venerdì 5 aprile 2013

6 aprile


Kailash, immensamente caro, a notte inoltrata finalmente ha trovato il suo sonno  occupando il mio letto,  nella stanza della televisione Vimala e i bambini si godono ora il riposo di una vita serena, mentre io solo insonne, custodisco la mancanza insostenibile di Sumit.alla nostra unione familiare
Nei campi circostanti Khajuraho, alla cui vita agreste  l'altro ieri ho fatto ritorno da Delhi, ancora compaiono ampie distese di grano, tra i coltivi in cui già le spighe ne sono state recise e raccolte in mannelli,  una quiete profonda quanto la realtà delle cose sovrintende al lavoro nei campi e alla pastura dei bufali nelle radure,  in un'intensità d'ombre che addensa la pace sotto le fronde.
Prima di partire per Delhi, due settimane fa, sulla via che reca ai villaggi di Citrai, Beni Gangi, Bamnora, un contadino mi aveva coinvolto nella separazione che ancora era in atto dei grani dil pisello dalla pula, con un'elica che fungeva da ventilabro di fronte ai cesti di cernita,  era agli inizi la raccolta dei ceci, i campi intonsi di grano primeggiavano su quelli in cui era iniziata la semina, un incanto era la luce che invigoriva la viridescenza nel fogliame, non ancora si era illanguidita nel velame delle nubilagioni che ne offuscano ora la luminosità, mentre la calura incrementa, ed allo spirare  del vento turbini crescenti di  foglie morte ingialliscono nei fondali stradali, delle radure e dei campi di stoppie.
Nella stessa vita di ogni giorno del villaggio di Khajuraho, intanto ho dato l'addio al giovane commesso del k
Kashmir , così riguardoso e gentile, ho ritrovato Ganesh senza più lavoro come guida, con il dottor Dubey ho differito di parlare del suo affido del suo podere alle mie cure, mentre con Kailash ho pattuito compensi e fatto acquisti, ho vagheggiato un futuro in cui ogni iniziativa intrapresa giunga a buon punto, l'acquisto dell'autoricksaw, il lavoro nei campi propri ed altrui, inseminandovi con il grano od il sesamo le colture ayurverdiche, il progetto di un negozio di item islamici desunti dagli atelier dell'urdu Bazar, dell'apertura di una bottega di giocattoli e di beni domestici e capi ornamentali,  in materiali poveri quali carta riciclata, legni non pregiati, pezzi di stoffa,  giunchi e vimini e cordami, lavorati dalle mani di donne ed adolescenti o di popolazioni tribali di villaggi adivasi,
Da Delhi vi sono stato di  ritorno con nuovi seggiolini di canne palustri,  acquistati nella solita bottega  del Nehru Bazar, ma questa volta dai giovani che li fabbricano mi sono fatto condurre nella casa in cui le costruiscono, in strettoie di vicoli quali quelli in cui mi è venuta meno anche solo l'idea di inoltrarmi ulteriormente,  oltre la Turkman Gate, quando sono pervenuto sino alla breccia tra le case che costituisce con i loro muri il vano a cielo aperto del luogo di culto islamico delle presunta regina Tugluq *, morta in Delhi di fine violenta come l' altra signora che vi ha tento di erigersi nella storia recente a despota dominatrice dell'India.
Non meno care mi erano nei bagagli le cards con i  girasoli, od il trenino,  o le libellule e altri fiori e insetti  intorno ad essi volanti, ricavati da ritagli di stoffe e filamenti colorati, o la collana di simulate pietre ottenute con le policromie, e i caratteri devanagar, di striscioline arrotolate di ritagli di giornale, che nel National craft Museum avevo acquistato da una luminosa e intensa Jan Sandesh, che li fa  creare a donne ed adolescenti dei sobborghi di Delhi, ripromettendomi che sarei tornato/ tornerò/ quanto prima a trovarla, perchè le cose non finissero a tal punto, facendomi estensione, a mia volta, della  rete di relazioni del suo atelier solidale, come  non possono finire nel nulla le mie dichiarazioni di intenti con Bablu,  in Chitrakoot,di diffondere tra i bambini indianii suoi meravigliosi giocattoli di legno, in luogo di quelli di plastica, o che espressi con la signora di Nagpur che ho incontrato nel Silpgram di Kajuraho a fine febbraio, che a delle famiglie adivasi assegna la fabbricazione, o il disegno e la stampa, di meravigliosi manufatti o di tribali figurazioni warli.
 Nè vi avevo accantonato come acquisti occasionali, la maglietta con l'effige di Ganesha, dall'aureo profilo stilizzato, o quella con l'immagine in bianco e nero di Ghandi, accompagnata dal suo asserto che "Dio non ha religione". Come non ritrovarmici d'incanto, nella ricerca di un Dio da adorare in Spirito e Verità, tramite una fede liberata dal sacro di qualsiasi religiosità? Non per altra ragione raccolgo o indosso al contempo simboli hindu e islamici e cristiani, con la rabbia in corpo che mi si sprigiona in furore,  quando non posso nemmeno  inoltrarmi poco oltre la soglia di un  tempio con le scarpe, per lenire i  tormenti artrosici che insorgono nel levarmele,   dove possa sedermi  lì accanto, che ecco, all'istante, c'è già chi mi ha avvistato ed inveisce contro la impurità contaminatrice delle mie calzature, o al solo ricordo della suoricina di Khajuraho che mi rimbrotta per il rosario hindu con il quale ho partecipato al rito della messa la domenica delle palme, compiacendosi di dirmi che li tagliano loro, non appena sia loro dato di farlo,  simili  oggetti di perdizione...
Anche il samadhi del luogo di cremazione dello stesso Gandhi  ne è divenuto un sacrario, per chi mi ha redarguito che anche il vasto circondario di pietra che a distanza vi si eleva intorno,  ne era un baluardo intoccabile dalla borsa in cui avevo raccolto dei libri.
 Ma  nel tardo mattino di oggi  6 aprile,  Kailash mi ha or ora recato la notizia che dopo oltre una settimana non gli sono stati accreditati i 1.500 euro che gli ho inviato per l'acquisto dell'autorickshaw, ed io già immagino che siano finiti dispersi, e voglio soltanto sfigurarmi e levarmi la vita distruggendo la sua.






Nessun commento: