lunedì 14 dicembre 2015

Il tempio Adinath in Khajuraho. prima stesura completa provvisoria

Nella quiete ombrosa del complesso jain, una fortuna assai minore seguita ad arridere al tempio intestato al primo dei ventiquattro tirthankhara, Adinath, o Rishabanath,  “coloro che ci preparano il guado” oltre il tempo e gli accadimenti dell’oceano di dolore infinito delle reincarnazioni,  rispetto al contiguo più imponente Parshavanath, un disdoro di cui una ragione non ultima,  con la minore appariscenza monumentale,  è l indisponibilità indisponente delle guide ufficiali a volgervi l’attenzione dei turisti che vi catapultano nei rimasugli di tempo oramai serali che a loro riservano,  dopo averli  accattati con i torpedoni di lusso che ve li conducono ancora accaldati dal volo aereo da Delhi. via Varanasi, una volta che solo  nel tardo pomeriggio alfine esso sia  pervenuto a destinazione. Eppure, al chiarore diurno,  basterebbe soffermarvisi con uno sguardo attento,  per  sentirsi permeati da una sua armonia di forme ch’è straordinaria/d’eccezione,  pur nelle sole componenti superstiti del santuario, del vestibolo e della loro sovrastruzione, preceduti da un mandapa postumo d’incongruenze Bundela.
E’ il tempio Adinath di una siffatta bellezza, che non  solo la sua peculiarità jainista induce a svincolarla dai raffronti di lungo corso con il tempio Vishnuita Vamana, risalenti allo stesso gran maggiore Cunningham, in ragione di sembianze architettoniche solo esteriormente similari, quali il settuplice succedersi- sapta-ratha-delle proiezioni verticali  lungo i crinali dei muri e del sikhara,   od  il profilarsi della sua ogiva oblunga senza appigli di sikharikas, o anga-sikharas-,  ma il differenziarsene e l eccellere per la fattura pregevolissima più di pregio delle carenature dell ordito di chatya gavakshas, che ne risalgono la china, e  per l’eleganza superiore dei rilievi sottili e dilungati delle sue proiezioni di squisito tempio sapta-ratha, . che quasi a smentirne la dedica al tirtankhara Adinatha,  conferiscono al tempio una venustà muliebre, confortata dal ricorso onnipresente di immagini statuarie di Yakshi Jainiste e di dilettevoli apsararas, contemperato dalla ingerenza hindu di sole immagini di deità maschili nelle sole effigi propiziatrici dei dikpalas e astavasus, delle otto direzioni cardinali. e di un duplice Kubera annidato con i suoi nidhi tesoriferi  nella soglia d’accesso al santuario.
Sicchè è ad un tempio remoto e incantevole quale quello di Jagat ad Ambika,  nella regione di Udaipur, più che ad ogni altro, di Khajuraho, che ci rimanda l’eleganza dell’armonia superstite del tempio Adinath,  di cui ora ordinatamente avvieremo / procederà seguiteremo il ragguaglio, se  a ritroso di ascendenze che nello stesso Krishna Deva ha il suo mentore, che pure  non diede seguito a se stesso, dopo che ebbe a  lumeggiare come “ the earlier ones ( rajasthani temples) resemble those of Khajuraho more closely than the monuments of any other region.” e “ the early sandara temples of Rajasthan were the precursors of the Lakshmana temple of Kajuraho“.
Che il tempio Adinath sia sapta-ratha,  e che lo sia nei termini della più luminosa e semplice , decantata perfezione architettonica, induce a posporlo nel tempo ai templi di Khajuraho che pur nella loro grandiosità comprimevano la loro concezione formale in un canone ancora pancha-ratha, quali il Laksmana e il Visvanatha , non che all’ibrido jainistico -vishnuita del Parshvanatha, inarticolato in profondità arcane di rilievi e proiezioni  quali gli altri templi statuari di Khajuraho,  al tempio Kandarya  che dell’adeguatamento saptaratha di concezione e di canone è il primo e massimo conseguimento,  e al tempio stesso Vamana  che in tale assunto non trascende la sua grevità allargata /latitudinalmente trasversalmente di richiami remoti e di precorrimenti audaci,  e a presumerlo ad esso posteriore, facendolo risalire al- --- e.c.
Le parti superstiti erano un tempo precedute da portico e mandapa, forse un guhamandapa che traeva luce solo da un traforo di jali come l interno con deambulatorio del Parshvanata, secondo una consuetudine jainista consolidatasi negli attuali  Rajasthan-Gujarat, dove i templi Jainisti  si differenziarono da quelli hindu perché ricusavano anche solo l’alternanza di un guhamandapa  con un mandapa che fosse aperto all’irradiazione solare di finestre balcone.
In loro luogo, sotto un grezzo ammanto calcinato, le arcate e specchiature, sotto una merlatura di coronamento, del mandapa indoislamico appostovi in tempi moderni  a otturazione del guasto.
Il garbagriha ed il vestibolo dell’antarala e sono invece pressoché perfettamente integri,  fino al termine delle loro sovrastruzioni, il pinnacolo del sikhara nelle sue guise latina e l’antefissa del sukanasa ch’è la più splendida di Khajuraho, e tra le più splendide dell’intera India, nella fluenza dal grande kirtimukka centrale della ricaduta nelle fauci dei makara delle ghirlande di campane,.
Raccordano garbagriha e vestibolo l’eminenza delle nicchie della proiezione centrale del bhadra e dell’antarala, queste ultime sormontate da tre edicole  ulteriori lungo i fianchi dell’antefissa vestibolare, e all’altezza della fascia del  terzo ordine di statue, costituto da un corso di guizzanti gandharvas celestiali, il  coronamento di bhadra ed antarala   offerto da  deliziosi balconcini di obliqui kakshasana cui si affacciano devoti dialoganti, un accostamento divenuto di  rito  nell’architettura religiosa in Khajuraho, ricorrendovi nei templi Javari e Vamana , Duladeo eChaturbuja, e Jagadambi, mentre fregia solo il bhadra del tempio Chitragupta, e non ve ne è ancora traccia  nei grandi antecedenti dei più monumentali templi Lakhsmana, Vishvanatha, Kandarya, laddove nel lontano Rajasthan  si può ritrova la duplice miniaturizzazione  nel tempio di Jagat, a sud di Udaipur, o ne appare una sola ricorrenza nel solo antarala nel tempio in Badholi,  serializzata e moltiplicata lungo ogni diagonale nel tetto samvarana del rangmandapa che lo fronteggia,mentre a  distanze meno remote un affollato balconcino lo si rinviene nel solo bhadra del Garhi math in Kadvaha. L’eminenza  così raccordata e suggellata delle nicchie di bhadra e di antarala, a connotazione, nel tempio Adinath, della rilevanza delle  immagini dell Yalshi che offrono alla visualizzazione adorante e meditante dei  devoti jainisti intenti alla pradakshina,  negli altri templi miniori di Khajuraho si fa altresì replica miniaturizzata  delle medesime forme balconate in diversa  grandezza di cui è ridondante la riproposizione miniaturizzata del kakshasana obliquo di finestre balcone  che figurino in scala umana nei diversi transetti e mandapa di altri templi in Khajuraho    che a misura d’uomo appaiono nelle kakshasana dei balconi finestre dei mandapa, come non è più dato sapere se fosse anche nel tempio Adinath.
Risalendolo ora in verticale, sulla piattaforma di una jagati sostitutiva di quella originaria, il cui slancio ascendente è finito perduto, l’adhishthana del basamento, conservatosi più completo di quella del tempio Parshavanata,  presenta la tripartizione invalsa nei templi  Chandella in uno zoccolo, o bitha, un  plinto o pitha,  e un podio, o vedibhanda, al quale nei templi Pratihara precedenti per lo più era riducibile l intero basamento, una tripartizione le cui forgiature  /modanature conclusive sono rimarcate dalla ricorrenza finale o soggiacente, quale madhya banda,  di un corso di rosette,  alternate a rombi nella fascia terminale.
Costituiscono lo zoccolo una bhitta primaria liscia ed il risalto conseguente di una seconda modanatura  di rombi diamantini alternati a pilastrini , rimarcato  in contrasto dalla successione di una scabra jadya-kumbha,  cui si susseguono la madhya bhanda di rosette, già rilevata,  e la conclusione della bhitta in una modanatura arrotondata in merlature  di petali di loto sovrapposti ad una perlinatura. Il plinto ha inizio in una seconda jadya- kumbha, che si fregia di thakarikas superiori  cui fanno da contrappunto le gagarakas soggiacenti della karnika sovrastante,  prima che l’ulteriore madhya banda di rosette preceda  la grasa-pattika di kirtimukkas in cui il plinto si conclude.
Se ne stacca la successione grave di khura , kumbha e kalasa della vedibandha, sovraornamentata nella kumbha da edicole templari  che incastonano rombi di diamanti,  a latere di quella del bhadra che alberga una propria divinità, al riparo di una gronda sotto il frontoncino di un udgama di gavakshas carenati,.
Un kapota decorato tanto di thakarikas quanto di gagarakas precede il ricorso finale di una fascia ulteriore di rombi e rosette, non di meno fregiantesi di gagarakas, che funge da supporto ai piedistalli delle statue ed alle ornamentazioni inferiori delle edicole dei bhadras, con cui cominciano le sopraelevazioni delle sette proiezioni del jangha.
Vi  ricorrono tre ordini di immagini,  due Yakshi nelle due nicchie sottostanti del bhadra centrale, affiancate ciascuna da due ninfe per lato nelle due pratirathas mediane, cui subentrano un dikpala e il suo astavasus superiore  nei Karnas angolari., le immagini in rilievo inframmezzate da vyalas, o sardulas, sovrapposti , nei recessi dei salilantaras, mentre la terza fascia alterna singoli vidyadharas, nelle aggettanze, a loro coppie nelle rientranze, festanti di strumenti musicali, armi o ghirlande, con il solo intermezzo già enfatizzato dei balconcini finestrati popolati di figurine nel terzo ordine dei bhadra , di cui al loro succedersi  una replica  da termine nell’antarala, a seguito analogo di due nicchie di Yakshi.
Tra gli ordini di statue la scansione di una grasa pattika sormontata da una pattika  di rosette, che intervalla il primo ed il secondo corso di statue, una kalasa a guisa di cornice prima del terzo, ch’è sovrastato dall intermezzo ulteriore di un capitello bharani  formato dalla successione di una gagaraka, di un amala scannellata e di  costolature palmiformi, che funge da diaframma rispetto al varandika.
Il varandika consiste a sua volta di due kapotas successive ornamentale da gagarakas e takarikas,  prima che una replica del rilievo di gagarakas e di foglie di palme dia avvio alla successione dei 16 bhumi o piani del sikhara.
Nei karnas angolari, i cui chaitya incastonano nicchie di rombi-diamante., alle costolature di chaitya gavakshas soggiacciono amalakas,  cui si susseguono kapotas con takarikas,  Al termine del mirabile slancio ascendente e convergente, a ben vedere appaiono arridere  un kirtimukka a conclusione di quello dei ratha centrale e mediani, un sikharika piramidale alla sommità di quello dei karnas, composto di due pidhas, chandrika ed amalaka.
Oltre il restringimento del collo, o greva, conclude invece la tensione verso l unità primordiale , ch’è origine e fine di ogni realtà vivente,  il succedersi di amalakas e chandrikas prima del kalasa finale.
Già si sono dette meraviglie,  non  esorbitanti,  dello splendore del sukanasa che invece sovrasta l’antarala, preceduto da sette nicchie di deità statuarie che si visualizzeranno in conclusione della deambulazione esterna ( link)
Tra nicchie diamantine ai lati  e rientranti in unjframe mediano /in una cornice /teca mediana, quelle ai lati sovradeterminate in tempietti edicolari da un  loro sikhara piramidale composto dei ripiani di 4 pidhas, di chandrika e amalaka, una prima serie di circonvoluzioni carenate di chaityas si risolve in inflessioni superiori che si acuiscono intorno ad un ovulo centrale, prima di una chaitya gavaksha grandiosa, trilobata, in cui da un kirtimukka fluiscono ghirlande di campane nelle fauci di due makaras, rispetto ad una centrale tra due steli penduli di fiori di loto. Due vyalas e una fiera leonina superiore,  avventata sul dorso di un elefante a bocca ferocemente spalancata ,   ne sormontano le arcature, che sono affiancate da amalakas  tra chandrikas al pari di quelle sottostanti.
Procedendo ora  come vorrebbe la devozione  nella pradakshina in senso orario,  il suo fianco meridionale nell’antarala ci  espone nella nicchia inferiore l immagine di una prima Yaksi, cui manca il correlato di quella scomparsa dalla nicchia superiore, mentre oltre il balconcino di astanti devoti già conclamato,  altre tre immagini corrispondenti facevano seguito lungo l’antefissa, di cui due sono superstiti.
L’immagine che grandeggia nella nicchia inferiore è indubitabilmente quella di Padmavati, Yakshi o Sashandevi del ventitreesimo e penultimo dei Tirthankaras,  Parshvanath, come vuole che sia il cappuccio di cobra che la sormonta, non che la tartaruga che le fa da veicolo, che rimanda al consorte Dharanendra.
Erano entrambi due serpenti annidati nel ciocco di una  giungla ch’era nei pressi di Benares, ed alla cui altezza Parsva, figlio ancora ragazzo della regina e del re di Benares Vama ed Asvasena, sul dorso di un elefante ed in sieme ai suoi compagni, ebbe la ventura di incontrare il nonno materno, re Mahipala, in cui si era reincarnato il sui antagonista cosmico, di reincarnazione in reincarnazione, che fino ad allora su di lui nel ciclo delle esistenze terrene era prevalso uccidendolo, sin da che erano stati fratelli nelle spoglie del virtuoso Marubhuti e del perfido Kamata.
Il vecchio re,  ritiratosi nella foresta alla morte della moglie che l’aveva sconvolto,  vi era dedito a sacrifici penitenziali, uno più estremo dell’altro, che nulla avevano di ideale, perché più che il distacco e la rinuncia , conseguivano il più spietato rafforzamento dell io, tant’è che gli era bastato avere riconosciuto in Parsva il nipote senza che questi ne avesse avuto ancora il tempo, perché in preda all ira si mettesse a fare a pezzi il grosso ciocco “ Non farlo, gli gridò il nipote, vi sta una coppia di serpenti!” Ma il vecchio non gli diede ascolto è calò sul ciocco il suo fendente, tranciando il corpo che apparve alla vista dei due rettili.
Il ragazzo si afflisse alla vista dei corpi dei due serpenti che si contorcevano negli spasimi della morte, e intonò un inno ai due esseri agonizzanti, che consentì loro di spirare al meglio, non senza avere prima ripreso il nonno, con i più dolci e gentili degli ammonimenti “ Le penitenze che ti infliggi ogni giorno, come quella dei cinque fuochi cui eri intento, ti contaminano anziché purificarti, perché per adempierle uccidi ogni giorni altre vite. Non farlo più, uccidere altri esseri è grave colpa, ed ogni colpa reca le più tremende sofferenze,  E’ come pula separata dal grano, quanto tu fai agendo senza la vera conoscenza”.
Questo atto di compassione verso i due naga tornò a vantaggio di Parva quando intrapresa la grande rinuncia, dovette affrontare in Samvara, o detto altrimenti Meghamalin, una divinità minore in cui era rinato il nonno Mahipala, la manifestazione finale dello spirito a lui antagonista.
La grandiosità radiante assunta da Parsva mediante l’illuminazione della sua ascesi meditativa, era tale che arrestò il corso stesso del carro celeste di Samara, che a questo intese con chi aveva a che fare, e che  gli s’imponeva la resa dei conti. Un sommovimento tellurico investì Parva, che rimase tuttavia imperturbato e assorto nella calma assoluta della sua meditazione .  Al seguitare degli attacchi di Samara, che assunse le sembianze letali del dio della morte,  nel regno sotterraneo che ne era stato sconvolto, non rimasero insensibili Dharadendra e la consorte Padmavati, che memori  di come Parsva avesse propiziato un loro decesso ed un loro transito di sereno splendore,  decisero di venire in suo soccorso: così si posero ai suoi fianchi ergendosi così orribilmente spaventosi  nell’enormità del loro dilatato cappuccio, che  volsero in fuga atterrito la divinità di Samara.
Per avere così consentito, quale sua divinità protettrice, che Parsva pervenisse anche alla Contemplazione Bianca, diradando anche i  desideri ultimi che con il loro attaccamento lo tenevano ancora avvinto alle sofferenze del samara,  Padmavati è qui onorata e riverita, come vuole la tradizione dei Digambara, i vestiti d’aria, cui affilia il tempio, non già per  riceverne a nostra volta protezione e prosperità.
Nella loro trascendenza acquisita, oltre il tempo e lo spazio e le umane vicende, i tirthankara e Yaksa e Yakshi restano estranei alle nostre preghiere, per le quali restano disponibili e si possono invece affaticare gli dei hindu, di rango inferiore per i jain, che nelle vestigia di Indra ed Agni e degli astavasus superiori, troviamo infatti immediatamente contigui nella prima Karna-ratha. Padmavati stessa, in tal senso, confonde i suoi lineamenti qcon quelli di Laxmi, consorte di Vishnu, e Dharadendra, quale signore della Terra, al cuore implorante si fa il serpente cosmico Sesa che la sorregge sulla sua testa, come su di esso è  reclino il sonno di Vishnu alla  consunzione nella Pralaya di ognuno dei mondi che infinitamente si succedono l uno all’altro.
Né può risultarci casuale quanto le vicende di Parsva riecheggino quelle celeberrime di Buddha, o l’attacco di Samvara quello arrecato dal demone Mara a Gautama Sakyamuni,  che se troverà da esso soccorso nella terra,  è ugualmente nelle sette spire di un re-serpente, Mucalinda, che potrà confidare a difesa dello scatenarsi fuori stagione di tuoni e fulmini di un fortunale.
Ma prima di volgerci alle divinità tutelari del tempio nelle sue otto direzioni, come  fedeli jain, più in  alto restano da riesumare le immagini statuarie delle due Yakshi superstiti sovrintendenti, quella superna con un veicolo equino,  recando un vassoio dell’acqua nella sola mano, sinistra, superstite, un attendente maschile alla sua sinistra, quella nella nicchia inferiore armata di vajra e freccia in due delle sue otto braccia , anch’essa con un cavallo quale cavalcatura, in cui per Krishna Deva  era forse riconoscibile Manovega, la yakshi del sesto dei Tirtankara, Pradmapabhu. Può fornire utili ragguagli l immagine della stessa Manovega che si conserva nell’Asi Archaeological Museum di Khajuraho,  che di braccia ne ha quattro, invece che otto, come nel tempio Adinath, ugualmente è  accompagnata dal veicolo di un cavallo, ma vi compare in posa samapada anziché in laliasana ed anche per il minor numero di braccia non può più ostentare che il solo attributo di uno stelo di loto.
Nella karna.ratha, dopo l’apparizione nel recesso delle prime due ninfe-apsaras,  è dunque la volta dei dikpalas volti a est ed a sud est, le divinità vediche Inndra ed Agni con i rispetti astavasus* sovrastanti.
Per quanto è dato intravederne Indra come ogni successivo dikpala appare atteggiato in tribhanga, *mutilato di tutte le braccia ad eccezione di una, ma come per ogni altra divinità guardiana, eccezion fatta per Kubera,   ne è rimasto integro  il veicolo,  nel caso del dio delle piogge celesti l’elefante Airavata.
L’astavasus superiore, come ogni altro di seguito ha un volto bovino, ripete la postura tribhanga del dikpala soggiacente,  ed ha Nandi come proprio seriale veicolo animale.
Agni, dio vedico  del fuoco, barbuto e panciuto, ha salvato il mescolo sacrificale ma si è persa la testa dell’ariete che ne è il veicolo.
Ha inizio quindi nella rientranza seguente la successione ininterrotta di vyalas nei recessi e di apsaras nelle proiezziioni intermedie tra quelle centrali e quelle d’angolo.
Le loro raffigurazioni  solo in alcuni casi sono frontali, per lo più, come di frequente nel kandarya, le deità celestiali si offrono di schiena con la parte superiore del corpo di profilo, originando ardite torsioni  dei loro corpi snelli e slanciati sulle lunghe gambe.  Ne è un celebrato esempio la danzatrice che precede  le yakshi del bhadra centrale meridionale, con la gamba destra e in braccio sinistra piegati in alto. …………
Le fa da complemento l’apsaras che invece nella danza  volge la mano destra intorno al capo mentre tiene quella sinistra sulla coscia.…..
Per lo più esse sono atteggiate secondo consuetudini consolidate,  l’una mentre si aggiusta l’acconciatura mirandosi  in uno specchio, l’altra senza riflettersi in esso un orecchino, o le si vedono intente alle più varie attività di svago o di sollievo, nel gioco della palla, nella lettura di una lettera amorosa, a levarsi se non un cruccio un pruno di spino,  le più ardite a denudarsi magari per evitare l’incedere di uno scorpione, simbolo palese di  sensualità insidiosa. Oppure esse possono recare  un bambino al seno, reggere una lettera e uno stilo per scriverla, un fiore di loto, o altrimenti , secondo raffigurazioni originali, un beauty case, o foglie di betel arrotolate. La parte ovest retrostante ci offrirà invece  immagini originali di apsaras suonatrici,  intente al suono di una vina, o di cimbali, mentre è di repertorio quella ben  estatica di una flautista.
Le prime apsaras ad arriderci , oltre Indra ed Agni,  appaiono abbellire gli occhi -di kajal o con un collirio-, o,  come si è premesso, alla cura della capigliatura osservandosi in uno specchio, le due ulteriori  l’una sovrastante è la mirabile danzatrice slanciata con l’arto destro e la mano sinistra, mentre quella inferiore è l’apsara che si leva il pruno dal piede.
Un tramando jain la identifica in Nilanjana, la danzatrice che nel diciassettesimo capitolo del Mahapuran, di Bhagwath Jinasena Acharya, con la sua scomparsa dalla scena  repentina ed insostituibuile nell incanto della perfezione della sua danza , condusse alla rinuncia e all iniziazione ( Diksha)  della salvezza ( o Moksha) il Tirthankara Adinath.
Nelle nicchie del Bhadra campeggiano due immagini di , entrambe in lalitasana,.  di cui  la preservazione di  vari attributi e del veicolo animale ha condotto  a un’identificazione presunta solo di quella  inferiore,  che secondo Krishna Deva potrebbe effigiare Chamunda quale divinità protettrice del  ventunesimo Tirthankara  Neminath. Il coccodrillo è la sua cavalcatura, mentre i suoi attributi sono il gesto benedicente o varada, la sakti, e una spada nelle mani destre restanti, uno scudo  nella sola mano sinistra scampata alla mutilazione.
Il mudra abhaya, un gada, un vajra nelle sue mani destre  non lesionate, un loto, un’ascia parasu e un trisula in quelle sinistre rimaste illese, il  veicolo leonino integro, non sono invece bastati a consentire finora un’identificazione della Yakshi superiore.
Nell’adhishthana  fa la sua comparizione in una nicchia un Bhairava comunque in lalitasana, e ben panciuto, che usando un bue come cavalcatura, intende recare spavento nei capelli arricciati, e gli occhi strabuzzati,  con un  katvanga il cui  teschio è sovrastato da un uccello ed un serpente, cui fa seguito un frutto quale attributo ulteriore.  
Delle apsaras frontali seguenti la prima in basso è quella che ha riposto una lettera  e  che tiene tra i seni una  mano ad auscultare le palpitazioni del cuore,  affiancata dalla ulteriore danzatrice  che ha una mano intorno al capo mentre l’altra è appoggiata alla coscia. Le due apsaras superiori sono invece le due ninfe che recano la prima un fiore di loto, la seconda tre foglie di betel arrotolate.
Alla svolta della Karna-ratha in direzione sud ovest ed ovest, la più sfavorevole, ci attendono immancabili Yama dio della morte e Nurriti con i propri astasvasus, Contraddistingue Yama un sembiante terribile, panciuto e barbuto e baffuto e con occhi  sporgenti, ma  insieme con il gesto della varada  mudra  il dio non ha preservato che l’attributo di una campana, insieme con il bufalo come cavalcatura. E’ andata meglio nel tempo a Nurriti, che insieme con il cane come suo veicolo non insusuale, *, ha salvaguardato spada, musala*, ed uno stelo di loto spiraliforme, mentre il suo astavasus al pari di quello precedente non reca più che il vaso dell’acqua lustrale.
E’ avvenuto così la svolta alla parete occidentale,  con lo stesso layout statuario della precedente e di quella settentrionale,  in cui la caratterizzano le apsaras musicanti. Le precede, appena dopo Nurriti, sul lato interno, la ninfa con bambino, un gruppo di cui  del fantolino possiamo ammirare il tenero modellato del solo corpo, in un destino che condivide con la madre-
E’ volta  invece verso il  contiguo bhadra l’apsara che tiene nella mano sinistra  premuta contro il ventre uno dei suoi due cimbali, mentre l’altro è nella mano destra sollevata sul capo.
All’atezza del bhadra ci di indubitalmente identificabile c’e solo Ambika nella nicchia dell’adhishtana,. Su di un leone, in lalitasana, con un libro ed uno stelo di loto spiraligforme, la rendono inconfondibile il bambino che reca in braccio e un cespo di mango.
Né il leone che cavalca in  lalitasana, né il libro e lo stelo di loto spiraliforme che reca consentono di identificare la Yakshi  della nicchia inferiore, né tanto meno la pettinatura dhamilla, troppo in voga tra le divinità femminili celestiali dell epoca. Maggior fortuna interpretativa ha arriso invece alla yakshi superiore, che Krishna Deva, in conformità con la tradizione Digambara ritenne potesse identificarsi nella Yakshi Kali del settimo Tirthankara Suparsvanata, per il  suo veicolo animale,. un toro,  e gli attributi che reca in quattro residue  delle otto mani originarie, sakti, vajra, specchio in quelle di destra, pasa e chissà se un pungolo in quelle di sinistra.

Nelle successive proiezioni intermedie sono attestate le due ulteriori apsaras musicanti, l’una  assorta nell’emissione dei suoni di una vina accanto alla presumibile Yakshini Kali, l’altra  nella modulazione delle note di un  flauto accanto al successivo dikpala, Varuna,
E’ esso monco di tutte le braccia, con il veicolo intatto del coccodrillo secondo prammatica, mentre un destino migliore è stato riservato al suo astavasus, che oltre al mudra varada può ancora ostentare parasu-ascia, uni stelo di loto spiraliforme, e il vaso dell’acqua rituale.
E si è cosi giunti alla parete nord, che sull’altra facies della Karna.ratha non può che riservarci in  direzione nord-ovest il dikpala Vayus, con il suo gesto benedicente e il veicolo del cervo, nient’altro più in dotazione.
Tra le apsaras  figurano quella che non può che denudarsi del tutto per  liberarsi del pungolo-passione di uno scorpione , la seconda in basso, prima del bhadra,  cui  corrisponde oltre la sua nicchia quella che reca un beautycase.
Nella nicchia dell?adhishtana fa alfine la sua tardiva comparsa la Yakshi dello stesso Adinath , Chakreshvari,  alias Vaishnavi in contesto vishnuita,  in sella allo stesso veicolo, Garuda, uomo-aquilino, in abhaya mudra e con i più classici attributi vishnuiti, gada, chakra, sankha,   compensando  il suo ritardo  con il raddoppio alla grande della sua  presenza defferita,  nella prima nicchia del bhadra, in cui è ribadita seduta in lalitasana su garuda, ma senza che alcun attributo possa altrimenti più identificarla. Nella nicchia superiore sarebbe invece allocata la Yakshi anantamati del quattordicesimo  tirthankara Ananthanatha, sempre secondo Krishna Deva,  in virtù esclusivamente del suo veicolo identificativo,  un’ oca, poiché il solo attributo che le è rimasto integro è uno scudo, supportato da un resto di freccia.
Oltre le ultime apsaras gli ultimi due dikpalas, davvero ultimi ma non ultimi, visto che presidiano le direzioni più favorevoli del tempio, Kubera  quello settentrionale, Isana quello di nord-est.
L’uno, a dispetto della ricchezza che può dispensare, è senza veicolo e con spezzate finanche le braccia,  l’altro, in tribhanga e varada mudra, attestando la propria natura shivaita almeno nell’attributo superstite del trisul.  Eì  andata meglio al suo astavasus, che insieme con il veicolo animale gli attributi li ha conservati tutti e quattro varada, duplice stelo di loto spiraliforme,  vaso rituale dell’acqua.


Si è cosi giunti al versante settentrionale dell’antarala, che conserva ambo le Yakshi delle sue due nicchie. Quella inferiore, di otto braccia in lalitasana e abhayamudra,  è in virtù del pavone che ne è il veicolo che secondo Krishna Deva  può forse corrispondere a Mahamanasi, la yalshi del sedicesimo tirthankara, Santinath, mentre non è dato supporre chi possa mai essere la yakshi superiore, in padmasana su un fiore di loto, mutilata di tutte e quattro le braccia e senza più tracce del suo veicolo animale.
E’  invece la sussistenza delle cavalcature delle divinità che in tutte e tre le nicchie che oltre il balconcino in  miniatura con astanti,  ricorrono sul fianco dell’antefissa riservano tutte le loro Yakshi, ha consentito a Krishna Deva di lumeggiare che quella inferiore possa essere Gauri, quale yakshi dell undicesimo tirtankara, Sryansanatha,  essendo il suo animale il cervo,  che sia Purushadatta, Yakshi del quinto Tirthankara, Sumatinatha, quella mediana in lalitasana, dalle ottuplici braccia, cavalcando ella un elefante, in assenza di qualsiasi altro  dato riconoscitivo , essendo tutte le sue braccia spezzate, mentre resta da  ritenere che sia solo il numero dimidiato di braccia, quattro invece di otto, o il duplice loto che reca al contempo quali unici attributi superstiti,  che hanno consentito a krishna deva di disambiguare forse in Manasi, la Yakshi del quindicesimo Tirthankara, Dharmanatha,  la divinità in tribhanga e varada mudra  della nicchia superiore, in quanto come Gauri si serve di un  cervo quale  suo veicolo effigiato.



Del corredo statuario esterno al tempio restano da  visualizzare al termine della pradakshina solo le sette immagini delle nicchie che sostengono l’antefissa frontale.
Eccettuata Ambika , quarta in ordine provenendo da nord, sono rimaste anonime tutte quante anche per  Krishna  Deva, la prima perché il  sembiante del suo animale è indefinibile se sia un pavone o un’oca, e i suoi attributi o la postura non la differenziano ad esempio dalla presunta Manasi, se non per un vaso dell’acqua che in più non le è andato perduto, la seconda perché  è senza cavalcatura e  marca uno scarto dalla precedente solo per il mudra, l abhaya, e l ultimo degli attributi, un kati in luogo del vaso di acqua lustrale, la terza in quanto , anch’essa senza veicolo,  non differisce dalla precedente che in quanto in luogo del mudra dell’abhaya reca un nilotpala, la seta e la quinta, saltando ora Ambika, perché sono simili tra loro e con la terza negli attributi che recano, invertendo solo l ordine di successione, il nilotpala per ultimo in luogo del kati che ne è il primo, rispetto alla terza icona, la settima perché  solo  il veicolo animale elefantino potrebbe immedesimarla con Purushadatta, Yakshi del Tirthankara Sumatinatha,  alla stregua della seconda Yakshi  del versante settentrionale dell’antefissa, ma per il resto è  pressoché totalmente mutilata.
Ambika, in tribhanga,  è invece ampiamente contraddistinta, recando un cespo di mango, due fiori di loto nelle due mani successive, un pralamba*, e un bambino che ne tiene un dito della mano sinistra inferiore, mentre nella propria mano sinistra tiene un ulteriore frutto di mango.

La conclusione della pradakshina ci dà così accesso all’interno del tempio,  in cui possiamo risalire direttamente alla porta d’accesso al garbagriha.

Sette ne sono le bande laterali o sakas, la prima una patra-lata di volute rampicanti, con un  fregio di fiori  mandara, la seconda e la quarta istoriate di ganas misuri o danzanti, la terza una stambha-saka a guisa di pilastro, in cui in luogo dei tradizionali mithuna si susseguono Yakshi,- fra le quali della seconda sul lato sinistra  si porge all’attenzione il veicolo, un pappagallino rimasto intatto,  la quinta decorata con  srivatsa alternati a rosette, la sesta  di volute nerbute in fuoriuscita  dala bocca di un vyala sottostante,  la settima di nuovo di rosette.
Sullo stambha sakha trova il suo appoggio l’architrave, in cui, all interno di 5 nicchie sormontate da udgamas,  si ripresentano al fedele,  con altre due divinità intermedie,  Chakreshvari al centro, ad Adinath, suo Tirthankara, se non ad ella, essendo il tempio dedicato, Ambika alla sua destra, Padmavati sulla sua sinistra.
Poco resta da dire a tutt’oggi delle raffigurazioni ai lati degli stipiti di Ganga e Yamuna con i loro veicoli animali, il coccodrillo e la tartaruga, rispettivamente,  delle loro attendenti e degli dvaparalas, talmente sono stati distrutti.
Lo sfregio non ebbe a imperversare invece sulla soglia, l’udumbara,  in cui l’aggettanza centrale** di volute di loto è fiancheggiata da attendenti femminili cui si susseguono divinità acquatiche,con una giara su kariumakara. Sotto gli stamba-sakas due nicchie albergano due divinità femminili in padmasana, sotto il seggio di una delle quali  è ravvisabile una tartaruga. Altre due nicchie ulteriori, sotto la settima saka d’ambo gli stipiti, albergano due immagini di Kubera, in abhaya mudra con parasu-ascia,  stelo di loro spiraliforme, non che tre giare contenenti dei tesoretti o nidhi sotto il suo seggio..

Di  alto pregio sono i pilastri ai lati della porta del santuario, -il cui basamento , su di un’upapitha ornamentata di motivi di  rosette e petali di loto,  replica le modanature della vedibhanda, - khura , kumbha ornamentata di udgamas, kalasa, kapota. Essi sono arcaici nelle loro profilature badraka con sovrascolpiti alla base dvarapalas,  poi nelle volute ondulate fluenti dalla bocca di kirtimukkas, prima di un inserto di rombi diamantini, e di gatha-pallavas o vasi dell’abbondanza. Una banda di rosette ed una sezione attica o uchchalaka  con il solo profilo di vasi ulteriori dell’abbondanza concludono i rilievi dei pilastri,  su cui poggiano capitelli bharani in cui i pendentidi gagarakas precedono le scanellature di amalaka e padma lotiforme.
Ancora mensole di bhuta-atlanti , con naga adoranti interposti, prima della grande trabeazione finale, in cui , sotto un pattika di rombi e rosette e un grasa-pattika di kirtimukka, decorre il  fregio degli auspici avuti in sogno dalla madre dell’ultimo dei Tirthankara , Mahavira, prima del suo concepimento, sedici, come vuole la tradizione Digambara, in cui si iscrivono i templi di khajuraho: 1) l’elefante di Indra  Airavata, 2) un toro,3)  un leone rampante, 4) Sri devi o Laxmi, 5) una ghirlanda che racchiude un kirtimukka, 6)  una luna piena con una lepre visibile nel mezzo, 7) un sole nascente che rappresenta Surya al  centro, 8) un paio di pesci, 9) un paio di giare d’oro, 10 un lago di fiori di loto,  11)  un mare agitato,  12) un leone troneggiante ( o trono leonino?), 13)  un vimana, 14) una coppia di Naga in un padiglione( il Nagendra-bhavan) , 15) cumuli di gioielli, e 16)  Agni assiso con le fiamme fuoriuscenti dalle sue spalle. ( *** correggere la lacuna in Krishna  Deva) ( ****Approfondire la lettura simbolica)
Nel santuario, di rilievo il  fiore di loto con quattro schiuse di petali che ornamenta il soffitto, in una cornice riquadra ai cui angoli stanno kirtimukkas.
Moderna è  l immagine di Adinath che si offre alla devozione terminale dei fedeli.













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