martedì 18 ottobre 2011

lettera calcedoniana a don Ulisse Bresciani

Caro don Ulisse,
sono Bergamaschi.
Finalmente mi sono risolto ad inviarle la mia recensione de “La lotta per la vita” di Enzo Bianchi, che già mi ero ripromesso di scrivere per inoltrargliela ai primi di maggio, allorchè mi ha incontrato in Sant’Andrea e mi ha chiesto che cosa ne pensassi, senza da me ricevere una effettiva risposta. .
I giorni avanti, infatti, avevo lasciato in sospeso la lettura in cui mi ero reimmerso sotto i suoi occhi, una settimana prima, nella saletta d’attesa dell’ambulatorio medico in cui ci siamo ritrovati alcune settimane or sono, a distanza di mesi.
Nel frattempo sono mutate le aspettative e le sollecitazioni con cui mi sono rivolto al testo , come si può intendere in controluce nelle conclusioni seguenti.
La lotta per la vita di Enzo Bianchi non è una lotta per la vita di natura puramente spirituale nella sua universalità. E' una lotta per la vita eminentemente cristiana. Nella fede nella resurrezione di Cristo è fondata in radice. E non può essere vinta senza l'apertura dello spirito a una grazia divina. E' una lotta che può incorporare la meditazione buddista o di altre tradizioni, ma che non può essere incorporata in una pratica buddistha, o altrimenti ispirata, che sia ateologica.
Per la mia esperienza dell’amore in Dio del prossimo, e dell'amore di Dio mediante l’amore del prossimo, per quanto trovi ammirevole l’opera, soprattutto nel raffronto esegetico tra le pagine della tentazione di Adamo e di quella di Gesù e la Lettera ai Filippesi, non so dirle quanti anticorpi contenga il pensiero spirituale di Enzo Bianchi, per aiutare a discernere se la propria lotta spirituale è animata nella sua dinamica dalla conformità con Cristo o dalla fede dei diavoli.
Opere spiritualmente meno accreditate, o screditate, come quelle di Anthony de Mello, mi sono in questo un sostegno più illuminante
Quanto alle altre letture di cui le inoltro le recensioni, che ho redatto per ordinare le mie idee e per una loro pubblicazione impossibile sulla Cittadella, nonostante tutta la benevolenza di Benito Regis nei miei riguardi, l'una concernente le introduzioni di Ramon Panikkar alla propria Opera omnia, l'altra un raffronto illuminante tra l' umanesimo ateo di Camus ed il cristianesimo di Dietrich Bonhoeffer, lo Spirito unificante che vi ho inteso soffiare, così come nell' ispirazione della generalità delle teologie critiche dei Magisteri ecclesiastici recentemente edite in Italia, è in verità la concelebrazione della stessa cristologia calcedoniana, che è pienamente riaffermata dall'ontologia che le accomuna, ossia dalla loro concezione della realtà divina quale realtà al tempo stesso dell' uomo e del mondo, che s'invera in un'ontonomia secondo la quale la separazione o la confusione di ciò che in Cristo o nello Spirito è indiviso e distinto, costituisce la natura del peccato o l’errore del male, per quanto della realtà del peccato può essere comunque compreso dal lume naturale e dalle altre esperienze religiose-. Quanto sostengo l'ho ritrovato enfaticamente esaltato da Fabrice Hajadi nel suo ammirevole – e urticante- “La Fede dei demoni” ( vedi il capitoletto Il principio di Calcedonia sestuplicità dell'errore e altro..,” a pg. 144 dell'edizione italiana)
La saluto con gratitudine e affetto.
Odorico Bergamaschi
Post Scripta
A) Arnaud Corbic riferisce come “ Bonhoeffer che aveva insegnato cristologia all'università nel 1933, avesse trattato del Concilio di Calcedonia. Aveva dimostrato che non si deve “ cosificare” la formulazione dogmatica di questo concilio ma vedervi l'apertura al mistero concreto dell'Unico. ...Il Verbo illumina ogni uomo e ogni cosa. … Se Dio ha riconciliato in Gesù Cristo il cielo e la terra, né il dualismo né il monismo si concilieranno con un pensiero cristiano, ma solo una polifonia” (a pgg. 36 e 37 dell'edizione italiana di Camus e Bonhoeffer )

B) In India ho riscontrato una profonda corrispondenza tra la concezione cristologica della kenosis e quella hindù, diffusa tra i comuni pandit più che nei testi autorevoli, della umana paro-upkar o donazione di sè, al pari di come l'albero dona ad animali ed uomini la sua ombra ed i suoi frutti, senza nulla pretendere di ricevere o di potersi attendere in cambio.

Nota ulteriore
La cosmoteandria non riduce forse la trascendenza divina all' infinità e alla libertà della creatività continua della Natura Naturans che è immanente alla Natura Naturata?
Npn risolve forse Dio nella sua sola natura economica in relazione al Creato, senza lasciare residui all'intima vita divina intratrinitaria, alla sofia increata dell'autorivelazione di Dio in sè stesso?( Bulgakov).

E ancora. c’è una realtà effettiva (positiva) del male, o il male è solo privazione del bene? è effettuale una ontologia e ontonomia satanica, ci sono comunioni e condivisioni maligne, od ogni reale comunione e condivisione è benigna, e il male è solo unione apparente, sempre oppone e distrugge, tanto più quando sembra unificare e interpenetrare, secondo una dinamica del male mimetica e antitetica al contempo?

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