletto e la istruzione dei bambini, prima che da parte mia passassi a richiedere a Kailash di contribuire ad un lavoro di potatura dei quantitativi stilati. Certo, si potevano dimezzare la "zero zero atta", la farina zero zero, dato che non è più stagione di festival, o il colore per tinteggiare le case, che verranno dipinte di nuovo per Deepavali, oppure la "face cream", in quanto che la si usa solo per i matrimoni, non certo la “body cream “o l’olio per capelli, cui si fa ricorso quotidianamente, mentre si poteva fare a meno di comperare le lenticchie nere, oltre a quelle gialle, le urid oltre le moong dhal, i contadini del villaggio conservano ancora in casa le scorte del raccolto dell‘estate scorsa, era il caso di limitarsi all’acquisto di pochi chili di lenticchie della qualità più pregiata, l'ahar dhal,lo stesso discorso era da farsi per l’olio, bastava acquistare quelli di girasoli e di soia per i fritti di vegetali e di carne, insieme al "brown oil," l'olio di senape, che invece si usa per friggere gli impasti delle farine, talmente nel villaggio si ricorre all’olio ottenuto dalla spremitura del sesamo che si è mietuto dopo la stagione delle piogge, - un olio sacro e prezioso secondo l’ induismo, buono a tutti gli usi, ma che tuttavia nelle città dell' India oramai si ricusa di usare. Ineliminabili erano invece i fiammiferi e le sottili sigarette di foglie arrotolate, le cosiddette "bidhi",- e dov'era finito nei miei elenchi tutto il " rastri",- non lo "shree"-"gutka", che Kailash mi aveva precisamente e insistentemente prescritto, il tobacco chewingum di foglie di betel che costituisce l’imprescindibile consumo voluttuario maschile, come il croccante kurkurè lo è per i più piccoli.
Quando dunque siamo rientrati in contatto per decurtare le spese,“ No less… no possible…" Kailash ha ripetutamente opposto, irremovibile, ad ogni mia richiesta di tagli ulteriori, nella difesa strenua di tale estremo avamposto di ciò che ha intrapreso (edificando il negozio).
Il mio sorriso rassegnato ad ogni suo diniego era il sentimento divertito in cui si era rarefatto il monsone della esasperazione che mi aveva oscurato la mente, i giorni avanti, di fronte alla inutilità di ogni mio tentativo di introdurre dei ripensamenti nella mente di Kailash, sulla ragionevolezza economica di aprire un general store per della così povera gente, dei dalit pressoché privi di potere d’acquisto, sfinito dalla insistenza, che mi è occorsa, per ottenerne l'assenso alla mia richiesta che non siano solo miei i costi e i sacrifici, che anch'egli contribuisca all’acquisto delle forniture con il ricavato della vendita del raccolto di grano, riservando quella del sesamo al rinnovo dell‘affitto del campo dei dalit, mentre solo mia resta, e deve restare, la consapevolezza della vanità fallimentare anche di questo sforzo.
Ma che importa, mi conforto,se l'utile sarà insussistente, quando il crederci gli rinnova un futuro.

20 maggio 2011
Il peccato oltre ogni peccato
Il peccato oltre ogni peccato è la presunzione che insorge in ogni nostro ritenerci il principio originario sostanziale della nostra esistenza, nel mancato distacco conseguente dall'appropriatività dell'Io, in ogni disconnessione dalla interdipendenza in cui tutto è in relazione con tutto nello Spirito. Il peccato oltre ogni peccato procede dalla separazione e dalla dualità tra sé e Dio, tra Dio ed il mondo, tra uomo e uomo, disconoscendone la reciproca inerenza. Se così noi presumiamo, crediamo di poter essere e vogliamo essere la fonte del bene, riteniamo di poterci appoggiare a noi soli e di essere in grado di risollevarci da soli, animati da un orgoglio che si insinuerà nella stessa donazione di sé, nella oblazione della nostra stessa vita, volgendola ad autoaffermazione, elargitiva, che non sa sentire il respiro dell’altro, che l’altro non riesce a vederlo e a recepirlo nel suo differire, a nutrirsene prima ancora di farsi svuotamento per dargli la vita, nel portare con lui a compimento ciò che viene a maturazione in comunione, non già un proprio disegno intenzionale prefigurato.
è il male in cui così si commuta anche il fare il bene, il male che converte anche la sequela più zelante nella fede dei diavoli, .
22 maggio 2011
Al turbine del vento

Dopo avere appena ritirato nell'ufficio postale di Khajuraho il pacco che gli avevo inviato, in cui con dei miei libri erano contenuti degli altri capi di abbigliamento estivo per Porti, Ajay, Chandu, Kailash ieri era già smanioso di raggiungere il villaggio in motocicletta, pur di finirvi di costruire il suo negozio, “ I ll go to make my dukan”.perché (dovevo) dunque darmi pena che il mio sostegno economico all'impresa fosse un tale dispendio senza alcuna possibile riuscita, se Kailash ne è preso talmente tanto, se in esso vi si rinvigorisce nel corpo e nell'animo, se lo persegue con tale tenacia, a dispetto di ogni evidenza fallimentare e di ogni contrarietà che subentra, e persevera nell’intento a costo di tali e tanta fatiche, del distacco crescente da Vimala e dai bambini, per accudire se stesso in solitudine, come richiede, giorno dopo giorno, il distanziarsi dai suoi cari per edificare quelle benedette quattro pareti. Mi aveva detto, il giorno avanti, che sarebbe andato nel villaggio natio a mezzanotte, a prelevare l'acqua per irrorare i muri, allorché intorno alla pompa del villaggio non vi fosse stata più gente in fila con i secchi , e che avrebbe sovrinteso ai lavori del muratore dal primo mattino fino a mezzogiorno, quando la canicola avrebbe imposto la sospensione dei lavori, il cui decorso al rientro nel villaggio aveva già fretta di riprendere nel tardo pomeriggio. Ma poi è sopraggiunto un vento devastante, che nel turbinio dei suoi vortici ha sollevato la polvere sino a soffocare il respiro e ad (accecare)oscurare la vista. Ciononostante i suoi genitori hanno insistito a che il muratore seguitasse a lavorare, per non sprecare il denaro che lo retribuiva, come se le mie elargizioni fossero cosa loro, e il muratore nello scendere dai muri, ostacolato nella vista, ha messo un piede in fallo e si è infortunato. Mentre mi stava parlando, Kailash era nella stalla dei bufali accanto al suo dukan ancora senza copertura, seguitando a restare in disparte dai suoi genitori, con i quali si era fatto talmente rabbioso che non aveva voluto incrociarli durante l'intera giornata. Gli stava accanto il ragazzo di sedici anni cui sarà affidato il negozio, in sua assenza, il quale con voce mite mi ha salutato al telefono quando Kailash gli ha passato il cellulare. Senza la sua silenziosa compagnia il mio amico avrebbe avuto paura a restarsene da solo nella " buffalo house", quando erano già trascorse le nove di sera. Forse domani il muratore potrà già riprendere i lavori, ma chissà se un giorno è bastato perché possa rimettersi al lavoro.A Chandnagar, e poi in Bamitha, i dottori hanno assicurato che non ha nulla di rotto. Intanto Kailash poteva comunque fare buon viso al “bom bom bom dei tuoni”, alle gocce di pioggia che cadevano dal cielo oscuratosi, e di cui era contento che traesse beneficio la cementificazione dei muri del negozio, mentre dalla stalletta si stava dirigendo a casa, dove di lì a poco sarebbe sopraggiunto, senza fare alcuna parola con i suoi, al rivederli, per andare e distendersi nel sonno sul terrazzo. Vi si è ben involtato in una coperta, quando ancora l'altra notte era salito fin sul tetto più alto per propiziarsi un alito di fresco, talmente nel villaggio, come nell'intero Nord dell'India, col mutare del tempo il sopraggiungere del vento ha raffreddato la calura afosa, facendo precipitare le temperature. Addormentandosi sotto un cielo da cui erano scomparse le stelle.
24 maggio 2011
La caduta reale

E ieri è stata la volta della caduta di Kailash dai muri del nostro “ dukan”, del negozio pervenuto al soffitto. Una pietra sconnessa, il piede posto in fallo, e si è ritrovato al suolo, con un labbro rotto e il volto che si è tumefatto. Bluastro come Shiva Nilakanteshvara, mi verrebbe ora da sorriderne...Stamane ha dovuto recarsi dal medico, che gli ha praticato un'iniezione per la quale ha pianto, come Chandu. Ma ha salvato gli occhi, nella caduta, di cui Kailash mi mostrerà i postumi con una videochiamata ...Il mio cuore è sempre talmente in apprensione per ciò che può capitare ai bambini, che il suo stato d’ansia ha sorvolato sull’incidente capitato al mio amico, ed io ho seguitato a chiedergli altro, a sollecitarlo e a raccomandargli che proceda oltre nei lavori, che contatti il falegname del villaggio per la scaffalatura del negozio, che assicuri che domani abbia inizio la soffittatura, quando invece la cosa da dirgli era che tutto va già bene, così, e, quanto egli sia bravo e sulla buona strada, (quando) mentre un'altra, la mia, è la tragica caduta incombente da evitare.
Mancando lo stesso mio compimento umano, tradendo il dono di grazia per cui Kailash a me è stato affidato insieme alla moglie e ai suoi figli, il “ pensaci tu”, emesso dal cielo, tale mia caduta avverrebbe se mosso dalla volontà di salvaguardare i miei margini di sicurezza economica e la libertà di muovermi in autonomia viaggiando il più possibile quando sarò in India, inseminassi in Kailash i miei dubbi sulla (inanità e ) l')inutilità anche di questo nostro sforzo, la mia consapevolezza dell' impotenza dei nostri destini terreni, del fallimento a cui è votato, in questo mondo, anche questo tentativo ulteriore di dare un futuro che non sia un avvenire di miseria ai nostri bambini. Guai se gli inoculassi il mio timore, pregiudiziale, che la sua famiglia rifluendo nel villaggio soccomba ( dada preda di) a ogni limitazione di vita che vi sussiste, ed egli finisca sempre più succube di un padre padrone che gli insinua (detta )il da farsi a mie spese, spendendosi solo per l'altro fratello.... Lo facessi così recedere a rientrare a lavorare in hotel, in seno ad ogni incapacità, della moglie, e dei figli, di fare a meno di ricorrere a lui in ogni evenienza, “pa papa de do, de do", come nei suoi riguardi sa già esigere Chandu, Kailash perderebbe a sua volta ogni fiducia nella benedizione dei suoi giorni, la speranza che ci sia per lui una risollevazione possibile dal karma negativo che è la dannazione dei suoi passi in questa e in ogni altra vita futura, ed io, vincolandolo al mio stesso fallimento,- nella sottomissione al mio inadempimento umano del suo libero destino di uomo, in cui ogni mia donazione avrebbe pervertito la sua fragilità succube,- assumerei il volto elargitivo di questa sua condanna, nei secoli dei secoli di ogni reincarnazione futura.
Caro Kallu, possa io essere all'altezza di esserti invece amico per davvero, soccorso dalla consapevolezza che non saranno i soldi persi, o inutilmente spesi nel nostro dukan, la miseria che pesa, e che pregiudica la vita che ci resta davanti, illuminato dal dolore persistente che un'altra è la perdita senza scampo che grava sui nostri giorni e li svuota di senso, dalla luce di grazia che mi sei stato affidato in dono, con i tuoi cari, perché ci asciugassimo l'un l'altro le lacrime che per questo versiamo, nel vincolo d'amore del nostro Sumit.
26 maggio 2011
Per una teologia minima
Se la teologia è discorso e conoscenza di Dio, per chi è prigioniero di Cristo la teologia non è una teosofia, un sapere mentale di concetti divini, è conoscenza per partecipazione di ciò che nel Cristo si è rivelato come l’essere di Dio, il suo essere Amore divino trinitario, ed è dunque intelletto d’amore, conoscenza del suo essere amore divenendone per amore partecipi, amando, dunque, di un amore che sia lo stesso amore che è l’origine continua della continua creazione del mondo, kenosi divina dello svuotarsi di sé per farsi un mondo la cui vita sia trasmissione di sé per donazione, a immagine e somiglianza della donazione di sé che è la vita divina trinitaria, e farsi, nel Suo ascolto( nell’ascolto del Suo amore,(in noi presente al fondo dell‘anima), l’ascolto dei bisogni di chi ci è affidato come il nostro prossimo, in conformità con la capacità d’amare che è l’unicità del nostro nome che declina il Suo.
Come accade a chi è buddista, nella pratica del distacco e della compassione, in tale sequela a imitazione di Gesù avverrà che Dio, che nessuno ha mai visto, -con gli occhi della mente-, in obbedienza d’amore si farà visibile e sempre più presente,( purchè l’apertura di sé ci ponga in ascolto della sua voce di grazia), se più ameremo e ci saremo amati l un l’altro, come lui gratuitamente ci ha amato e ci ama preventivamente..
Sempre più percettibilmente, nell’esercizio del suo amore si disveleranno la personalità e l impersonalità del suo agire, la fisica soprannaturale della sua uniforme azione di grazia, com’Egli in essa sempre provveda, come non faccia mai mancare all’anima nulla di quel che le occorre in ogni sua sorte, pur nel Suo riguardo al libero accadere naturale cui il suo amore "deve" assoluto rispetto, senza che compia alcun miracolo di sorta privilegiante. Si accerterà com' egli così consenta anche la sventura più tremenda, ma rendendone sempre possibile il compenso con un bene più grande, e sempre consenta la trasformazione della perdizione del male in una prova santificante,- il suo volto di misericordia essendo la stessa accessibilità perenne del bene, sempre che l’anima sia capace del distacco da ogni appropriatività e distruttività di brama e di odio, dal geloso possesso di ogni tenere soltanto per se, dell'abbandono del suo medesimo anelito di salvezza.
Quanto più il nostro Amore nei suoi atti e nella sua intelligenza si sarà fatto in noi talmente profondo, tanto più Dio si sarà in noi ingenerato e sarà venuto a pienezza di luce, si sarà a noi rivelato e in noi si rivelerà agli altri.
Ciò che tale conoscenza dell’essere Amore del Dio trinitario presuppone, e che in in Giovanni è la condizione stessa del suo rivelarsi Amore, è l’unità spirituale di umano e divino, l'unità che consente che anche per noi sia misticamente possibile ciò che avvenne in Gesù, che come Gesù di Nazaret possiamo anche noi essere in Cristo, farci Cristo che vive in noi, alla stregua di come Cristo, il Verbo, si fece carne e visse in Gesù, visse tra noi come Gesù, Colui che per la sua stessa divinizzazione adempiutasi fu vero uomo, pienamente uomo.
Deve poter avvenire pertanto che il Cristo anche in noi riveli il Padre, e che lo riveli perché il Padre è in lui immanente, come nel Padre è immanente il Cristo, il Verbo ordinatore del mondo, e in entrambi è lo Spirito del loro mutuo amore, al pari di come sono entrambi nello Spirito, traboccante dalla vita intradivina nella sua trasfusione nel mondo, che ne è la gloria che cantano i cieli e la terra.
E’ quanto fu detta la perichoresi della vita intradivina, in cui consiste la ragione primaria per la quale nulla è duale, e panenteisticamente tutto è in Dio e Dio è in tutte le cose, perche Dio possa essere tutto in tutte le cose, e di tutte le cose fare uno,
" Chi vede me, vede il Padre"- pur se nel rivelarsi del Padre nel Figlio, l’Immanifesto permane distinto e trascendente rispetto al Manifesto, l'essere Divino essendo "il Nascosto e il Rivelato, il Primo e l‘Ultimo".
E così come Dio è nel mondo e il mondo è nel suo afflato cosmico,- Dio è in noi e noi siamo in Dio, noi siamo nel mondo e il mondo è in noi, e tra noi viventi siamo l’uno nell’altro, compenetrantici, nell’interconnessione e nell’interdipendenza di tutto nel Suo Spirito,- in cui il futuro, la seconda venuta , il giudizio è già, ora, il discernimento che si fa consapevolezza e pienezza di vita nel tempo presente, nell’ora in cui l’amore è già la sua eternità.
E'nello Spirito che Gesù risorge in ogni credente, lo Spirito che ci rigenera e che in noi si rigenera, la stessa vita eterna che è già in noi, e che in noi si manifesta. In intelletto e in immaginazione, in empatia e creatività, nella nostra energia in cui si ricrea la sua energia, nel cui fuoco la fede rivelataci si fa sua rivelazione, il suo venire di nuovo in noi alla luce, nella nostra luce che del suo ardore si fa ardente per gli altri, a che la nostra teologia si adempia come una sua teofania.
Ma è una teofania che è luce nelle tenebre, che è gravida di tutto il dolore e la negatività del mondo che non lo ha riconosciuto, e che liberamente non lo riconoscerà mai, di tutto il dolore per il dolore del mondo della Sua compassione esistenziatrice, il risveglio ad una pace che non è eudemonia mistica, ma la beatitudine vera che da Gesù ci è stata promessa, la beatitudine nelle lacrime.
La preghiera è la parola della voce del suo Spirito, in noi, che conformandoci al Figlio nel cospetto del Padre, se non può farsi la Sua volontà, unità compiuta con la Sua assolutezza d’amore, amore che è assenso alla necessità del tutto in quanto è già perfetto, così com'è, adesione ad esso nel presente eterno, soffre il travaglio dell’adempimento della promessa che ci è stato formulata dall’umanità cosmica di Dio, e anela, che come da Egli ci è stato assicurato, nessuna pecora del gregge vada perduta, e come il Suo figlio diletto ogni nostro figlio sia reso al padre.
Come crediamo sia la resurrezione della carne
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4 giugno 2011
Nota Spinoziana
Il Dio di Spinoza, che da concetto della mente si fa l'Essere del Pensiero di cui la mente è partecipe come una Sua idea,-in quanto è l'idea del corpo che noi siamo,(1)- è, panenteisticamente,sia l'Essere Assoluto in cui sono tutte le cose, seppure ancora pensato nei termini della Sostanza del pensiero metafisico di origine ellenica, che il Dio teo-en-paneistico della mistica intellettuale, essendo Tutto in tutte le cose, indivisibilmente, come loro causa immanente, l'Essere in cui tutto è uno.
Come l'Essere divino di Paolo.
Spinoza pur non essendo cristiano, pur non credendo nella incarnazione di Dio in Gesù e in una resurrezione di Gesù che non sia quella spirituale, ritiene che Gesù nella sua natura umana sia stato pienamente partecipe di Cristo, del Verbo del modo infinito immediato dell'attributo del Pensiero divino, il vero eterno figlio di Dio, che abbia comunicato con l'intelletto infinito di Dio, a differenza di Mosè e dei Profeti.
Ma come la mistica razionale che identifica lo Spirito nel Logos, il pensiero di Spinoza afferma un amor dei che è meramente intellettuale, sicché l'unità uomo-Dio per Spinoza può sussistere nelle sole forme dell'intuizione intellettuale della conoscenza di terzo grado, egli non riteneva pertanto che l'uomo si eterni nella creatività della sua immaginazione, la quale, al decesso del corpo, secondo l'Ethica muore integralmente con la memoria personale. E nonostante l'Ethica sia volta alla gioia, di cui Spinoza vuole renderci partecipi, di essere in Dio nel suo amore di se stesso che si esprime nella sua idea adeguata che costituisce la nostra mente, resta un suggello terrificante della beatitudine intellettuale in cui la Mente si eterna, quanto a conclusione dell Ethica Spinoza ha da dire dell'infelicità del cadavere bambino, nello Scolio della quart'ultima Proposizione dell'Ethica
"Poiché i corpi umani sono atti a moltissime cose, non c'è dubbio che essi possono essere di natura tale da esser riferiti a menti che hanno una grande conoscenza di sé e di Dio e la cui parte maggiore e principale è eterna, e perciò tali da temere difficilmente la morte. Ma affinché ciò si intenda più chiaramente, si deve qui notare che noi viviamo in continuo mutamento e che, a seconda che mutiamo in meglio o in peggio. siamo detti felici o infelici. Chi, infatti, da bambino o da fanciullo, passa allo stato di cadavere, è detto infelice, e al contrario si considera felice aver potuto percorrere tutto lo spazio della vita con mente sana in corpo sano. E invero chi possiede un corpo atto a pochissime cose, e sommamente dipendente dalle cause esterne, come il bambino o il fanciullo, possiede una mente la quale, considerata in sé sola, non è quasi per nulla consapevole né di sé né di Dio né delle cose; e, al contrario, chi possiede un corpo atto a moltissime cose possiede una mente la quale, considerata in sé sola, è assai consapevole di sé e di Dio e delle cose."

1)L’uomo diventa partecipe di come Dio si rivela a se stesso, e si ama, attraverso l’attività mentale e l’amore di sé e di Dio della sua stessa mente umana, che in ognuno di noi è l’amore stesso di Dio per se medesimo, non in quanto è infinito, ma per come, determinando l’essenza della nostra individualità eterna, è tutto se stesso in ognuno di noi , come lo è in ciascuna manifestazione della sua identica natura e del suo identico amore, immanenti in tutte le cose, in ogni altra forma microcosmica diversa da ogni altra dell’Essere divino, per cui in lui siamo uno, indivisibilmente, e tutto è in relazione con tutto. Si confronti in Ibn Arabi, come Dio si manifesti ad ogni fedele non già nella sua unità indifferenziata, ma in quel Volto divino, o "Forma di Dio", che è l'Idea o Angelo della sua Persona, la sua Natura Perfetta ( Henry Corbin L'immaginazione creatrice, pgg. 238-247, ad esempio).
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giugno 2011
Dukan
Prima di decidere se aprire il negozio nel suo villaggio acquistando le merci , Kailash sabato l’altro - il 4 di giugno- ha chiesto che ne pensino alla moglie, Porti ed Ajay. Tutti hanno detto di si. E quali erano state le loro ragioni, gli ho chiesto?
" Vimala sa capire le cose, anche se a volte è matta. Se tu stai sempre con la tua famiglia, mi ha detto, non concluderai niente, non avrai mai niente.”
Ogni famiglia che è in miseria, nel circondario, cerca fortuna lontano, nell’ edilizia dei cantieri di Delhi.
Kailash ne era convinto al 99%, e non lo aveva dissuaso che lo avessi messo di fronte a quanto sacrificio, nel viavai ogni giorno tra la casa ed villaggio, avrebbe dovuto sottoporsi nella prospettiva di guadagni pressoché insussistenti, avendo come clienti per lo più dei dalit che potevano pagare solo con le loro sementi, né che gli avessi ribadito che da me non avrebbe ricevuto alcun mio ulteriore finanziamento, che per completare l’acquisto delle mercanzie dovrà vendere tutto il grano, se non anche il tilli con il ricavato della cui vendita conta di poter rinnovare l’affitto del campo che ha coltivato questo inverno, essendo io persuaso che solo se vi impegna tali proventi, vi si impegnerà con tenacia perseverante, e il dukan non subirà la sorte del negozio di barbiere, di cui si è disinteressato di fatto in capo a una stagione, rimettendolo al suoi socio, così come un bambino accantona ogni successivo giocattolo che ha ricevuto in dono, non appena scema l’entusiasmo del gioco.
Il mio astio e la mia sfiducia in ogni ulteriore sua iniziativa, originati dalla incuria in cui tiene un’attività la cui intrapresa dovrebbe essergli sacra, poiché il negozio di barbiere fu acquisito per fronteggiare la nascita di Sumit, la settimana precedente si erano esacerbati alle sue parole di soddisfazione che se i lavori procedevano a rilento, almeno si era fatto un’idea, a mie spese, sottaciute, di quanto potesse costare un dukan, come sempre a mie spese, sempre sottaciute, almeno si era fatto un’idea dei proventi del lavoro dei campi, o di quanto poco fosse il ricavato del latte e dei latticini delle sue bufale, sempre preventivandomi costi inferiori al reale e guadagni di gran lunga superiori a quelli effettivi, che solo per il fatto che mie fossero le spese e suoi i ricavati delle vendite, egli poteva ritenere che presentassero il margine di un minimo utile .E il giorno seguente non avevo voluto rovinargli la festa nella dabha in cui si era recato a cibarsi di chilly panir, per avere ultimato il tetto del negozio, finalmente, avevo preservato la sua illusione che ogni lavoro duro fosse così finito, quando alla mia preoccupazione per come si potesse fare fronte a costi superiori a quelli previsti, “your money is my money” mi aveva sordidamente sussurrato al telefono, come è uso dire qualsiasi giovane serpente indiano nell’adescare lo straniero L’indomani quando avrei voluto riprenderlo, ed al contempo ero ansioso di contattarlo, tanto più che condividevo l’allarme suo e dei suoi genitori, per la sorte che poteva riservare a Chandu il fatto che Vimala l’avesse condotto al suo seguito per delle feste di nozze in un villaggio nella giungla, l’amico non si era fatto sentire e aveva staccato il telefono.
"Sorry Kallu,-avevo intrapreso a scrivergli-, but yesterday I suffered too much waiting that you were calling me about the rentry of your family from the marriage, No more… No more…
I cannot more keep my contact with you..
Every month I ll send you 150 rupees
You have to ceeck your e-mail, at the end of every month for the number account.
God bless you and your family”
Ma non appena il sabato egli si è rifatto vivo, la catena del mio soggiogamento è stata riassunta .
Ho ritrovato in facebook quersta lettera di Fabio Capuano
”Caro Odorico,
è da tanto che non ci sentiamo, avrei voluto contattarti per poterti scrivere di me e del mio trasferimento a Salerno, ma temporeggiavo preso dal trasloco e da altri impegni familiari.
Bazzicando su facebook, mi sono imbattuto nelle parole di profondo sconforto dei tuoi messaggi. Penso che tu sia troppo severo e con te stesso e soprattutto ingiusto nei giudizi che ti rivolgi.
Sappi che io ho stima di te, della tua sensibilità e della tua cultura. Ma soprattutto penso che tua sia una persona di luce, perché hai il coraggio di amare, sacrificando tutto te stesso per aiutare chi ha bisogno, nonostante il tuo sia un amore senza gloria, che forse ai più appare come follia. Ma la dedizione gratuita non è follia, è luce di speranza.

Non perderla proprio tu quella speranza che sai donare.

Le pagine seguenti che ho scritto l'anno scorso, possono riassumere il nichilismo della mia fede, della mia speranza e del mio amore senza gloria che secondo Fabio mi illumina.


“Come sei lontano, eppure neanche mio padre mi ha dato quanto te... Sono stati gli dei, è stato il Dio cristiano, a volere questo, che noi siamo con te una sola famiglia,...Qui tutti, anche Chandu, ti chiamano "Baba", mi chiedono quando Baba arriverà, ....
così mi ha detto Kailash, quando ho cercato di addentrarlo nelle ragioni della infelicità di fondo della mia vita, perché non debbano farci confliggere in futuro, cercando di renderlo consapevole che è radicata nel sentimento che nemmeno così tanto amore che ci ha consentito di sopravvivere alla nostra sventura, in virtù della grazia che conservo della capacità d'amare, nemmeno il distacco da ogni attrattiva terrena causata dalla morte di Sumit, con la perdita (conseguente) di ogni gusto nell'ascolto di poesia e canto, tanto meno la vocazione a purificarmi di tutto nel deserto della monacazione buddista, nessuna sequela di beatitudini cristiane, mi hanno estirpato l'odio e il disprezzo di me medesimo, per non avere tradotto in alcuna fama la mia vocazione artistica, essendomi rivelato talmente inetto che non sono stato capace di pubblicare un solo scritto o un minimo verso, facendo scempio di tutto il mio talento, e della mia vita, nella vanità annichilente dell' insegnamento in cui di me si fa scempio,- nel cui adempimento sento, al di la di tutto, a dispetto di ogni favola consolatoria, di avere perso con la mia vita "la mente mia e l ingegno", nel farmi favola e dileggio di innumerevoli scolaresche persecutorie, straziatovi visceralmente, nella mia fragilità vulnerabile, perché io vi ero per me medesimo, più che per ogni altro, la tragedia indifendibile dello spreco ridicolo del mio talento.
" Se non l'hai ancora avuto, lo avrai poi, il "good karma, di avere successo " mi ha detto Kailash con voce piana, credendo che fosse quel che veramente sentivo, e credevo, la difesa che gli adducevo delle mia vita come di una buona vita, come se fosse tale perché sarebbe una buona vita quella che il mio aiuto gli consente di vivere, ora che può lavorare e riposare, " to take rest", e concepire un futuro tranquillo in virtù del lavoro dei campi per sè e i suoi cari, dando ai bambini" buon cibo e buoni vestiti".
Come, se per questo, non fosse la cosa più sovrannaturale che la sua vita, e quella dei suoi cari, diventi tutta la mia, la (mia) sola vita residua, tra le tante davanti, in cui possa adempiere di essere un uomo”
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Il colpo di grazia ( Racconto incompiuto)
“Mi hanno detto che nessuno di loro è rimasto in classe, dei miei ragazzi”, diceva commossa alle colleghe che erano venute a darle il conforto delle condoglianze, di un abbraccio amichevole, quando era riapparsa in sala insegnanti, passati pochi giorni dalle esequie del fratello. In realtà nessuna di loro aveva voluto disilluderla, dicendole che erano stati veduti in piccoli gruppi addentrarsi nei bar tra la scuola e le camere ardenti del vicino ospedale, approfittando della concomitanza del funerale con le ore di lezione, per stare fuori di scuola durante tutta la mattinata.
E non erano passati che alcuni giorni, che già avevano ripreso a farsene beffe, dileggiandone lo stesso lutto.
Due di loro le avevano inviato un post sul sito di facebook, con taggati lei ed il fratello in una bara.
E una volta che le era sfuggito di dire amaramente a un‘altra insegnante, all’uscita dalla sala insegnanti, con tono duro ed aspro, “ le prostitute fanno ben poca fatica a precedere certe mie studentesse nel regno dei cieli, talmente sono volgari nell’infierire sui miei sentimenti , “ quando si sarebbe attesa che avessero rispetto almeno come donne per la sua sofferenza, di donna che solo nel fratello aveva trovato un uomo che fosse l’amore nella sua vita, e d invece ancor più di prima rumoreggiavano in classe, non le era stato perdonato, ed aveva dovuto risponderne con una sanzione durissima.
Era così, da anni, che procedeva per lei l’insegnamento, in quello ed in altri Istituti.
Procedeva un tempo, con il fare note, ammonizioni, poi aveva capito che per i colleghi e l’autorità era lei il vero problema, il solo problema, che per questa stessa ragione non avevano peso e rilievo, d‘intervento, le situazioni adolescenziali e le insorgenze critiche, nelle dinamiche della vita di classe, di cui la sua vulnerabilità umana si faceva rilevatrice, aveva inteso dolentemente che le sue note non avevano credibilità alcuna, che come le aveva detto una sua dirigente, in realtà erano note che infliggeva a se stessa, ed aveva smesso di sanzionare alcunchè, aveva compreso, e cercato di accettare, che le restava soltanto il subire e l’affliggersi, di essere, cristianamente, il sacrificio perenne di una vittima immolata, l’avviarsi ogni mattina verso le sue classi come un agnello al macello, il subire pur anche, che studenti che nemmeno erano suoi, scambiando la sua avvenenza sensuale per dissolutezza accessibile, le dicessero parolacce non appena nei corridoi erano alle sue spalle, o dal vano di qualche finestra di qualche classe al piano superiore, da cui si ritiravano come girava in su lo sguardo, senza che nessuno degli altri insegnanti, che pure la stimavano e le volevano bene, che sapevano e sentivano tutto, intervenissero minimamente. in sua difesa
Eppure gli studenti che più abusavano di tutti i riguardi che aveva nei loro confronti, approfittando del suo farsi scrupolo di tutto, più di quanto intendessero avvalersi della sua cultura, del suo mettere in discussione che potesse essere vero anche ciò che vedeva e sentiva, incapace di accettare che potessero spingersi a tanto, erano gli stessi che con lei soltanto si confidavano, che lei soltanto avevano in amicizia, salutavano all uscita dalla scuola quando lei non si era nemmeno avveduta del loro passaggio, come era accaduto con quelle due studentesse che le avevano lanciato un richiamo di passaggio , mentre si stava allontanando a causa loro dal centro psicologico sociale dove a causa loro l’avevano in cura.
“ Dove va, profe” le avevano chieste nel dileguarsi con allegria
“ Vengo da dove mi avete fatto finire, avrebbe voluto dire loro, se le fosse stato possibile.
Finchè non era pervenuta in quella scuola, dove si era illusa che la formazione umanistica che vi si impartiva le evitassero attriti e tensioni e con le sue allieve, e dunque di potersi esprimere e donare nel suo essere umano, nel farsi intendere da loro nella sua parola, nel farsi accogliere, in essa, per quanto riusciva a porsi in loro ascolto. Ma il loro volersi fare ascoltare senza stare neanche ad udirla, quando lei faticava anche a sentirne le parole, per il loro rumoreggiare, il volere imporre le regole preliminari del rispetto e dell‘altrui ascolto, come condizioni del loro rapporto, aveva di nuovo precipitato le cose negli stessi esiti tristi, lei ad avercela con loro, supponendo che con lei si consentissero ciò che con gli altri non osavano compiere, le altre istanze della scuola a sopportare e ad alleviare il danno che costituiva per il prestigio dell'Istituto, che lei non sapesse farsi valere e imporre il rispetto dovuto a un adulto, sicchè era venuta a ritrovarsi tra il loro incudine e il martello della dirigenza, nella fucina accaldata dalle rimostranze delle famiglie, nello stato di cose per cui , non più credibile , sfiduciata umanamente, e professionalmente, era tenuta a doverli affrontare senza nemmeno più la dissuasione dei brutti voti, che se inflitti da lei, avrebbe reso insostenibile la sua permanenza ulteriore, indotto a una sua rimozione, prefigurando come un approdo irraggiungibile il suo pensionamento in capo a qualche anno. senza che avesse più nemmeno diritto di replica e di difesa presso la dirigente, perché anche ogni suo accenno di giustificazione era per lei a priori vittimismo.
Indifendibile, comunque la attacchino.
“ Devo dimenticarmi di essere vero uomo e non vero Dio, quando in classe tornano a crocifiggermi per pura malizia...” è la giaculatoria che si ripete al rientro tra loro, dopo la lunga supplenza cui è stata. costretta o “ spinta”, come si è mormorato
“ Se solo sapessero, loro che si prendono gioco, come ho in avversione anche il solo fatto che esistano,, come mi disgusta tutto del loro essere.giovani...Mio Dio, pietà di me, dello scempio che faccio...”
Esse seguitano a parlare, volgendo lo sguardo sorprese che le disturbi nel loro chiacchierio per fare lezione.
Oh , ma se solo alzasse la voce con sdegno, se solo desse voce alla collera che le sale di dentro, le si accanirebbero contro, come sia uscita la denuncerebbero alla dirigente perché ce l'ha con loro,...
Dunque ripete l'invito-ordine con calma, col fare remissivo di chi è soccombente in quel che richieda.
“ Forse un'insegnante ebrea viveva così, torna a ripetersi, la sua sottomissione alle brave ragazze ariane delle scuole del Reich”.
Certo, se le vede così, almeno non si esaspera sino a soffrirne tanto. Ritrova la dolcezza che serve. Riesce a rispettarle come richiede l'insegnamento.
“Pensa, che hanno in canna il colpo di grazia che può finirti”.


13 giugno 2011
La giovane bufala
Ieri, di domenica, la giovane bufala di Kailash non aveva fatto rientro nella stalla con il resto della famiglia, se ne erano perse le tracce nella giungla, presso il fiume, nelle vicinanze dello specchio d’acqua lacustre dove invano la si è cercata, si era smarrita, secondo il mio amico, forse perché nella siccità generale i campi e i coltivi sono diventati un’uniforme distesa brulla. Il mio amico, con il padre, si stava recando nel villaggio ch’è presso l’aeroporto di Khajuraho, dove un branco di bufali era stato avvistato.
Avrebbe usato la motorbike, mi ha enfatizzato, richiamandosi esplicitamente al monito di cui così non teneva conto, del sadu che in un tempio gli aveva detto domenica scorsa di guardarsi dal dio Shani, il Saturno indiano, che in odio alle iniziali del suo nome per almeno otto mesi avrebbe fatto fallire ogni suo intento economico, stesse attento soprattutto a non fare uso di motociclette, si era raccomandato-, che le guidasse personalmente, o che lo facesse salire in sella qualche guidatore suo amico che gli desse un passaggio.
Sulle prime Kailash era intenzionato a non salire più che su degli autobus, dove il dio Shani non poteva, per colpirlo, mettere a repentaglio la vita degli altri passeggeri, poi aveva consultato anche il pandit del villaggio, ed aveva dovuto risolversi a lasciar perdere anche le predizioni infauste di costui, risolvendo così lo stesso mio sconforto in cui al telefono ero precipitato erompendo in lacrime, nell’avvertire che i sant’uomini a cui lo avevo indirizzato perché ne sanassero la mente, gliela stavano paralizzando in una letargia d’intenti disperante.“Non sono che uomini, i pandit e i sadhu, non sono Dio, mi aveva detto l’altro ieri, stanno bene attenti a non predire ciò in cui possono sbagliarsi, non ti dicono se il bimbo che nascerà sarà maschio o femmina, quando parlano hanno in mente soltanto il tuo denaro.”
“La mia bufala l’anno prossima - ha soggiunto stamane-, potrà avere dei piccoli, e da allora varrà venti. venticinquemila rupie, che perderò se non la ritrovo”
Kailash ed i suoi genitori avevano già smarriti altri bufali, ma ogni volta erano stati ritrovati. Ciò lo rincuorava, anche se di questi tempi, in cui non c’è il lavoro nei campi, imperversano i "cior", coloro che si fanno ladri anche di bestiame.
Il mio solo timore, quando l’ho lasciato per recarmi a mia volta a uno scrutinio scolastico, era che nella battuta in corso potesse venire a diverbio con il padre, contro il quale, l’ultima volta che ci eravamo sentiti, aveva inveito sino a volere da lui la separazione totale nella vita e negli averi, talmente gli serbava rancore, e un odio letale, perché per il fratello Manoi, che non gli recava alcun aiuto, era disposto a prelevare ventimila rupie in banca, che gli sarebbero serviti a farsi le prime stanze di una casa, laddove non si era mai prodigato in alcuna elargizione ed aiuto per il mio amico, che presumeva di esserne il figlio meritevole.
Aveva inveito al contempo contro il fratello, contro il proprietario della casa di questi, contro il padre della moglie, contrapponendomi a costoro come se io fossi il suo dio, dicendomi che non aspettava che la mia venuta in India, Ma nel frattempo avrebbero visto, coloro, chi fosse il vero Kailash…
Non ero alcun dio, gli ho gridato, ringraziasse i miei familiari, che accettavano che recassi a lui ed alla sua famiglia l’aiuto che a loro non ho concesso, forse suo padre veniva incontro al fratello perché in me che Kailash aveva trovato chi ne faceva le veci…
A Kailash ho taciuto quanto avessi sofferto nell’averne perso i contatti dopo tali vaneggiamenti, che mi facevano temere qualche suo sproposito, ho comunque ho chiesto la ragione di tali invettive parossistiche. La sua acredine per il padre era forse dovuta solo al favore “indebito” fatto al fratello, o non risaliva a qualche altro motivo, al fatto che come gli altri contro i quali aveva inveito, avessero profittato di Kailash per risalire al mio denaro. Si, era vero che aveva prestato denaro, senza richiedere "extramoney", ma gli era stato restituito, non aveva dilapidato il mio aiuto.
Solo a tal punto il mio caro amico mi confidava di non essere più quello di un tempo, che gli era capitato di arrivare a dire finanche che voleva uccidere suo padre, da che era avvenuta la morte di Sumit.
Gli tacevo del mio corrispettivo disastro interiore, per cui nella mia vita non esiste più l’arte, non sopporto più alcuna forma di musica e canto, raccomandandogli, prima che ci congedassimo, che se si fosse profilata qualche situazione in cui potesse entrare in alterco con il padre, l’affrontasse per telefono.
Quanto al dukan, il nostro negozio, vi aveva continuato i lavori ultimi di intonacatura, ieri e l‘altro ieri?
“Impossible“, talmente era stato preso da angoscia per la scomparsa della piccola bufala, per la perdita di rupie che poteva rappresentare la sua sottrazione.
Al mio rientro, via via che le ore passavano e che Kailash non si rifaceva vivo, l’assillo è diventata ansia, angoscia rabbiosa, costernazione di ciò che poteva significare il fatto che non mi richiamasse, se corrispondeva al mancato ritrovamento della bufala, all’accadimento di un incidente in motocicletta nella sua vana ricerca.
Sarebbe stato dunque verificato dai fatti che era sotto attacco del dio Shani, che ogni suo sforzo ed intento era maledetto all’origine dal suo bad kharma, che non restava più niente da fare, per cui potessi intenzionarlo, che solo la sua rapida fine era il suo destino auspicabile. Che bisogno ci sarebbe stato ancora di conferme, dopo la perdita della bufala e l’incidente occorsogli?...
Ma quando in uno stato di agitazione febbrile, rientrato a casa dal secondo scrutinio, ho riudito finalmente la sua voce, ciò che aveva da dirmi era la più confortante della notizie. Mentre lui e suo padre erano intenti invano a ricercare la piccola bufala, sua madre aveva loro telefonato dal villaggio che poco prima la bufala era rientrata da sola nella stalla insieme a tutta la famiglia.
Che dolce, dolce lenimento delle mie angosce, mi era poi sentire Kailash parlarmi con tale soavità infantile del mondo animale, alle mie domande che lo intrattenevano in linea , che lo trattenevano dal sonno quando in India era già prossima la mezzanotte.
Egli esprimeva la stessa tenerezza spietata che aveva messo in conto, la settimana scorsa, che Lalosha, il bufalino maschio a cui tutti vogliono così tanto bene, a cui tutti si affezionano subito perché da tutti si lascia avvicinare, che come un bambino è talmente intelligente, come dà prova di esserlo nell’ottenere dalla madre tutto il latte che le può succhiare, tra due anni possa essere venduto a un muslim che lo faccia a pezzi per cucinarlo.
Ha saputo anni addietro di come gli hotel del Madhya Pradesh imbandiscano carne di bufalo(,) invece di quella di montone, indicata nei menù, per servire magari “Lalosha byriani”. Ma aveva convenuto che Lalosha era meglio venderlo a chi ne facesse un animale da traino, magari nelle risaie del Chhatisgarh dove dei bufali si fa un largo uso.
E per fare festa alla bufala ritrovata, egli non conveniva che fosse il caso di darle un nome, ad esempio poteva andare bene “ Ananda”?
Non serviva più a niente darle un nome, mi replicava, si sarebbe dovuto attribuirglielo fin dalla nascita, allora anche un cucciolo di tigre, se lo sottrai alla madre e alla giungla “ he fellow you”, ti segue ed impara ogni cosa che tu gli insegni, ma in seguito no , con nessun animale non è più possibile ottenere niente.
E lui, il caro amico, era disposto domani a riprendere l’intonacatura del nostro dukan?
“ I take rest”mi ha risposto, finalmente voleva godersi il sonno che gli sarebbe stato altrimenti impossibile, se non avesse ritrovato la giovane bufala e le venticinque mila rupie che significava la sua vendita.
Poteva pur sempre incaricare il padre di far eseguire il lavoro ad un masdur o ad un karigar, gli ho suggerito.
Buona idea, ha apprezzato, a quanto pare farà così procedere i lavori, mi ha assicurato, dicendosi “ very happy”, prima di lasciarmi per il sollievo mentale del sonno.
Ed al Monkey god, che gliela aveva fatta ritrovare, domani non mancherà di offrire una prasad.
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15 giugno 2011
Raffronti
“Quando la mattina Chandu si sveglia come …, anche lui alle sei, e anche lui ci dà una piccola sberla sul viso, non posso non pensare a Sumit"
O per Kailash sono una dolorosa commemorazione di Sumit le parole di Vimala, quando insiste sull’età che egli ora avrebbe, su come ora egli potrebbe, e non potrà mai più essere.
Kailash si è quindi protratto nei più dolorosi e ingiusti confronti.
Anche Chandu non ha paura dei sadu, o degli animali, è anche più intelligente," mi porta ogni cosa che gli chiedo a parole, ma non mangia di tutto come Sumit”
Ma tutto lo strazio che provavo per la memoria che mi feriva di Sumit, per come Kailash infieriva sul suo stesso dolore, non ha evitato che alle parole seguenti egli mi alterasse, quando è giunto al punto da riferirmi, senza alcun sconcerto, che il padre ieri gli aveva proposto di fare del nostro dukan una stalla a proprio tornaconto, senza curarsi di che cosa potessi io pensarne, benché io ne abbia sostenuto ogni spesa, e senza alcun riguardo per gli sforzi che vi ha sostenuto il figlio nell'edificarla il meglio che fosse possibile. Mi ha poi intimamente incollerito che ogni mia sollecitazione a considerare come cosa non sua, ma in condivisione, tutto il denaro che seguito a trasmettergli, affinché lo spenda e lo conceda con oculatezza, e non venga a mancare quando potrebbe occorrere per attività più proficue di quelle che adesso si perseguono, l’abbia vanificata semplicemente dicendomi che ero un suo fratello.
Sempre di più lasciandomi ogni cosa da sgrovigliare al mio arrivo in India.
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15 giugno 2011
Chandra grahan
Stasera, avventurandomi a digitare il suo numero , certo che fosse disattivato, ho sorpreso Kailash ancora sveglio nel cuore della notte. Era a causa del chandra grahan, dell’eclisse di luna che seguiva per televisione, ove apparivano le scene delle puja e delle immersioni che in concomitanza con la scomparsa della luna si compivano nel Gange ad Haridvar, Varanasi, Calcutta.
Per timore delle tenebre il mio amico non si voleva inoltrare nemmeno sul terrazzo di casa, per accertare dalla sua spianata se si poteva ancora o già avvistare di nuovo la luna. Tutto intorno in Khajuraho regnava il silenzio, nessuno che fosse accorso ad immergersi nei talab del villaggio, nel qual caso egli si sarebbe unito alle immersioni rituali. E nel cortile di casa?
“ Io non vi vedo nulla in cielo. E nella tua città, in Italia?
"Se attendi qualche minuto scenderò nel cortile, per le strade dintorno. Sarebbe meglio che potessi raggiungere i laghi dove il cielo è più aperto”
Ma oltre il cortile, tra i tetti delle case, sulle strade e gli slarghi delle piazze , nessuna luna appariva nei cieli. Era solo un’illusione, ho appreso dai notiziari, al mio rientro, che l’altezza di tetti e palazzi ne imprigionasse o segregasse la vista, dove il chiarore sembrava diffonderne il plenilunio.
“ No more moon,” anche in India, da Khajuraho mi accertava Kailash, che nel frattempo aveva trovato il coraggio di salire e ridiscendere dal terrazzo.
Ma quando la luna fosse riapparsa anche nei miei cieli, mi si è raccomandato che facessi una doccia.
Mi ha inoltre pregato che recitassi il mantra eccelso di Shiva “ Om namah Shivaya” “ Om Namah Shivaya” “Om namah Shivaya” “ Sia fatta la tua volontà, mi arrendo a te , Shiva, mi arrendo a te Shiva”
E domattina Vimala, Chandu, Ajay, Poorti, nessuno di casa potrà toccare cibo senza aver prima fatto la doccia.
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19 giugno 2011
Amico fragile
“Il corpo è stato bruciato ieri a mezzogiorno”, presso la dimora nel villaggio di Srinagar , vicino a Mahoba, dove lo zio di Ashesh viveva poveramente.
E’ deceduto improvvisamente la notte dell’ eclisse, a poco più di quarant’anni di età, in prossimità di Rajnagar, mentre era in viaggio.
Dei conati di vomito, e di li a poco la sua vita è finita.
Kailash l’altro giorno ha presenziato in Rajnagar alle scene di cordoglio , ieri nella casa del morto alle esequie e alla cremazione, senza che nessuno lo distogliesse da tale ufficio, per salvaguardarlo dal trauma che i funerali hanno inevitabilmente originato in lui.
Si era astenuto dal vedere il cadavere, per non esserne turbato nei sogni, gli era di sollievo pensare che l’uomo fosse morto pur giovane senza lasciare figli, ma lo strazio del cordoglio, del pianto della moglie e delle donne, l’aveva fatto ritornare a quei giorni, nella sua casa.
“ C’erano molti che piangevano, piangevano, o che restavano in silenzio, come nella mia casa, quando è successo ciò che sai che è successo, o alla morte di mio nonno “.
Mi aveva telefonato non appena si era ritrovato a casa, al rientro, perché lo aiutassi a pensare ad altro, parlandogli del nostro dukan, del mio ritorno in India, di dove avremmo potuto recarci in viaggio.
“ Mentre do l’intonaco, e mi preoccupo dei lavori, la mia mente ha da fare e pensa ad altro…”
Abbiamo così discorso di Sanchi, di Bimbekta e Pachmari, dove potremmo andare con Poorti ed Ajay, gli ho prospettato Hyderabad, Bijapur, Bidar, quali località in cui recarci nel Sud dell’India, per poi rientrare via Hampi e Goa, o Kolkata e Darjieling, oppure il Rajashtan e il Gujarat, o di risalire il Gange nell’Uttaranchal.
Nell’attesa che mi ricontattasse, da che, giovedì sera, mi aveva chiamato solo dopo che era rientrato da Rajnagar, perché non restassi sconvolto al sentire le grida di pianto di chi vegliava la salma, la mia apprensione per la sua sorte mentale si era tramutata nella desolazione dell’attesa di risentire squillare il telefono, a una sua chiamata, nell’esasperazione di non poterlo chiamare a mia volta, della consapevolezza che il risparmio del costo di una telefonata, o della sua recezione, da un altro stato dell’India che il madhya Pradesh, contasse per lui più del risparmio della sofferenza in cui aveva trasformato la durata dei giorni, al punto che meditavo di recedere da tutto, da tutto, finchè, come l ho risentito farsi vivo, ogni malumore si è dissolto all’ istante nella compassione per il suo stato mentale, per la sua fragilità vulnerabile che tornava a cercare il mio soccorso.
Ajay ora è già nel villaggio natio, dove Kailash lo raggiungerà domani, di domenica, per seguitare l’ intonacatura delle pareti del dukan, in attesa che a giorni sopraggiunga anche Ashesh, per i rangoli, i disegni parietali di cui ornamenterà il negozio, una volta che gli sia stata praticata una seconda rasatura dei capelli, dopo quella per la morte della nonna..
Meglio distoglierlo dall’afflizione in cui è ricaduto nel suo ambiente famigliare, da un villaggio, quello di Srinagar, in cui i suoi coetanei si ritrovano presso le pompe d’acqua per consumare marijuana con pipe di creta.
Quanto alle nostre attività in corso d’interruzione costante, che Kailash provveda almeno a finire i lavori di intonacatura e di tinteggiatura delle pareti, che provveda alla vendita del grano, per poter disporre già al mio arrivo delle migliaia di rupie che potrebbe spendere per le forniture del negozio, e depositi il ricavato in banca, insieme al mio acconto che è già accreditato, potrebbe così disporre di un bancomat per pagare gli acquisti delle merci che occorrono in negozio senza impiegare e rischiare di perdere contante.
Comunque sia, comunque si decida, devo accettare il mio amico in ciò che è capace e in grado di fare, in ciò che ritiene o teme di fare, quali che siano le inavvedutezze, gli stati di soggezione o le paure che dettano le sue scelte, devo aprirmi con i sensi del cuore a tutto ciò che ha da darmi, per contraccambiarmi, scongiurando che si tramuti in una tortura per entrambi, quando sarò in India, il mio rifiuto del suo modo di essere e di fare, in ragione del principio che così non si attiene a ciò che reputo il suo bene, non farei che alimentare la mia autocondanna, in odio a me stesso, che l’aiuto fallimentare del mio attaccamento sia la sua distruzione umana.

 
 
28 giugno 2011
Ma non c'era lui
La pioggia ha concesso una tregua poc'anzi, quando in Khajuraho si era già fatta sera. Kailash era presso il talab ed i tempietti che vi sorgono accanto, e a lui dintorno c'era un vocio di bambini intenti a giocare. Ad essi si mescolava Chandu, vivace e intraprendente quanto non lo era stato il nostro stesso Sumit.
“ E’ pazzo, ti sarà difficile giocare con lui. Vuole che gli porti tutto o si porta via tutto ciò che gli interessa, Nel tempio tocca di tutto, vuole toccare tutte le statue, e con tutte e due le mani”
"E' quieta la tua mente, Kailash?"
“ E' quieta, è quieta. Ma telefonami più tardi, o ti telefonerò io a mezzanotte, se sarò ancora sveglio”.
Era come se fosse una stessa lama che ci trapassava, vedere e sentire giocare i bambini felici e non ritrovarvi Sumit. e stessimo consumando una sua seconda morte, la scomparsa di tutto quanto lui fosse a differenza di Chandu, nell'infinita delicatezza della sua gioia incessante.
Ajay stava a giocare a cricket più distante, anche Poorti era parte dei giochi.
Domani Kailash farà ritorno al villaggio, per un sopraluogo sui campi.
quanto al negozio, intanto, c'è ben poco che si possa fare di quanto resta da ultimare.
Dopo che la siccità ha reso estenuante edificare le pareti che non si cementavano, e che per la scarsità d'acqua Kailash si è dovuto prodigare giorno dopo giorno, con il ricorso a dei secchi, dalla pompa più vicina alla costruzione in corso per irrorarne i muri e il terrazzo, da una settimana le piogge monsoniche che sono sopraggiunte in anticipo di un mese, mentre più non occorrevano per la cementificazione impediscono invece che possa essiccarsi la sabbia di fiume a disposizione, che nella sua impurità il mio amico deve filtrare per impastarla nell'intonaco, e i lavori restano di nuovo sospesi. Per non si sa quanto.
Le previsioni del tempo che gli leggevo l'altra notte dall'Hindustan Time, on line, annunciavano pioggia fin oltre il mio arrivo.
Davvero urta contro ogni speranza la luce dei nostri sforzi, il dare di testa contro l' avversità beffarda di una realtà in cui la testa eppure dobbiamo addentrarla sempre di più, prontamente risanandola ad ogni urto, con tenace pazienza, perché non la spezzi il dolore che ci lancina appena ce ne distacchiamo.
Tutto va ripreso, niente di ogni sforzo che è stato intrapreso deve andare perduto, quando per la mente altrimenti non è più niente tutto quanto rimane.
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