IN MEMORIA DI DON ANDREA SANTORO
E' don Andrea Santoro, il sacerdote ucciso in Trabzon, il " prete romano" di cui parlano i brani seguenti della pagina di cronaca che scrissi a Dyarbakir il 16 luglio del 2003, agli inizi del viaggio che dal Kurdistan turco, attraverso la Georgia, mi avrebbe condotto in Armenia ed in Iran. Vi racconto come ebbi modo di incontrarlo alcuni giorni prima in Urfa, nella Casa di Abramo che vi aveva fondato.
Come la domenica scorsa ho appreso la notizia, il pensiero è corso immediatamente a lui, pur ignorando ancora l'identità della vittima, poco prima che nei filmati dei servizi televisivi mi turbasse di rivederlo, nella sua alta figura dal nobile profilo fine, in cui avvertii vibrare trepidante la tensione del suo spirito di missione permanentemente attivo, animato dal fervore dell'apertura al dialogo di chi intende lasciarsi permeare da ogni ragione possibile del proprio interlocutore.
Nonostante tutte le limitazioni all'esercizio del sacerdozio che egli subiva in Turchia, non stentava a credere che l'Islam in Siria o in Libano fosse invece la religione tollerante che gli accreditavo.
Dell'Islam, il solo limite di cui si venne al più rincrescendo, è che comunque non riuscisse ancora a fare a meno del supporto del potere politico.
Ma la camicia di forza imposta all'esercizio della fede cristiana dal laicismo dello stato turco, sembrava averla assunta per conformarsi ancora più rigorosamente ai propri dettami, che facendosi ancora più rigorosamente laici, ancora più decontaminati dalle scoria del potere, gli imponevano di attestare la verità del cristianesimo in virtù della sola testimonianza resa dalla propria condotta e dal proprio operato solidale con la gente turca.
Forse la Turchia costituiva per questo la sua terra d'elezione, perché più di altri Paesi poteva elevarlo ad affidarsi a tali forme precipue di evangelizzazione.
Lascio ai lacerti della mia cronaca, la riesumazione dei momenti più emozionali del nostro incontro.
Nel tempo, ciò che nel ricordo è rimasto più ricorrente di quanto egli mi disse, fu il suo interrogativo, sul seguito del mio viaggio in Iran, dove difficilmente mi sarei ritrovato in ambienti cristiani:
" E puoi stare una domenica senza la Messa'?"
Anche questo contribuisce a spiegare perché in quelle pagine supponga che fosse per un diniego della volontà divina, che non lo dovessi rivedere il giorno avanti,.
Ora credo che la motivazione di questa mia supposizione stesse nel fatto che la mia poca fede si sentiva del tutto impari alla sua, se tuttora debbo chiedere a Dio di concedermi la fede di cui non dispongo, e che avessi ritegno di figurarne al cospetto, sentendomene immeritevole, quasi che vi ricomparissi abusandone sotto mentite spoglie.
(Scritto il 16 luglio 2002 in Dyarbakir)
Solo per l' insistenza con la quale alcuni artigiani e negozianti locali hanno seguitato a battere alla porta d' accesso, ho avuto adito alla microcomunità cattolica della casa d'Abramo, al tempo stesso in cui sono venuto a conoscenza della sua esistenza in Urfa.
Quegli uomini hanno voluto guidarmici quando ho detto loro di che nazionalità fossi, allorché mi hanno interpellato per avere notato che intendevo addentrarmi nella vicina moschea.
Un prete romano, insieme con il diacono rumeno che l'anno scorso avevo già incontrato in Trebisonda, ne compongono l'esiguo cenacolo, tra le mura della casa dismessa che erano intenti a riscialbare , perché divenga una sede d'incontro con degli altri credenti nelle religioni abramiche
E' così che oggi si rigenera in Urfa l'antica Edessa, quale crogiuolo di fedi nella loro ibridazione reciproca, per cui la città pullulò un tempo di eresie, e (allorchè) l'aramaico vi fu la lingua delle iscrizioni dei culti lunari, quanto della prima trascrizione lapidea della adesione alla fede in Cristo fuori di Palestina .
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L' indomani, ch'era domenica, mi sono aggirato invano per ritrovare la sede della casa d' Abramo, nel dedalo di vicoli in cui ci si addentra come si lasciano le arterie moderne della città.
Si era fatto troppo tardi, oramai, per la Messa a cui il prete romano mi aveva esortato a partecipare, -a quell'ora si stava terminando di celebrarla, se non si era già conclusa, nella chiesa sotterranea in cui egli aveva trasformato lo scantinato della casa di Abramo, trasmutando in altare una rientranza nel muro.
Era dunque Volontà dei cieli che non potessi- o non dovessi -partecipare al compiersi del rito, nella celeste navatella, ove la sera avanti quel prete mi aveva affidato a Dio perché vigilasse ed ispirasse il mio viaggio, Egli fosse la mia ombra diurna tutelare, la mia luce nella notte.
(Salmo 120
Il Signore è il tuo custode,
Il Signore è come ombra che ti copre
e sta alla tua destra ,
Di giorno non ti colpirà il Sole,
né la Luna di notte.
Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
Egli veglierà su di te,
quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.)
La fiammella della mia trepida fede tremava e vacillava intanto come una menzogna, di fronte all' intensità fervente che ne ispirava le parole.
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