venerdì 24 gennaio 2014

Alla sultan ghari ( itinerari in Delhi, 1)

“ The Safdarjiung tomb?”
“ no, no, the Sultan Gari, the Sultan gari” ripetevo stizzito al giovane addetto dell’ufficio Turistico governartivo in Janpath, “ che lei dovrebbe ben conoscere, visto il mestiere che fa ”, invece di dovere cercare in internet  le informazioni del caso. Ma ciò che mi adirava non era la sorpresa , quanto che quel giovane svogliato e ignorante che con il suo compagno d’ufficio si trastullava al computer,  fosse l’esatta conferma delle mie aspettative, a dispetto delle quali mi ero avventurato nel traffico rischioso da un capo all'  altro di Connaught Place,  ripercorrendone tutto il decorso anulare, pur di evitare il traversamento dello squallore commerciale del Palika Bazar.
Pur sempre a  dispetto di ciò che mi era lecito attendermi, presso il B blok  mi ero lasciato irretire,  come da dei “lapka” , da alcuni giovani  che pur supponevo che gestissero  un fittizio ufficio turistico di informazioni, pur di sibilare loro lo sprezzo furente per il loro tentativo maldestro di invischiarmi  nel loro viscidume azzimato in camicia e cravatta, quando mi hanno detto che no, non si poteva raggiungere che noleggiando un’automobile.
“ E visto il mestiere che lei dovrebbe saper fare, sono venuto in quest ufficio legalmente autorizzato, dicevo ora invece al giovane funzionario governativo,  con verve polemica più sottaciuta, per sapere quali autobus posso prendere dal centro in direzione di Sultan Ghari, la prima tomba monumentale dei sultani di Delhi.
Non ne sapeva niente e non sapeva come informarsene, , o non voleva perdervi tutto il tempo necessario alla ricerca, ovviamente, ma  individuata l’area in cui si trova il monumento ripiegava sullindicazione di comodo di quale fosse la meno distante a suo avviso delle fermate del metro
“ Lei può scendere a Chattarpur e poi prendere un autoricksw”
Era quanto avevo desunto benissimo già da solo, semplicemente consultando la mappa di Delhi.
“ Il problema è che resta alquanto distante, e non credo che gli stessi conducenti di autorickshaw  ne sappiano qualcosa del Sultan Ghari, in Chattarpur”
“ Chieda e vedrà che colà tutti sapranno di esso e potranno condurvela”
Era un’autentica provocazione una simile risposta,  avesse avuto una minimo di esperienza motivata da un cointeressamento effettivo alla bellezza monumentale di Delhi,  una qualche cognizione fattuale, non si sarebbe azzardato a spacciarmi con sicumera una così  illusoria  rassicurazione. Che ne sanno mai  del patrimonio storico di Delhi a milioni i suoi abitanti, quando a milioni sono degli emigranti che vi ci si sono  avventurati solo per disperazione dalle campagne dell’India:
Non mi restava che congedarmi  con deferenza del tutto formale, e reimmergermi nel caos stradale di Delhi, incerto, data l’ora già pomeridiana, se rinviare all’indomani la visita del Sultan Ghari, con tutto il tempo di una giornata davanti, o se tentare di giungervi quello stesso pomeriggio,  prendendo un  metro per Chhatarpur.
La stessa linea gialla avrei potuto altrimenti utilizzarla in direzione opposta,  fino al Chawri Bazar per poi recarmi al Karim Restaurant presso la Jama Masjid, e tentarie la sorte di potervi finalmente  ordinare con successo un pesce sia pure intero, tikka o karaj o curry che fosse, visto che è possibile richiedervelo solo d’inverno, e che quando lo avevo ordinato  di sera, per Capodanno, accettando di cibarmene di uno intero, dato che non era cucinato altrimenti, non ve n’era più , “ finished”., con mio smacco deluso  “ Venga dopo le undici del mattino”mi aveva consigliato il cameriere, ed ora era da poco passata l una del pomeriggio.
Nell’incertezza  facevo due biglietti per ambo le direzioni, e già mi ero deciso per la “ grotta del Sultano”, quando a decidermi a rinviare l’escursione all'indomani,  era la costipazione di corpi fino al boccheggiamento traccheggiante, che vedevo oltre i vetri di ogni vagone delle vetture del metro che viaggiavano in direzione di Chhatarpur.
La sorte di una bella vita quotidiana mi avrebbe così riservato al Karim restaurant finalmente la goduria di un intero fish tandori, e  l’indomani il risveglio in una meravigliosa giornata di sole, che propiziava l’escursione nel suo  fresco albore mattutino.
In nottata,  riconsiderando la mappa di Dehi,  e incrociandone i dati con le coordinate del sultan Ghari fornitemi dalle varie guide,  mi era parso che per giungervi fosse meglio utilizzare la linea metropolitana aeroportuale, scendendo ad Aerocity, che appariva di gran lunga più vicina al sito monumentale che non Chhatarpur . E in tal senso mi indirizzavo
E straordinario sul metrò espresso , usciti dal tunnel, ritrovarsi ad attraversare, come in  un salone mobile, la periferia di Delhi in cui le selve di neem vengono cedendo all’avanzata dei quartieri più lussuosi, scendere e ritrovarsi nella sua periferia a cielo aperto, tra i prati e le radure in cui si gioca a foootball o a cricket, prima di inoltrarsi sotto il sovrappasso,  trovare conferma che nessuno ne sa niente di alcun Sultan Ghari,  ma che vi era pur anche una stazione degli autobus,  a dispetto di tutte le smentite di addetti al turismo del cazzo, prendere nota anche solo dei numeri delle loro  linee, il 717, il  543,  prime di salire su uno di essi,  in direzione di Chhatarpur, lungo la Merhauli road, con il solo supporto di chi sapeva dove dovessi scendere per ritrovarmi all'altezza dellIndian spinal injures center, che secondo una delle guide è in prossimità del Sultan Ghari.
Ma una volti scesi al sovrappasso che reca all’ospedale, e si chiede a chi vi  è operante , o a chi  è del posto da un certo qual  tempo, i rivenditori di frutta o di bevande, qualcuno inizia a saperne qualcosa,  e insorge il dubbio che molti altri saprebbero indicarti la via, il sito, pur che si chieda di esso sotto un altro nome per cui è universalmente conosciuto. Sta di fatto che consentendo con le indicazioni fornite che tra loro sono coerenti,   lasciato l’ingresso al nosocomio  si è indotti a intraprendere la prima via che si diparte sulla sinistra ritornando sui propri passi, a percorrerne l’intero rettilineo sterrato  per svoltare a destra e quindi ripercorrere, svoltando sempre a destra  una strada parallela alla  precedente , lungo la quale ville lussuose e palazzine a schiera s’inselvano nell’aperta brughiera, fino a che non si incoccia in un muro,  oltre il quale da chi ti dice di avere inteso che cerchi la masjid, si  è indirizzati ad avviarsi ove vi si apre un varco,  e dove tra le fronde degli alberi appare infine il Sultan garhi, la grotta del Sultano,  a poche centinaia di metri di distanza dal punto in cui ci si è  avviati a piedi per almeno alcune miglia.
Appaiono innanzitutto le sua mura di cinta, turrite agli angoli, e antistante, a valicarne il portale d’accesso recandovisi in pellegrinaggio, una folla che il giorno in cui vi sono giunto ( il 2 di gennaio del 2014) sorprendentemente ne gremisce la radura antistante, tra tende e cucine di campo,  dove primeggiano bambini e ragazzi, i più quasi tutti allineati in fila per cibarsi di dhal e puri e di una dolcea purea,  attavolandosi e sedendosi a saziarsene in congreghe separate,
Mi si dirà poi che è  un bandhar dove ognuno può saziarsi liberamente,   istituito per celebrare  l’anno nuovo-  è il 2 di gennaio del 2014 il giorno in cui compio la visita-, ma che tanta folla, composta di uomini e di donne e vecchi e bambini,  sia accorsa  e seguiti ad accorrere ad una festa allestita nella radura del monumento sepolcrale, rafforza la mia supposizione che esso sia più popolare di quanto ritenessi , sotto le specie /le spoglie  di un altro nome.
Avrei dovuto chiedere del Mazaar del Pir Baba mi si conferma  dirà più tardi, quando non avrò ancora cessato di meravigliarmi di quanto sarò venuto scoprendo.
Antistanti al monumento tombale vi sono bancarelle che vendono drappi sepolcrali e dolci e lumi e fiori per le offerte, il che è  la riprova di come sia divenuto un luogo sacro di culto, il sito della sepoltura di chi in vita fu un principe guerriero, Nasiru’’d –din Mahmud, figlio primogenito dell illustre Iltutmish,  e predestinato a succedergli, non fosse  caduto in battaglia nel 1229 a Laknauti. La tomba fortezza fu eretta in suo onore due anni dopo da suo padre,  riservando alla preghiera solo la parete occidentale, volta alla Mecca, come nella propria tomba che fece edificare nell’area del Qutub minar, un anno prima della propria morte, avvenuta nel 1236.
E’ un fattore di meraviglia che non tardo tuttavia a relativizzare, avevo già avuto modo di constatare come lo stesso  fosse avvenuto dei lasciti tombali della stessa sorella indomita del nostro principe Nasirud’din Mahmud, ossia la sultana Raziya, la quale salì al trono alla morte del padre Iltutmish, nel 1236, e fu la sola regina  che abbia avuto Delhi come sua sovrana, prima che in epoca moderna vi si attentasse a divenirlo la signora Indhira Gandhi.Come il fratello  anche la sultana Raziya trovò  la morte in battaglia,  a Kaithal, nel distretto di Karnal, nel 1240, a seguito di una rivolta dei nobili che l’avevano costretta alla fuga. Una  delle  sue  tombe presunte,- l’altra  è nella località dove rimase uccisa , è ora accerchiata dalle case a cielo aperto nell’intrico di vicoli che si dipartono dalla Turkman gate nell’old Delhi, dentro una  recinzione che apparta l’area dei sacelli come un luogo sacro
Del dato che gli avelli di principi o dignitari secolari possano prestarsi alla loro sacralizzazione devozionale per lo stesso stato d’ abbandono in cui versano, che assurge a correlato oggettivo  della loro sorte di sante vittime sacrificali,  che il cielo ha preservato dalla profanazione di una sacralizzazione secolare monumentale e del vilipendio turistico che ne consegue,  ne avrei avuto una riprova il giorno seguente, quando la Nila gumbad retrostante la meraviglia della tomba-giardino di Humayun, sul cui incanto visivo solo  i battenti della sera potevano chiudersi per me definitivamente,  al limitare della stazione ferroviaria di Nizamuddin e dei suoi bivacchi di povera gente avvolta per il freddo nei propri mantelli,  mi è apparsa illuminata all’interno, e vi  ho visto salire un giovane per onorarne i sepolti nei catafalchi che ho potuto solo intravedere sotto i loro verdi ammanti islamici, sospintovi lontano dal ringhiare dei cani che  me ne precludevano l’accesso.
una sorte opposta è toccata invece  alle  tugluquidi  moschee fascinose Kirki e Begampur, la cui  conversione in monumenti protetti solo nominalmente, ha sortito la desacralizzazione del loro degrado a trafficato luogo di transito, non che a orinatoio per chi vi conviene nel bere e nel gioco.
Giunti così al portico  d’accesso  alla  Sultan Ghari tomb, è  la finzione marmorea di un arco che vediamo sovrastare la scalinata che ascende al portale che inquadra nelle scritte coraniche delle sue cornici marmoree il tetto ottoganale della sala di preghiera sul  lato opposto dell’edificio sepolcrale.
Analogo destino fittizio graverà sugli archi della tomba del padre, e occorrerà attendere ledificazione a fine secolo della tomba di Ghyathud- din Balban per  vedere comparire in India un primo arco vero . Non lo costituiscono ancora,  infatti, blocchi di pietra a forma di cunei, i voussoirs, disposti circolarmente e culminanti nella pietra o chiave di di volta, ma una successione di pietre disposte orizzontalmente , una sopra l’altra,  con i bordi arrotondati ad una delle estremità.
Valicato l’accesso, ci troviamo in un cortile da cui emerge la parte superiore della  tomba a camera ottagonale di Nasiru’d-din Mahmud, per metà della sua altezza. 
Il porticato circostante si risolve nella sala di preghiera, di cui quattro colonne marmoree supportano la trabeazione ugualmnte marmorea e la copertura ottagonale,  senza che vi sia tentato alcun arco, per i limiti che ben sappiamo, e che approssimano suggestivamente  la sala di preghiera a un tempietto greco in terra di Armenia.
Dintorno i frammenti decorativi, l’ornamentazione , con motivi vegetali naturalistici, che soggiace al rivestimento marmoreo della parte superiore della tomba del sultano, voluto da Firuz Shah ( 1351-88), insieme alla riparazione del Qutub Minar o della Suraj kundi,  oltre un secolo dopo,  attestano quanto  fossimo ancora in tempi di spoglio delle vestigia di templi hindu demoliti, come nella edificazione e nell''ampliamento della moschea Quwattu’l-islam, ma al contempo di soggiacenza alla perizia  e ai limiti delle maestranze hindu. Nella sala di preghiera è perfino ravvisabile l’utilizzo di una yoni o pietra di scolo del lingam ,  nella sua pavimentazione laterale.  Forse l’area fu scelta per edificarvi questa ed altre tombe dinastiche dei figli di Iltutmish, perché si prestava particolarmente a tale attività di reimpiego per la presenza di un tempio hindu, risalente all'ottavo secolo dopo Cristo, dalla cui demolizione potevano largamente attingere i dominatori islamici, edificato, si congettura, da un feudatario dei Pratihara. In esso l’uso di arenaria grigia o bruna avrebbe fatto seguito all'impiego antecedente in loco di arenaria rossa, in epoca Gupta.
E ora il tempo, con i devoti di discendere nella sala della tomba del Sultan Ghari, che la costruzione intorno ad essa della piattaforma, ha trasformato in una cripta , o ghari, appunto, in persiano.
E come ci si avventura, l’emozione si fa palpitante.
Occorre discendere per ripidi gradini, mentre la vista si obnubila, per riacquisire gradualmente la visione di una realtà stupefacente. Un raggio di luce filtra pulviscolare dall'entrata, in cui si calano i corpi dei visitatori e dei  fedeli, ma a vincere l’ottenebramento sono le innumerevoli fiammelle,  esalanti sentore d’unguenti ,  che brillano nei lumi delle candele e delle  coppette di ghee che alimenta fumigante l’ardore degli stoppini   intorno ai catafalchi del principe e di altri membri della famiglia del sultano.  E i devoti depongono fiori e offerte di dolci,  depositano sulle tombe verdi bendaggi , e nei gesti rituali che compiono , l’aarti con i lumini accesi ,  appaiono essere quasi tutti degli hindu coloro che si raccolgono  in preghiera sulla tomba di un principe islamico santificato per le sue imprese compiute in battaglia contro la loro fede e i suoi antichi seguaci, rari sono i musulmani che compongono le mani a coppa nel gesto rituale della preghiera, per poi passarsele sul volto e sul cuore.

 Ed è dato  dato di  vedere anche il  reperto di un amalaka inghirlandata di un tempio hindu antecedente, come ne sono state desunti i pilastri di supporto interno, nei sincretismi mirabili che nella cripta compone la fede.
Risaliti all’esterno, tra le rovine di altre tombe dinastiche, di una moschea in rovina ,  basta avviarsi per il sentiero che si diparte di fronte alla tomba del Sultan Ghari, per ritrovarsi  lungo la Merhauli road da cui fare rientro.





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