martedì 25 settembre 2012

Andando a Dewara, al Putara-Putaryon Ke Datta


( riscrittura agosto-settembre 2013)
Oltre i villaggi di Jhamtuli e di Ottapurwa, in motoricksaw con Ajay e Chandu , delizia di noi tutti, c’eravamo appena inoltrati nello scenario ameno dei lievi rilievi collinari che si profilavano oltre le ondulazioni dei  coltivi, nell’ulteriore splendore dei mattini settembrini ch’erano subentrati alla caligine monsonica che per intere settimane era gravata  tediosa, e già con Kailash erano insorti i miei senili malumori, per il solo futile motivo che aveva scelto di differire la sosta nell’ultima dabha che ancora restava lungo la strada di largo traffico tra Panna e Chhatpupur, senza che lungo l’arteria laterale accidentata che ora stavamo percorrendo, ancora si presentasse anche solo una chai-khanè, anche solo un negozietto sotto le cui  lamiere potessimo sorbirci un the, di sobbalzo in sobbalzo al tormentio del fondo continuamente disgregantesi nell’acciottolato dei rivoli d’acqua che ne frammentavano il corso. Nelle mie umoralità nervose avevo dovuto chinarmi alle superiori ragioni indiscutibili del mio amico, che non a torto era contrario ad ogni sosta nei villaggi tra cui trascorrevamo,- non più di qualche foto ai baigneurs e alle baigneuses, lungo il fiume in prossimità del quale si apriva lo slargo in cui il febbraio scorso eravamo stati partecipi di una fiera di villaggio-, prima che in Dewrah non fossimo arrivati finalmente  alla sola meta iniziale del nostro percorso, talmente la lentezza del motorickshaw dilungava i tempi dell’arrivo in tale villaggio . Lo sovrasta una fortezza Bundela, ch’era il primo monumento interessante dell’itinerario di cui stavamo anticipando il percorso per i futuri visitatori di Khajuraho e dintorni, che  volessero avvalersi dei servigi del Bapuculturaltours.
Non di meno, a due ore, oramai, dalla partenza da Khajuraho, da cui eravamo ancora distanti na trentina  di  chilometri appena, una sosta si imponeva anche a Kailash, nelle due locande adiacenti, di pietrame e cannicciate, che precedono il villaggio in altura di Salaeya, di cui Kailash sapeva soltanto che ne era originaria la moglie del fratello Manoj, per uno spuntino di the e di fragranti pokora, non che per accertare se fosse proponibile ai nostri ipotetici clienti.
Quindi seguitavamo sulla via di Dewrah, dove tra scoscendimenti di rivi, infinità meravigliose di fiori gialli e di gialle farfalle nel rigoglio vegetale, ci addentravamo in un ombroso incantevole percorso forestale, dilettandoci al raduno di famigliole di scimmie, dove le radure erano schiuse da pozze d’acqua. Un tempio a Shiva e ad Hanuman precedeva il luminoso specchio lacustre di un talab, il seguente villaggio tortuoso di Amronya nel varco ai piedi di un rilievo intorno al quale si era propagato,  prima che una deviazione ci costringesse a dilungare il percorso traverso Kishanpurah, quando già ci credevamo in dirittura di arrivo a Dewrah. 
L’abitato che in virtù della sua fortezza immaginavo fosse un centro urbano sviluppato quanto Rajnaghar, od altri capoluoghi di tehsil del circondario, appariva un piccolo villaggio per lo più costituito di dimore smaltate di fango, disposte intorno alla modesta prominenza del forte che le sovrastava sul suo dirupo: e il negoziante dello spaccio prossimo alla fermata degli autobus, ci lasciava presto intendere che ben poco c’era da vedere: l’interno del monumento, che figura tra quelli protetti dai dipartimenti archeologici del Madhya Pradesh, era la discarica di carogne di vacche e un ricettacolo di bovini infetti e malati. Con un uomo del posto che ci faceva spontaneamente da guida, non ci restava che girare attorno al cupo fulgore dei suoi bastioni, alla bellezza dell’impianto serrato delle sue cinte murarie sobriamente merlate, anche perché, quando tentando di resistere ai miasmi fetidi provavo ad avventurarmi oltre la scalinata d’accesso, mi ritraeva all’esterno la vista del fondo del corridoio interno,  uno sterrato di solchi di sterco.

 
Erano oramai trascorse le due del pomeriggio, e benché a completamento dell’itinerario restassero ancora da raggiungere l’altro forte di Kishangarh, e il tempio Chandella fortemente intrigante di Brijpura, calamitavo Kailash ad  esplorare almeno il più rilevante dei due siti preistorici nelle vicinanze, le caverne di graffiti,  con immagini di cervi e di cacciatori, di Putara-Putaryon Ke Datta, in ragione del fatto stesso che il Bapuculturaltours si sarebbe così potuto fregiare a pieno titolo della prerogativa di offrire escursioni in siti di prehistoric paintings, come preannunciava la card che già io e Kailash avevamo fatto stampare. Stando alla guida del posto da cui ci facevamo accompagnare, ero io il primo dei visitatori stranieri di cui avesse memoria, una indicazione che mi esaltava più di quanto potesse significare un’avvertenza, dopo che le grotte ci erano state prefigurate sulla sommità scoscesa dei colli prospicienti, che verdeggiavano di una giungla boschiva in cui era d’obbligo avventurarsi con chi si era offerto di scortarci come affidabile e indispensabile guida del luogo, dato che vi era segnalata la presenza di fiere. 
Giunti con il motorickshaw alla radura di un fiumicello che precedeva l’ammanto forestale, il dissesto della pista sconsigliava di procedere oltre con il veicolo, sicché io e Kailash facevamo rientrare nel villaggio il conducente con i nostri bambini, lasciando Chandu in affido alla custodia primaria di Ajay, e ci inoltravamo con la guida nell’addensarsi della giungla e delle sue insidie animali.
Tutta la stolidità dei miei presupposti che  si potesse essere di ritorno in poco più di un’ora dai tre chilometri di percorso che ci separavano dalle pitture rupestri,  secondo il sito in rete del direttorato di archeologia del Madhya Pradesh, dove non figurava alcun preavvertimento delle  difficoltà che comportava il cammino, mi si palesava appieno non appena iniziava l’erta, e cominciavo ad accusare il tormento delle mie sofferenze artrosiche agli arti inferiori, la difficoltà a poggiare i miei piedi, senza incavo, tra il percorso roccioso nel folto della boscaglia.
 
L’ascesa era continuamente differita dai miei affanni e lamenti, cui Kailash si attardava a prestare soccorso. Mirabile era la vista dei colli prospicienti oltre il fondovalle, incantevole l’addentrarsi tra i cannneti di “ chara”, sempre più nel folto insidioso di annidantisi cobra, e ancora più in alto, ma ottenebravano ogni senso il dolore e l’affanno, l’ansia angosciata e lo sconforto che stessi sottoponendo il corpo a ciò che non gli era più possibile, eppure sospinto ancora avanti ,dalla determinazione di assicurarmi la vista e l'esperienza di una delle mete di maggiore prestigio prospettate dal  nostro Bapuculturaltours, mentre nessuna delle rocce e delle cavità che raggiungevamo sembrava essere caratterizzata da altre configurazioni che quelle dei suoi rilievi muschiosi rinsecchitisi e dei suoi strati variegati. Intanto, sovrastanti, i dirupi terminali che si facevano imminenti, lasciavano solo presagire che avrei dovuto rinunciare alla mia meta per sua inaccessibilità, proprio quando vi fossimo giunti in prossimità. E poi, ero in grado di affrontare la discesa, o senza soccorsi non sarei rimasto impedito nel bosco?

 
La guida, giunti alle prominenze sovraergentisi degli ultimi scaglioni rocciosi, sembrava avvertirci, secondo quanto Kailash mi lasciava intendere, che proprio sulla loro sommità che mi era preclusa si trovavano le grotte delle pitture preistoriche, ma potevamo pur sempre tentare di aggirarli. Solo che al termine penoso del percorso elusivo, mi ritrovavo a soggiacere a dei lastroni su cui mi era impossibile inerpicarmi. Che dunque vi balzasse con la guida il solo Kailash, per raggiungere il miraggio delle grotte preistoriche e trasmettermene le immagini. Lasciato solo, sotto i blocchi pietrosi, nella brezza fragrante lo spirito di sofferta rinuncia si  pacificava e mi quietava, raddolcendomi in ogni mia asperità contro lo stesso  Kailash, per quanto si era fatto sempre più distante, ed estraneo, od insofferente della mia sofferenza fisica, quanto più ero venuto accusandola in continui lamenti ( incontenibili), mostrandosi sempre meno disposto a stare in ascolto delle mie richieste di aiuto, mentre si era prestato, con fervore, a salvare almeno attraverso le  immagini delle pitture preistoriche ritrovate la nostra esperienza. Ma i minuti passavano, troppi minuti, senza udire più voci, rispetto a quanti ne richiedevano un avvistamento e un sopralluogo nelle sovrastanti vicinanze, e insorgevano sempre più l’ansia, l’angoscia assillante, sulle sorti di Kailash  e della sua guida, su che cosa potesse essere accaduto, che ne spiegasse il persistente silenzio e il mancato ritorno, al mio ritrovarmi abbandonato da solo e nel timore, che in stato d’emergenza, non potessi farcela a ridiscendere con le mie sole forze.
Kallu, Kallu Kailash, - iniziavo a gridare- Kallu, Kallu Kailash, dove sei amico mio?
Un mugolio udivo in risposta, ogni tanto, che pareva essere il grido d’aiuto di chi fosse caduto in un baratro senza più possibilità di scampo, delle parole portate dal vento che sembravano l’ultimo lamento al mondo di chi era già nella morte “ Kailash there isn’t more..”
Atterrito, seguitavo a richiamare il mio amico con ancora più sconforto, “ Kailash, rispondimi da dove ti ritrovi, torna indietro a raggiungermi se ancora ti è possibile…”
E se il silenzio fosse stata l’assenza di voci e rumori di un compiuto omicidio, e la guida si stesse apprestando a raggiungermi per finire anche me?
Che mai si stava rivelando quel giorno di luce e di sole, in cui io e Kailash eravamo partiti con i nostri bambini senza timori presaghi, ora che la mia, che la nostra vita, era forse rimasta senza più lui?
Ed era il solo volto della guida che giungevo infine ad avvistare, giù alla fine dello scoscendimento in cui ero riuscito a calarmi.
E Kailash, il mio amico?
Non una parola in risposta.
Si limitava solo a farmi cenno con il capo che stava sopraggiungendo.
Ma dal folto non vedevo ancora pervenire alcuno. Scrutavo ancora, e finalmente intravedevo il suo volto, il suo caro volto, intensamente intento in un compito, senza che vi fossero disegnate pena ed affanno di sorta.
L'amico aveva solo parole per sgridarmi: “Non fosse stato per le tue grida, forse avremmo potuto raggiungere per davvero le grotte”
Si erano inoltrati lungo tutto il pianoro sovrastante, arrischiandosi a discenderne per il tramite della trafila dei rami di un albero, pur di raggiungermi quanto prima, senza che fossero riusciti ad avvistare , prima di essere richiamati dalle mie grida, alcuna cava con immagini di cervi o d’altri animali e di cacciatori, purtuttavia avevano rivenuto e fotorafato quelle di un profilo di Shiva con un cobra sinuoso, di una sagoma femminile rispetto alla quale si interponeva lo spuntone di una roccia.
Di tanta istantanea insensibilità dell'amico alle mie sofferenze, non importava gran che al mio cuore, talmente lo felicitava la gioia che Kailash fosse incolume e vivo, che il suo cimento si riconoscesse a tal punto, come nel suo compito e lavoro vitale, nei servigi al Bapuculturaltours di cui l’avevo insignito della licenza.
Lungo la discesa, meno dolorosa e a me impervia di quanto paventavo, ci avrebbe pur arriso il ritrovamento di alcune sbiadite immagini, color ocra, di animali e di un cacciatore, sotto un incavo a guisa di tettoia.
E addolcitosi, l’amico avrebbe poi sorriso fraterno del mio sgomento atterrito, delle mie immaginazioni cruente, mentre già eravamo di rientro in Khajuraho, e ripensavamo come compensare, con altre escursioni, il mancato ritrovamento dei graffiti preistorici, il disappunto che non fossimo pervenuti a Kishangarh o a Bijpura.
Io, mi ripeteva sul tuk tuk , avevo solo paura degli animali che possono popolare la giungla. Ma la guida andava avanti senza alcun timore di tigri o di cobra”
Caro il nostro Chandu, che tra le braccia di Ajay ancora non aveva preso sonno, senza essersi affatto annoiato, in nostra lunga attesa, fino alle 17 e 30 sul motoricksaw.

Avete avuto paura, su in montagna?” la sua domanda a Kailash quando gli era riapparso.


Oltre i villaggi di Jhamtuli e di Ottapurwa, con Chandu ed Ajay, delizia di noi tutti, in motoricksaw c’eravamo appena inoltrati nello scenario ameno dei lievi rilievi collinari che si profilavano oltre i declivi dei coltivi, che già con Kailash erano insorti i miei senili malumori abituali, nell’ ulteriore splendore dei mattini settembrini ch’erano subentrati alla caligine monsonica che per intere settimane era gravata  tediosa, per il solo futile motivo,  contrariandomi, che aveva scelto di differire la sosta nell’ultima dabha che ancora restava lungo la strada di largo traffico tra Panna e Chhatpupur, senza che ancora si presentasse anche solo una chai-khanè, anche solo un negozietto sotto le cui  lamiere potessimo sorbirci un the, lungo l’arteria accidentata che stavamo percorrendo, di sobbalzo in sobbalzo, continuamente disgregantesi nell’acciotolato dei rivoli d’acqua che ne frammentavano il corso. E già la mia intelligenza, nella sue umoralità nervose, aveva dovuto chinarsi alle superiori ragioni di quella del mio amico, che era contrario ad ogni sosta nei villaggi tra cui trascorrevamo,- non più di qualche foto ai baigneurs e alle baigneuses, lungo il fiume in prossimità del quale si apriva lo slargo in cui il febbraio scorso eravamo stati partecipi di una fiera di villaggio-, prima che in Dewrah non fossimo arrivati finalmente  alla sola meta iniziale del nostro percorso, talmente la lentezza del motorickshaw dilungava i tempi dell’arrivo nel villaggio . Lo sovrasta una fortezza Bundela, ch’era il primo monumento interessante dell’itinerario di cui stavamo anticipando il percorso per i futuri visitatori di Khajuraho e dintorni, che  volessero avvalersi dei servigi del Bapuculturaltours.
Non di meno, a due ore oramai dalla partenza da Khaiuraho, ed a trenta chilometri soltanto di distanza, una sosta si imponeva, anche a Kailash, nelle due locande adiacenti di pietrame e cannicci, che precedono il villaggio di Salaeya di cui era originaria la moglie del fratello Manoj, per uno spuntino di the e di fragranti pokora, non che  per accertare se fosse proponibile ai nostri ipotetici clienti.
Quindi seguitavamo sulla via di Dewrah, dove tra scoscendimenti di rivi, infinità meravigliose di fiori gialli e di gialle farfalle nel rigoglio vegetale, ci addentravamo in un ombroso incantevole percorso forestale, dilettandoci al raduno di famigliole di scimmie dove le radure erano schiuse da pozze d’acqua. Un tempio a Shiva e ad Hanuman precedeva il luminoso specchio lacustre di un talab, il seguente villaggio tortuoso di Amronya, prima che una deviazione ci costringesse a dilungare il percorso traverso Kishanpurah, quando già ci credevamo in dirittura di arrivo a Dewrah. 
L’abitato che in virtù della sua fortezza immaginavo fosse un centro urbano sviluppato quanto Rajnaghar, od altri capoluoghi di tehsil del circondario, appariva un piccolo villaggio per lo più costituito di dimore smaltate di fango, disposte intorno alla modesta prominenza del forte che le sovrastava sul suo dirupo: e il negoziante dello spaccio prossimo alla fermata degli autobus, ci lasciava presto intendere che ben poco c’era da vedere: l’interno del monumento, che figura tra quelli protetti dai dipartimenti archeologici del Madhya Pradesh, era la discarica di carogne di vacche e un ricettacolo di bovini infetti e malati. Con un uomo del posto che ci faceva spontaneamente da guida, non ci restava che girare attorno al cupo fulgore dei suoi bastioni, alla bellezza dell’impianto serrato delle sue cinte murarie sobriamente merlate, anche perché, quando tentando di resistere ai miasmi fetidi provavo ad avventurarmi oltre la scalinata d’accesso, mi ritraeva all’esterno la vista del fondo del corridoio interno,  uno sterrato Pdi solchi di sterco.

 
Erano oramai trascorse le due del pomeriggio, e benché a completamento dell’itinerario restassero ancora da raggiungere l’altro forte di Kishangarh, e il tempio Chandella fortemente intrigante di Brijpura, calamitavo Kailash ad  esplorare almeno il più rilevante dei due siti preistorici nelle vicinanze, le caverne di graffiti ocra, con immagini di cervi e di cacciatori, di Putara-Putaryon Ke Datta, in ragione del fatto stesso che il Bapuculturaltours si sarebbe così potuto fregiare a pieno titolo della prerogativa di offrire escursioni in siti di prehistoric paintings, come preannunciava la card che già io e Kailash avevamo fatto stampare. Stando alla guida del posto da cui ci facevamo accompagnare, ero io il primo dei visitatori stranieri di cui avesse memoria, una indicazione che mi esaltava più di quanto potesse significare un’avvertenza, dopo che le grotte ci erano state prefigurate sulla sommità scoscesa dei colli prospicienti, che verdeggiavano di una giungla boschiva in cui era d’obbligo avventurarsi con chi si era offerto di scortarci come affidabile e indispensabile guida del luogo, dato che vi era segnalata la presenza di fiere. 
Giunti con il motorickshaw alla radura di un fiumicello che precedeva l’ammanto forestale, il dissesto della pista sconsigliava di procedere oltre con il veicolo, sicché io e Kailash facevamo rientrare nel villaggio il conducente con i nostri bambini, lasciando Chandu in affido alla custodia primaria di Ajay, e ci inoltravamo con la guida nell’addensarsi della giungla e delle sue insidie animali.
Tutta la stolidità dei miei presupposti che si potesse essere di ritorno in poco più di un’ora, dai tre chilometri di percorso che ci separavano dalle pitture rupestri secondo sito in rete del direttorato di archeologia del Madhya Pradesh, senza che preavvertisse delle  difficoltà che comportava il cammino, mi si palesava appieno non appena iniziava l’erta, e cominciavo ad accusare il tormento delle mie sofferenze artrosiche agli arti inferiori, la difficoltà a poggiare i miei piedi, senza incavo, tra il percorso roccioso nel folto della boscaglia.
 
L’ascesa era continuamente differita dai miei affanni e lamenti, cui Kailash si attardava a prestare soccorso. Mirabile era la vista dei colli prospicienti oltre il fondovalle, incantevole l’addentrarsi tra i cannneti di “ chara”, sempre più nel folto insidioso di annidantisi cobra, e ancora più in alto, ma ottenebravano ogni senso il dolore e l’affanno, l’ansia angosciata e lo sconforto che stessi sottoponendo il corpo a ciò che non gli era più possibile, eppure sospinto ancora avanti ,dalla determinazione di assicurarmi la vista e l'esperienza di una delle mete di maggiore prestigio prospettate dal  nostro Bapuculturaltours, mentre nessuna delle rocce e delle cavità che raggiungevamo sembrava essere caratterizzata da altre configurazioni che quelle dei suoi rilievi muschiosi rinsecchitisi e dei suoi strati variegati. Intanto, sovrastanti, i dirupi terminali che si facevano imminenti, lasciavano solo presagire che avrei dovuto rinunciare alla mia meta per sua inaccessibilità, proprio quando vi fossimo giunti in prossimità. E poi, ero in grado di affrontare la discesa, o senza soccorsi non sarei rimasto impedito nel bosco?

 
La guida, giunti alle prominenze sovraergentisi degli ultimi scaglioni rocciosi, sembrava avvertirci, secondo quanto Kailash mi lasciava intendere, che proprio sulla loro sommità che mi era preclusa si trovavano le grotte, ma potevamo pur sempre tentare di aggirarli. Solo che al termine penoso del percorso elusivo, mi ritrovavo a soggiacere a dei lastroni su cui mi era impossibile inerpicarmi. Che dunque vi balzasse con la guida il solo Kailash, per raggiungere il miraggio delle grotte preistoriche e trasmettermene le immagini. Lasciato solo, sotto i blocchi pietrosi, nella brezza fragrante lo spirito di sofferta rinuncia si  pacificava e mi quietava, raddolcendomi in ogni mia asperità contro lo stesso  Kailash, per quanto si era fatto sempre più distante, ed estraneo, od insofferente della mia sofferenza fisica, quanto più ero venuto accusandola in continui lamenti ( incontenibili), mostrandosi sempre meno disposto a stare in ascolto delle mie richieste di aiuto, prestandosi  piuttosto a salvare almeno attraverso le sue immagini la nostra esperienza. Ma i minuti passavano, troppi minuti, senza udire più voci, rispetto a quanti ne richiedevano un avvistamento e un sopralluogo nelle sovrastanti vicinanze, e insorgevano sempre più l’ansia, l’angoscia assillante, sulle sorti di Kailash  e della sua guida, su che cosa potesse essere accaduto, che ne spiegasse il persistente silenzio e il mancato ritorno, al mio ritrovarmi abbandonato da solo, nel timore, che in stato d’emergenza, non potessi farcela a ridiscendere con le mie sole forze.
Kallu, Kallu Kailash, - iniziavo a gridare- Kallu, Kallu Kailash, dove sei amico mio?
Un mugolio udivo in risposta, ogni tanto, che pareva essere il grido d’aiuto di chi fosse caduto in un baratro senza più possibilità di scampo, delle parole portate dal vento che sembravano l’ultimo lamento al mondo di chi era già nella morte “ Kailash there isn’t more..”
Atterrito, seguitavo a richiamare il mio amico con ancora più sconforto, “ Kailash, rispondimi da dove vieni, torna indietro a raggiungermi se ancora ti è possibile…”
E se il silenzio fosse stata l’assenza di voci e rumori di un compiuto omicidio, e la guida si stesse apprestando a raggiungermi per finire anche me?
Che mai si stava rivelando quel giorno di luce e di sole, in cui io e Kailash eravamo partiti con i nostri bambini senza timori presaghi, ora che la mia, che la nostra vita, era forse rimasta senza più lui?
Ed era il solo volto della guida che giungevo infine ad avvistare, giù alla fine dello scoscendimento in cui ero riuscito a calarmi.
E Kailash, il mio amico?
Non una parola in risposta.
Si limitava solo a farmi cenno con il capo che stava sopraggiungendo.
Ma dal folto non vedevo ancora pervenire alcuno. Scrutavo ancora, e finalmente intravedevo il suo volto, il suo caro volto, intensamente intento in un compito,
senza che vi fossero disegnate pena ed affanno di sorta.
L'amico aveva solo parole per sgridarmi
Non fosse stato per le tue grida, forse avremmo potuto raggiungere per davvero le grotte”
Si erano inoltrati lungo tutto il pianoro sovrastante, arrischiandosi a discenderne per il tramite della trafila dei rami di un albero, pur di raggiungermi quanto prima, senza che fossero riusciti ad avvistare , prima di essere richiamati dalle mie grida, alcuna cava con immagini di cervi o d’altri animali, e di cacciatori, purtuttavia avevano catturate quelle di un profilo di Shiva con un cobra sinuoso, di una sagoma femminile rispetto alla quale si interponeva lo spuntone di una roccia.
Di tanta istantanea insensibilità dell'amico alle mie sofferenze, non importava gran che al mio cuore, talmente lo felicitava la gioia che Kailash fosse incolume e vivo, che a tal punto il suo cimento si riconoscesse, come nel suo lavoro vitale, nei servigi al Bapuculturaltours di cui l’avevo insignito della licenza.
Lungo la discesa, meno dolorosa e a me impervia di quanto paventavo, ci avrebbe pur arriso il ritrovamento di alcune sbiadite immagini color ocra di animali ,e di un cacciatore, sotto un incavo a guisa di tettoia.
E addolcitosi, l’amico avrebbe poi sorriso fraterno del mio sgomento atterrito, delle mie immaginazioni cruente, mentre già eravamo di rientro in Khajuraho, e ripensavamo come compensare, con altre escursioni, il mancato ritrovamento dei graffiti preistorici, il disappunto che non fossimo pervenuti a Kishangarh o a Bijpura.
Io, mi ripeteva, avevo solo paura degli animali che possono popolare la giungla. Ma la guida andava avanti senza alcun timore di tigri o di cobra”
Caro il nostro Chandu, che tra le braccia di Ajay ancora non aveva preso sonno, senza essersi affatto annoiato, in nostra lunga attesa, fino alle 17 e 30 sul motoricksaw.
Avete avuto paura, su in montagna?” la sua domanda a Kailash quando gli era riapparso.

                                                         25 settembre 2012