venerdì 3 settembre 2010

dal mio ritorno

Da quando, con il mio rientro dall India, mi sono distaccato anche dal piccolo Chandu,il mio adorato figlio adottivo, mi sono valso del distanziamento per sdoppiarlo dal fratello Sumit, il lutto per la cui perdita era stato riassorbito a tal punto dal suo rivivere in Chandu, che non lo avvertivo più come un sentimento reale. Mi era intollerabile questa seconda perdita di Sumit, che la realtà della vita avesse tanta forza da vanificarne anche il ricordo, che come un cucciolo domestico potesse a tal punto essere stato sostituito da Chandu nei miei affetti.
La gioia con cui nel Karim restaurant di Delhi gustavo ( celebravo) l'esultanza di esservi di ritorno , di riassaporarvi la cucina moghul tra il clamore degli inservienti giovani e degli uomini che ne godevano le pietanze attavolati e festanti, distolti da ogni affanno dal piacere di mangiarvi insieme cicken mughlai o moutton kebab, era stata di una tale esuberanza vitale da annichilirvi nell'estasi dello stato presente ogni mia forma di dolore possibile, ogni sentimento del mio bambino morto che evocavo invano per sentirlo ancora in me presente.
Recuperarlo, ritrovarlo nel lutto, è stato l'imperativo dei miei giorni seguenti, quando ne ho ripreso le immagini più strazianti e ne ho ottenuto le fotografie che tengo nella camera di letto. Sono la sua foto, scattata da Kailash, mentre ne ne sta a sedere, nel suo stupore attento alla realtà circostante del cortile di casa, sulla lettiera indiana insieme con il fratellino ch'era sopraggiunto, a nemmeno un mese dalla sua morte imminente, sono la foto ravvicinata in cui mi viene incontro radiante di gioia, gli occhi che gli si spalancano per la felicità( più piena ed) esultante di vivere la vita.
Cosi la pena della sofferenza del lutto si è ripresa la mia esistenza( la mia vita), ma io ho ritrovato in me Sumit, nella mia fedeltà affettiva all'inconsolabilità della sua irrimediabile perdita, finchè io permanga in questa valle di lacrime, allo strazio di ogni mancato sviluppo, nel tempo, della sua unicità distrutta nel suo primo sbocciare.

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