mercoledì 8 dicembre 2010

Nelle pagine al fratello Teo di Vincent van Gogh

Nelle pagine al fratello Teo di Vincent Van Gogh, che ho avuto modo di leggere ritrovandole nella tesi di teologia dell'amico Paolo Zanetti, ove Vincent parla della propria rivolta contro la fatalità, quante pagine ho ritrovato della mia esistenza- o inesistenza- artistica d'un tempo, rinvenendovi l'accoramento della mia perenne impotenza ad emergere, tra le stesse invincibili sbarre contro le quali io stesso sbattevo la testa, l'occlusione in ragione della quale per gli altri, nonostante il talento che si mostra nel dilatarne gli orizzonti, nel farne trascendere l'esperienza con la propria ricchezza di senso, quale che sia la provenienza del loro percorso, si è sempre solo il figlio,l'amico, il fratello, l'insegnante o il collega di lavoro particolare, per il fatto stesso che si è loro figlio, fratello, amico, codocente od insegnante.
Certo, mi avesse arriso il successo, avrei guardato oltre quando ho ( avessi) incrociato in India il volto e lo sguardo di Kailash, e ci siamo riconosciuti da un'altra vita, non avrei avuto accesso al dono d'amore e di morte della sua famiglia, nè l'amerei tanto nella stessa lotta senza speranze con cui spera ogni giorno di uscire anch'egli dalle sbarre della gabbia contro cui ha cozzato e seguita a cozzare pazzo di dolore, nel tentativo di garantirsi con una buona vita, con il benessere che non avremo mai modo di assicurare ai suoi, ai nostri figli, il good kharma di una reincarnazione in una vita meno orribile di quanto gli possono apparire i suoi giorni amari.
Non cercherei di essere per lui l'amico, il fratello, il padre che non ho avuto e che non sono stato altrimenti, pur con tutto l'onore e l'amore che devo al sacrificio doloroso ed oscuro della sua vita compiuto per me da mio padre.
E chissà, anzichè crescere e fruttificare potato dalla sventura nel sottobosco, svetterei alto nei frutti malefici del conquistato successo, e tra splendidi serpenti lungo la sua corteccia, annidati tra sempreverdi foglie, triste e solitario e finale, sarei il lungo tramonto del geloso possesso del mio conclamato grido nella più lussuosa ricchezza.
Mentre," intanto il prigioniero continua a vivere e non muore, nulla traspare di quello che prova, sta bene e il raggio di sole riesce a rallegrarlo" .
" Ma che cosa ha mai?- chiedendosi intornodivertiti e compassionevoli, o ridendone, quando io trasalga o sussulti, ancora mi dibatta.
Lo so, " lo so che c'è anche la liberazione, la liberazione tardiva", pensando anch'io nella mia remissione ulteriore.

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