martedì 16 aprile 2019

Architettura e incisione negli anni di Giulio Romano


A cura di Giulio Girondi nella sala rossa del Museo Diocesano è ora allestita  una mostra “di ricerca” di notevole interesse, su Architettura e incisione negli anni di Giulio Romano,  che vi resterà esposta fino al 9 giugno. A coronamento di più di un decennio di  studi  in argomento,  G. Girondi vi  mette a frutto le sue competenze di architetto per ricostruire come gli incisori in rame  del Cinquecento, particolarmente quelli operanti in Mantova, Giovan Battista Scultori, i figli  Adamo e Diana,  Giorgio Ghisi più grande di ogni altro, avvalendosi soprattutto  di disegni in  cui G.Romano espresse il suo genio architettonico, nel tradurre opere altrui divulgarono ciò che dell’arte antica greco romana sussisteva in forme di rovine, o negli edifici o nei trattati d’epoca veniva riproposto come nuova arte edificatoria. A inizio d’esposizione Girondi  riprende la sua indagine antecedente,  già consegnata a due suoi libri editi dalla Sometti, ( L’ immaginario architettonico nell’ incisione mantovana del ‘500,  Architettura e incisione nel ‘500),  su quanto tali incisori,  tradendo o assecondando le quinte architettoniche delle opere che traducevano nel loro immaginario architettonico,  mostrarono di intendere  i problemi costruttivi e spaziali che vi soggiacevano compiuti od  irrisolti, incentrando egli  tale sua ricerca  soprattutto su  quanto siano essi  riusciti a far tesoro delle eventuali competenze  dei disegnatori da cui traevano le loro opere, in particolare quando costoro  erano   altresì architetti come Raffaello o G. Romano o Giovan Battista Bertani . Così verifichiamo la pedissequità con cui Diana Scultori preservò  le incongruenze che già nel disegno originario di Baccio Bandinelli rendevano assurdo l’ edificio da cui’ imperatore Decio assiste al martirio di San Lorenzo, o  il rialzo prospettico apportato dal fratello Adamo Scultori alle quinte del Cristo  alla colonna michelangiolesco di Sebastiano dal Piombo, che allargando il quadrangolo sul sito della flagellazione comunque  ne conserva la verosimiglianza  architettonica. Quindi, procedendo oltre gli esiti dei suoi studi antecedenti,  Girondi  evidenzia come l’opera degli  incisori  abbia divulgato la ripresa nei trattati e negli scritti d’arte dell’epoca, fossero quelli del Serlio o di Giorgio Vasari,  dei discorsi di Vitruvio sull’origine e gli stili e stilemi dell’arte antica,  che ne derivano  gli  edifici da caverne, capanne o  edifici lignei d’altra sorta, se non dallo stesso  fare nido degli uccelli, (una genealogia che ha tra l’altro  profonde corrispondenze nei templi dell’arte hindu,che volsero in pietra le loro origini lignee), vedansi le capanne dell’incisione L’ inganno di Sinone del Ghisi.  Come a suo tempo colse già il Vasari si deve agli incisore in rame se un largo pubblico, fatto soprattutto di europei “oltramontani”, che non potevano “andare in quei luoghi dove sono l’opere principali”,  venne a conoscenza dell’arte del Rinascimento e degli stili classici che vi erano ripresi. Girondi presceglie l’illustrazione grafica degli stilemi desunti dall’arte antica che in Mantova rinacquero o fecero epoca, a iniziare dalla travata ritmica del Sant’Andrea dell’Alberti, - un ‘arcata lunga, una breve- che verrà ripresa dal Bramante nelle Logge del Belvedere, e che fa da sfondo nell’ incisione  dei Gladiatori in lotta del Maestro del Dado , forse desunta da un soggetto dello stesso G. Romano,  ed  in quella della Strage degli innocenti di Marco Dente, uno degli allievi più dotati di Marcantonio Raimondi, l’incisore stesso dei modi erotici desunti da disegni privati di G. Romano, a commento visivo di sonetti di Pietro Aretino che descrivono  vari possibili accoppiamenti  sessuali . Ulteriori forme architettoniche classiche che furono invece riprese  da G. Romano in Mantova e ivi divulgate da G. Ghisi, nell’ incisione del Corteo dei prigionieri che  trasse  dai cartoni degli arazzi giulieschi del Trionfo di Scipione,   commissionati da  Francesco I di Francia  e risalenti al  1532, sono l’arco a un  solo fornice che compare in Mantova nel fregio della Camera degli stucchi di Palazzo Te, e che è presente pure nel dipinto di G. Romano che ha come soggetto Il Trionfo di Tito e Vespasiano, ora al Louvre,  e il portico con colonnato corinzio sullo sfondo di paraste corrispettive e di nicchie, che oltreché nell’incisione e nell’arazzo considerati, ricorre pure nel vestibolo di Palazzo Te, quale  sviluppo architettonico reale, ad opera sempre di G. Romano,  della riflessione di Vitruvio sull’atrio all’antica.  Girondi considera altresì la fortuna incisoria del  motivo delle colonne tortili che si attribuivano al tempio di Salomone, inteso ad ebraicizzare gli interni della rappresentazione figurativa in cui appaiono, un tipo di colonne  che così grande rilievo ha nell’opera pittorica e  architettonica di G. Romano, si pensi solo alla tela della Circoncisione al Louvre o all’affresco della Donazione di Costantino nelle stanze di Raffaello e aiuti in  Vaticano, al Palazzo della Rustica,  alla camera di Psiche oppure al giardino segreto in Mantova, e che ritroveremo secondo la lezione di G. Romano a fare da sfondo ai “Gonzaga in adorazione della Trinità” di Rubens, come già nella sua  Sant Elena  venerante la Croce ritrovata. Le colonne tortili ricorrono nell’incisione in rame  in cui  Diana Scultori inscena Cristo e l’adultera, dove fanno da portico ad un altro tipo di edificio desunto dalla classicità, e così divulgato incisoriamente , il tempietto circolare in guisa di  tholos,  come lo è il San Pietro in Montorio di Bramante, e come lo si ritrova in un  disegno preparatorio, a cui collaborò G. Romano,  dell’arazzo raffaellesco di San Paolo nell’Aeropago.  In altre  tre  sezioni intermedie  si esemplifica come degli  incisori quali Ghisi desunsero da opere anche di G. Romano le  rappresentazioni di interni,  per lo più in scene d’alcova degli amori degli dei dell’Olimpo. In esse l’architettura si riduce ad essere quella delle modanature e del baldacchino del letto coniugale,- eccezion fatta per le incisioni dei Modi di Marcantonio Raimondi,  dove figurano le stanze d’alcova. Si illustra  ulteriormente come furono tradotte in incisioni quinte di paesaggi e  vedute  urbane dello stesso G. Romano o del Bertani;  si tratta soprattutto di bastioni e fortezze, le incisioni essendo  desunte  da soggetti quali I greci entrano in Troia o La Presa di Cartagine, nel cui disegno originale  lo stesso G. Romano rifuggì da ogni ordinamento urbanistico.  Splendida è in particolare la incisione di G. Ghisi del Giudizio di Paride, più ancora che per il tempietto di Giove ionico che vi figura in alto, conforme ai precetti del  Bertani, per il paesaggio fiammingo che vi aggiunse di suo, grazie al suo apprendistato in Anversa alla scuola di H. Cock, in cui il suo talento si  sprigiona dalle  pastoie  di quinte che fossero solo architettoniche. Tutto questo, nel breve spazio di una mostra con prezioso catalogo che sta in  una sola sala, dove non sono più di una quindicina   le opere grafiche esposte, per dire quanto una mostra  può essere ricca e illuminante per ristretta ma non piccola che sia,  se è frutto di studio e ricerca su sudate carte. Essa ha il pregio ulteriore di indurci  a nuovi indagini affascinanti, se si è mossi da interrogativi analoghi a quelli che su incisioni e immaginario architettonico si è posto Giulio Girondi, sollevandoli, invece,  quanto a dipinti e affreschi della Reggia di Mantova, che già in se tracciano il percorso di una grande mostra possibile : qual è, così chiedendosi, la dignità e valenza architettonica delle mirabilia urbane della  Estrangore o della Camelot di Pisanello,  della Roma ideale del Mantegna, delle quinte di edifici degli Atti degli Apostoli negli arazzi di Raffaello, delle imprese dei Gonzaga del Tintoretto, o delle colonne tortili, che già furono giuliesche,   nella pala I Gonzaga  in adorazione della Trinità, di Rubens,  anch’egli futuro grande architetto, come lo fu in assoluto G. Romano, ed in  buona  misura lo fu  il Mantegna.

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