martedì 28 maggio 2013

una piccola Khajuraho: Chandpur

Chandpur, La piccola Khajuraho





Lungo la grande via alberata che da Lalitpur reca a Deogarh,  quando non mancano che otto chilometri al  villaggio del gran tempio gupta delle Dieci Incarnazioni di Vishnu, o se si è  di ritorno a tale indicazione stradale perché il tempio non si è resistito a rivederlo, ancora  una volta volta, nello splendore  dei suoi grandi rilievi, proprio dove inizia l’area forestale una strada si profila a sinistra , venendo da Lalitpur, che va percorsa nel suo addentrarsi nella boscaglia della giungla, sino a che curva verso un passaggio a livello. Inutile sperare di trovarlo aperto, è all’altezza di una delle vie ferroviarie di maggiore scorrimento dell'India. Ma dopo che le sbarre siano state rialzate, in capo ad almeno una decina di minuti, sostando in attesa con gli autorickshaw ed i carri stracolmi di ragazzi e uomini del posto, basterà continuare il percorso per qualche centinaio di metri, fino a che non compare a sinistra una strada sterrata, che ci porterà in capo a poco più di qualche chilometro alla nostra stupefacente meta a sorpresa, sparpagliata  oltre i binari della stessa rete ferroviaria, mentre resta al di qua della loro massicciata la manciata sparsa di casolari, che è il tutto della Chandpur dei nostri giorni.
Avvistato a sorpresa da chissà quanti milioni e milioni di viaggiatori sui treni di corsa, tra Delhi e Mumbai, Varanasi o  Ahmedabad, magari stupiti e incuriositi della meravigliosa apparizione, all'improvviso, di quale mai sito archeologico  a loro del tutto sconosciuto, fatta salva chissà quale eccezione, se è ignorato o  negletto dalle stesse indicazioni ed illustrazioni turistiche delle località monumentali  di questa area remota del Bundelkand, e non è visitato di conseguenza pressoché da nessuno, in realtà che vi si profila di magnifico nella giungla boschiva,  al di  la dei binari, è il complesso templare dell’antica Chandpur dei signori di Khajuraho, i Chandella,  edificato  a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dalla capitale del regno, come più a Sud, a qualche decina di chilometri da Chandpur, le ancor più grandiose rovine in altura di Dudhai.
Una volta superate le scarpate de binari della barriera ferroviaria, facendo la massima attenzione ai treni in arrivo a tutta velocità, tra gli ultimi coltivi prima della boscaglia è  rapidamente accessibile il primo complesso del sito, ingraziato dalla deliziosa levità di ciò che a prima vista sembrerebbe la sala di un mahamandapa, ed  invece, sopraelevato di poco su di una piattaforma, è  la sala del  portico d’accesso a tutta ampiezza di un tempio franato nelle parti restanti, senza sovrastrutture sopra un tetto piatto.
Ne costituiscono l’incanto l’ariosità della loggia , forse un tempo conclusa dalla svasatura del tipico schienale di pietra dei balconi dei templi Chandella, come lasciano supporre dei fori di incastro,- del resto è lignea  la natura originaria di tali davanzali,- non che il ripetersi dei motivi ornamentali dei pilastri interni al vano d’accesso, e di quelli corti lungo la parete esterna,
nella profusione di mensole in cui si profilano atlanti, e nella trama luministica del contrappunto a scacchiera che ne è  l’ornato interno ed esterno delle trabeazioni,  tra fasce  sottostanti e sovrastanti di dischi e rombi, che semplificano rosette e diamanti, replicati più macroscopicamente, oltre un fregio di triangoli.
Ai fianchi ricorre una serie di  volute stampigliate tra pilastrini conclusi con vasi fogliari, sopra una fascia di rombi diamantini.
Niente di nuovo sotto il sole dell’arte dei Chandella, eppure con quanta rinnovata eleganza di grazia.
Ma l’attrazione centrale del primo gruppo di templi, non deve oscurare la umile bellezza  del tempietto che sorge ai margini,
 che lascia incantati o deliziati e commossi, per come in povertà di mezzi ed elementarità di stile,  si è voluto ripetervi  su scala ridotta,e tangibile con mano, l’iconologia essenziale  dei  grandi templi di Khajuraho.
Sta di fatto che volgendo intorno al prasad della sua cella, sovrastata da ciò che resta del sikkara in cui culminava, preceduta da un portico a pilastri, a copertura piatta,  in cui ricorre il motivo canonico del rilievo a t che termina in un vaso dell’abbondanza da cui tracimano foglie,
si possono toccare con mano, accarezzandoli senza paura,  nel senso orario di percorrenza della pradakshina, i rilievi di Gaya Laxmi irrorata da due elefanti,
poi del primo degli dei guardiani nelle otto direzioni principali, Khubera, quindi la proiezione centrale di  un presumibile Surya, con attributi e poteri propri tanto di Brahma che di Vishnu e Shiva, dato che è rigido e impettito tra due fiori di loto nelle mani  che si ergono all’altezza del volto,
  poi Agni ed Indra quali successivi Lord protettori dell’Est e Sud Est del tempio , Ganesha danzante rubicondo al centro della parete Sud,
quindi Yama, Dio della morte, come gli spetta data la posizione angolare,
Nirriti sull’altra faccia del pilastrino,
Varaha nella proiezione centrale della parete Ovest, 

seguito da Saravasvati con tanto di vina,
in perfetta corrispondenza sulla parte opposta con la dea Laxmi.
Sovrastano gli dei una fascia di oculi solari, i gavaksha, o chaitya,  e due modanature in guisa di kapota con un fregio intermedio di cerchi e rombi, alias diamanti e rosette.
E’ una tale rarità un simile tempietto nei domini Chandella, che abbia la intraprendenza di osare di ripetere, con scolarità di mezzi, ciò che dicono con assai più complessità di intenti  le sculture templari della capitale, in un insieme di edifici di culto non meno numerosi di quelli che in essa sopravvivono ancora, che al cuore detta di getto(  l’assunto) l'assunzione di Chandpur (come) a una  piccola Khajuraho.
Basta, a esaltare l'assunto,  inoltrarsi di poco nella radura per raggiungere un altro gruppo di templi, tre i superstiti,
tra altri di cui sopravvivono solo i resti delle fondamenta.
E’ shivaita quello principale, come non è difficile intendere,
visto il bravo e buon torello Nandi che lo precede sotto una edicola, tra yoni e linga in profusione. Di un certo interesse le yoni  che recano cinque sfere, in luogo dei quattro volti laterali e di quello superiore del dio, come Isana, immanifesto e simbolizzato dallo stesso lingam, che caratterizzano i lingam a quattro volti o chaturmukka.
Secondo la pianta unanime dei templi superstiti di Chandpur, anche questo tempio è costituito da portico d’accesso con copertura piatta e santuario del dio, sovrastato un tempo da un sikkara caduto in rovina, esso reca ancora i resti di un davanzale svasato, che possono ritrovarsi nello loro interezza,  nel tempio Ranchhoreji di Dhaujari, 
distante una decina di chilometri,
per altri snervanti o riposanti passaggi ferroviari,oltre Dawra e la giungla collinare, in un luogo di pellegrinaggio in prossimità delle rive del fiume Betwa.
E'  del tutto consigliabile inoltrare con piacere il nostro itinerario raggiungendone il sito, magari per dilungarlo fino alle grotte del Santo Muchkund ,
ed esserne di ritorno in  un percorso circolare lungo un’agevole pista nel folto di una giungla di piante di tek, dove, pur se le ha lasciate da tempo Lord Khrishna che secondo la leggenda vi trovò sosta,  è possibile ritrovare in loro povertà lieta alcuni sadhu, tra miriadi di scimmie che ne condividono la scelta di vita
.
Qui invece nel nostro tempio in Chandpur, portico e balaustra ripetono i motivi a noi ben conosciuti del rilievo a T maiuscola, tra coppe con volute di foglie, le  trabeazioni presentano palmette, fregi triangolari, rombi e dardi,



mentre sono delle variazione interessanti Shiva danzante al centro dell’architrave del portale d’accesso al garbagriha, 
il deambulatorio che corre al suo  interno.
La successiva puntata ci conduce, poco distante, a un tempio rimasto in tutta solitudine.
E’ shivaita, sviluppato secondo la solita pianta, ma in tutta lunghezza più che in larghezza, e in tutta piattitudine della sovrastruttura del mandap (o sala) del portico , e nell’architrave d’accesso al  garbagriha,  tra la Trimurti esibisce le nove divinità planetarie
.

Il registro di viaggio che tenni quel giorno, annota pilastri con statue di guardiani,
volute stampigliate nelle mensole che sormontano i capitelli
 motivi decorativi di  chaityia e di rombi diamantini ai lati,

,
prima di rilevare i dati più significativi, un richiamo, ch’è una citazione, dello stile gupta fiorito ai massimi livelli nella regione circostante, attestato dalla decorazione di colonne e pilastri, per come le coppe dell’abbondanza e il fogliame che ne tracima vi hanno un risalto naturalistico, e non vi sono piattamente stilizzati in profili geometrici..

E quindi vi si pongono in risalto  musici e danzatori nella trabeazione interna del portico d’accesso , nonché, per chi se ne compiaccia, scene di accoppiamenti più o meno amorosi  sul suo lato destro, il che, se finisce per venire finanche a noia in Khajuraho, è così infrequente nei templi Chandella fuori del suo ambito, da giustificare, una volta di più, che sia avvenuto un ammaliante ritrovamento di Khajuraho in Chandpur.
Ed è tutta altro che finita.
Si seguiti tra la boscaglia, ed  ad una distanza di centinaia di metri apparirà il gruppo di rovine più vasto, di non meno di una decina di templi, stando alle piattaforme e ai basamenti di cui restano le immense rovine,
mentre ancora si sopraelevano il tempio più grande che ancora sopravvive dell’antica Chandpur, il Laxmi Narayan, e  quello accanto, anch'esso su piattaforma, di cui rimangono solo il portico e il portale.
E non fosse che sono solo ammassi di resti franati, altri gruppi ancora di rovine templari resterebbero da visitare, stando a quel che diranno gli immancabili accompagnatori  locali del visitatore  alieno, che qui mai capiti un giorno  quanto mai insolito.
Il tempio Laxmi Narayan,
con le immagini di Varaha, Vamana, Narashima nelle proiezioni centrali delle pareti del prasad, il corpo murario della cella del tempio,
pur nella sua brevità dimensione non monumentale è  sviluppato in altezza ed in lunghezza, secondo la coesione verticalizzata “sattvica”che richiede l’ideazione statuaria dei templi Chandela,  pena una dispersione centrifuga della loro concezione iconografica, se prevale l’ampiezza, tanto più se non vi  successione lineare di componenti, -portici e sale e celle, secondo un’unica entrata-, ma si danno accessi laterali,  o pluralità di garbagriha, come in Dudhai o Makarbai.
Esso consiste come al solito, in Chandpur,  come i vicini templi Pratihara nel distretto di Tikanghar, di portico d’ingresso con copertura piatta e garbagriha, su piattaforma rilevante e con sikkara, e conserva una vistosa antefissa, da cui due volti divini fissano l’osservante.
Nel portale d’accesso al sanctum,
Ganga e Yamuna appaiono sotto un torana, come nel tempietto accanto due attendenti con chaura scacciamosche, il che fa di Chandpur un trait-d’union tra la ricorrenza del motivo nel Tempio Javari di Khajuraho, e nei templi non remoti di Udaypur, o  nel circondario di  Gwalior.
Non più che un reportage degli appunti presi, il rilievo del motivo delle coppe con esubero di foglie nei pilastri,  delle nove divinità planetarie tra la Trimurti del portale d’accesso al santuario, l’annotazione per quanto attiene a ciò che resta del tempio accanto,
del richiamo allo stile gupta che evidenzia il fogliame in vivido rilievo dei pilastri interni del portico d’accesso.
Resta ancora uno sforzo, che è richiesto  dalla ripidità della scarpata ferroviaria da affrontare, per pervenire alla ragione ulteriore che fa di Chandpur la nostra piccola Khajuraho, a tutti gli effetti ed affetti.
Occorre infatti ritrovarsi di là dalla linea ferroviaria, rispetto all'area archeologica che si è concluso di visitare, ossia nell’al di qua della  Chandpur di oggi e di questo mondo da cui siamo pervenuti, nell’imminenza, che fatalmente incombe, di un altro treno merci o passeggeri  in arrivo,- per una tranciante mancanza di riguardo tutta indo-britannica nei confronti  delle vestigia che si dovrebbero tutelare, che ha il suo più illustre esempio di scempio  nella linea ferroviaria che divide in Agra il Forte Rosso dalla Jama Masjd -,  se trafelati  si vuole pervenire ai resti di due templi Jain, che in Chandpur, come in Khajuraho, attestano la  promozione del loro culto assicurata dai sovrani Chandella.
Nel primo,
sottostanno  ugualmente a dei torana, le figure di profeti Tirthinkhara, o attendenti Jain, che ricorrono in luogo delle dee del fiume  Ganga e del confluente Yamuna,  così come dei Tirtinkara sostituiscono la trimurti hindu nell’architrave, dove  non si  è invece mancato  di onorare le nove divinità planetarie.
Come è  consuetudine nei templi Jain, ristretta  e bassa è la soglia ch'è la porta e la via del cielo della liberazione, ma su di essa, a rendere già sensibile conforto alla vista,  è scolpita una dea  con un piccolo in braccio,
 sotto cespi di mango, e reca uno di tali frutti deliziosi in una mano.
Le mie note non mancano di annotare gli omaggi all’arte gupta nel portico d'accesso, anch'esso piatto, i reticoli di scacchi sulle pareti ai lati.
Conclusa la visita, e detta la mia, non resta che l’abbondanza delle scelta tra  le restanti opzioni possibili , se il sole è ancora alto nel cielo dell India: il rientro in Lalitpur o nei comforts o le penurie di una diversa città di partenza, Jhansi, Orchha, Chanderi, tanto più se si è d’estate e  già stremati dal caldo torrido, oppure una puntata a Deogarh, di nuovo, per visitare i suoi templi Jain, e le incisioni rupestri lungo i bordi rocciosi tra cui decorre il fiume Betwa, o altrimenti, sempre in tema, il tempio Chandella Ranchhoreji  di Dhaujari e le grotte Mukund, di cui si  già detto. E per l ‘indomani, se non ci si è  ancora recati, Pali e le meraviglie di Dudhai. Un' emula rivale possibile, nel fregiarsi della nomea di essere una seconda Khajuraho .






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