L'altro sabato avevo appena fatto il biglietto per l India, deprimendo le mie risorse finanziarie, e già ricercavo in internet un occasione che mi consenta di farvi ritorno a Natale, animandomi più che la felicità di rivedere a giorni Kailash, Purti ed Ajay,Vimala e Chandu, l'angoscia della morte interiore di quando dovrò separarmi di nuovo da loro, e mi si ergerà davanti il muro dei giorni che costituiscono i dieci mesi di lontananza che si frapporranno al poterli avere di nuovo di fronte ai miei occhi.
E ieri nuovamente , mentre accumulavo la sofferenza della consapevolezza che le mie ristrettezze economiche rendono già arduo essere di nuovo con Kailash e la mia famigliolina indiana la prossima e le estati venture, la telefonata imminente al mio amico che me ne anticipava un incontro che mi si fa sempre più difficoltoso e me lo rendeva in pochi istanti vivo e presente, l'affrontavo come un'incombenza tra le altre incombenze da sbrigare penosamente.
Singolarità del cuore, o riconfermata natura dell'amore che è attaccamento, che soffre dell'assenza quando è indisponibilità, inaccessibile, più di quanto goda e sia felice della amata presenza che è assicurata?
Al telefono l'allegria del mio amico convocava Chandù, il nostro ultimo bambino, che ridendo articolava i primi suoni di cui è capace, mentre la mia bocca silenziosamente urlava al vuoto, per non farsi udire da Kailash, la sua disperazione che a dirmi le sue prime parole non potesse esservi in linea Sumit.
Ma ciò che più conta, a rianimare speranze,- ribadisco a me stesso-, è la fedeltà del cuore in cui si raccoglie il mio essere, che dia ancora linfe a uno sforzo solidale che in queste ore e in questi giorni, giacchè in India mi predispongo a dover vivere come un rifugiato in casa del mio amico, e suppongo che potrò impiegare le mie risorse solo per essergli di aiuto- sempre più, mentre Dio mi si fa vago ed astruso, solo per fede e per amore mi si fa sostenibile.
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