( riscrittura agosto-settembre 2013)
Oltre i
villaggi di Jhamtuli e di Ottapurwa, in motoricksaw con Ajay e Chandu , delizia
di noi tutti, c’eravamo appena inoltrati nello scenario ameno dei lievi rilievi
collinari che si profilavano oltre le ondulazioni dei coltivi, nell’ulteriore splendore dei
mattini settembrini ch’erano subentrati alla caligine monsonica che per
intere settimane era gravata tediosa, e già con Kailash erano insorti i
miei senili malumori, per il solo futile motivo che aveva scelto di differire
la sosta nell’ultima dabha che ancora restava lungo la strada di largo
traffico tra Panna e Chhatpupur, senza che lungo l’arteria laterale
accidentata che ora stavamo percorrendo, ancora si presentasse anche solo una
chai-khanè, anche solo un negozietto sotto le cui lamiere potessimo
sorbirci un the, di sobbalzo in sobbalzo al tormentio del fondo continuamente
disgregantesi nell’acciottolato dei rivoli d’acqua che ne frammentavano il
corso. Nelle mie umoralità nervose avevo dovuto chinarmi alle superiori
ragioni indiscutibili del mio amico, che non a torto era contrario ad ogni
sosta nei villaggi tra cui trascorrevamo,- non più di qualche foto ai
baigneurs e alle baigneuses, lungo il fiume in prossimità del quale si apriva
lo slargo in cui il febbraio scorso eravamo stati partecipi di una fiera di
villaggio-, prima che in Dewrah non fossimo arrivati finalmente alla
sola meta iniziale del nostro percorso, talmente la lentezza del motorickshaw
dilungava i tempi dell’arrivo in tale villaggio . Lo sovrasta una fortezza
Bundela, ch’era il primo monumento interessante dell’itinerario di cui
stavamo anticipando il percorso per i futuri visitatori di Khajuraho e
dintorni, che volessero avvalersi dei servigi del Bapuculturaltours.
Non di meno,
a due ore, oramai, dalla partenza da Khajuraho, da cui eravamo ancora
distanti na trentina di chilometri appena, una sosta si imponeva
anche a Kailash, nelle due locande adiacenti, di pietrame e cannicciate, che
precedono il villaggio in altura di Salaeya, di cui Kailash sapeva soltanto
che ne era originaria la moglie del fratello Manoj, per uno spuntino di the e
di fragranti pokora, non che per accertare se fosse proponibile ai
nostri ipotetici clienti.
Quindi
seguitavamo sulla via di Dewrah, dove tra scoscendimenti di rivi, infinità
meravigliose di fiori gialli e di gialle farfalle nel rigoglio vegetale, ci
addentravamo in un ombroso incantevole percorso forestale, dilettandoci al
raduno di famigliole di scimmie, dove le radure erano schiuse da pozze
d’acqua. Un tempio a Shiva e ad Hanuman precedeva il luminoso specchio
lacustre di un talab, il seguente villaggio tortuoso di Amronya nel varco ai
piedi di un rilievo intorno al quale si era propagato, prima che una deviazione ci costringesse a
dilungare il percorso traverso Kishanpurah, quando già ci credevamo in
dirittura di arrivo a Dewrah.
L’abitato
che in virtù della sua fortezza immaginavo fosse un centro urbano sviluppato
quanto Rajnaghar, od altri capoluoghi di tehsil del circondario, appariva un
piccolo villaggio per lo più costituito di dimore smaltate di fango, disposte
intorno alla modesta prominenza del forte che le sovrastava sul suo dirupo: e
il negoziante dello spaccio prossimo alla fermata degli autobus, ci lasciava
presto intendere che ben poco c’era da vedere: l’interno del monumento, che
figura tra quelli protetti dai dipartimenti archeologici del Madhya Pradesh,
era la discarica di carogne di vacche e un ricettacolo di bovini infetti e
malati. Con un uomo del posto che ci faceva spontaneamente da guida, non ci
restava che girare attorno al cupo fulgore dei suoi bastioni, alla bellezza
dell’impianto serrato delle sue cinte murarie sobriamente merlate, anche
perché, quando tentando di resistere ai miasmi fetidi provavo ad avventurarmi
oltre la scalinata d’accesso, mi ritraeva all’esterno la vista del fondo del
corridoio interno, uno sterrato di solchi di sterco.
Erano
oramai trascorse le due del pomeriggio, e benché a completamento dell’itinerario
restassero ancora da raggiungere l’altro forte di Kishangarh, e il tempio
Chandella fortemente intrigante di Brijpura, calamitavo Kailash ad
esplorare almeno il più rilevante dei due siti preistorici nelle vicinanze,
le caverne di graffiti, con immagini
di cervi e di cacciatori, di Putara-Putaryon Ke Datta, in ragione del fatto
stesso che il Bapuculturaltours si sarebbe così potuto fregiare a pieno
titolo della prerogativa di offrire escursioni in siti di prehistoric
paintings, come preannunciava la card che già io e Kailash avevamo fatto
stampare. Stando alla guida del posto da cui ci facevamo accompagnare, ero io
il primo dei visitatori stranieri di cui avesse memoria, una indicazione che
mi esaltava più di quanto potesse significare un’avvertenza, dopo che le
grotte ci erano state prefigurate sulla sommità scoscesa dei colli
prospicienti, che verdeggiavano di una giungla boschiva in cui era d’obbligo
avventurarsi con chi si era offerto di scortarci come affidabile e
indispensabile guida del luogo, dato che vi era segnalata la presenza di
fiere.
Giunti
con il motorickshaw alla radura di un fiumicello che precedeva l’ammanto
forestale, il dissesto della pista sconsigliava di procedere oltre con il
veicolo, sicché io e Kailash facevamo rientrare nel villaggio il conducente
con i nostri bambini, lasciando Chandu in affido alla custodia primaria di
Ajay, e ci inoltravamo con la guida nell’addensarsi della giungla e delle sue
insidie animali.
Tutta la
stolidità dei miei presupposti che si
potesse essere di ritorno in poco più di un’ora dai tre chilometri di
percorso che ci separavano dalle pitture rupestri, secondo il sito in rete del direttorato di
archeologia del Madhya Pradesh, dove non figurava alcun preavvertimento
delle difficoltà che comportava il cammino, mi si palesava appieno non
appena iniziava l’erta, e cominciavo ad accusare il tormento delle mie
sofferenze artrosiche agli arti inferiori, la difficoltà a poggiare i miei
piedi, senza incavo, tra il percorso roccioso nel folto della boscaglia.
L’ascesa
era continuamente differita dai miei affanni e lamenti, cui Kailash si
attardava a prestare soccorso. Mirabile era la vista dei colli prospicienti
oltre il fondovalle, incantevole l’addentrarsi tra i cannneti di “ chara”,
sempre più nel folto insidioso di annidantisi cobra, e ancora più in alto, ma
ottenebravano ogni senso il dolore e l’affanno, l’ansia angosciata e lo
sconforto che stessi sottoponendo il corpo a ciò che non gli era più
possibile, eppure sospinto ancora avanti ,dalla determinazione di assicurarmi
la vista e l'esperienza di una delle mete di maggiore prestigio prospettate
dal nostro Bapuculturaltours, mentre nessuna delle rocce e delle cavità
che raggiungevamo sembrava essere caratterizzata da altre configurazioni che
quelle dei suoi rilievi muschiosi rinsecchitisi e dei suoi strati variegati.
Intanto, sovrastanti, i dirupi terminali che si facevano imminenti,
lasciavano solo presagire che avrei dovuto rinunciare alla mia meta per sua
inaccessibilità, proprio quando vi fossimo giunti in prossimità. E poi, ero
in grado di affrontare la discesa, o senza soccorsi non sarei rimasto
impedito nel bosco?
La guida,
giunti alle prominenze sovraergentisi degli ultimi scaglioni rocciosi,
sembrava avvertirci, secondo quanto Kailash mi lasciava intendere, che
proprio sulla loro sommità che mi era preclusa si trovavano le grotte delle
pitture preistoriche, ma potevamo pur sempre tentare di aggirarli. Solo che
al termine penoso del percorso elusivo, mi ritrovavo a soggiacere a dei lastroni
su cui mi era impossibile inerpicarmi. Che dunque vi balzasse con la guida il
solo Kailash, per raggiungere il miraggio delle grotte preistoriche e
trasmettermene le immagini. Lasciato solo, sotto i blocchi pietrosi, nella
brezza fragrante lo spirito di sofferta rinuncia si pacificava e mi
quietava, raddolcendomi in ogni mia asperità contro lo stesso Kailash,
per quanto si era fatto sempre più distante, ed estraneo, od insofferente
della mia sofferenza fisica, quanto più ero venuto accusandola in continui
lamenti ( incontenibili), mostrandosi sempre meno disposto a stare in ascolto
delle mie richieste di aiuto, mentre si era prestato, con fervore, a salvare
almeno attraverso le immagini delle
pitture preistoriche ritrovate la nostra esperienza. Ma i minuti passavano,
troppi minuti, senza udire più voci, rispetto a quanti ne richiedevano un
avvistamento e un sopralluogo nelle sovrastanti vicinanze, e insorgevano
sempre più l’ansia, l’angoscia assillante, sulle sorti di Kailash e
della sua guida, su che cosa potesse essere accaduto, che ne spiegasse il
persistente silenzio e il mancato ritorno, al mio ritrovarmi abbandonato da
solo e nel timore, che in stato d’emergenza, non potessi farcela a
ridiscendere con le mie sole forze.
“ Kallu, Kallu
Kailash, - iniziavo a gridare- Kallu, Kallu Kailash, dove sei amico mio?
Un
mugolio udivo in risposta, ogni tanto, che pareva essere il grido d’aiuto di
chi fosse caduto in un baratro senza più possibilità di scampo, delle parole
portate dal vento che sembravano l’ultimo lamento al mondo di chi era già
nella morte “ Kailash there isn’t more..”
Atterrito,
seguitavo a richiamare il mio amico con ancora più sconforto, “ Kailash,
rispondimi da dove ti ritrovi, torna indietro a raggiungermi se ancora ti è
possibile…”
E se il
silenzio fosse stata l’assenza di voci e rumori di un compiuto omicidio, e la
guida si stesse apprestando a raggiungermi per finire anche me?
Che mai
si stava rivelando quel giorno di luce e di sole, in cui io e Kailash eravamo
partiti con i nostri bambini senza timori presaghi, ora che la mia, che la
nostra vita, era forse rimasta senza più lui?
Ed era il
solo volto della guida che giungevo infine ad avvistare, giù alla fine dello
scoscendimento in cui ero riuscito a calarmi.
“ E Kailash, il mio
amico?
Non una
parola in risposta.
Si
limitava solo a farmi cenno con il capo che stava sopraggiungendo.
Ma dal
folto non vedevo ancora pervenire alcuno. Scrutavo ancora, e finalmente
intravedevo il suo volto, il suo caro volto, intensamente intento in un compito,
senza che vi fossero disegnate pena ed affanno di sorta.
L'amico
aveva solo parole per sgridarmi: “Non fosse stato per le tue grida, forse
avremmo potuto raggiungere per davvero le grotte”
Si erano
inoltrati lungo tutto il pianoro sovrastante, arrischiandosi a discenderne
per il tramite della trafila dei rami di un albero, pur di raggiungermi
quanto prima, senza che fossero riusciti ad avvistare , prima di essere
richiamati dalle mie grida, alcuna cava con immagini di cervi o d’altri
animali e di cacciatori, purtuttavia avevano rivenuto e fotorafato quelle di
un profilo di Shiva con un cobra sinuoso, di una sagoma femminile rispetto
alla quale si interponeva lo spuntone di una roccia.
Di tanta
istantanea insensibilità dell'amico alle mie sofferenze, non importava gran
che al mio cuore, talmente lo felicitava la gioia che Kailash fosse incolume
e vivo, che il suo cimento si riconoscesse a tal punto, come nel suo compito
e lavoro vitale, nei servigi al Bapuculturaltours di cui l’avevo insignito
della licenza.
Lungo la
discesa, meno dolorosa e a me impervia di quanto paventavo, ci avrebbe pur
arriso il ritrovamento di alcune sbiadite immagini, color ocra, di animali e
di un cacciatore, sotto un incavo a guisa di tettoia.
E
addolcitosi, l’amico avrebbe poi sorriso fraterno del mio sgomento atterrito,
delle mie immaginazioni cruente, mentre già eravamo di rientro in Khajuraho,
e ripensavamo come compensare, con altre escursioni, il mancato ritrovamento
dei graffiti preistorici, il disappunto che non fossimo pervenuti a
Kishangarh o a Bijpura.
“ Io, mi ripeteva
sul tuk tuk , avevo solo paura degli animali che possono popolare la giungla.
Ma la guida andava avanti senza alcun timore di tigri o di cobra”
Caro il
nostro Chandu, che tra le braccia di Ajay ancora non aveva preso sonno, senza
essersi affatto annoiato, in nostra lunga attesa, fino alle 17 e 30 sul
motoricksaw.
“ Avete avuto
paura, su in montagna?” la sua domanda a Kailash quando gli era riapparso.
Oltre i
villaggi di Jhamtuli e di Ottapurwa, con Chandu ed Ajay, delizia di noi tutti,
in motoricksaw c’eravamo appena inoltrati nello scenario ameno dei lievi
rilievi collinari che si profilavano oltre i declivi dei coltivi, che già con
Kailash erano insorti i miei senili malumori abituali, nell’ ulteriore
splendore dei mattini settembrini ch’erano subentrati alla caligine monsonica
che per intere settimane era gravata tediosa, per il solo futile motivo,
contrariandomi, che aveva scelto di differire la sosta nell’ultima dabha
che ancora restava lungo la strada di largo traffico tra Panna e Chhatpupur,
senza che ancora si presentasse anche solo una chai-khanè, anche solo un
negozietto sotto le cui lamiere potessimo sorbirci un the, lungo
l’arteria accidentata che stavamo percorrendo, di sobbalzo in sobbalzo,
continuamente disgregantesi nell’acciotolato dei rivoli d’acqua che ne
frammentavano il corso. E già la mia intelligenza, nella sue umoralità nervose,
aveva dovuto chinarsi alle superiori ragioni di quella del mio amico, che era
contrario ad ogni sosta nei villaggi tra cui trascorrevamo,- non più di qualche
foto ai baigneurs e alle baigneuses, lungo il fiume in prossimità del quale si
apriva lo slargo in cui il febbraio scorso eravamo stati partecipi di una fiera
di villaggio-, prima che in Dewrah non fossimo arrivati finalmente alla
sola meta iniziale del nostro percorso, talmente la lentezza del motorickshaw
dilungava i tempi dell’arrivo nel villaggio . Lo sovrasta una fortezza Bundela,
ch’era il primo monumento interessante dell’itinerario di cui stavamo
anticipando il percorso per i futuri visitatori di Khajuraho e dintorni,
che volessero avvalersi dei servigi del Bapuculturaltours.
Non di
meno, a due ore oramai dalla partenza da Khaiuraho, ed a trenta chilometri
soltanto di distanza, una sosta si imponeva, anche a Kailash, nelle due locande
adiacenti di pietrame e cannicci, che precedono il villaggio di Salaeya di cui
era originaria la moglie del fratello Manoj, per uno spuntino di the e di
fragranti pokora, non che per accertare se fosse proponibile ai nostri
ipotetici clienti.
Quindi
seguitavamo sulla via di Dewrah, dove tra scoscendimenti di rivi, infinità
meravigliose di fiori gialli e di gialle farfalle nel rigoglio vegetale, ci
addentravamo in un ombroso incantevole percorso forestale, dilettandoci al
raduno di famigliole di scimmie dove le radure erano schiuse da pozze d’acqua.
Un tempio a Shiva e ad Hanuman precedeva il luminoso specchio lacustre di un
talab, il seguente villaggio tortuoso di Amronya, prima che una deviazione ci
costringesse a dilungare il percorso traverso Kishanpurah, quando già ci
credevamo in dirittura di arrivo a Dewrah.
L’abitato
che in virtù della sua fortezza immaginavo fosse un centro urbano sviluppato
quanto Rajnaghar, od altri capoluoghi di tehsil del circondario, appariva un
piccolo villaggio per lo più costituito di dimore smaltate di fango, disposte
intorno alla modesta prominenza del forte che le sovrastava sul suo dirupo: e
il negoziante dello spaccio prossimo alla fermata degli autobus, ci lasciava
presto intendere che ben poco c’era da vedere: l’interno del monumento, che
figura tra quelli protetti dai dipartimenti archeologici del Madhya Pradesh,
era la discarica di carogne di vacche e un ricettacolo di bovini infetti e
malati. Con un uomo del posto che ci faceva spontaneamente da guida, non ci
restava che girare attorno al cupo fulgore dei suoi bastioni, alla bellezza
dell’impianto serrato delle sue cinte murarie sobriamente merlate, anche
perché, quando tentando di resistere ai miasmi fetidi provavo ad avventurarmi
oltre la scalinata d’accesso, mi ritraeva all’esterno la vista del fondo del
corridoio interno, uno sterrato Pdi solchi di sterco.
Erano
oramai trascorse le due del pomeriggio, e benché a completamento
dell’itinerario restassero ancora da raggiungere l’altro forte di Kishangarh, e
il tempio Chandella fortemente intrigante di Brijpura, calamitavo Kailash
ad esplorare almeno il più rilevante dei due siti preistorici nelle
vicinanze, le caverne di graffiti ocra, con immagini di cervi e di cacciatori,
di Putara-Putaryon Ke Datta, in ragione del fatto stesso che il
Bapuculturaltours si sarebbe così potuto fregiare a pieno titolo della
prerogativa di offrire escursioni in siti di prehistoric paintings, come
preannunciava la card che già io e Kailash avevamo fatto stampare. Stando alla
guida del posto da cui ci facevamo accompagnare, ero io il primo dei visitatori
stranieri di cui avesse memoria, una indicazione che mi esaltava più di quanto
potesse significare un’avvertenza, dopo che le grotte ci erano state
prefigurate sulla sommità scoscesa dei colli prospicienti, che verdeggiavano di
una giungla boschiva in cui era d’obbligo avventurarsi con chi si era offerto
di scortarci come affidabile e indispensabile guida del luogo, dato che vi era
segnalata la presenza di fiere.
Giunti con
il motorickshaw alla radura di un fiumicello che precedeva l’ammanto forestale,
il dissesto della pista sconsigliava di procedere oltre con il veicolo, sicché
io e Kailash facevamo rientrare nel villaggio il conducente con i nostri
bambini, lasciando Chandu in affido alla custodia primaria di Ajay, e ci
inoltravamo con la guida nell’addensarsi della giungla e delle sue insidie
animali.
Tutta la
stolidità dei miei presupposti che si potesse essere di ritorno in poco più di
un’ora, dai tre chilometri di percorso che ci separavano dalle pitture rupestri
secondo sito in rete del direttorato di archeologia del Madhya Pradesh, senza
che preavvertisse delle difficoltà che comportava il cammino, mi si
palesava appieno non appena iniziava l’erta, e cominciavo ad accusare il
tormento delle mie sofferenze artrosiche agli arti inferiori, la difficoltà a
poggiare i miei piedi, senza incavo, tra il percorso roccioso nel folto della
boscaglia.
L’ascesa
era continuamente differita dai miei affanni e lamenti, cui Kailash si
attardava a prestare soccorso. Mirabile era la vista dei colli prospicienti
oltre il fondovalle, incantevole l’addentrarsi tra i cannneti di “ chara”,
sempre più nel folto insidioso di annidantisi cobra, e ancora più in alto, ma
ottenebravano ogni senso il dolore e l’affanno, l’ansia angosciata e lo
sconforto che stessi sottoponendo il corpo a ciò che non gli era più possibile,
eppure sospinto ancora avanti ,dalla determinazione di assicurarmi la vista e
l'esperienza di una delle mete di maggiore prestigio prospettate dal
nostro Bapuculturaltours, mentre nessuna delle rocce e delle cavità che
raggiungevamo sembrava essere caratterizzata da altre configurazioni che quelle
dei suoi rilievi muschiosi rinsecchitisi e dei suoi strati variegati. Intanto,
sovrastanti, i dirupi terminali che si facevano imminenti, lasciavano solo
presagire che avrei dovuto rinunciare alla mia meta per sua inaccessibilità,
proprio quando vi fossimo giunti in prossimità. E poi, ero in grado di
affrontare la discesa, o senza soccorsi non sarei rimasto impedito nel bosco?
La guida,
giunti alle prominenze sovraergentisi degli ultimi scaglioni rocciosi, sembrava
avvertirci, secondo quanto Kailash mi lasciava intendere, che proprio sulla
loro sommità che mi era preclusa si trovavano le grotte, ma potevamo pur sempre
tentare di aggirarli. Solo che al termine penoso del percorso elusivo, mi
ritrovavo a soggiacere a dei lastroni su cui mi era impossibile inerpicarmi.
Che dunque vi balzasse con la guida il solo Kailash, per raggiungere il
miraggio delle grotte preistoriche e trasmettermene le immagini. Lasciato solo,
sotto i blocchi pietrosi, nella brezza fragrante lo spirito di sofferta
rinuncia si pacificava e mi quietava, raddolcendomi in ogni mia asperità
contro lo stesso Kailash, per quanto si era fatto sempre più distante, ed
estraneo, od insofferente della mia sofferenza fisica, quanto più ero venuto accusandola
in continui lamenti ( incontenibili), mostrandosi sempre meno disposto a stare
in ascolto delle mie richieste di aiuto, prestandosi piuttosto a salvare
almeno attraverso le sue immagini la nostra esperienza. Ma i minuti passavano,
troppi minuti, senza udire più voci, rispetto a quanti ne richiedevano un
avvistamento e un sopralluogo nelle sovrastanti vicinanze, e insorgevano sempre
più l’ansia, l’angoscia assillante, sulle sorti di Kailash e della sua
guida, su che cosa potesse essere accaduto, che ne spiegasse il persistente
silenzio e il mancato ritorno, al mio ritrovarmi abbandonato da solo, nel
timore, che in stato d’emergenza, non potessi farcela a ridiscendere con le mie
sole forze.
“ Kallu, Kallu
Kailash, - iniziavo a gridare- Kallu, Kallu Kailash, dove sei amico mio?
Un mugolio
udivo in risposta, ogni tanto, che pareva essere il grido d’aiuto di chi fosse
caduto in un baratro senza più possibilità di scampo, delle parole portate dal
vento che sembravano l’ultimo lamento al mondo di chi era già nella morte “
Kailash there isn’t more..”
Atterrito,
seguitavo a richiamare il mio amico con ancora più sconforto, “ Kailash,
rispondimi da dove vieni, torna indietro a raggiungermi se ancora ti è
possibile…”
E se il
silenzio fosse stata l’assenza di voci e rumori di un compiuto omicidio, e la
guida si stesse apprestando a raggiungermi per finire anche me?
Che mai si
stava rivelando quel giorno di luce e di sole, in cui io e Kailash eravamo
partiti con i nostri bambini senza timori presaghi, ora che la mia, che la
nostra vita, era forse rimasta senza più lui?
Ed era il
solo volto della guida che giungevo infine ad avvistare, giù alla fine dello
scoscendimento in cui ero riuscito a calarmi.
“ E Kailash, il mio
amico?
Non una
parola in risposta.
Si limitava
solo a farmi cenno con il capo che stava sopraggiungendo.
Ma dal
folto non vedevo ancora pervenire alcuno. Scrutavo ancora, e finalmente
intravedevo il suo volto, il suo caro volto, intensamente intento in un
compito,
senza che
vi fossero disegnate pena ed affanno di sorta.
L'amico
aveva solo parole per sgridarmi
“ Non fosse stato per
le tue grida, forse avremmo potuto raggiungere per davvero le grotte”
Si erano
inoltrati lungo tutto il pianoro sovrastante, arrischiandosi a discenderne per
il tramite della trafila dei rami di un albero, pur di raggiungermi quanto
prima, senza che fossero riusciti ad avvistare , prima di essere richiamati
dalle mie grida, alcuna cava con immagini di cervi o d’altri animali, e di
cacciatori, purtuttavia avevano catturate quelle di un profilo di Shiva con un
cobra sinuoso, di una sagoma femminile rispetto alla quale si interponeva lo
spuntone di una roccia.
Di tanta
istantanea insensibilità dell'amico alle mie sofferenze, non importava gran che
al mio cuore, talmente lo felicitava la gioia che Kailash fosse incolume e
vivo, che a tal punto il suo cimento si riconoscesse, come nel suo lavoro
vitale, nei servigi al Bapuculturaltours di cui l’avevo insignito della
licenza.
Lungo la
discesa, meno dolorosa e a me impervia di quanto paventavo, ci avrebbe pur
arriso il ritrovamento di alcune sbiadite immagini color ocra di animali ,e di
un cacciatore, sotto un incavo a guisa di tettoia.
E
addolcitosi, l’amico avrebbe poi sorriso fraterno del mio sgomento atterrito,
delle mie immaginazioni cruente, mentre già eravamo di rientro in Khajuraho, e
ripensavamo come compensare, con altre escursioni, il mancato ritrovamento dei
graffiti preistorici, il disappunto che non fossimo pervenuti a Kishangarh o a
Bijpura.
“ Io, mi ripeteva,
avevo solo paura degli animali che possono popolare la giungla. Ma la guida
andava avanti senza alcun timore di tigri o di cobra”
Caro il
nostro Chandu, che tra le braccia di Ajay ancora non aveva preso sonno, senza
essersi affatto annoiato, in nostra lunga attesa, fino alle 17 e 30 sul
motoricksaw.
“ Avete avuto paura,
su in montagna?” la sua domanda a Kailash quando gli era riapparso.
25 settembre 2012