domenica 15 gennaio 2017

liriche indiane

Odorico Bergamaschi

LIRICHE INDIANE ( 2012-2017)




































ECLOGHE INDIANE

















































DRAMATIS PERSONAE

L’amico indiano Kailash, Kallu
La moglie , Vimala
Il figlio maggiore Ajay ( 2000), ancora un ragazzino
La figlia Poorti, ( 2005), ancora una bambina
Il figlio Chandu ( 2009), un bambino
Il figlio Sumit ( 2007-2009), deceduto a due anni di età
Ashesh, il nipote, figlio di una sorella dell’amico
Mohammad, un giovinetto amico dell’IO petante











































PRIMA ECLOGA INDIANA


Qui dove la tigre che ti fronteggia

è il pupazzo di stoffa di Chandu,

e nel dolce lume il gioco e il canto

sono la felicità di bimbi tra l’immondo,

che lieve brezza ti riconduce,

trattiene i tuoi giorni tra sibili e incanto,

prima che cedano al sonno ed ai silenzi,

inquietati dai ladri ,

della luna sui terrazzi e gli orti di Sewagram,



cum complexa sui corpus miserabile nati

lo stesso colpo di tosse nell'ultimo nato

e già è il tremendo del sereno

di cui i muri sono assorti nei giorni,

tu vi schiudi il cuore e le braccia

e quanta delicatezza tenera

discopri nel morso





mentre non hai più altra vita, che questa,

che ti adempia o ti smentisca per sempre,

deus nobis haec otia fecit

tra gli strilli e il pianto o il crollo di schianto

dove il villaggio riposa all’ombra dei nim,

nell’attesa del rientro al tramonto

dalla giungla di bufali ed ox,

quando di febbraio è già estate

e la senape ingiallisce i campi,



tutto si è consumato nella tua remissività ad ogni oltraggio

da che cedendo la gola per il taglio

potesti lasciare il tormento delle aule

dove chi è rimasto rimarrà ancora più a lungo



ed altrove, qui in India,

eccoti di già sulla via del ritorno

con l’amico sotto le stesse fronde ospitali dell’himli,









in lontananza sfumando i declivi

dove alle acque del Ken discendono i boschi,

e le rive del parco approdano ai giunchi ,

“Vedi, come il fiume senza farne uso e ricevere offerte

dona la sua acqua a pecore e cervi,

così l’albero ci dà la sua ombra”,

sotto la quale possiamo ancora indugiare

disvelandoci che cosa sia tra noi paroupkar,



è nelle vicinanze il tempio di Chattarbuja

che preannuncia la nostra antica città,



poi conterà solo andare avanti,

e sarà questo il nostro canto più alto























SECONDA ECLOGA INDIANA



Brillano i pani di sterco dei roghi di Holika
nella prima luce del giorno sui muri e i terrazzi
la mangusta riappare nei coltivi degli orti,
già si schiudono le membra dai giacigli terreni,
con i lavacri delle stoviglie
iniziano nei cortili le abluzioni e gli spurghi,

 “ India was enslaved by the British”
la lezione che ripete il fanciullo
prima di andare a scuola,
ripetendola, nell'India indipendente,
nella lingua dei britannici che gli è ancora più d'obbligo, ora che è senior,
per non dovere cinque rupie alle suore se usa l’hindi,
“India was poor and weak at that time
ripete come se i suoi stessi panni di ogni giorno
fossero ancora quelli di quel paese debole e povero,

“ Every man will be thy friend
Whilst thou hast wherewith to spend
quando il vero amico "he stands by us
through thick and thin,"
lo è nella buona e nella cattiva sorte,


Hello, rupees…hello, pens…”

nel mercato dove cerchi il coriandolo fresco
puoi ritrovare più ancora il maldicente di turno
“L’amico, che la fa da padrone sull’uscio del negozio,
spende tutto nel bere e gli trema la mano,
nessuno vuole lui come barbiere… "


ed ora chi mi riscatterà questo corpo di morte,
al grano che già si schiude al calore di marzo
se non, ancora di più,
l’amore ch’è vita e luce dell’anima ferita


tra le follie di un docile cuore
lontanandoci con l’amico
nelle valli dove ancora risuona il canto di Krishna,
ed è il clamore della pioggia di fiori e colori
che assorda il dolore che invasa la mente,
la luna quel tocco di sandalo
sul volto vergine del cielo

mentre amore, giocando il gioco della tigre,
sulla Yamuna sei tu, Dio della morte,

fin che di nuovo tra le forme d’incanto
cade la mente con l’escremento,


ed accade il distacco tra i cieli di Delhi,
non più, nella lontananza, lo sguardo amante
ma con le nuvole in disfacimento
tremulo liquido l’acciaio nelle trame di vetro,
in arenarie e cemento trasmutati i cortili e i terrazzi
cui nello sfolgorarvi del giorno sei di ritorno,

di nuovo dove chi ama non infinge soltanto,
e qualcosa comunque succede.
“E’ troppo povero l’inglese dei piccoli”
il verdetto delle suore, per bocca dell’amico,
perché a loro consenta in India un futuro.
Come pappagalli li hanno addestrati
solo a ripetere quello che non capiscono.
Provvederemo, comunque, ripartiremo.
Li abbevereremo, i piccoli, al nostro soccorso,
come tra i campi, dalla riarsa giungla,
si abbeverano gli armenti al Kuddhar,
aprendosi il varco dove il fiume intesse le sue rive
delle canne che ora graticciano l’avviato negozio.

E da queste sponde anche voi a casa, ben pasciute capre
Ite domum saturae, venit Hesperum, ite capellae .









TERZA ECLOGA INDIANA



“Oracolo del Signore.
Quanto il cielo si sopraeleva su tutta quanta la Terra,
cosi le mie vie si sopraelevano
sulle vostre vie,
e i miei pensieri sui vostri pensieri”
Isaia









Tra le foglie riarse dalla fersa
d’aprile si fondevano desolazione ed ardore
dove di giorno fulgevano i fiori di chheola,
il chiarore delle messi circonfondendo nei pleniluni le traversate notturne/
che al padre riconducevano il cuore dei piccoli tra le stregate mahùa,
sulle biciclette, in fila indiana,
al di là dei coltivi dove in cerca invano dell’acqua della Devi
si perse il cammino delle donne con le giare di javari
Era la Domenica delle Palme e del Natale di Rama,
e con che amorosa violenza io ed il padre
incamminavamo i bambini alla menzogna educativa, cui i giorni seguenti,
li riallineavano in coro i testi scolastici,
“ Ministers, Politicians, Judges
Occupy their post because they studied hard

poi lasciandoli per che intorti tormenti come i nodi dei rami,
nella megacity  dove la vita in dono depredata per strada
al cospetto dell’amico si dilacererà in stanza ,
senza che altri che il Dio nostro
possa anche di questo perdonarmi,



“ma ora non farti più del male, siamo tutti qui”
cantavano le loro anime di nuovo ad accogliermi,
nel loro sollievo che alfine il Monkey God
sia stato placato dalla puja nel tempio,

Ora al distacco del rientro
odora la fragranza rigogliosa del basilico nel vaso,
pur nel dolore, al poterli ancora lambire,
che ad ogni ora che passi l’indomani si faranno
a cinquemila,
seimila, settemila chilometri distanti,
nell’unità, che ci sia di soccorso,
dell’invisibile vivo più ancora tra noi.





























QUARTA ECLOGA INDIANA

                                                         1

"Cosi dal retro del suo tempio  la Sibilla di Cuma
Cantava ambigue parole tremende nell'eco dell'antro",

E dall'osteria volgi all'uscita, sul retro,
che dà nel cortile che fu la tua aia di casa,
ne ritrovi la distesa deserta
più ancora arida invasata dal sole,
trasalendo, sui tuoi passi,
ai ragazzi di corsa che vi sopraggiungono,
sono indiani, del Punjab,
 l'uno nell'attendamento al riparo dal sisma,
l'altro con la madre accampato in giardino,
al tuo timido approccio si scambiano un sorriso e già ti annientano,
la madre che ne resta ignara in ombra
e ricambia mesta il tuo namastè,
quanto si è fatto breve, senza più grida animali
ogni spazio retrostante di rustici ed orti,
spiantate le vigne, dissodate
le cavedagne d’un tempo
per il solo rigoglio, a perdita d'occhio,
dei ranghi infoltiti di steli di mais,

dove quante mie anelanti corse,
quanti miei sogni controvento,
scoloritesi con le memorie porte e finestre,
 rinserrata la casa ad ogni accesso ulteriore
,

tra i vasi ascolti il silenzio nel refolo d'aria,
erano allora gerani ed oleandri,
ed ora è il conforto, con lo sgomento,
che tutto sia cosi svanito e ammutolito,
lo sciame che avverti
un sopito tumulto di vergogna e lacrime,
inutile cercare altri volti che quelli
che in osteria già salutasti,
li ritrovasti, già altrove,
nelle schiere sparse delle loro lapidi ,

                                                        2

“ And the bird, did it fly away again?”
da Khajuraho,  al telefono,,
chiede l’amico del rondoncino che ponesti in salvo,
quando, al rientro in città,
tu vuoi sapere di Ashesh come ha preso il volo,
“Si, fu da un campo aperto, qui di lontano,
per mano di  un uomo che ama gli animali
è un uccellino, "the swift",
che se perde il volo non si solleva più,
quell'uomo, l’avessi visto,
 l'ha baciato lieve, chiedendogli scusa,
prima di spingerlo a viva forza in alto,
solo così, dopo che è ridisceso un poco,
è volato via libero nel cielo,
anche ciò di cui si nutre, aerei insetti, lo cattura in volo,
rasenta l'acqua quando la beve.”
“He will be bad student, He will lose his mind...
but what we can do...” ripete l'amico ,
che possiamo più fare per  il nipote Ashesh
se a involarlo è stato il padre
e  ricadrà  in un'ottava classe carpita con la corruzione,
(-senza che mai mettesse piede nella sua aula
mille rupie si tenne il maestro pubblico
in cambio della bicicletta premio e della promozione certa -),
“ Ma non agitarti, keep quiet your mind,
se da  Ashesh andrai domani”, /
“ I know, only if I  speak him sweet he speaks me true”
“ E ricordati, che  lui è come ti ho  detto dell’uccellino:
  se perde il volo non si solleva più “

revisione 2016-10-25
















Quinta Elegia Indiana

(Omnia vincit Amor: et nos cedamus Amori)


Per Chandu, Kailash ed io,
che alcova di amore
la cappotta del ciclo-risciò sotto le piogge di Chhatarpur,
la delizia del  caro bambino
il cuore giocoso del nostro bene,
tracimi pure l’immondo monsonico,
cali la caligine più tetra tra gli scrosci a dirotto,
il riso di Chandu qui è già una  spera di sole
che precorre il radiarne i campi  smaglianti,
nelle sparse pozze lutulente
la luce lustrando l’ammusare dei bufali,
tra le foglie sfagliantesi del sagoon
per intenebrarsi già di nuovo
con quant'è la disperazione del nostro Amore,
nel mio grembo
l'amico reclino
di che dolorosa madre eviscerante,
troppo fragile è il mio amore
per non tribolarlo delle sue spine
quando  mi vuole servo della sua inedia,

ma in chi altri confidare
quando solo l insano soccorre l insano
quando alla mia follia di ritorno
l’amico schiude l’adito a chi ha più caro,


con  lui  ancora di nuovo dove il cuore infranto
incantava Vishnu Ananta Shayana ,
l’ascesa a Shiva Bhairava
 dove il  Dio vinse il tempo
e ne fu in gola il veleno un urlo eterno, 
alle rovine dei templi di Ajaygarh invase dal sole,
di altri, ancora più remoti ed ignoti,
alla scoperta del loro abbandono fra i campi,

in che luce di gioia,  quand'è Dusshera,
dalla Dea riattinta la vita per la Sua morte per acqua,

prima della notte di che freddi fuochi celesti
sul crepitio di lumi umani di che infelice Diwali,

reca la  mia testa mozza  Nirriti l'atroce,
e nessuna frenesia di danza
può sventare il rullio della sentenza,


nell'ingiuria del  dio hai maledetto i tuoi passi ulteriori
tu che già infestavi di sventura la casa,
l’abominio del tuo passato
funestando il nuovo inizio mancato,


eppure non cede l'amico al veleno
che s'insinua nello strazio mentale
“E perché mai tu lo tieni ancora in casa
 se resti ancora così povero,
e non hai fatto tuo il suo denaro”


 e credendo, e sperando,
si prosterna al linga inesorabile
la fronte segnata,
 per Agnì cola lo sterco
 fumante di ghee,
dedite al passaggio
aureo di Laxmì
crepitano ciotole di luce,

Nella notte, ancora  insonni,
chiedendo lenimento
ed ancora cedendo al Dio che è Amore.

revisione 2016-10-25                                                                                3 ottobre 2012




Sesta Ecloga Indiana

Cala l’ombra dei monti sui casolari fumanti,
di sterpi  e sterco dai bracieri esalanti,
s’annida la luna tra le mahua ritorte,
cede il sole la sua luce di sangue al fiume che scorre,
nella successione dei mesi che alla fine dell’anno
volge la notte dell'amico ch’è scosso dal pianto per la bufala morta,
trovando il solo conforto
nel calore del corpo dei figli accanto nel sonno,

volgendola con la vigilia in cui nell’albero al limitare del colle
vedevi il ramo a cui appenderti al sole,
al gelido odio della sua ingratitudine folle

e ora chi è stato ospite sverna già al Sud,
è  in Irlanda che urla di nuovo contro i ritrovati  snackers,
radica nel Bangladesh  la coltura del neem,
in tutti con un curry speziato
infuso un nostro lascito di folli speranze,
quando, di ritorno furtivo
 è stato solo ieri che ci ha già lasciato l’uccelletto Ashesh,
senza che a trattenerlo nulla sia valso
dell’incanto nel parco,
dell' appostarci alla vista di antilopi e cervi,
o del viaggio, di piccoli uomini,
per le forniture del negozio e la riscossione dei crediti
intrapreso con Ajay al villaggio dei nonni,


seguitando, tra le nebbie,
la crescita dei germogli infestati di grano,
ogni fumido  mattino l’amico infreddolendosi all’arrivo dei treni
per intercettare nel flusso l’occasionale cliente,,
Vimala, l’infinitesima volta,
a risospingere il riflusso nel cortile,
prima che  i bambini pettinati e rilavati
si riavviino a scuola in tuc tuc,
Ma pur se il viride miglio delle suore ne ravviva la  grotta,
pur ora che l’anno finisce felice
è la nostra mangiatoia il pagliericcio di un morto bambino
nel cui astringerci crepita il fuoco.













Settima Egloga indiana frammenti sparsi


E quando le opere parevano morte,
inutile ogni sforzo intentato,
che solo restasse a protrarsi la resa,
un nuovo splendore illumina i giorni,
la vacca tra la pula che lecca il vitello,
la senape nei campi che germoglia col grano,

e la sera non è tenebra  di sventura
quando dai colli cala sui fumi sospesi dei fuochi,
velami dell’aria che imbruna
 le aie e i coltivi,
nell’ora che protese di slancio
oscura le campanule tra i fili ritorti,
 il trascorrere più imperturbato dell’acqua del fiume, 

nel volgere a un nuovo mattino che agli armenti, che  pascolano lenti,
è di  luce anche nell’ombra,
e di conforto
è (pure) il tugurio di stracci ed infissi della prole di guardia

,
solo  l’ incanto benedicesse anche i letamai  di maiali e bambini,
solo il canto degli uccelli sovrastasse
il pigolio degli “hello, rupees”  dei piccoli
come esci per  i campi,

e tu  potessi confidare di quanto sia stato il dolore dei giorni
che di che fu intraveduto nulla potrà più andare perduto,
e  sia l’amore più forte che la nostra paura del male,
e sia l’amore più forte che  la nostra paura del rischio,

prima che tutto s intorbidi ancora nel gorgo,
e l’amarezza sia il flutto di quanto è trascorso,


ma come Vimala lascia le coltri
che dolce tepore
prenderne il posto accanto al mio Chàndu,
infinitamente
delicatamente accarezzarlo nel sonno,
presagendo nella fitta che il dono di grazia
sia il sopravvivere anche alla sua perdita,

mentre lente le nuvole gonfiano l’arco dei cieli
altro di tremendo e risorto ancora ci attende



( gennaio febbraio2013 ( 18 marzo 2013

Revisione 2016-10-25 2017 15 gennaio





















OTTAVA ECLOGA INDIANA

Come potei, già una volta,
levare su di te la mano,
serrarti la gola,
dirti di volerti morto, anima mia,

quando tu sei la mia vita e l’amor mio,
e così di lontano
non so pensarti che con viscere trepide
al tuo impigliarti ogni giorno nell’afflizione che stride,

mi strazia il tuo Karma
 di una tua vita senza scampo,
più che mai ora (che con il tuo nuovo autorickshaw, alla sua guida sicura,)
che hai la dignità di un lavoro che non ti dà guadagno,

“Whats’ news? It’s raining, raining, raining,
only raining..”
mi ripeti allora al mio ripetermi,
“ In Khajuraho everyday are the same things,
the same market, the same business with the tourists,…
“You know, lo sai,
(that ) they don’t respect me, if I speak true,
 paying many money to the lapkas,
-a chi li accalappia -
and seeing nothing, nothing of the temples  ..”
finché, radura di luce,
trovi un po' di contento nel nuovo tran tran
“ I lose fuel, time, going every day slowly to the railway station
but I safe my life, my autoricksaw”

“And Chandu, my love?”
“He’ s asking you cycle,..”
“ Cycle!”, come mi grida la sua voce al telefono,
prima già di non volerne  più sapere
di me che sono il suo babbà che non fa ritorno,
alla terra dove straniero
oramai avrei ucciso un uomo per una scalfittura,
un ragazzo per un mio livido,
.

Ma che solo risenta la tua voce accorata, amico mio,
e quanta vita ritrovo nella tua di stenti,

ed allora tu parlami ancora
di come al sesamo si apre la bocca che schiude il seme
nel tuo timore che si perda nel fango se la pioggia continua,
di come la luce si è spenta di nuovo sulle tue parole,
sulla tua cena di solo mango pickle e un pò di chappati,
ch'io approdi ancora ai tuoi  recessi d'amore
quando sento nei tuoi accenti inumidirsi la lingua
della tua bufala che lecca il suo nuovo Lalosha,

e lenisce lo sbadiglio la tua ruvidità di modi,
” For other things we’ ll speak more tomorrow,

“See you soon, Kallu, “
“See you soon”.

Revisione 2016-10-25


























NONA ECLOGA INDIANA ( frammenti)

Sulle rive del Brahmaputra,
in un gothul,
in quale India mai
sprofondare in un sogno,

dove non sia più tra una fangosa gente
che sopraggiunga chi vagheggia l’apsara, nel torcersi,
che sembra usi a scrivere un pennello,
e  intenta pur ella al bello gli rammemori
che vivere bene è più che scrivere meglio.
Come dei templi i sovrastanti picchi
ed è un’ascesa, un precipizio, una rinnovata ascesa,
delle vertigini a soccorrersi
delle nostre menti folli,

di ritorno al loro conforto di voci
dall'impeto del Gange alla schiusa dei monti,
non una delle aarti,
intrepidi lumi,
superstite al varco dei flutti,
alla loro fede nella mia luce del cuore
sentendo che l'amarli sino alla fine
è ciò che mi resta di cui  sono ancora capace.

novembre dicembre 2014














DECIMA ECLOGA INDIANA
                                                                   1
Ora ogni mattina, a che sento ,
solo se è il papà che guida il tuk tuk
va Chandu con il farfallino alla scuola delle suore,
di Ajay la voce nuova,
Poorti più di casa,
Vimala che scalpita, sbraita, si rifiuta,  
no capendo che da allora è l’amore,
non il sesso che Kailash vuole,
“ nel nostro letto comune furono i miei piedi, non Io,
che fecero l’errore di scalciarla “,
lo so, amico mio,
è lo stesso anche per me,
da quel tuo grido che mi infranse

“ Oh, my Sumit,
no more life!”

Qui  captandovi nella mia lontananza
dove il continuo deprivarmi è il mio servizio d’amore,
“ Lo so, ma che almeno comperi per i bimbi
bengali per Diwali"
l’amico ignorando che il sacrificio estremo,
nell'esitazione che fa differire l’emissione del ticket ,
è trovare in loro la misura,
l'irrevocabile che adempie
                                               2
                                               
Ed ora, ricongiunti ,
che già è festa di Natale,
Oh, la loro vita in mia balia…
Vimala Maria che rimugina un suo canto
Chandu con voce inesausta di stupore giocoso
nel nuovo giorno restandole accanto ,
allorche Porti sopraggiunge festante ed è già via,
Ajay (già) da tempo chissà dove,
Kailash involatosi al lavoro (già) di primo mattino,

il vimine di Vimala che intanto riasciuga il cortile, l’acciottolio del vasellame,
di fuori la nebbia tra i templi inumidendo le soglie,
la povertà involta in cenci e coperte,




“Mottaa!.. mottaa! “, com'è di ritorno,
il motteggio di Chandu per la mia pinguedine,

la marcescenza dei cuori in rabidi furori
consuntasi tra la cartapesta
dei dì di festa di Shiva,

alfine,alla sera che cala,
presso il fuoco che divampa, intorno a un braciere,
l'ardore d'amore dei resti umani raccolti .
Natale 2014
revisione 2016-10-25  2017/ 1/14





CANTICO DI SIMEONE,  PARAFRASI



Signore, anche se la nebbia cede al sole che intiepidisce le membra,
e la fiamma divampa a riscaldarle nel fuoco notturno,
vaneggia la mia mente
qui ove la pietra di Shiva è il nudo interesse del calcolo,
le mie ginocchia si spezzano ad ogni gradino,

oh, come andato, andato, all'altra Tua sponda,
oltrepassato del tutto
e qui rimasto...

(om gate, gate, paragate,
parasamgate bodhi svaha...)

ma pure così, finché duri questo oggi,
Tu fammi pur essere per  essi fino al mio mancamento,
e se nel seme di chi ne è il seme
quand'io entri nel Tuo riposo, alle loro età sopraggiunte
saranno essi ancora senza sostentamento
provvedi per altra mano al loro futuro,
ai loro giorni del dolore
scongiurando l’ora di nuovo della morte del figlio,

tra le luminarie intanto della desolazione
com'è dolce il ciotolio di Vimala,
la confidenza tra me e Kailash, dei nostri bambini nelle loro scuole,
tale Tua luce di lacrime tra le apprensioni assillanti,
per chi non trova più la Tua Parola che nel disgelo d'amore


LUNEDÌ 29 DICEMBRE 2014
Revisione 2016-10-25 2017 / 1/14








QUI CANTA UN ASSOLO L’ESTATE

Qui  l’estate canta un assolo
che non incanta i sensi morenti,
trasuda, in svago e piacere, una replica che non dilacera strappi,
le voci sociali, se le ascolti,
salmodiando dei derelitti dei mari
quale sia il gusto  dei pesci che se ne nutricano,


eppure non c’e vita che anche qui non vada
parlando, gridando, piangendo d’amore,
di cui tremi a che puoi fare ritorno,
se tra la linfa di volute di foglie, l’imbeccarsi d’uccelli in cui si è mutata la pietra
non soccorre il cuore che sia più
che di carne e di sangue,

voi ancora, mie vive e morte anime amate,

vita, nascita e morte,
in voi ancora  perpetuandomi il ciclo,
la pioggia, stillandomi fresca,
all' inumidita soglia che Shiva sorveglia






















Ecloga indiana XI



“You 're like a bàrgad”, “
mi dice non so perché Mohammad,
in riva al talab,
tra un seguito e l’altro,
con la Laila di cui è Majdun
dei capitoli del libro dell’amore che mi sta compitando
alla stregua di quelli del Piccolo Principe che viene leggendo,

il primo che  recita che l’amore è vita,
il secondo che è cieco,
il terzo quanto è pericoloso,
il quarto che è follia,
il quinto che è solitudine e richiede lontananza, se è speciale,
il sesto, che è indimenticabile,
il settimo com' è incredibile..."

“ E perché son' io un banyan?”,
gli chiedo schermendomi
con inquietudine curiosa,
per la natura epifita dell’albero,
che a impresa del Raj,
fin esso a farsi gigantesco splendore
nel suo germe cresce strangolando
la pianta che l’ospita,
(madide le mie tempie di inebriato elefante,
di ritorno a lui ora da un'apsara
in una smorfia di noia,
ad un nudo Nirriti accanto della mia morta sorte)

“ Perché come un banyan con la sua chioma
tu copri e proteggi la vita di noi tutti”,
con quali mai aeree radici protendendomi al suolo,
quando del fratello del mio cuore,
per lui l “uncle”,
cuius amor, di cui l’amore si deposita al fondo, così tanto,
devo farmi il guaritore ferito già ad infettarlo,

oh, l’eccedenza stessa da lui allora elargitaci
l’acqua più amara dell’offerta della sua gelosia,
quand’io già m’illudevo, ad un incanto dei miei anni finali,
che Mohammad fosse la delizia di noi tutti.

“Così ora eccomi Babbà Bargad”
scherzo e rido con il ragazzo,
(attardato fenicottero nella regione del vento,
con lui consumandomi nel trascorrere del tempo),
mentre nel sole che traluce al tramonto lo specchio delle acque
m’intriga quando sia la volpe che ama il Chota Raja Kumari
che al mio Piccolo Principe riveli il seguito che riserva amare una rosa
























                            



ALTRE POESIE  INDIANE





Siccità indiana,





Sotto un cielo che affosca ogni orizzonte,
di una luce che calcina i campi riarsi,
ch’essica il canto e lo squarcio di gole distanti,
che mai ancora, al limitare,
trascina lo zoccolo in ceppi
a pasture di stoppie,
il tuo farti l’ ombra di strade deserte,
ed ancor oltre l' insano tumulto,
eppure ci avvince di ogni loro strappo
a ricucire insieme i nostri sudari?
Tra i morti ancora per acqua, che mai
di cui ancora trilla l’usignolo meccanico,
è inesausto il gioco , il richiamo al telefono,
il desiderio è madido d’amore

























Quando le tue pagine fossero pure fogli di una Gerusalemme celeste


Quando le tue pagine fossero pure fogli di una Gerusalemme celeste
In accenti che menti eterne compulsino
Lungo l intero volto di gloria, sfigurato ammasso,
E’ uno sfregio che vi griderebbe per essere espresso
In un urlo che non trova voce che sia decente
Di una capitolazione continua per amore.
Snodato il capestro in una disfatta dopo l altra.
Ti sai solo un servo di infinita ignominia, e tanto ti basta,
Se così tu hai salvato l infanzia dei piccoli.
Cali pure il silenzio la mannaia d’oblio,
La loro voce in cortile felice
E’ la tua musica divina

MERCOLEDÌ 22 GIUGNO 2016





























E’ di voi ch’io ho fame e sete, miei esseri diletti,



E’ di voi ch’io ho fame e sete, miei esseri diletti,
che mi accudite, di me lacrimate,
mi richiamate o vociate nel gioco,
siate il bambino Chandu, il giovinetto Mohammad,
Vimala nell’umido silente dei lavori domestici,
Kailash e le sue turbe od Ajay, involato dal cricket,
Poorti ancora una volta riportata via
da svago o timore di che in casa
può funestarla di nuovo
E già piange le vostre
concomitanze nel sonno
il mio ritorno nei solitari miei affanni notturni,
da ogni abbraccio o carezza o tormentio di capelli
ad un’ infinità di leghe rigettato distante,
solo con me stesso e la mia morte davanti,

ed allora Mohammad che spunta dagli alberi,
Chandu che si fa dolce dolce per dieci rupie,
Kailash che ricambia la buona notte con il gesto alfine di una mano fraterna,
il box del lascito quotidiano, l’indomani mattina,
di nuovo da lui evacuato con mia contentezza,
dal Lete saranno le vostre care memorie da distogliere in salvo,
per il fango e la furia ancora
di ritrovarmi con voi.
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Credi nel raggio di sole che rischiara il cortile

Credi nel raggio di sole che rischiara il cortile,
riaccogli la realtà di stoviglie e otri da lavarvi di nuovo,
non desolare dei tuoi pensieri neri le vuote stanze, il giaciglio disfatto,
trangugia con l’acqua il cibo di nuovo,
è stata solo un’ altra nuvola di passaggio il tradimento di intenti
che con la tua vita tutto avrebbe spezzato,
conferma che sei vivo di scopi chi nulla sospetta,
e già ha ripreso ciò che frutto non dà,
si rianima la casa di vita e di voci,
che non vi manchi il tuo silenzio al lavoro,
il tuo saluto gioioso del rientro da scuola..

GIOVEDÌ 1 SETTEMBRE 2016




























L'acqua che nella gola gorgoglia

L’acqua che nella gola gorgoglia,
la brezza che ti alita del ventilatore in stanza,
sono gli appigli di vita nella frana di schianto,
ora che sai che non sapranno mai farsi libro le tue parole,
che ogni tuo intento è votato a fallimento e miseria
in cui si fa penuria di vita l'orizzonte restante
.
Lo splendore del giorno è intanto il respiro
di tutto ciò che sei ancora 
perchè quanto più, ora a soffocarti,
è la fedeltà ai destini in dono cui ti sei avvinto
la sua grazia ti confermi  un uomo nelle tue macerie, 
e nel risciacquo dell’oltraggio e delle stesse stoviglie,
nella riapertura delle serrande di merci invendute
l’addio sia un nuovo ritorno

Alla furia e cecità della stessa polvere
all'impotenza nel grido di una stessa preghiera.

GIOVEDÌ 8 SETTEMBRE 2016



















Sia la voce un canto di vita nell’accalappiarla la morte,

Sia la voce un canto di vita nell’accalappiarla la morte,
all’acqua che trascorre scintillante,
al verde che vi si rispecchia,
lungo l inoltrarsi delle identiche vie
alla farfalla inebriata nel sole,
veleggiano ancora orizzonti gli squarci di nubi,
se appressa le amate presenze 
sa ripromettere
il tatto  dell’anima
ciò che non sente la mente nel cuore,

e procedono ancora i passi per infranti cammini,
in sguardi d’altri ed agi animali 
nelle radure e nel folto ove ancora sia luce.


SABATO 10 SETTEMBRE 2016


























Ed ora, amico mio

Ed ora, amico mio,
Che qui invecchio solitario e nel freddo
Tra  cumuli intorno di parole nei libri
Senza più la certezza di ricongiungerci un giorno,
Dove  di nuovo come la sera cala  su giochi ed attese
Il gelo del tuo attaccamento ìncubi
che gelosa follia

Il residuo calore che avventura ancora  i miei anni
Oltre  l’attendere qui solo la  morte nel passare dei giorni
Ora è  che amore  di te crepito, mio caro,
Per quanto so che sei perduto se non ti sostengo
Per quanto tu in me confidi
 Benché di me tutto tu sappia.

Mentre senza di te qui il mio dolore è tale e tanto
Che la gabbia di stenti  è il suo imprigionarsi,
Che disperando di ritrovarci
La mia veglia cerca solo l’addormentarsi. e il morire 
Nel sogno di te.

























Dio mio, Padre mio, ( DODICESIMA ECLOGA INDIANA)

Dio mio, Padre mio,
delle mie contrite ossa in così tanto freddo,
tutta la mia anima si gioca in questa mia lettera,
la mia vita in ogni suo rigo che ha appena inteso l'amico,
sta tutta la Tua sola parola che non mi sia lettera morta
nell'attenzione dell'amore che ne detta
una revisione ulteriore,
nell'evocarti onde evitare , “Veni creator spiritus”,
l'errore minimo che sia fatale al nostro ricongiungimento.
Sia esso una visita, non un risiedere,
un soccorso, non un sostegno continuo,
siano al più gente indiana cui sei dedito
coloro per cui ti fai povero ad ogni evenienza.
tu non sei il Babbà del tuo Chandu
la cui assenza strazia ogni tuo istante al solo ricordo,
in tanto dolore, di una separazione irrisolta,
che nel sale di una vita che ti prova e ti tempra
ti riesumi che restano il Suo incantevole dono di luce e di grazia,
e ti ridistilli ogni meraviglia dell'India
nell' indurirsi a diaspro del tuo amore,
l'incanto, che quando là v'eri,
il suo tremendo ti soffocava in un nodo a cui appenderti in stanza,
finché non chiuda la richiesta
ciò che non può non erompere da ogni vincolo posto
“Sir, instead of the employment visa now I ask another kind of visa in the last resort
because in India there is my life, the treasure of my mind and of my hearth”.














Tra le nebbie in cui esala il mio fiato



Tra le nebbie in cui esala il mio fiato
Anche dal pentolino che qui ebolle
Vedo levarsi quel fil di fumo,
Ed io sempre più mi sento
Una Cio- Cio- San votata al suo harakiri
Si nega il console all’appello,
Si nega al telefono anche il mio piccolo Iddio,
Incolleritosi nella ricerca in lacrime
Di un perduto bottone,
E l’amico che intenta ? di che gli è possibile
Perch'io possa almeno rivederli in videochiamata,
Di che può sedarmi uno strazio, irriso,
Che non trova più appigli
Alla chiamata del vuoto.

























Quel poco, nella mia casa morta,


Quel poco, nella mia casa morta,
che smuovo od uso a stento, ad ogni ora che passa,
vi ristà perché al presente, come fosse ancor vero,
tutto sia pronto per una partenza che a loro ritorni,

lasciando le valigie non ancora disfatte
con ancora dentro che riportarvi,
niente ancora da farsi
cui allora mi tocchi mettere mano,
quando, come non sarà mai più,
mi sfinisca nel poter chiudere alle spalle infine ogni porta
per andarli a raggiungere da questa solitudine immensa,

mentre non lasciando così indietro niente che di sudicio avanzi
quel che appronti, lo sai,
che è un addio che non sarà per quei cieli.

























Mio Signore,

Mio Signore,
fa che questo sia il mio ultimo giorno,
la mia ultima ora,
il mio ultimo battito,
la mente non vede più oltre che angosce di stenti,
nel seguito degli eventi che l'avvento di belve,
il mio lascito è solo vanità di sforzi,
trema, alla sua aperta voragine,
lo spendermi in perdita per il misero amico,
soffoco, mio Dio,
non vedo più luce nello splendore dei giorni,
tacito di tutto
tra ogni altro in chiarità di sguardo
DOMENICA 8 GENNAIO 2017


















Pietà di me, mio Dio

Pietà di me, Mio Dio,
della troppa mia delicatezza prima di giungere a morte,
dona la Tua pace
ai miei giorni che strema il Tuo giogo,
ne intendono solo spasimi e stenti,
il farne del mio futuro un tremito misero,
ravvivati o fuoco d'amore
ora e nell'ora di ogni nostra morte