lunedì 25 marzo 2013

dopo allahabad

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Dopo il viaggio in Allahabad

“Noi li tagliamo”, nel defilarsi mi ha precisato la sorella, non poco compiacendosene, a proposito del rosario hindu con cui ero comparso alla Messa.
E dove mai l’avevo acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto di fatale perdizione idolatrica,  meritevole solo di ogni più devoto accanimento di resezione dell’ impuro.
Loro non taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle loro scuole, ho replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che dovrei sottostare alla richiesta della sorella di non comparire con simboli hindu ad una Messa.
Non è affatto cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il suo solo concepimento mi risuonava quanto mai empio e blasfemo, non meno del rifiuto dell’ex vescovo di Varanasi di benedire i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché erano Hindu.
Quasi che Cristo, anziché per la totale salvazione del genere umano, si fosse incarnato per la sua dannazione generale, come accadrebbe fatalmente, se per salvarsi invece che il vivere bene, fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico e nella sua Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato ed attinto dentro ogni orizzonte di fede e di vita.
 Essere indiani, per i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho,  sembra che piuttosto che il convertirsi alle ragioni di fede di hindu, jain, siks, o muslims, significhi il farsi compartecipe della idolatria dei propri connazionali per il cricket, o che per le sorelle sia il condividere l adorazione infantile per i mortaretti o quella alimentare del dahl, inzuppandovi gaudiosamente le mani, non che per ogni ordine ecclesiastico riconoscersi nei sacri proventi e privilegi secolari che assicurano loro gli ordinamenti civili indiani.
Ne sono stati per me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici estesi nella loro imponenza per interi isolati stradali, che primeggiano in città in cui i cristiani sono poco più di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e Allahabad, dove il Saint Joseph College non era certo l’unico istituto religioso, che si rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi imposto di nuovo e lungamente alla vista, mentre facevo ritorno alla stazione centrale dalle Civiles Lines, dove mi ero perso per l’intero pomeriggio nella sola sezione statuaria del grande museo.
Dunque era vero che vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello stupa di Bharuth, quali quello degli acrobati sovrapposti in elevazione, od il brano di una jataka in cui comparivano capanne dell’epoca Shunga, non solo, oltre ad innumerevoli splendide opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh, di epoca gupta, o il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte gupta ancora rammemorava il naturalismo, a splendide rappresentazioni del Buddha risalenti alla scuola di Sarnath, o di Shiva e Parvati, nei loro celestiali sponsali, che sono state asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine religiosa provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli ornamentali e le chaitya degli oculi solari, contornanti divinità quali Mahisha Suramardini, del tempio che finora ho mancato di andare a vedere di Bhumara, sicchè, in un itinerario nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho, raggiungendo Buhmara da Nachna Kuthara, per poi dirigersi a Maihar, e lungo la strada per Rewa, ai luoghi ed ai siti del museo di Ramvan e della stupa di Bharuth, seguitando sulla via per Allahabad che conduce agli stupa di Dor Khotar, prima di pervenire alle sole fondamenta di quelli che furono eretti dallo stesso Ashoka in Kausambi, dove è dato di visitare i resti dei monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose l' Itivuttaka, l’approdo al museo di Allahabad avrebbe significato il ritrovamento figurativo incantevole delle superstiti vestigia figurative di quei templi e stupa che si siano già visitati, od evocati nel sito medesimo in cui sorsero.
Un’esperienza estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa alla Sangam, del giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri fiumi non avevo ritrovato pressoché più nulla della Maha Kumbh mela. Soltanto le
infinitudini dei pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio percorso dal vento che non era infranto che dal rumore dei camion che asportavano le travature dei ponti galleggianti che erano sospesi sulle acque poco più che reflue del Gange, in cui della festa hindu non sopravvivevano che poche ghirlande di calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di alcune pedane di vasi sanitari.
Da altre maestranze anche le tubature fognarie venivano rimosse con le scavatrici, che aprivano pertanto voragini nel letto in secca del fiume, le passerelle di ferro dei vari percorsi di raccordo, sul greto sabbioso, seguitavano ad essere schiodate e rimosse ad una ad una.
Ad ondate salienti risaliva il furore di avere mancato l’appuntamento con l’evento, fallendolo una prima volta quando ho tentato di approdarvi in fuga da Khajuraho, talmente la mente vi era stravolta per avere subito i clamori notturni delle feste nuziali e la lettura avvenuta a tutto volume del Ramayana, in una casa accanto, per potersi ritrovare nei carnai hindu dellla Maha Khumb Mela, al punto che mi sono arenato in Chitrakoot, prima di Allahabad, ed oltre la sua stazione ferroviaria, vessata dalla pioggia, nell’approdo illusoriamente consolatorio, in Sarnath, delle parole misticamente disincantate con cui Valentino si ritraeva da ogni coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh mela “ E’ solo superstizione. Prendono tutto alla lettera, ed invece di purificare la mente con le acque dello spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più merda che acqua, per poi tornare alle loro case santificati e più truffatori di prima…”
Ed io stesso, come se tale demistificazione potesse distogliermi dalla mia frustrazione incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a tale sua deprecazione del Maha kumbh mela, inoltrandogli le pagine del Sarvatirthamahatmya del Garuda Purana: "Ma il santuario più alto è la meditazione sul Brahman; il controllo dei sensi è un altro luogo santo; la disciplina interiore è un supremo tirtha e la purezza del cuore un lago santo. Colui che compie un’abluzione in un tirtha spirituale, nello stagno della conoscenza, nell'acqua della meditazione profonda, che distrugge l'impurità derivante da attrazione e repulsione, costui si avvia alla meta suprema.”. La frustrazione irreparabile della mia aspirazione a dare coronamento alla trasposizione immaginativo-letteraria nelle mie ecloghe di un anno di vita indiana, con la mia esperienza tradotta in versi del massimo evento hindu, ben altro combustibile avrebbe trovato alla sua rabbia furente, nell'uno o nell’altro dei passi, a mia libera scelta, della Gangamahatmya del Naradapurana: " Chi uccide un brahman, il proprio guru o una vacca, il ladro e colui che viola il talamo del guru, tutti costoro sono purificati dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su questo”.
Nella proiettività della mia miseria diuturna, sapevo a memoria con chi prendermela, con l'amico del mio cuore, appunto, che nella sua possessività egocentrica, nello stravolgere con le sue renitenze la mia mente votatasi alla missione impossibile di farne un lavoratore attivo, in uno spirito di rinuncia sacrificale che si era obbligato al suo servizio effettivo permanente, diveniva il colpevole primo del fatto che avessi mancato di vivere tale evento, che mi fossi ad esso sottratto o che ne fossi stato distolto, un evento, la Maha Kumbh mela, che avrebbe potuto risarcirmi di un anno vissuto in India senza esservi che un viaggiatore e un conoscitore sporadico.
La livida collera che con lui trattenevo al telefono,minimizzando i pellegrini e i sadhu residui, uno più automatico dell'altro nel chiedermi una baksheesh, era già immemore delle sue lacrime e del dispiacere con cui tutta quanta la sua famiglia si era rassegnata a dovermi lasciare partire solo per alcuni giorni, e mi avrebbe ulteriormente esasperato l'animo che l'indisponibilità di posti per il giorno seguente, mi fosse di impedimento a restare in Allahabad un giorno ancora, per recarmi a Kaushambi, visitare in Allahabad di nuovo le tombe del Khusro bagh, più di quanto non mi avesse consentito un accesso furtivo, a sera inoltrata, prima della partenza, tra le presenze fantasmatiche degli omosessuali che vi cercavano incontri, ombre umane tra quelle dimore ultraterrene, che per quanto magnificenti, a distanza di anni, quando le visitai in concomitanza con la Ardh Kumbh Mela, mi ricomparivano come residenze celestiali di principi e regine madri, senza trascendersi nella sublimità di trono di gloria dell'Altissimo, cui si eleva imperituro il Taj Mahal
The train one, one, one, ek, ek, ek, is" normally late" 2, 3, ..11 hours,” avrebbe poi risuonato di continuo l'altoparlante, nella Junction railway's station di Allahabad. E' l'India, bellezza,  intanto mi ripetevo per adattarmi al ritardo, per il quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del pomeriggio anziché alle sette del mattino
Marzo 2013



Dopo il viaggio in Allahabad

“Noi li tagliamo”, nel defilarsi mi ha precisato la sorella, non poco compiacendosene, a proposito del rosario hindu con cui ero comparso alla Messa.
E dove mai l’avevo acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto di fatale perdizione idolatrica,  meritevole solo di ogni più devoto accanimento di resezione dell’ impuro.
Loro non taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle loro scuole, ho replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che dovrei sottostare alla richiesta della sorella di non comparire con simboli hindu ad una Messa.
Non è affatto cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il suo solo concepimento mi risuonava quanto mai empio e blasfemo, non meno del rifiuto dell’ex vescovo di Varanasi di benedire i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché erano Hindu.
Quasi che Cristo, anziché per la totale salvazione del genere umano, si fosse incarnato per la sua dannazione generale, come accadrebbe fatalmente, se per salvarsi invece che il vivere bene, fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico e nella sua Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato ed attinto dentro ogni orizzonte di fede e di vita.
 Essere indiani, per i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho,  sembra che piuttosto che il convertirsi alle ragioni di fede di hindu, jain, siks, o muslims, significhi il farsi compartecipe della idolatria dei propri connazionali per il cricket, o che per le sorelle sia il condividere l adorazione infantile per i mortaretti o quella alimentare del dahl, inzuppandovi gaudiosamente le mani, non che per ogni ordine ecclesiastico riconoscersi nei sacri proventi e privilegi secolari che assicurano loro gli ordinamenti civili indiani.
Ne sono stati per me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici estesi nella loro imponenza per interi isolati stradali, che primeggiano in città in cui i cristiani sono poco più di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e Allahabad, dove il Saint Joseph College non era certo l’unico istituto religioso, che si rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi imposto di nuovo e lungamente alla vista, mentre facevo ritorno alla stazione centrale dalle Civiles Lines, dove mi ero perso per l’intero pomeriggio nella sola sezione statuaria del grande museo.
Dunque era vero che vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello stupa di Bharuth, quali quello degli acrobati sovrapposti in elevazione, od il brano di una jataka in cui comparivano capanne dell’epoca Shunga, non solo, oltre ad innumerevoli splendide opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh, di epoca gupta, o il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte gupta ancora rammemorava il naturalismo, a splendide rappresentazioni del Buddha risalenti alla scuola di Sarnath, o di Shiva e Parvati, nei loro celestiali sponsali, che sono state asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine religiosa provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli ornamentali e le chaitya degli oculi solari, contornanti divinità quali Mahisha Suramardini, del tempio che finora ho mancato di andare a vedere di Bhumara, sicchè, in un itinerario nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho, raggiungendo Buhmara da Nachna Kuthara, per poi dirigersi a Maihar, e lungo la strada per Rewa, ai luoghi ed ai siti del museo di Ramvan e della stupa di Bharuth, seguitando sulla via per Allahabad che conduce agli stupa di Dor Khotar, prima di pervenire alle sole fondamenta di quelli che furono eretti dallo stesso Ashoka in Kausambi, dove è dato di visitare i resti dei monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose l' Itivuttaka, l’approdo al museo di Allahabad avrebbe significato il ritrovamento figurativo incantevole delle superstiti vestigia figurative di quei templi e stupa che si siano già visitati, od evocati nel sito medesimo in cui sorsero.
Un’esperienza estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa alla Sangam, del giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri fiumi non avevo ritrovato pressoché più nulla della Maha Kumbh mela. Soltanto le
infinitudini dei pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio percorso dal vento che non era infranto che dal rumore dei camion che asportavano le travature dei ponti galleggianti che erano sospesi sulle acque poco più che reflue del Gange, in cui della festa hindu non sopravvivevano che poche ghirlande di calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di alcune pedane di vasi sanitari.
Da altre maestranze anche le tubature fognarie venivano rimosse con le scavatrici, che aprivano pertanto voragini nel letto in secca del fiume, le passerelle di ferro dei vari percorsi di raccordo, sul greto sabbioso, seguitavano ad essere schiodate e rimosse ad una ad una.
Ad ondate salienti risaliva il furore di avere mancato l’appuntamento con l’evento, fallendolo una prima volta quando ho tentato di approdarvi in fuga da Khajuraho, talmente la mente vi era stravolta per avere subito i clamori notturni delle feste nuziali e la lettura avvenuta a tutto volume del Ramayana, in una casa accanto, per potersi ritrovare nei carnai hindu dellla Maha Khumb Mela, al punto che mi sono arenato in Chitrakoot, prima di Allahabad, ed oltre la sua stazione ferroviaria, vessata dalla pioggia, nell’approdo illusoriamente consolatorio, in Sarnath, delle parole misticamente disincantate con cui Valentino si ritraeva da ogni coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh mela “ E’ solo superstizione. Prendono tutto alla lettera, ed invece di purificare la mente con le acque dello spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più merda che acqua, per poi tornare alle loro case santificati e più truffatori di prima…”
Ed io stesso, come se tale demistificazione potesse distogliermi dalla mia frustrazione incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a tale sua deprecazione del Maha kumbh mela, inoltrandogli le pagine del Sarvatirthamahatmya del Garuda Purana: "Ma il santuario più alto è la meditazione sul Brahman; il controllo dei sensi è un altro luogo santo; la disciplina interiore è un supremo tirtha e la purezza del cuore un lago santo. Colui che compie un’abluzione in un tirtha spirituale, nello stagno della conoscenza, nell'acqua della meditazione profonda, che distrugge l'impurità derivante da attrazione e repulsione, costui si avvia alla meta suprema.”. La frustrazione irreparabile della mia aspirazione a dare coronamento alla trasposizione immaginativo-letteraria nelle mie ecloghe di un anno di vita indiana, con la mia esperienza tradotta in versi del massimo evento hindu, ben altro combustibile avrebbe trovato alla sua rabbia furente, nell'uno o nell’altro dei passi, a mia libera scelta, della Gangamahatmya del Naradapurana: " Chi uccide un brahman, il proprio guru o una vacca, il ladro e colui che viola il talamo del guru, tutti costoro sono purificati dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su questo”.
Nella proiettività della mia miseria diuturna, sapevo a memoria con chi prendermela, con l'amico del mio cuore, appunto, che nella sua possessività egocentrica, nello stravolgere con le sue renitenze la mia mente votatasi alla missione impossibile di farne un lavoratore attivo, in uno spirito di rinuncia sacrificale che si era obbligato al suo servizio effettivo permanente, diveniva il colpevole primo del fatto che avessi mancato di vivere tale evento, che mi fossi ad esso sottratto o che ne fossi stato distolto, un evento, la Maha Kumbh mela, che avrebbe potuto risarcirmi di un anno vissuto in India senza esservi che un viaggiatore e un conoscitore sporadico.
La livida collera che con lui trattenevo al telefono,minimizzando i pellegrini e i sadhu residui, uno più automatico dell'altro nel chiedermi una baksheesh, era già immemore delle sue lacrime e del dispiacere con cui tutta quanta la sua famiglia si era rassegnata a dovermi lasciare partire solo per alcuni giorni, e mi avrebbe ulteriormente esasperato l'animo che l'indisponibilità di posti per il giorno seguente, mi fosse di impedimento a restare in Allahabad un giorno ancora, per recarmi a Kaushambi, visitare in Allahabad di nuovo le tombe del Khusro bagh, più di quanto non mi avesse consentito un accesso furtivo, a sera inoltrata, prima della partenza, tra le presenze fantasmatiche degli omosessuali che vi cercavano incontri, ombre umane tra quelle dimore ultraterrene, che per quanto magnificenti, a distanza di anni, quando le visitai in concomitanza con la Ardh Kumbh Mela, mi ricomparivano come residenze celestiali di principi e regine madri, senza trascendersi nella sublimità di trono di gloria dell'Altissimo, cui si eleva imperituro il Taj Mahal
The train one, one, one, ek, ek, ek, is" normally late" 2, 3, ..11 hours,” avrebbe poi risuonato di continuo l'altoparlante, nella Junction railway's station di Allahabad. E' l'India, bellezza,  intanto mi ripetevo per adattarmi al ritardo, per il quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del pomeriggio anziché alle sette del mattino
Marzo 2013


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