sabato 24 dicembre 2016

Ed ora, amico mio ( versione ultimamente riveduta e corretta )

Ed ora, amico mio
( versione ultimamente riveduta e corretta )
Ed ora, amico mio,
Che qui invecchio solitario e nel freddo
Tra cumuli intorno di parole nei libri
Senza che a farmi compagnia sia più la certezza
Di ricongiungerci ancora,
Di nuovo insieme dove come cala la sera su ricordi ed attese
Il gelo del tuo attaccamento ingeneri
La tua gelosa follia
Il residuo calore che avventura ancora i miei anni,
Oltre l’attendere qui solo la la morte nel passare dei giorni,
Ora in me è l’amore che di te crepita, mio caro,
Per quanto so che sei perduto se non ti sostengo,
Per quanto tu in me confidi benché di me
Tutto tu sappia,
Mentre senza di te qui il mio dolore è tale e tanto
Che la gabbia di stenti è il suo imprigionarsi,
Che disperando di ritrovarci
La mia veglia cerca solo l’addormentarsi e il morire
Nel sogno di te.
Novembre-Dicembre 2016

Il dono tanto agognato

Il dono tanto agognato

Come tra Voi l'amico Simone Lanzi mi ha augurato, posso sperare che il dono tanto agognato sia arrivato. Presso il Consolato indiano mi si è assicurato che trascorsi due mesi da che il visto di impiego mi è stato negato, dal 5 gennaio mi sarà possibile inoltrare la richiesta di quello turistico, e a fine gennaio, o nelle prime settimane di febbraio, potrò prendere il volo per l India e riunirmi con le persone che vi amo. Il caos ancora in corso della demonetizzazione che mi renderebbe quantomai difficoltoso assicurarmi ed assicurare il contante in rupie non mi fa certo scalpitare di impazienza perché tutto si risolva al più presto, e Kailash mi attende con animo rasserenato e tranquillo, anche in virtù della forza d'animo con cui ho saputo fronteggiare il mio sconforto angosciato senza trasmetterglielo quando gli telefonavo. Che il Natale che torno a rivivere con mia madre e tra i miei in Italia possa sedare la mia apprensione persistente, senza che debba urtare nella loro incomprensione , o indiscrezione, di quanto mi costa ciò che qui a tremare al freddo non è più solo una scelta di vita. " Giacchè Ti fece amor/ povero ancora"

In quella santa Notte dell Oriente ( riscrittura)

Una volta, di Natale
Ripropongo questo stralcio delle memorie che ho raccolto di mia madre
" A onzar al sproc",

"La stalla era una manna durante l'inverno, c'era caldo, si stava bene, ma quando andavi fuori bisognava che tu ti intortigliassi tutta, perchè c'era un freddo, ma un freddo, che quando cominciano a dire adesso di un freddo polare, ma dov'è questo freddo polare? MI ricordo allora dei freddi che non s'apriva la porta della stalla,,per la condensa, che dentro c'era caldo, e fuori dei candelotti di ghiaccio che duravano mesi attaccati ai coppi. Con delle sere, delle serenate di stelle, dei freddi asciutti che si stava da Dio, anche se era veramente freddo!
Al caldo dei filò nelle stalle, c'era gente ch'era brava a contare le favole, non avevano mai finito, ci mettevano i gesti, ci mettevano tutto il loro modo di fare, e noi altri avevamo gli occhi fuori della testa...A volte venivano anche in due a contare le storie, venivano anche quelli che cantavano, con la fisarmonica, ma quelli che cantavano si facevano vedere anche d'estate, erano i canzonettisti che andavano anche per i mercati, ora ci sono dischi, ma allora essi avevano i librettini delle loro canzonette.
Poi sempre d'inverno, dieci, dodici giorni prima di Natale, arrivava in gruppo della gente di piazza,veniva con un legno fatto a punta, e diceva di volerlo fare ungere: " Andem a onsar al sproc". Questo significava che dovevi ungergli quel legno con qualcosa, che tu dessi a loro del maiale, delle salamelle, un pezzo di grasso, di pancetta, che loro infilavano su quel legno che restava unto, e mettevano poi in una loro sporta. Intanto che arrivavano e che aspettavano che tu venissi fuori, sentivi che ti cantavano la loro cantafola, vediamo se ora me la ricordo, ah, si. " In quella Santa Notte dell Oriente/ che tutti i masa al porco e mi n'g'ho gnente/ La luna la luseva e'l can baiava/ per testimone a gh'era un can de paia".
Era tutta gente di piazza, tutta povera gente, dei cameranti, che non poteva ammazzare il maiale, ma quella sera , chi dava loro un cotechino, chi una coteca, e così arrivavano a casa con la cesta piena di roba di maiale, la coteca più buona la si teneva allora da parte, perchè con questa si facevano fagioli e coteche, e la si cuoceva nel brodo, per questo quella gente accettava anche delle coteche, e le infilavano sul legno, dello " sproc"
Questa era la filosofia dell " onzar al sproc", in " Quella santa Notte dell Oriente"

giovedì 15 dicembre 2016

Tutto su mia madre VII Il lavarsi e il lavare di una volta nelle case di campagna

Tutto su mia madre VII
Il lavarsi e il lavare di una volta nelle case di campagna
"Una volta le case di campagna non erano come quelle di adesso, che hanno le piastrelle e i rivestimenti. Le case di campagna erano grezze, c’erano le pietre normali, e ci portavi dentro la smalta, un po’ di tutto. Normalmente davi un’acquata ai pavimenti prima di spazzarli, quando c’era solo la polvere, che così non si alzava, ma quando pioveva era un disastro, dovevi proprio raschiarci in casa.
Una volta alla settimana ungevi le sedie, pulivi i vetri, facevi tutti i mestieri di sopra. Li facevi solo una volta alla settimana perché dovevi andare in campagna, e da questo lavoro nei campi e nella stalla eri sempre occupata. Sempre una volta alla settimana lavavi i panni e venivano pulite le scarpe, senza stirare tutto come adesso, stiravi le camicie delle feste, quelle sì, così come si faceva pulizia ai vestiti delle feste, ma per i miei genitori e i miei zii erano uno, due, al più, uno per l’estate, uno per l'inverno.
Si lavava tutto a mano, con la cenere, era la cenere allora il detersivo, quella più bella che si ricavava dal focolare, la tiravi fuori, la setacciavi, la mettevi in un lattone, la lasciavi deporre nell’acqua che bolliva in una stagnata, poi ci mettevi dentro tutti i tuoi panni, prima di lavarli una seconda volta in una mastellina con acqua più tiepida e di buttarci sopra la liscivia, per poi risciacquarli per due volte. Gli abiti diventavano così belli puliti e profumati.
Era usato anche il cloro della candeggina come detersivo, per levare le macchie resistenti dei panni bianchi, ad esempio di una tovaglia macchiata di vino, di frutta, e il procedimento era sempre a mano,
O con la cenere o con la candeggina i panni si lavavano normalmente fuori , di lunedì, e se era freddo, o se pioveva, si lavavano in cantina o in una stanza a parte, non in cucina. Erano proprio vite dure, quelle.
Quando poi si dovevano fare le “bugade” era un macello, un massacro. Si facevano una, due volte all’anno, di decine e decine di lenzuola e federe, la donna si doveva allora alzare la mattina presto, alle quattro e mezza, le cinque, per più giorni di fila. Prima si faceva bollire l’acqua, poi nell’acqua si buttava la cenere, veniva poi preso un telo fitto come colatoio, che non lasciasse passare la cenere, e l’acqua filtrata con la cenere veniva versata sui panni che erano dentro una tinozza. La procedura era ripetuta almeno un'altra volta, e i panni venivano lasciati a bagno almeno una notte, prima di andare a sciacquare al fiume tutta quella biancheria, in due, o tre donne, con un carretto, un cavallo, le soioeule, le panche, le assi grosse. Durante le “ bugade” seguitavi a usare per giorni la cenere, in acqua e liscivia, e la cenere ti bruciava, al punto che finivi che avevi le mani scorticate. Per stenderla ad asciugare, poi tutta quella biancheria, ci volevano le soghe grandi e piccole, per distendee i panni da una pianta all’altra di interi filari. Un macello, un massacro. Poi sono venute le lavatrici. Lascia però che ti dica che i panni come li lavavamo una volta restavano più puliti. Le sciacquature che si facevano una volta non lasciavano quella polverina che resta nei letti e nei materassi, del risciacquo della lavatrice con i detersivi.
Quando poi avevi da lavare le stoviglie, come tiravi giù la pentola del brodo mettevi su una pentola dell’acqua, o usavi l’acqua calda della vasca della stufa., vuotavi la tua acqua nella bacinella, ci mettevi una brancata sempre di cenere o di farina gialla, vi lavavi le tue pentole, i tuoi tondi, e venivano pulitissimi. Era salute anche quella.
Per lavarsi non c’erano né shampoo, né dopo shampoo, né balsamo, ti lavavi con acqua e cenere e basta. Macchè sapone, acqua e aceto per il risciacquo dei capelli. E venivano lucidi e lisci come seta.
Il bagno lo si faceva d’inverno alla fine della settimana nella stalla, ah, le vacche con il loro bel fiato caldo, c’era un tiepido, un tiepido…vi portavi una soieuola piena d’acqua, i tuoi panni puliti a cavallo di una panca, poi puzzavano di stalla, ma te li mettevi che erano belli puliti
Facevi il tuo bagno nella tua soioeula, con la tua acqua, ti mettevi addosso i tuoi panni, ti intortigliavi bene, e via di gran corsa verso casa, dove d’inverno ti mettevi nel tuo letto scaldato con il prete e con le braci."

martedì 13 dicembre 2016

Ed ora, amico mio, riscrittura

Ed ora, amico mio,
Che qui invecchio solitario e nel freddo
Tra  (i) cumuli intorno di parole nei libri
Senza che a farmi compagnia sia più la certezza
Di ricongiungerci  ancora
Di nuovo insieme dove come  cala  la sera su giochi ed attese
Il gelo del tuo attaccamento incubi/ingeneri
 La tua  gelosa follia

Il residuo calore che avventura ancora  i miei anni
Oltre l’attendere qui solo la  la morte nel passare dei giorni 
Ora in me è  l’amore che in me  di te crepita, mio caro,
Per quanto so che sei perduto se non ti sostengo,
Per quanto tu in me confidi benché di me
Tutto tu sappia.

Mentre senza di te qui il mio dolore è tale e tanto
Che la gabbia di stenti  è il suo imprigionarsi,
Che disperando di ritrovarci 
La mia veglia cerca solo l’addormentarsi e il morire  
Nel sogno di te.


domenica 11 dicembre 2016

“Se penso a quanto tempo resterai lontano,”

“Se penso a quanto tempo resterai lontano,”
“Mamma, l’ho snebbiata, è da vedere se e quando potrò mai partire..
Per ora non lo posso più”
Nel primo pomeriggio Kailash, Poorti e Chandu mi erano finalmente riapparsi in videoconferenza, per la mia esultanza gioiosa di ritrovarmi davanti il mio piccolino amatissimo, che smorfie e boccacce rendevano ancora più incantevole.
Poorti, più che mai bella, e quanto mai affettuosa, avrebbe voluto che mi aggirassi ad illustrarle tutta quanta la mia casa, il che mi era precluso dal cavo della connessione in rete.
Kailash era smagrito e alacre di una irrequieta allegria, che gli impediva di sostare su qualsiasi discorso, fossero il timore che Chandu ha della propria insegnante, che gli impedisce a di accostarsi a lei come gli altri scolari, fosse la demonetazione che angustia tuttora l India dalle cordigliere himalayane fino a Kanya Kumari, per cui ora si succedono arresti su arresti di accaparratori delle nuove banconote, di speculatorii al cambio tra “black money” e “white money”, e bilioni di rupie finiscono al rogo o nelle acque gangetiche o di altri corsi fluviali e canali e rivoli dell’India, perché le mazzette in valuta fuori corso dei proventi della corruzione non siano tassate del 200%, al loro deposito ingiustificato.
Era un amico ben diverso da quello sconsolato dalla nullità dei guadagni del nuovo negozio, che dei clienti di cui restava in vana attesa mi diceva, oramai tempo fa, che invero “ sono come la morte. Non sai mai quando arrivano”
L’altro ieri aveva dovuto cimentarsi con la crudeltà di rito dei pochi turisti che si soffermano a scrutare il suo negozietto, solo per demolirne i pregi con la osservazione consueta che è povero di lavori artigianali esposti “ You have less material than the other dealers ”, tornando a ripetergli immancabilmente
“ I have (a) small shop, la replica di Kailash, but what I have inside nobody have”-
( “Ho un piccolo negozio, ma quello che ci ho, non l’ha nessun altro").
Ed ora nel pieno della notte mi allerto al tonfo del cuore, domani, al più dopodomani, se il Console non vorrà degnarsi nemmeno di darmi risposta, per il colloquio chiarificatore che gli ho chiesto, già una settimana fa, al fine di ottenere quel tourist visa che potrebbe risistemare ogni cosa.
(Mentre ancora a quest’ora l’oltresenso di tutto quello che faccio muovendomi per la casa e risistemandovi ogni oggetto, resta il riordino di ogni cosa perché tutto sia pronto per una nuova partenza, e non v’è passo che vi compia o attività che qui intraprenda, che non sia l’aggirarmi e il darmi da fare in quella terra d’esilio che mi è divenuta la mia terra di nascita)
“Se penso a quanto tempo resterai lontano,”
“Mamma, l’ho snebbiata, è da vedere se e quando potrò mai partire..
Per ora non lo posso più”
Nel primo pomeriggio Kailash, Poorti e Chandu mi erano finalmente riapparsi in videoconferenza, per la mia esultanza gioiosa di ritrovarmi davanti il mio piccolino amatissimo, che smorfie e boccacce rendevano ancora più incantevole.
Poorti, più che mai bella, e quanto mai affettuosa, avrebbe voluto che mi aggirassi ad illustrarle tutta quanta la mia casa, il che mi era precluso dal cavo della connessione in rete.
Kailash era smagrito e alacre di una irrequieta allegria, che gli impediva di sostare su qu


alsiasi discorso, fossero il timore che Chandu ha della propria insegnante, che gli impedisce a di accostarsi a lei come gli altri scolari, fosse la demonetazione che angustia tuttora l India dalle cordigliere himalayane fino a Kanya Kumari, per cui ora si succedono arresti su arresti di accaparratori delle nuove banconote, di speculatorii al cambio tra “black money” e “white money”, e bilioni di rupie finiscono al rogo o nelle acque gangetiche o di altri corsi e rivoli dell’India, perché le mazzette in valuta fuori corso dei proventi della corruzione non siano tassati del 200%. Al loro deposito ingiustificato.
Era un amico ben diverso da quello sconsolato dalla nullità dei guadagni del nuovo negozio, che dei clienti di cui restava in vana attesa mi diceva oramai tempo fa che “ sono come la morte. Non sai mai quando arrivano”
L’altro ieri aveva dovuto cimentarsi con la crudeltà di rito dei pochi turisti che si soffermano a scrutare il suo negozietto, solo per demolirne i pregi con la osservazione consueta che è povero di lavori artigianali esposti “ You have less material than the other dealers ”, tornando a ripetergli immancabilmente
“ I have a small shop, la replica di Kailash, but what I have nobody have”-
( “Ho un piccolo negozio, ma quello che ci ho, non l’ha nessun altro").
Ed ora nel pieno della notte mi allerto al tonfo del cuore, domani, al più dopodomani, se il Console non vorrà degnarsi nemmeno di darmi risposta, per il colloquio chiarificatore che gli ho chiesto, già una settimana fa, al fine di ottenere quel tourist visa che potrebbe risistemare ogni cosa.

(Mentre ancora a quest’ora l’oltresenso di tutto quello che faccio muovendomi per la casa e risistemandovi ogni oggetto, resta il riordino di ogni cosa perché tutto sia pronto per una nuova partenza, e non v’è passo che vi compia o attività che qui intraprenda, che non sia l’aggirarmi e il darmi da fare in quella terra d’esilio che mi è divenuta la mia terra di nascita)

venerdì 9 dicembre 2016

Quel poco, nella mia casa morta,

Quel poco, nella mia casa morta,
che smuovo od uso a stento, ad ogni ora che passa,
vi ristà perché al presente, come fosse ancor vero,
tutto sia pronto per una partenza che a loro ritorni,

lasciando le valigie non ancora disfatte
con ancora dentro che riportarvi,
niente ancora da farsi 
cui allora mi tocchi mettere mano,
quando, come non sarà mai più,
mi sfinisca nel poter chiudere alle spalle infine ogni porta
per andarli a raggiungere da questa solitudine immensa,

mentre non lasciando così indietro niente che di sudicio avanzi
quel che appronti, lo sai,
che è un addio che non sarà per quei cieli.

Tra le nebbie in cui esala il mio fiato


Tra le nebbie in cui esala il mio fiato
Anche dal pentolino che qui ebolle
Vedo levarsi quel fil di fumo,
Ed io sempre più mi sento
Una Cio- Cio- San votata al suo harakiri
Si nega il console all’appello,
Si nega al telefono anche il mio piccolo Iddio,
Incolleritosi nella ricerca in lacrime
Di un perduto bottone,
E l’amico che intenta ? di che gli è possibile
Perch'io possa almeno rivederli in videochiamata,
Di che può sedarmi (Sedandomi ) uno strazio, irriso,
Che non trova più appigli

Alla chiamata del vuoto.

versioni antecedenti

Tra le nebbie  in cui esala il mio fiato
Anche dal pentolino che qui ebolle
Vedo levarsi quel fil di fumo,
Ed io sempre più mi sento
Una Cio- Cio- San votata al suo harakiri
Si nega il console all’appello
Si nega al telefono anche  il mio piccolo Iddio,
Incolleritosi nella ricerca in lacrime 
Di un  perduto bottone,
E l’amico intenta ben poco di che gli è possibile
Perch'io possa almeno  rivederli in videochiamata,
Sedandomi  uno strazio,  irriso,
Che non trova più appigli
Alla chiamata del vuoto.




Tra le nebbie  in cui esala il mio fiato
In cucina Sulle piastre, in cucina,
Anche dal pentolino che ebolle
vedo levarsi quel fil di fumo,
Ed io sempre più mi sento
Una Cio- Cio- San votata al suo harakiri
Si nega il console all’appello
Si nega al telefono anche  il mio piccoli Iddio,
Incolleritosi nella ricerca
di un del perduto bottone
Un Chandu incollerito che non vuole rispondermi
nella ricerca del perduto bottone del capo che il padre
gli ha appena comprato con l invio dei miei soldi
E l’amico fa niente o intenta ben poco di quant è a lui che gli è possibile
Perch io possa almeno  rivederli in videochiamata,
Placandomi sedandomi  uno strazio cui le acque in piena, , irriso,
che non trova più appigli
che all’altezza del piano,  l’appiglio di una corda,
la soda caustica fumante
sono la sola speranza che rechi un termine

alla chiamata del vuoto.

domenica 4 dicembre 2016

Dio mio, Padre mio,

Dio mio, Padre mio
( seconda riscrittura)
Dio mio, Padre mio,
delle mie contrite ossa in così tanto freddo, 
tutta la mia anima si gioca in questa mia lettera,
la mia vita in ogni suo rigo che ha appena inteso l'amico,
sta tutta la Tua sola parola che non mi sia lettera morta
nell'attenzione dell'amore che ne detta
una revisione ulteriore,
nell'evocarti onde evitare , “Veni creator spiritus”,
l'errore minimo che sia fatale al nostro ricongiungimento.
Sia esso una visita, non un risiedere,
un soccorso, non un sostegno continuo,
siano al più gente indiana cui sei dedito (che ti è cara ( cara al tuo cuore))
coloro per cui ti fai povero ad ogni evenienza.
tu non sei il Babbà del tuo Chandu
la cui assenza strazia ogni tuo istante al solo ricordo,
in tanto dolore, di una separazione irrisolta,
che nel sale di una vita che ti prova e ti tempra
ti riesumi che restano il Suo incantevole dono di luce e di grazia,
e ti ridistilli ogni meraviglia dell'India
nell' indurirsi a diaspro del tuo amore,
l'incanto, che quando là v'eri,
il suo tremendo ti soffocava in un nodo a cui appenderti in stanza,
finché non chiuda la richiesta
ciò che non può non erompere da ogni vincolo posto
“Sir, instead of the employment visa now I ask another kind of visa in the last resort
because in India there is my life, the treasure of my mind and of my hearth”.Dio mio, Padre mio
( seconda riscrittura)
Dio mio, Padre mio,
delle mie contrite ossa in così tanto freddo, 
tutta la mia anima si gioca in questa mia lettera,
la mia vita in ogni suo rigo che ha appena inteso l'amico,
sta tutta la Tua sola parola che non mi sia lettera morta
nell'attenzione dell'amore che ne detta
una revisione ulteriore,
nell'evocarti onde evitare , “Veni creator spiritus”,
l'errore minimo che sia fatale al nostro ricongiungimento.
Sia esso una visita, non un risiedere,
un soccorso, non un sostegno continuo,
siano al più gente indiana che ti è cara ( cara al tuo cuore)
coloro per cui ti fai povero ad ogni evenienza.
tu non sei il Babbà del tuo Chandu
la cui assenza strazia ogni tuo istante al solo ricordo,
in tanto dolore, di una separazione irrisolta,
che nel sale di una vita che ti prova e ti tempra
ti riesumi che non sono di tua proprietà, per quanto li ami,
loro che restano il Suo incantevole dono di luce e di grazia,
e ti ridistilli ogni meraviglia dell'India
nell' indurirsi a diaspro del tuo amore,
l'incanto, che quando là v'eri,
il suo tremendo ti soffocava in un nodo a cui appenderti in stanza,
finché non chiuda la richiesta
ciò che non può non erompere da ogni vincolo posto
“Sir, instead of the employment visa now I ask another kind of visa in the last resort
because in India there is my life, the treasure of my mind and of my hearth”.

Dio mio, Padre mio, 
delle mie contrite ossa in così tanto freddo, 
tutta la mia anima si gioca in questa mia lettera,
la mia vita in ogni suo rigo che ha appena inteso l'amico, 
è a tua sola parola che non mi sia lettera morta
nell'attenzione dell'amore che ne detta
una revisione ulteriore,
nell'evocarti onde evitare , “Veni creator spiritus”,
l'errore minimo che sia fatale al nostro ricongiungimento.
Sia esso una visita, non un risiedere,
un soccorso, non un sostegno continuo,
siano al più gente che ti è cara
coloro per cui ti fai così povero e afflitto ad ogni evenienza.
tu non sei il Babbà del tuo amatissimo Chandu,
la cui assenza strazia ogni tuo istante al solo ricordo,
in tanto dolore, di una separazione irrisolta,
che nel sale di una vita che ti prova e ti tempra
ti riesumi che sono essi
a te il Suo dono di luce e di grazia,
(e) nell indurirsi a diaspro del tuo amore
ti ridistilli ogni meraviglia dell India ,
l'incanto, che quando là v'eri,
il suo tremendo, senza più scampo,
ti soffocava in un nodo a cui appenderti in stanza,
finchè non chiuda la richiesta
ciò che non può non erompere da ogni vincolo posto
“Sir, instead of the employment visa now I ask another kind of visa in the last resort
because in India there is my life, the treasure of my mind and of my hearth”








Dio mio, Padre mio, 
delle mie contrite ossa in così tanto freddo, 
tutta la mia anima si gioca in questa mia lettera,
la mia vita in ogni suo rigo che ha appena inteso l'amico 
è nell'attenzione dell'amore che ne detta 
una revisione ulteriore
la tua sola parola che non mi sia lettera morta,
nell'evocarti onde evitare , “Veni creator spiritus”,
l'errore minimo che sia fatale al nostro ricongiungimento.
Sia esso una visita, non un risiedere,
un soccorso, non un sostegno continuo,
siano al più gente a te cara.
coloro per cui ti fai così povero e afflitto ad ogni evenienza.
tu non sei il Babbà del tuo amatissimo Chandu,
la cui assenza strazia ogni tuo istante al solo ricordo,
in tanto dolore, di una separazione irrisolta,
che nel sale di una vita che ti prova e ti tempra
ti riesumi che sono essi
a te un Suo dono,
ti ridistilli ogni meraviglia dell India ,
l'incanto, che quando là v'eri,
il suo tremendo, senza più scampo,
ti soffocava in un nodo a cui appenderti in stanza,
finchè non chiuda la richiesta
ciò che non può non erompere da ogni vincolo posto
“Sir, instead of the employment visa now I ask another kind of visa in the last resort
because in India there is my life, the treasure of my mind and of my hearth”.

martedì 29 novembre 2016

TUTTO SU MIA MADRE VI I lavoratori stagionali e i mendicanti nelle corti agricole PRIMA STESURA”







TUTTO SU MIA MADRE VI
I lavoratori stagionali e i mendicanti nelle corti agricole
RISCRITTURA DELLA PRIMA STESURA
“Quali erano i lavoratori stagionali nelle corti, oltre i “ masìn che a novembre venivano per ammazzare il maiale, e dei quali mi hai già detto?”
“Oltre i “ masìn” prima dell inverno giravano per le case gli scarpolini (, i calzolai). Tiravi allora fuori tutte le scarpe, gli zoccoli, i “supei”, li mettevi in una cesta e loro li mettevano a posto. Poi durante l’inverno venivano giù dalle montagne gli scragnari, i “ scagner”, passavano per le corti e se avevi bisogno ti facevano le sedie, le coprivano, o ti facevano le sessole, tutta la roba in legno che volevi e che erano capaci di farti. Andavano nelle stalle a dormire, bastava gli dessi un posto con la botola, e stavano là anche due, tre giorni. Poveretti, si lavavano sotto il fienile, all’abbeveratoio, l'àalbi, ed erano pieni di pidocchi.
Mio fratello durante la giornata è andato una volta a giocare sulla paglia dove avevano dormito e si è riempito dei loro pidocchi
D'inverno nelle stalle dove si stava al caldo venivano i filotteri, i cantafole, delle persone tra le più anziane che cantavano storie e si accontentavano per questo di un bicchiere di vino , noialtri bambini tutti là attorno ad ascoltare, con tutta quanta la famiglia, con le donne che venivano con il loro cestino, si mettevano in gruppo e aggiustavano i panni che portavano, attaccavano le pezze o rifacevano l culi delle braghe, perchè di giorno non avevano il tempo di farlo, i cantafavole arrivavano alle sette e mezza, a otto ore, ci stimavamo quando ci dicevano allora ci siamo la tal altra sera, correvamo allora nella stalla a preparare le panche, e ci si rimaneva, anche le donne, ad ascoltare storie fino alle dieci, dieci e mezzo, mangiando pomi cotti, patate calde. Nelle case dove c'era la vecchia, la madre, -è un usanza che io non ho mai provata perchè in casa mia c'erano solo mia madre e mia zia-, le spose giovani erano obbligate a stare nella stalla fin che la vecchia non si levava su lei, e solo quando si levava su la vecchia si levavano su anche loro.
La stalla era una manna durante l inverno, c'era caldo, si stava bene, ma quando andavi fuori bisognava che tu ti intortigliassi tutta, perchè c'era un freddo, ma un freddo, che quando cominciano a dire adesso di un freddo polare, ma dov'è questo freddo polare? MI ricordo allora dei freddi che non s'apriva la porta della stalla,, per la condensa, che dentro c'era caldo,e fuori dei candelotti di ghiaccio che duravano mesi attaccati ai coppi. Con delle sere, delle serenate di stelle, dei freddi asciutti che si stava da Dio, ma anche se era veramente freddo!
Al caldo dei filò nelle stalle, c'era gente ch'era brava a contare le favole, non avevano mai finito, ci mettevano i gesti, ci mettevano tutto il loro modo di fare, e noi altri avevamo gli occhi fuori della testa .,, A volte venivano anche in due a contare le storie, anche quelli che cantavano, con la fisarmonica, ma quelli che cantavano venivano anche d'estate, erano i canzonettisti che andavano anche per i mercati, ora ci sono dischi, ma allora essi avevano i librettini delle loro canzonette.
Poi sempre d'inverno, dieci ,dodici giorni prima di Natale, arrivava in gruppo della gente di piazza,veniva con un legno fatto a punta, e diceva di volerlo fare ungere: " Andem a onsar al sproc". Questo voleva dire che dovevi ungergli quel legno con qualcosa che tu dessi a loro del maiale,( con) delle salamelle, un pezzo di grasso, di pancetta, che loro infilavano su quel legno che restava unto, e mettevano poi in una loro sporta. Intanto che arrivavano e che aspettavano che tu venissi fuori, sentivi che ti cantavano la loro cantafola, vediamo se ora me la ricordo, ah, si. " In quella Santa Notte dell Oriente/ che tutti i masa al porco e mi n'g'ho gnente/ La luna la luseva e'l can baiava/ per testimone a gh'era un can de paia".
Era tutta gente di piazza, tutta povera gente , che non poteva ammazzare il maiale, ma quella sera , chi dava loro un cotechino, chi una coteca, e arrivavano a casa con la cesta piena di roba di maiale, la coteca più buona la si teneva allora da parte, perchè con questa si facevano fagioli e coteche, e la si cuoceva nel brodo, per questo quella gente accettava anche delle coteche, e le infilavano sul legno, dello " sproc"
Questa era la filosofia dell " onzar al sproc", in " Quella santa Notte dell Oriente".
Invece durante tutto l'anno due volte alla settimana veniva il barbiere per uomini e donne, rimaneva lì e gli si offriva da bere, qualche volta da mangiare, tagliava barba e capelli e puliva anche le unghie dei piedi.
C’erano poi quelli che durante tutto l'anno venivano per l'elemosina, poveretti, non pensavamo di loro un tempo quello che si pensa adesso, non avevi (la) paura delle persone che venivano alla porta, sapevi che quelli che venivano avevano bisogno di un pezzo di pane, di quello che potevi dare. A queste persone non ho mai chiuso da bambina la porta in faccia, sapevo che aspettavano che dessi qualcosa, e quando offrivo loro qualcosa, quello che potevo, loro erano contenti, mamma mia.. A volte c’era chi cantava delle filastrocche, raccontava una storiella, e noi bambini ci divertivamo molto quando venivano queste persone.
C’era un signore che veniva da noi a lavorare e che cantava molto bene, io lo seguivo il mattino quando andava a sfogliare le piante e mentre era sull’albero cantava . A me è sempre piaciuto cantare, e capirai… E' per quello che mi divertiva così tanto.
C’ erano quelli che se gli davi qualcosa suonavano a bocca un organino, o ti davano anche un quadro che avevano dipinto. Io mi ricordo di quel pittore famoso, Ligabue, girava per le case e a chi gli dava un piatto di minestra lasciava giù un ghiribizzo, un quadrettino. La prima volta sento bussare alla porta, ho aperto e mi sono trovata davanti un signore gentile che si è presentato con il nome di Ligabue. Mi dispiace dirlo ma era talmente brutto , così messo male,che sono rimasta, come dire, allibita , molto impressionata. Ero una bambina, che cosa vuoi. Allora non mi sono resa conto di chi avevo davanti, di chi era questa persona, che cosa vuoi che potessi capire della sua genialità, è stato dopo che mi hanno detto chi era. Mi ha offerto qualcosa, ma non ricordo che cosa, forse una sua stampa, io gli ho offerto due, o tre uova, lui le ha accettate molto volentieri e mi ha fatto tanti ringraziamenti. Ma si vedeva che non era uno straccione, che era una persona intelligente perchè parlava in modo diverso dalle altre che venivano all'elemosina. Poi è tornato, veniva almeno una volta al mese, lungo il giro per le altri corti che faceva spesso perchè in campagna la gente ha sempre qualcosa da offrire, poi c'era la possibilità di restare a dormire o sotto il fienile o nelle stalla, in un posto sicuro, dove c'era sempre dell'erba, del fieno, della paglia, l'acqua dell'abbeveratoio, l'àalbi, ci si lavava al mattino e poi partiva per i suoi viaggi. Ero contenta quando lo rivedevo, perchè era una persona discreta che ci si poteva parlare, e si vedeva che parlava volentieri.Quanti che ce n’erano che giravano in bicicletta a quella maniera, ma avevi compassione di quella gente, gli davi un uovo, un po’ di minestra sull’ora del mezzogiorno, un pezzettino di formaggio, e loro si accontentavano di quanto gli davi da mangiare, non avevano altre pretese, ti ringraziavano e se ne andavano".

TUTTO SU MIA MADRE VI
I lavoratori stagionali e i mendicanti nelle corti agricole
RISCRITTURA DELLA PRIMA STESURA
“Quali erano i lavoratori stagionali nelle corti, oltre i “ masìn che a novembre venivano per ammazzare il maiale, e dei quali mi hai già detto?”
“Oltre i “ masìn” prima dell inverno giravano per le case gli scarpolini (, i calzolai). Tiravi allora fuori tutte le scarpe, gli zoccoli, i “supei”, li mettevi in una cesta e loro li mettevano a posto. Poi durante l’inverno venivano giù dalle montagne gli scragnari, i “ scagner”, passavano per le corti e se avevi bisogno ti facevano le sedie, le coprivano, o ti facevano le sessole, tutta la roba in legno che volevi e che erano capaci di farti. Andavano nelle stalle a dormire, bastava gli dessi un posto con la botola, e stavano là anche due, tre giorni. Poveretti, si lavavano sotto il fienile, all’abbeveratoio, l'àalbi, ed erano pieni di pidocchi.
Mio fratello durante la giornata è andato una volta a giocare sulla paglia dove avevano dormito e si è riempito dei loro pidocchi
D'inverno nelle stalle dove si stava al caldo venivano i filotteri, i cantafole, delle persone le più anziane che venivano nelle stalle, cantavano le favole e si accontentavano di un bicchiere di vino , noialtri bambini tutti là attorno ad ascoltare, con tutta quanta la famiglia, con le donne che venivano lì con il loro cestino, si mettevano in gruppo, aggiustavano i panni che portavano, rifacevano l culi delle braghe o mettevano le pezze, perchè di giorno non avevano tempo di farlo, i cantafavole venivano alle sette e mezza, a otto ore, ci stimavamo quando ci dicevano allora veniamo la tal altra sera, correvamo allora nella stalla a preparare le panche, e si stava nella stalla fino a dieci ore, dieci e mezzo, anche le donne, mangiando pomi cotti, patate calde. Nelle case dove c'era la vecchia, la madre, -è un usanza che io non ho mai provata perchè in casa mia c'erano solo mia madre e mia zia-, le spose giovani erano obbligate a stare nella stalla fin che la vecchia non si levava su lei, e solo quando si levava su la vecchia si levavano s su anche loro.
La stalla era una manna durante l inverno, c'era caldo, si stava bene, ma quando andavi fuori bisognava che tu ti intortigliassi tutta, perchè c'era un freddo, ma un freddo, che quando cominciano a dire adesso di un freddo polare, ma dov'è questo freddo polare? MI ricordo allora dei freddi che non s'apriva la porta della stalla, che dentro c'era caldo,e fuori dei candelotti di ghiaccio che duravano mesi attaccati ai coppi. Con delle sere, delle serenate di stelle, dei freddi asciutti che si stava da Dio, ma era veramente freddo!
Al caldo dei filò nelle stalle, c'era gente ch'era brava a contare le favole, non avevano mai finito, ci mettevano i gesti, ci mettevano tutto, e noi altri avevamo gli occhi fuori della testa ( e tutto),, A volte venivano anche in due a contare le storie, anche quelli che cantavano, con la fisarmonica, ma quelli che cantavano venivano anche d'estate, erano i canzonettisti che andavano anche per i mercati, ora ci sono dischi, ma allora essi avevano i librettini delle loro canzonette.
Poi sempre d'inverno, dieci ,dodici giorni prima di Natale, arrivava in gruppo della gente di piazza, aveva un legno con una punta, e diceva di volerlo venire a ungere: " Andem a onsar al sproc". Questo voleva dire che dovevi ungere quel legno con qualcosa che tu dessi a loro del maiale,( con) delle salamelle, un pezzo di grasso, di pancetta, che loro infilavano su quel legno che restava unto. Intanto che arrivavano e che aspettavano che tu venissi fuori, sentivi che ti cantavano la loro cantafola, vediamo se ora me la ricordo, ah, si. " In quella Santa Notte dell Oriente/ che tutti i masa al porco e mi n'g'ho gnente/ La luna la luseva e'l can baiava/ per testimone a gh'era un can de paia".
Era tutta gente di piazza, gente povera, erano tutti gente povera, che non lo poteva mica ammazzare il maiale, ma quella sera arrivavano a casa con la cesta piena di roba di maiale, chi dava loro un cotechino, chi una coteca..., la coteca più buona la si teneva allora da parte, perchè con questa si facevano fagioli e coteche, e la si cuoceva anche nel brodo, per questo quella gente accettava anche delle coteche, e le infilavano sul legno, dello " sproc"
Questa era la filosofia dell " onzar al sproc", in " Quella santa Notte dell Oriente".
Invece durante tutto l'anno due volte alla settimana veniva il barbiere per uomini e donne, rimaneva lì e gli si offriva da bere, qualche volta da mangiare, tagliava barba e capelli e puliva anche le unghie dei piedi.
C’erano poi quelli che durante tutto l'anno venivano per l'elemosina, poveretti, non pensavamo di loro un tempo quello che si pensa adesso, non avevi (la) paura delle persone che venivano alla porta, sapevi che quelli che venivano avevano bisogno di un pezzo di pane, di quello che potevi dare. A queste persone non ho mai chiuso da bambina la porta in faccia, sapevo che aspettavano che dessi qualcosa, e quando offrivo loro qualcosa, quello che potevo, loro erano contenti, mamma mia.. A volte c’era chi cantava delle filastrocche, raccontava una storiella, e noi bambini ci divertivamo molto quando venivano queste persone.
C’era un signore che veniva da noi a lavorare e che cantava molto bene, io lo seguivo il mattino quando andava a sfogliare le piante e mentre era sull’albero cantava . A me è sempre piaciuto cantare, e capirai… E' per quello che mi divertiva così tanto.
C’ erano quelli che se gli davi qualcosa suonavano a bocca un organino, o ti davano anche un quadro che avevano dipinto. Io mi ricordo di quel pittore famoso, Ligabue, girava per le case e a chi gli dava un piatto di minestra lasciava giù un ghiribizzo, un quadrettino. La prima volta sento bussare alla porta, ho aperto e mi sono trovata davanti un signore gentile che si è presentato con il nome di Ligabue. Mi dispiace dirlo ma era talmente brutto , così messo male,che sono rimasta, come dire, allibita , molto impressionata. Ero una bambina, che cosa vuoi. Allora non mi sono resa conto di chi avevo davanti, di chi era questa persona, che cosa vuoi che potessi capire della sua genialità, è stato dopo che mi hanno detto chi era. Mi ha offerto qualcosa, ma non ricordo che cosa, forse una sua stampa, io gli ho offerto due, o tre uova, lui le ha accettate molto volentieri e mi ha fatto tanti ringraziamenti. Ma si vedeva che non era uno straccione, che era una persona intelligente perchè parlava in modo diverso dalle altre che venivano all'elemosina. Poi è tornato, veniva almeno una volta al mese, lungo il giro per le altri corti che faceva spesso perchè in campagna la gente ha sempre qualcosa da offrire, poi c'era la possibilità di restare a dormire o sotto il fienile o nelle stalla, in un posto sicuro, dove c'era sempre dell'erba, del fieno, della paglia, l'acqua dell'abbeveratoio, l'àalbi, ci si lavava al mattino e poi partiva per i suoi viaggi. Ero contenta quando lo rivedevo, perchè era una persona discreta che ci si poteva parlare, e si vedeva che parlava volentieri.Quanti che ce n’erano che giravano in bicicletta a quella maniera, ma avevi compassione di quella gente, gli davi un uovo, un po’ di minestra sull’ora del mezzogiorno, un pezzettino di formaggio, e loro si accontentavano di quanto gli davi da mangiare, non avevano altre pretese, ti ringraziavano e se ne andavano









TUTTO SU MIA MADRE VI
I lavoratori stagionali e i mendicanti nelle corti agricole
PRIMA STESURA
“Quali erano i lavoratori stagionali nelle corti, oltre i “ masìn che a novembre venivano per ammazzare il maiale, e dei quali mi hai già detto?”
“Oltre i “ masìin” prima dell inverno giravano per le case gli scarpolini, i calzolai. Tiravi allora fuori tutte le scarpe, gli zoccoli, i “supei”, li mettevi in una cesta e loro li mettevano a posto. Poi durante l’inverno venivano giù dalle montagne gli scragnari, i “ scagner”, passavano per le corti e se avevi bisogno ti facevano le sedie, le coprivano, o ti facevano le sessole, tutta la roba in legno che volevi e che erano capaci di farti. Andavano nelle stalle a dormire, bastava gli dessi un posto con la botola, e stavano là anche due, tre giorni. Poveretti, si lavavano sotto il fienile, all’abbeveratoio, ed erano pieni di pidocchi.
Mio fratello durante la giornata è andato una volta a giocare sulla paglia dove avevano dormito e si è riempito dei loro pidocchi…..
Due volte alla settimana veniva il barbiere per uomini e donne, rimaneva lì e gli si offriva da bere, qualche volta da mangiare, tagliava barba e capelli e puliva anche le unghie dei piedi.
C’erano poi quelli che venivano per l'elemosina, poveretti, non pensavamo di loro un tempo quello che si pensa adesso, non avevi (la) paura delle persone che venivano alla porta, sapevi che quelli che venivano avevano bisogno di un pezzo di pane, di quello che potevi dare. A queste persone non ho mai chiuso da bambina la porta in faccia, sapevo che aspettavano che dessi qualcosa, e quando offrivo loro qualcosa, quello che potevo, loro erano contenti, mamma mia.. A volte c’era chi cantava delle filastrocche, raccontava una storiella, e noi bambini ci divertivamo molto quando venivano queste persone.
C’era un signore che veniva da noi a lavorare e che cantava molto bene, io lo seguivo il mattino quando andava a sfogliare le piante e mentre era sull’albero cantava . A me è sempre piaciuto cantare, e capirai… E' per quello che mi divertiva così tanto.
C’ erano quelli che se gli davi qualcosa suonavano a bocca un organino, o ti davano  anche un quadro che facevano. Io mi ricordo di quel pittore famoso, Ligabue, girava per le case e a chi gli dava un piatto di minestra lasciava giù un ghiribizzo, un quadrettino. Sento bussare alla porta, ho aperto e mi sono trovata davanti un signore gentile che si è presentato con il nome di Ligabue. Mi dispiace dirlo ma era talmente brutto , così messo male, che sono rimasta, come dire, allibita , molto impressionata. Ero una bambina, che cosa vuoi. Allora non mi sono resa conto chi avevo davanti, chi era questa persona, che cosa vuoi che potessi capire della sua genialità, è stato dopo che mi hanno detto chi era. Mi ha offerto qualcosa, ma non ricordo che cosa, forse una sua stampa, io gli ho offerto due, o tre uova, lui le ha accettate molto volentieri e mi ha fatto tanti ringraziamenti. Quanti che ce n’erano che giravano in bicicletta a quella maniera, ma avevi compassione di quella gente, gli davi un uovo, un po’ di minestra sull’ora del mezzogiorno, un pezzettino di formaggio, e loro si accontentavano di quanto gli davi da mangiare, non avevano altre pretese, ti ringraziavano e se ne andavano"

domenica 27 novembre 2016

Alla signora Cinzia P.

Gentile Signora Cinzia,
sono Odorico,
 e  le scrivo ora dall Italia,  dove dall’ India sono rientrato oltre due mesi or sono dall India.
Spero di ritrovarla in una situazione che la veda felice nei suoi affetti e che sia di  luminosa  ricerca. Da che ci siamo scritti,  per quanto mi concerne,  ho impiegato il mio tempo in Khajuraho che non fosse afflitto dall’insorgenza della mia depressione, nel seguito delle mie ricerche sui suoi grandi templi occidentali. I miei sforzi per  far aprire in affitto un negozietto di articoli  artigianali al mio amico Kailash, che gli assicurasse se non qualche ricavo almeno un po’ di conforto mentale, intanto mi hanno  lasciato il tempo solo per due brevi viaggi in  Delhi, dove  ho sperimentato alcuni nuovi itinerari con epicentro nelle stazioni della metropolitana di Ina market e di Green Park , che raccordassero la visita  di antichi gumbad e masjid all’avanscoperta  di  edifici  rilevanti dell’architettura indiana moderna e contemporanea. In essi  ho cercato di assimilarmi il più possibile ad un navigatore satellitare, perché l espressione di trasalimenti o patemi o  ubbie o paturnie non togliesse peso alla valenza oggettiva di considerazioni e rilievi.
A giugno, se si eccettuano i templi maggiori di Khajuraho, di  Ajaygarh e di Kalinjar, e pochi altri, avevo comunque completato la mia ricerca su tutti i templi hindu  , Gupta,  Pratihara, Kalachuri, Chandella, Kachchhapagata che sono rinvenibili nel Madhya Pradesh, il cui corpus può rinvenire in rete, facendosi almeno un’idea dell estensione da esso raggiunto, al seguente indirizzo www.odoricoamico.it/india sconosciuta/index ove è situato insieme a quant’altro ho scritto sul patrimonio artistico dell india.

Al mio rientro  durante il periodo settembrino mi sono letto i grandi libri di Khuswant Singh che lei mi aveva giustamente caldeggiato, Delhi e Un treno per il Pakistan, quest’ultimo pressoché perfetto Ho poi rielaborato alcuni dei miei scritti di viaggio attenendomi a quanto lei mi aveva giustamente consigliato di fare, estrapolandone  le esorbitanze soggettive del mio spirito itinerante, che in vari casi ho debitamente rimosso,  e facendole rientrare in testi distinti rispetto a quelli in cui ho incluso le descrizioni  più tecnificate e dettagliate di templi hindu o di altri  monumenti.
Sono intervenuto in  particolare sui testi su Udayagiri, Gyaraspur, e sul circuito buddista che s’incentra in  Sanchi, Sonari, Satdhara, perché interessavano  un viaggiatore italiano che si è rivolto al Bapuculturaltours del mio amico Kailash.
Le allego gli apprezzamenti che ne ha tratto anche in termini di leggibilità,  un giudizio a me favorevole  che è stato agevolato anche dal fatto che vi parlavo di stupa e di grotte scolpite,  la cui illustrazione non  è estenuante come può esserla quella  di un tempio hindu
Se non ho potuto fare altro e se ora avverto l incombenza di scriverle quanto segue , è in massima parte per  la situazione come  di sospensione tra la vita e la morte  che mi ha condannato a vivere qui in Italia il Consolato Indiano di Milano, da che il giorno stesso del mio rientro ho trasmesso loro la richiesta del rinnovo del mio visto di impiego come insegnate di italiano preso una scuola di Khajuraho, la stessa che frequentano i bimbi più grandi della mia famiglia indiana, senza che da allora,  ad oltre settanta giorni dalla sua presentazione, si siano ancora pronunciati se accoglierla o respingerla . Trattengono ancora con gli allegati  il mio stesso passaporto, e con il mio diritto di espatrio fuori della C. E, hanno confiscato la mia liberta di muovermi in Italia,  dove senza potere più preventivare nulla per il mio futuro, nel timore che mi assilla di non poter rimettere più piede in India e  ritrovarmi  con coloro che sono la mia vita, resto confinato in casa inutilmente  in attesa  che al telefono fisso, od al computer, mi si annunci un evolversi  della situazione che io seguito invano a sollecitare. Senza che mi siano date più  risposta o mi si consenta di fornirle, in un incontro con il console per ogni chiarimento ch’egli richieda.
Anche in ragione di ciò, di cui posso parlarle più ampiamente in una lettera seguente solo se lei me lo consente, quanto agli scritti sul patrimonio dell india di cui le dicevo, ora il mio assillo principale  non è incrementarli con nuove ricerche e nuovi reportagers, ma assicurare con il loro perfezionamento /miglioramento che non vada perduto ciò che in essi ho raggiunto, la loro trasmissibilità ed  ereditarietà culturale,   per la quale le chiedo se sa dirmi come possa io provvedere.
Con i miei più cordiali ed amichevoli saluti
Odorico Bergamaschi


Solo al termine della terza settimana, attraverso l’open sourcing center cui mi ero rivolto, mi hanno fatto sapere che la documentazione era “ scarna”, benché fosse più completa di quella già inoltrata le volte precedenti, e che mi era già valsa il visto di impiego .Non bastava una lettera di assunzione, hanno accennato addirittura ad un certificato, di quelli che necessitano di un “vakil”, Al che, per il tramite del mio amico Indiano Kailash ho ottenuto un documento aggiuntivo del principal della scuola, che generosamente mi è stato da egli concesso solo  superando le più comprensibili resistenze e paure. In esso erano indicate anche le fasce orarie, i contenuti e le finalità dell’ insegnamento,  le misure per evitare ogni discriminazione economica nell’accesso al corso,   mi  inibivo ogni suo esercizio, “ paid or not paid”,  che non fosse nell’ambito dell’Istituto e delle ore di lezioni concordate.  In un primo tempo era parsa al Console un’ integrazione del tutto soddisfacente, mentre dopo una settimana  anche tale annesso contrattuale è risultato insufficiente, Al che mi sono dichiarato disponibile a che  il visto richiesto, per il cui ottenimento avevo già pagato l’ importo, almeno  mi fosse convertito in visto turistico, impegnandomi anche per iscritto a non utilizzarlo surrettiziamente per insegnare, bensì per ricongiungermi e stare insieme con la mia famiglia indiana d’adozione,  rivisitando l' India alla luce dei miei  interessi e delle mie ricerche investigative del suo patrimonio artistico. L’ultima replica che ho ricevuto dall’ open sourcing center è stata  la seguente
Egregio sig. Bergamaschi, 
buon pomeriggio,
 Purtroppo non vi sono ancora novità, stiamo chiedendo ogni giorno affinché si possa risolvere questa situazione. 
Abbiamo fatto presente la sua disponibilità a presenziare ad un colloquio con il sig. Console Generale, ci è stato ribadito che, al momento, non risulta necessario. 
Con i nostri cordiali saluti.”
 
Al che oggi ho risposto in tali termini, che le dicono ciò che ora ne penso delle ragioni del persistere di tale situazione , e  quanto sia ancora effettivamente in grado di affrontarla con la mia nuda mente

“Gentili interlocutori, 
 Sono ora convinto  che le autorità del Consolato indiano di Milano da oramai 70 giorni stiano trattenendo con la documentazione allegata il mio passaporto senza potermi negare al tempo stesso un visto,  perché in forza del solo sospetto, e di nient’altro, mi hanno “ puntato” e restano in attesa dall’India di ciò che non arriverà mai a loro i perché  mai potrà esservi raccolto, ossia dei riscontri di una qualsiasi attività illecita in cui io risulti coinvolto e che si nasconda nella mia richiesta di un visto di impiego per insegnare  Italiano.
So quanto Khajuraho dove risiedevo in India gode in tal senso e a ragione di pessima reputazione, solo che nei suoi pregi e difetti la scuola che mi ha rinnovato il contratto lavorativo  non ha minimamente a che fare con il  raggiro delle donazioni a Istituti fasulli o corrotti che vi sono estorte ai turisti,  i cui tenutari sguinzagliano a tal scopo  gli stessi  bambini che ne sono scolari e i "lapkas" per procacciarle,  mentre io da quando risiedo in India spendo ogni mia risorsa intellettuale e morale per farvi valere  forme opposte  di accoglienza, di conoscenza ed esperienza del suo immenso patrimonio culturale ed umano, nelle mie relazioni personali e negli studi e nelle ricerche che mi impegnano tuttora giorno e notte ( ben rinvenibili in internet)
Sapeste  quanti clienti si è perso il mio amico Kailash , come conducente di autorickshaw, per avere detto come stavano le cose ai turisti che preferivano lasciarsi raggirare  da  ogni tipo di allettante procacciatore e seduttore locale, e che cosa gli costa il fatto  che  non possiamo ricongiungerci perché si dubita  che sia in combutta con una realtà  contro cui in India, coinvolgendolo nelle mie scelte intransigenti, ho speso immiserendomi  la mia esistenza durante tutto il periodo in cui vi ho vissuto!
P. S.( Se degli stranieri, per lo più perché irretiti, recano aiuti ad un certo genere di scuole lo fanno dal loro  paese di origine, e quanto più vi restano, raccogliendovi  aiuti e fondi, non di certo  prolungando quanto più a lungo possibile la permanenza in India con un  visto di impiego).
 
( Mi riservo in una futura e-mail di farvi sapere  chi e  che cosa mi attende ancora invano in India,  e tutte le sacrosante ragioni implicite e connesse per le quali avevo richiesto a suo tempo il  visto di impiego)……”


( In tutta sincerità, ai margini di tale mail,  le confido che non è a fini di lucro lecito o illecito che ho chiesto il visto d’impiego per insegnare italiano, è assurdo farci anche solo un pensiero, ( in Khajuraho il principio più condiviso quanto a uno straniero è che niente di ciò che gli spetta gli va dato, e tutto ciò che è possibile prendergli  gli va tolto) ,  ma  perché  c’è  in India chi  aspetta che finisca di insegnargli, perché insegnare  mi piace e mi è di contrasto alla depressione, perché se la durata  del visto per insegnare è di un anno  posso restare per un periodo così a lungo con i miei cari indiani ed economizzare quanto ai costi dei viaggi di andata e ritorno ,  infine perché sono di fatto half indian , per tutto ciò che nella gioia e nel dolore- la morte di un  figlio- ho condiviso con la mia famiglia indiana, e ambisco al riguardo e al rispetto che il connesso residential permit mi conferisce, in quanto a) mi evita di essere discriminato  come straniero nel pagamento dei biglietti d’ingresso ai siti monumentali,  per i quali come residente temporaneo  mi  sarebbe richiesta  invece la tariffa indiana,  che è un quindicesimo  di quella che devono pagare gli “ altri”, come stava scritto all’ingresso dei templi occidentali di Khajuraho, b) ed  a me ed al mio amico eviterei le attenzioni interessate che la  polizia locale riserva ai semplici turisti.)
 


Grazie gentile Cinzia dell’ascolto. E mi scusi se mi sono dilungato su questa questione per me così dolorosa, su una realtà che comunque ci accomuna tanto, ma le ho scritto anche per trovare la forza da infondere al mio amico  di non soccombere  alla angoscia in cui tale situazione ci ha gettato.




Con i miei più  amichevoli saluti
Ed augurandole  le più belle cose
Odorico Bergamaschi



Gentili interlocutori
Sono Bergamaschi Odorico,  e torno a farmi vivo di nuovo, di necessità-
 
a) Stando così ancora le cose, qualora le autorità indiane del Consolato di Milano  a oltre 60 giorni dalla trasmissione della mia documentazione non si fossero ancora decise a  negarmi qualsiasi visto, vi prego di riconfermare loro la mia disponibilità ad incontrarmi con esse, per ogni eventuale chiarimento, quali quelli che può fornire loro l’andamento del mio conto corrente presso l' Unicredit,  il solo di cui sia titolare, oltre ad un altro apertomi dalla Canara Bank, in India, che è rimasto finora inutilizzato perché l'Agenzia non dispone dell’ Iban per il trasferimento di valuta da tale  mio conto corrente in Italia.  Dall' estratto del mio conto corrente presso l Unicredit risulta inequivocabilmente che da quando ho prolungato la mia permanenza in India, ossia dal 2012,   mi spendo solo in perdita per la famiglia indiana che mi è cara e per la valorizzazione del patrimonio indiano attraverso i miei viaggi e la loro documentazione. Qualora possa ugualmente servire, posso inviare la certificazione quanto ai miei averi e fonti di reddito, che consistono nella mia pensione, nella buonuscita della liquidazione e di quanto mi resta della quota che mi è spettata all’atto della vendita della casa di mio padre defunto. Sono non di meno disposto a dichiarare legalmente la mia situazione patrimoniale, dalla quale emerge  che non ho neanche una prima casa di mia proprietà, in Italia o altrove, vivendo in  affitto in un appartamento, in Mantova, dove ora non  accendo neanche il riscaldamento per economizzare e trasmettere il mio aiuto di cui abbisognano ai miei cari congiunti indiani, e che non ho nemmeno alcuna automobile o motociclo , secondo quanto può attestare l’Ufficio di motorizzazione, non usufruendo di altri mezzi di locomozione che alcune biciclette, una sola delle quali mi è  utilizzabile. Inoltre posso farmi inviare, per comunicargliela, la certificazione da parte del Christian hospital di Chhatarpur ( Madhya Pradesh), che il mio amico indiano, che non può contare su altro aiuto sostanziale che il mio,  è affetto da turbe mentali irreversibili,  di cui ho fatto finora  ciò che sta diventandomi insostenibile  per evitarne in India le esplosioni croniche  di fronte ai figli, trattenendo per me quanto io provo al permanere di tale situazione.
b) Quanto all’eventualità che possa insegnare  italiano in Khajuraho senza disporre del visto, posso far loro presente, direttamente, o per il vostro tramite, quanto sia del tutto  inconcepibile, perché il principal della scuola non me lo consentirebbe assolutamente, poiché la cosa l’esporrebbe alla denuncia  ed ai rischi di perdere la licenza  per cui gestisce la scuola, né io potrei consentirmelo in proprio, dato che  costituirebbe  un deficit invece che una fonte di un qualsiasi ricavo, visto l’indisponibilità degli stessi studenti indiani non indigenti a corrispondere ad un insegnante straniero anche solo il costo delle fotocopie. Né sarei ancora particolarmente motivato,  visto l’ uso che gli indiani locali fanno dell’ italiano che abbiano appreso con i visitatori miei connazionali., nei confronti dei quali ho almeno insegnato ad usare le formule di cortesia.
Cordiali saluti
Odorico Bergamaaschi


From: "odorico bergamaschi"<
bapuculturaltours@rediffmail.com>
Sent: Mon, 14 Nov 2016 21:54:57
To: "
info@indianvisamilan.com"<info@indianvisamilan.com>
Subject: Re: R: se vi sono novit

Gentili interlocutori,
sono Bergamaschi  Odorico.
 
Così stando le cose al momento non mi resta che confermare  la mia disponibilità ad incontrarmi  di persona con il funzionario ed il console, o chi altri,  se occorrono chiarimenti. Ripensandoci, se certi dubbi sono legati al fatto che abbia inoltrato la domanda del visto il giorno stesso, il 14 settembre,  del mio rientro in, Italia, anticipo in replica che l’ ho fatto sia perché essendo arrivato nel primo mattino in Milano con un volo della Saudiairlines ho inteso economizzare tempo e denaro,  sia soprattutto perché secondo  i termini della lettera d’assunzione allegata alla mia richiesta di un employment visa avrei dovuto iniziare ad insegnare non più tardi di un mese dopo, il 15 ottobre , e dato che il visto comunque richiedeva non meno di dieci giorni lavorativi e che avrei potuto solo dopo prenotare il volo,  il  rispetto dei termini della mia assunzione mi sarebbe stato possibile senza forzature solo se non avessi  differito la presentazione della richiesta del visto rispetto al mio rientro.
 
Con i miei più cordiali saluti.
Odorico Bergamaschi

if you do honestly

Da Mumbay, con il volo della Jet Air ways in Auraganbad  doveva essere già arrivato Umberto,  il cliente italiano del Bapuculturaltours , quando solo dopo le 2,30  ho avuto l’avvertenza di telefonare a Kailash, e come egli  poteva ben confermarmi. Mi ero ricordato solo allora che quando in Italia erano le due pomeridiane in India erano già le 6,30 pomeridiane, ad atterraggio avvenuto già da un’ora , sempre che tutto fosse avvenuto regolarmente,
Al gentile Umberto Kailash aveva già avuto modo anche di parlargli  e di salutarlo al telefono, servendosi  del cellulare  dell’autista Abhishek, ma  quando gli aveva chiesto di passargli il conducente per comunicargli alcune avvertenze, Umberto si era opposto a che Abishek  ne fosse disturbato nella sua guida, esprimendo un rifiuto che per Kailash aveva assunto immediatamente il valore di una volontà categorica cui io e lui avremmo dovuto assolutamente conformarci, al punto che si riservava di richiamare  l’autista solo quando in India fossero già state le nove di sera, e fosse una certezza assoluta che intanto che Mr Umberto . riposava in hotel, l’Abhishek  assolutamente non potesse essere alla guida.
Intanto io dovevo correre quanto prima ad inviargli denaro, di Venerdi 25 novembre, scarseggiavano farina e riso, il cambio di currency rendeva in India ancora oltremodo difficile assicurarsi valuta, e l’amico voleva  provvedere quanto prima ad acquistare un maglioncino per Poorti e Chandu, dato che cominciava in  Khajuraho  a fare freddo.
Quel pomeriggio in cui la nebbia si era diradata in un grigiore novembrino volevo inoltre concludere/ terminare la revisione interminabile del mio reportages sul mio ultimo bellissimo viaggio che abbia potuto compiere nel Madhya Pradesh,  nel cui corso d’opera restavo alle prese con quanto andava reso più perspicuo e leggibile della descrizione interminabile del Kuraiya Bir e dei templi iain di Deogarh.
Questa la trama  delle mia attività reali che intercorrevanol’altro  ieri  tra me e l’India, mentre in me era oramai un convincimento assodato che da oramai 70 giorni le autorità del Consolato negasse di accordarmi il visto perchè  determinate solo dal più vago  sospetto, e da nient’altro, mi hanno “ puntato” e restano in attesa dall’India di ciò che non arriverà mai loro mai perché  non potrà mai esservi raccolto, ossia dei riscontri di una qualsiasi attività illecita in cui sia coinvolto e che si nasconda nella mia richiesta di un visto di impiego per insegnare  italiano.
Ad  averne indotto il funzionario o il Console a dubitare dei miei intenti era forse la pessima reputazione di cui a ragione gode in tal senso Khajuraho, che può aver fatto loro supporre che anche la scuola che mi aveva rinnovato il contratto di insegnamento dell Italiano rientrasse tra quelle  implicare nel raggiro, a danno di turisti, delle donazioni a Istituti fasulli o corrotti,  i cui tenutari sguinzagliano a tal scopo  gli stessi  bambini e i lapkas per procacciarle,    mentre io da che risiedo in India uso e spendo ogni mia risorsa intellettuale e morale per valere  forme opposte  di accoglienza e di conoscenza ed esperienza dell India, nelle mie relazioni umane e negli studi e ricerche che mi impegnano tuttora giorno e notte e  ben rinvenibili in internet
Avessero potuto anche solo avere un’idea, le autorità consolari, di quanti clienti si è perso il mio amico Kailash  come conducente di autorickshaw, per avere detto le cose come stavano a turisti che preferivano lasciarsi abbindolare da  ogni genere di allettatore  o procacciatore o seduttore del posto, e che cosa gli costa avvertire  che  non possiamo ricongiungerci perché si dubita  che sia in combutta con una realtà  contro cui in India ho speso immiserendomi  la mia esistenza durante tutto il periodo in cui vi ho vissuto!
Kailash, così ammirevole e caro,  per come si è  messo al seguito  di  una mia “ good way” che trova contro tutti e di tutto, del quale al contempo, al rientro dall’effettuazione del trasferimento del contante , mi addolorava che dovesse indurmi a dirgli che avrebbe aspettato invano che gliene inviassi dell’altro, finchè non si fosse deciso una buona volta a  contattarmi con una videochiamata, che mi consentisse finalmente di rivederlo insieme con Chandu, Poorti ed Ajay, di cui debbo contentarmi solo di risentire le voci che mi salutano al telefono.
Rimessomi poi di nuovo al computer, entro il tardo pomeriggio avrei avuto modo di concludere anche la riscrittura dei miei pochi accenni già formulati alle meravigliose grotte buddhiste di Deogarh , per quanto la interrompessi e nell’altra mia più delusa attesa seguitassi invano a contattare l open visa centre di Milano, per saperne di più, secondo i suoi addetti,  sulle ragioni a tal punto della sospensione ulteriore del visto, poiché ogni comunicazione da parte loro era stata ugualmente sospesa.
“ We have to wait. We  have to wait without becoming hungry. With  Indian Autorithy   You  have to wait, ieri mi avrebbe  soggiunto Kailash, if you do  honestly”


sabato 26 novembre 2016

Discorrendo dei vestiti d'infanzia di una volta.Tutto su mia madre V

Tutto su mia madre V
Discorrendo dei vestiti infantili di una volta.
" E i vestiti di una volta, quando eri bambina?"
Erano un paltoncino, il vestito più leggero d’estate, un vestito più pesante d’inverno. Si cercava di economizzare, un paletot ti durava molti anni, e le mode non cambiavano come adesso. Era lo stesso con le scarpe. Mi ricordo che mi hanno preso da bambina un paio di scarpe e non ti so dire quanta roba ci hanno messo in fondo. Mi sono durate quattro, cinque anni. Solo che quando mi sono andate bene erano già tutte rotte. Un modo di ragionare miserevole, ma questo si faceva. Lo stesso era per i vestiti, con tre scale d’orlo, e quanto crescevi li allungavano, li allungavano, che i vestiti erano già rotti ma l'orlo di sotto era ancora buono. Un paletot,- avevo 10, 11 anni-, mi ricordo che per allungarlo in alto e farmelo andare ancora bene, l’hanno tagliato di sopra e ci hanno messo un carré in pelo nero di astrakan. Ma io figurati come mi sentivo...I vestiti li facevano belli comodi, si pensava che era giusto fare così, facevano tutti così, e così si andava avanti
Un vestito d’estate, uno d’autunno, un paio di scarpe d’estate, uno d’inverno…in più i sandali, gli zoccoli, quel paio o due, al massimo.
I “ supei” erano sottilini, con il loro tacchettino, e quand’eravamo in autunno ti servivano per evitare la smalta che c’era nelle corti di campagna,. Gli zoccoli erano dei bei zoccolini, sotto di legno, con di sopra la loro mascherina fatta di cuoio, erano duri però, erano fatti per metterteli d’inverno, ci mettevi allora dentro un paio di calze di lana e tu andavi, ed andavi bene, perché giravi nella smalta, c’era la neve. C’era più neve una volta che adesso. Io non so perché ma mi ricordo tutti gli inverni con la neve “
“E andavi a piedi nudi? “
"Proprio lo desideravi. Non vedevi l'ora che venissero i primi soli per buttare via le scarpe e andare a piedi nudi, E com’ero contenta…. Per le strade di campagna c' erano vetri, c’era di tutto, ma io mai che mi sia tagliata, E sì che sono stata una che è andata per un bel po’ a piedi nudi.”.




Tutto su mia madre V
Discorrendo dei vestiti d'infanzia di una volta.
" E i vestiti di una volta, quando eri bambina?"
“ C’erano un paltoncino, il vestito più leggero d’estate, un vestito più pesante d’inverno. Si cercava di economizzare, un paletot ti durava 10, 12 anni, e le mode non cambiavano come adesso. Era lo stesso con le scarpe. Mi ricordo che mi hanno preso da bambina un paio di scarpe e non ti so dire quanta roba ci hanno messo in fondo. Mi sono durate quattro, cinque anni. Solo che quando mi andavano bene erano già tutte rotte. Un modo di ragionare miserevole, ma questo si faceva. Lo stesso era per i vestiti, con tre scale d’orlo, e quanto crescevi li allungavano, li allungavano, che i vestiti erano già rotti ma l'orlo di sotto era ancora buono. Un paletot,- avevo 10, 11 anni-, mi ricordo che per allungarlo in alto e farmelo andare ancora bene, l’hanno tagliato di sopra e ci hanno messo un carré in pelo nero di astrakan. Ma io figurati come mi sentivo...I vestiti li facevano belli comodi, si pensava che era giusto fare così, facevano tutti così, e così si andava avanti
Un vestito d’estate, uno d’autunno, un paio di scarpe d’estate, uno d’inverno…in più i sandali, gli zoccoli, quel paio o due, al massimo.
I “ supei” erano sottilini, con il loro tacchettino, e quand’eravamo in autunno ti servivano per evitare la smalta che c’era nelle corti di campagna,. Gli zoccoli erano dei bei zoccolini, sotto di legno, con di sopra la loro mascherina fatta di cuoio, erano duri però, erano fatti per metterteli d’inverno, ci mettevi allora dentro un paio di calze di lana e tu andavi, ed andavi bene, perché giravi nella smalta, c’era la neve. C’era più neve una volta che adesso. Io non so perché ma mi ricordo tutti gli inverni con la neve “
“E andavi a piedi nudi? “
"Proprio lo desideravi. Non vedevi l'ora che venissero i primi soli per buttare via le scarpe e andare a piedi nudi, E com’ero contenta…. Per le strade di campagna c' erano vetri, c’era di tutto, ma io mai che mi sia tagliata, E sì che sono stata una che è andata per un bel po’ a piedi nudi.”.