CHANDERI
Chanderi la si raggiunge per lo più da Lalitpur, dove
l’Uttar Pradesh si insinua più in profondità nel Madhya Pradesh, a sud di
Jhansi, lungo la direttrice ferroviaria che da Jhansi giunge a Bhopal,
doppiata dall’arteria stradale che reca a Sagar. Ma una dolente
premessa si rende qui necessaria, a onore del vero, prima che chi
intenda visitarla si risolva a giungervi: i 37 km che vi recano da
Lalitpur, si riveleranno il tormento incessante, per i tre quarti del percorso,
che è inevitabile patire per accederne alle bellezze recondite,
delle quali a loro volta è bene premettere, perchè si abbia consapevolezza
di quel che si perde sottraendosi al subbuglio, che sono
quanto di più bello riserva il lascito in India dell’arte islamica
afgana.
Tutto un sobbalzo, uno sconquasso di organi interni, per
schivare l’uno o l’altro cratere stradale senza potere evitare il successivo,
che solo la stabilizzazione concessa dal viaggio a pieno carico degli autobus
di linea macilenti, può lenire nelle trasmisssioni delle vibrazioni ossee.
Ma si riveleranno le asperità ch’è valso la pena affrontare fino
all’ultimo scombuiamento, che avrà termine non appena si affianchi e si
superi la Rajghat dam sul fiume Betwa, e inizi l’erta che fa ascendere
sull’altopiano del Malwa, addentrandoci di lì a poco nell’abitato
di Chanderi adagiato tra i colli.
Tale arrivo in salita, lasciandoci alle spalle per
l’altura del Malwa, ed il rientro nel Madhya Pradesh, le lande del Bundelkand
che sono situate nell’Uttar Pradesh, ci fa già intendere
quanto fosse militarmente strategica la postazione di confine di Chanderi, e si
situasse imprescindibilmente lungo le vie del commercio tra l’India del Nord ed
i porti occidentali ed il Deccan, destinandola all’affluenza della
ricchezza e alla conquista predatrice.
A credere al visir Abul Fazl, a quel che riferisce
di Chanderi , nell’Ain-i-Akbari, “La costituzione di Akbar”,- volume terzo e
conclusivo del monumentale libro celebrativo dell’ imperatore moghul
Akbar, l’Akbar Nama, alla fine del Cinquecento era Chanderi una
mirabile città fiorente con 14.000 case di pietra, 61 palazzi, 384 bazar, 1.200
moschee, 1.200 pozzi con gradini...Meno immaginifica, sotto tali parvenze di
essere puntualmente precisa, è la rappresentazione che ne preservò
all’inizio del medesimo secolo l’avolo capostipite di Akbar, ossia Babur,
imperatore, nel libro delle sue memorie, il Baburnama, alle pagine che
scrisse dopo averla espugnata il 2 settembre del 1527, di Venerdì, sottraendola
a Medina Rai, il ministro secessionista di Mahmud II del Malwa, a cui il potere
sulla città era stato trasmesso solo sette anni prima dal re del Mewar Rana
Sanga di Chittorghar, che l’aveva a sua volta strettta
d’assedio stremando le resistenze di Mahmud II.
“ E’ la cittadella di Chanderi su di una
collina e all’interno ha un bacino d’acqua intagliato nella roccia... Tutte le
case in Chanderi, siano esse alte o basse, sono costruite in pietra,
quelle dei ceti più alti essendo laboriosamente scolpite; quelle delle classi
umili sono anch’esse di pietra ma senza essere
scolpite....”
Ma ancor più affascinante ed affascinata è l’immagine di
Chanderi che due secoli dopo, nel 1859, si offrì alla vista dell’ufficiale
armato Lt Reginald Craufuird Sterndale, così come ebbe a scriverne, accedendovi
dalla Kati Ghati, la porta ch’è intagliata nella montagna, a sud di Chanderi,
ed ora confinata al traffico locale, ma che dall’epoca della sua costruzione,
nel 1495, venne destinata ai viaggiatori che pervenivano in Chanderi dal Malwa
o dal Bundelkhand: “ Transitando
attraverso la Khati Ghati, Chanderi sorgeva alla vista come un dipinto dal
quale sia stato improvvisamente scostato un telo. Le montagne formavano
una lunga valle a ferro di cavallo interamente chiusa su tre lati. Sotto di noi
giacevano la città di magnifica pietra scura, alte case, pinnacoli di templi
scintillanti d’oro, moschee, cupole, minareti e portali, palazzi
estivi...tutti cinti da masse di fogliame, densi boschetti di
tamarindo, shureefa, more, frammischiati con luccicanti specchi d’acqua
sui quali migliaia di volatili si svagavno.Tutto intorno si snodava un’ alta
muraglia in pietra, bastionata, dotata di torri con feritoie e di imponenti
porte, e a sinistra, a coronamento del più alto sperone roccioso delle
montagne, e dominando l’intera valle, e l’intera città, incombevano minacciose
le scure torri ed i bastioni della cittadella”
La fortezza, ora più imponente che arcigna, senza
incombenti tetraggini d’aspetto, sovrasta alla vista la città, e più non
vi esenta di sè lo sguardo, come si acceda a Chanderi dall’opposto versante,
quello per il quale vi si è pervenuti secondo il nostro itinerario, sicché la
visione che ne ebbe il luogotenente resterà tutta da raggiungere nella sua
contrapposizione a distanza, dopo avere traversato e visitato l’intera
città. L’ingresso si apre ora a noi in prossimità della Delhi Darwaza, la porta (darwaza) di Delhi, una delle
quattro, su cinque originarie, che ancora sopravvivono della cinta muraria,
o kot, ultima, fra le molteplici cortine di un
tempo, che ancora in parte racchiude la città interna, o andar sheher .
Fu sotto il
sultano Dilawar Khan che ebbe inizio la sua costruzione, e fu portata a termine nel 1411, sotto il regno di
Hoshang Shah, quando la città era sotto la signoria dei sultani afghani di Mandu. La caratterizza il rilievo su ambo i lati del
shardula, il mitico animale che dai suoi artefici mussulmani fu attinto alla
mitologia hindu, esso vi è raffigurato mentre è intento a
sgominare un elefante, per emblematizzare il potere incontrasto dei
governatori della città. Di matrice hindu sono pure le mensole lavorate
come fossero intagliate nel legno, nei loro boccioli gemmei pendenti, che
sovrastano plurimi gli stipiti interni della porta, sagomati a loro
volta nelle guise dell’ingresso di un palazzo.
Fu sotto il
sultano Dilawar Khan che ebbe inizio la sua costruzione, e fu portata a termine nel 1411, sotto il regno di
Hoshang Shah, quando la città era sotto la signoria dei sultani afghani di Mandu. La caratterizza il rilievo su ambo i lati del
shardula, il mitico animale che dai suoi artefici mussulmani fu attinto alla
mitologia hindu, esso vi è raffigurato mentre è intento a
sgominare un elefante, per emblematizzare il potere incontrasto dei
governatori della città. Di matrice hindu sono pure le mensole lavorate
come fossero intagliate nel legno, nei loro boccioli gemmei pendenti, che
sovrastano plurimi gli stipiti interni della porta, sagomati a loro
volta nelle guise dell’ingresso di un palazzo.
Appena oltre la porta, trattenendo ogni anelito
monumentale, ci è concesso, non meno fascinoso, di sviarci inoltrandoci,
sulla sinistra, per i selciati delle strade sempre più restringentisi
e gli slarghi ombrosi dell’antica città interna, che risorge alla vista
nei suoi scorci d’incanto,
ove le alte murature e i pilastri di supporto delle
antiche magioni, o di occluse porte urbane,
trovano un seguito ed un insediamento in laboratori e
officine e scuole, ed odierne dimore,
calcinate di bianco e di blu, nei loro sporti sovrastanti.
trovano un seguito ed un insediamento in laboratori e
officine e scuole, ed odierne dimore,
calcinate di bianco e di blu, nei loro sporti sovrastanti.
A poco a poco l’antica città si fa così il Sadar Bazar,
nella varietà dei suoi negozi e commerci artigianali, tra i quali primeggiano
quelli dei rinomati sari di Chanderi, confezionati nei laboratori che si
possono intravedere e in cui è gradito l’accesso, ove le fusaiole e i telai
sono all’opera nell’intesserli.
Bellezza dei colori, dei semplici motivi ornamentali,
loro lunga durata, leggerezza ed eccellenza della seta in cui sono lavorati, i
pregi cui è oggi dovuta la loro fama.
Meno rinomata, ma di rilievo, anche la lavorazione
delle foglie di tendu per fabbricare di casa in casa
le bidi, o sigarette.
...........................
Seguendo l’ opera femminile intenta nella
lavorazione dei sari, il vagare ci conduce inevitabilmente, lungo la via che reca al forte, al primo degli
edifici monumentali, il Raja-Rani ka Mahal, il palazzo urbano del re e della regina di Chanderi, che ospita la più importante scuola tessile. E’ composto di due edifici
distinti raccordati da una galleria, ai margini di una vasto spiazzo.
Dai corridoi cinti da pilastri che danno sui
cortili interni, per l’altezza dei tre piani, all’ombra di torri e
chattri, si può accedere ai laboratori velati da tendaggi, o lo sguardo si può
sollevare alla magnifica vista delle mura e dei bastioni possenti della
fortezza sovrastante, o altrimenti può anticipare, sulla sinistra, l’allinearsi
dei bianchi sikkaras cuspidati
dei 24 santuari, svettantivi bandierine color zafferano, che compongono il
tempio Shri Chaubisi Jain.
Grande è stata nei tempi la presenza che persiste vitale
della Comunità jain in Chanderi e nei dintorni, lo attestano i templi che
sono pressocché tutto quanto rimane dell’antica , Budhi Chanderi,
situata ad una ventina di chilometri distanza, più ancora in altura, le sculture
rupestri improfanate e i tempietti nelle immediate vicinanze di Sri Digambar
Atishay Khandagiri, o i siti di pellegrinaggio nel raggio di una ventina di
chilometri di Thuvanji, Sironji, e quelli nei paraggi più remoti e più celebri di Deoghar.
Più a Nord Est, tra Gwalior e Jhansi, è la
Comunità madre di Sonagiri, bella del biancore della sua successione di
templi lungo un intero pendio, ne proviene chi fu il fondatore stesso del
tempio Sri Chuabisi, Bhattaraka Harichand, mentre oltre Lalitpur sussiste una
costellazione ulteriore di siti jain non meno importanti, nei pressi di
Tikamgarh, Baldeogarh, in Khajuraho e Nachna Kuthara.
Di due parti consiste il tempio, di cui la più
recente ospita ed offre alla devozione le 24 immagini dei 24 profeti jain
o thirtankaras, una per ciascun santuario.
Se il tempio non si è prestato che al vostro
riguardo devozionale, poco più avanti, più sottostante al forte, potrà
rinvigorire la vostra sensorialità il vivace cromatismo hindu della facciata
del tempio in onore di Narashima, la quarta
incarnazione di Lord Vishnu, semi-uomo, semi-leone.
Cinque gradini di pietra sopraelevano l’arcata
d’entrata, tra due gallerie che ostentano il più brillante colorito, svariante
di giallo, di rosso, di blu.
Le sovrasta un baldacchino cupolato e guarnito di
chattri, Ancora un cortile interno di smaglianti pitture, o rangoli e
si è al santuario del tempio per la venerazione del dio.
Una retrocessione oltre il palazzo di re e regina, ci
conduce alla mole antica della dimora della casa di Baiju
Bahwra, il musico eccelso, e santo, che primeggiò
alla corte stessa del Raja Man Singh di Gwalior.
Ci si interni ancora di più, volgendo a sinistra, e si
perviene di lì a poco ad uno dei più incantevli monumenti di Gwalior, le
presunte tombe della famiglia
del santo sufi Nizamuddin.
Se ci si attiene a ciò attestano una placca esterna ed
alcune iscrizioni tombali, che fanno risalire i relativi sacelli al 1425 quando
era signore di Chanderi il Sultano del Malwa Hoshang, che diede l’incarico di
erigerle al ministro Malik Salaar, sono piuttosto i sacelli di
alcuni tardi discepoli del grande asceta sufi, sorti al seguito della
testimonianza di fede di Hazrat Wajihuddin, coevo di Nizamuddin, preposto
alle genti di Chanderi dal sultano Alauddin Khilji.
Ciò detto, è bene forse smemorarsene, per restare
più assorti negli intricati incanti della loro trascendenza ultraterrena, nelle
trame di luce ed ombra che profilano gli intagli geometrici e floreali, i
rilievi in cui sboccia la pietra.
Incroci di diagonali dai fulcri astrali, il loro
intercidere ottagoni concentrici, trine stellari, pendenti foliari, intrichi
d’arnie alveolari, capolini floreali esagonali dal cuore di stelle, da cui si
dipartono e si interconnettono rombi di petali, la profusione in cui può
estasiarsi la mente.
Lasciati i sepolcri con comprensibile stento,
resta il dilemma se portare a termine la visita monumentale della antica città
interna, o ascendere prima al forte, senza resistere oltre alla suggestione di
entrarvi.
Confidando nell’ arte di indugiare del visitatore, nella
morosità della sua delectatio, e prediligendo l’ ordine di precedenza
cronologica dei resti, optiamo per ritardare l’ascesa, dirigendoci
verso nord ovest , dove s’ergono le rovine e gli edifici più monumentali
della città e della civiltà che finì sottomessa ai Moghul, dopo la presa
del forte da parte dell’ imperatore Babur:
Si perviene cosi, irresistibilmente, per i galis che sono come i capillari dellacircolazione della sua rete
viaria, al di quà dei resti delle sue mura, i kot dell’andar sheer, o città interna,
come si già detto, al monumento- simbolo della città di Chanderi,
la Badal Mahal Gate, ossia la Porta del Palazzo tra le
Nuvole.
Quando mai, al suo cospetto, sorge da dire al solo suo nome, denominazione
fantasiosa fu più realistica: solo tra le nuvole, appunto, può situarsi
il Palazzo fantasma cui immetterebbe, giacchè la Porta ha un seguito solo nel
fondale del forte sù in alto. Più prosaica e fittizia, ci sembra la
spiegazione del nome ch'è originata dal dato che le sue torricelle
sembrerebbero toccare il cielo,
mentre il vero storico, chissà, è che era una porta trionfale,
di rappresentanza, che preludeva per gli ospiti, tra fiori e
musica, ai palazzi di corte ed al forte. Certo è che fu edificata nello stesso
secolo d’oro degli altri monumenti islamici di Chanderi, per la precisione nel
1450, quando il Sultano che da Mandu governava Chanderi era Mahmud Shah
Kilji.
Quando mai, al suo cospetto, sorge da dire al solo suo nome, denominazione
fantasiosa fu più realistica: solo tra le nuvole, appunto, può situarsi
il Palazzo fantasma cui immetterebbe, giacchè la Porta ha un seguito solo nel
fondale del forte sù in alto. Più prosaica e fittizia, ci sembra la
spiegazione del nome ch'è originata dal dato che le sue torricelle
sembrerebbero toccare il cielo,
mentre il vero storico, chissà, è che era una porta trionfale,
di rappresentanza, che preludeva per gli ospiti, tra fiori e
musica, ai palazzi di corte ed al forte. Certo è che fu edificata nello stesso
secolo d’oro degli altri monumenti islamici di Chanderi, per la precisione nel
1450, quando il Sultano che da Mandu governava Chanderi era Mahmud Shah
Kilji.
Entro il complesso di cui fa parte, la porta
svetta nelle due torrette che ne affiancano la cortina centrale, in essa si
sormontano due archi , dei quali quello superiore ha le sembianze di un
affaccio su cui incombe il graticcio finissimo di quattro jali, ma solo perchè
l’apertura, in realtà, è l’ammanco di altri quattro pannelli andati
perduti.
Una lunga storia, di reminiscenze, prende corpo nelle
torrette laterali inclinate. Esse richiamano e si richiamano all’arte dei
sovrani Tughluq di Delhi, già governatori del’area di Multan, ora nel Pakistan,
dai piloni inclinati delle cui moschee trassero o trasmisero ai loro
artefici l’ ispirazione di quelle affini in Delhi, del secolo antecedente
a quello della nostra porta. Le loro vestigia si ritrovano nei villaggi ora
inglobati nella attuale megacity, in cui sorgevano le due città di Delhi
fondate dai sultani Tughluq, dopo quelle antecedenti di Qila Rai Pitora e di
Siri: Tughlaqabad e Jahanpanah, quest' ultima di raccordo tra
Tughluqabad e Siri.
Adiacente a Tughlaqabad, è dunque visibile la
moschea inclinata nelle sue mura di Ghiyasuddin,- quello Tughluq, da
distinguersi dal precedente Ghiyassudin Balbab, che in Chanderi già aveva
fondato la congregazione originaria della grande moschea-, mentre nei
villaggi che corrispondono al sito storico di Jahanpanah, sorgono
le moschee dagli ingressi tra piloni, così come in Chanderi la Badan
Mahal, di Kirkee e di Begumpuri, da cui i caotici villaggi circostanti traggono
il nome. A completezza dei riferimenti, va ricordata per i suoi minareti
laterali inclinati anche la ulteriore moschea tughluquide di Kalan, che è
rintracciabile nella vecchia Delhi seguitando l’arteria che vi si inoltra dalla
Turqaman Gate, per distaccarsene dentro strettoie di vicoli che
tolgono il respiro.
Ma dalla nostra porta del Palazzo tra le nuvole,
la vista può spaziare libera su una vastità di cieli, inoltrarsi con
i voli degli uccelli nelle chiome in cui si infoltano gli alberi
retrostanti, o sospingersi verso la fortezza che li sovrasta, differita e
incombente, ove un bastione ne asseconda la curvatura.
Eppure ancora una volta
ricusiamo, sia pure temporaneamente, il suo lusinghevole invito
attrattivo, per ritrovarci al di là della cortina dielle mura, ove è
adombrata la quiete islamica della Jama masjid, la moschea del Venerdì.
Benché la fondazione della moschea congregazionale
risalga alla riconquista islamica di Chanderi ad opera del sultano Ghyassuddin
Balban di Delhi, nel 1251, ( lo stesso il cui mausoleo in Tughlukabad
presenta la inclinazione muraria
che si ritrova nei minareti delle moschee tughluquidi in Delhi e nelle torrette
della porta Badhal Mahal, nella nostra Chanderi), la Jama Masjid si evolse
nel più puro stile afghano, secondo i dettami dei Sultani del Malwa che da
Mandu subentrarono nel governo della città, al punto che se ne posticipa
l’edificazione fino al periodo di massimo splendore artistico che intercorse
sotto il loro governo della città, durante il regno dunque di Mahmud Khilji,-
smentendo anche ciò che lascerebbe supporre un’iscrizione rinvenuta nella
moschea, secondando la quale si dovrebbe retrodatare la sua edificazione al
periodo della sovranità su Chanderi di Dilawar Khan ( 1390-1405).
Al di là del meraviglioso portico d’entrata
sontuosamente decorato nella sua calda pietra, di fogliami cuoriformi, intrecci
di nodi, schiuse rosacee di corolle di petali, ecco che intorno alla
vastità del cortile, nei chiostri laterali, o dalans, nella sala di
preghiera sormontata da tre spoglie cupole di marmo, senza che il complesso sia
sovrastato da alcun minareto, la moschea si depaupera di ogni
ornamentazione, che non siano i medaglioni di loto e i montanti serpentinanti,
e si fa luce ed ombra della sublime potenza di nude arcate e
pilastri portanti, per il raccoglimento assorto di sola meditazione
e preghiera.
Per ridotte che ne siano le dimensioni, più ornamentato
appare il dargah di fronte alla
moschea, ricco di intrichi di jali, di motivi floreali, che inducono
a supporre che sia stato edificato quando a governare in Chandu erano da
Mandu i Kilji del Malwa. Altri due dargah, più tardi, del XVII secolo, sorgono, poco oltre lungo la strada che
procede in direzione opposta all’ingresso in città per la porta di Delhi.
Alsecolo avanti, il XVImo, risale invece il Chakla Baoli, preceduto da due tombe, una vasto bacino acquatico scavato a cielo
aperto, cuisi scende per scalinate di gradini a forma di V.
Levando inevitabilmente lo sguardo dallo stato d’incuria
e d’abbandono in cui versa, possiamo scorgere quanto intanto si sia fatto
distante il forte in altura, come alla sua ascesa non resti più da
frapporre che il percorso che conduce agli inizi della salita, tra il clamore
del traffico sugli acciotolati, il clangore dei telai e delle battiture
metalliche nelle officine, e alte rovine fatiscenti e isolate di altri
antichi edifici.
Nel risalire invece alle origini del forte, le
inevitabili note storiche ci fanno retrocedere, giustificando una sosta
per prenderne nota, fino all’ XImo secolo medievale, quando ne fece iniziare la
costruzione un re hindu Pratihara che è centrato nella leggenda locale, Raja
Kirti Pal, da cui trae il nome di Kirtidurg. Occore invece rifarsi più
tardi ad Alauddin Kilj, sì, quello appunto dal cui magnifico mausoleo nel
complesso in Delhi del Qutbminar, ha inizio l’assimilazione perfetta della
curvatura di cupole ed archi nell’arte indiana, per venire a sapere a quale
conquista del forte si debba la sovrastratificazione definitiva, anche in
Chanderi, della civiltà islamica su quella hindu, raggiungendovi il suo acme
quando agli esordi del XVmo secolo passò sotto i Sultani del Malwa in
Mandu.
Se si sta alle cronache del Baburnama, il libro di
Babur, sembra che quasi senza colpo ferire nel dì che si è già detto del
1527, l’imperatore moghul si sia impadronito della possente fortezza: ” Io ho espugnato
questo forte rinomato, senza dovere sollevare le mie bandiere, o battere i miei
timpani, e impiegare l’intera forza delle mie armi”.
Ma il forte ci svelerà tra poco, come a Babur, quanto di
tremendo aveva significato tale arrendevolezza .
Risalendovi intanto, per la massicciata del sentiero che
vi conduce, ai rumori della città subentreranno il canto degli uccelli e
il clangore dei campanacci di capre, sospinte per lo più da pastori bambini,
mentre l'erba fa sempre più la sua comparsa ai bordi e fra i ciotoli.
Traverseremo così una soltanto delle tre porte che rallentavano il passo, la
superstite Khuni Darwaza, o Porta
insanguinata, che trarrebbe il suo nome cruento
dai cadaveri espostivi dei prigionieri che vi finivano maciullati,
strapiondandovi dall’alto delle mure da cui erano fatti esemplarmente
precipitare, durante il regno dei Sultani del Malwa.
Giunti entro le mura merlate, cattura immediatamente la
vista il complesso, o componud, di palazzi sovrastificati addossati ad esse,
per superarle in altezza nelle torri, e nei chattri, in cui culminano i
tre piani degli edifici aggregati intorno a un luminoso cortile,
costellato di vere di pozzi.
La vicina moschea, attribuita a Babur, ma risalente al XIVmo secolo, e di epoca
Kilji, sopravvive solo nella sala di preghiera, dal meraviglioso mirab
intarsiato di rombi ricamati nella pietra, dei più incantevoli boccioli
floreali.
E’ nei suoi pressi che dal balcone della porta Hawa Paur ci
si può alfine affacciare sulla vista incantevole di tutta Chanderi sottostante,
del biancheggiare delle sue murature e dei terrazzi dei tetti, nel dedalo di
vicoli curvanti e di slarghi di cortili, entro la chiostrahe le fa
corona, delle colline sormontate in cima da dei dargah , ove già si
possono ravvisare, sulla sinistra, i bacini lacustri dei siti di caccia, la Kati Gathi intagliata
in una gola rupestre, mentre tra gli abitati e l’infoltarsi degli alberi in
Chanderi, è ora un’ incantevole meraviglia ravvisare nella panoramica, ad
uno ad uno, pressocché tutti quanti i monumenti già visitati, come in un loro
plastico che ne è invece la visione fragrante e reale: eccoli di nuovo,
miniaturizzato, il Palazzo del Re e della regina, il tempio jainista accanto,
con i sikkara e gli stendardi color zafferano sventolanti, più sottostante il
tempio di Narashima, e più oltre, come si allarghi, la vista, la porta Badal
Mahal, la Jami masjid, il tutto incantevole, stupendo...
Nel distacco, giova recarsi per assoluto contrasto al Jauhat Tal,
la fonte primaria per il forte d’acqua sorgiva, e vi sapremo che cosa
rivelò d’atroce, il suo pozzo, sui retroscena dell’arrendevolezza a Babur di
Medini Rai e dei suoi militi e cortigiani hindu : 600 donne del Rajput si
erano gettate dentro nel pozzo in un suicidio collettivo, pur di non finire
stuprate e oltraggiate nelle mani del nemico.
Una lasta di marmo nel padiglioncino eretto sul tal,
commemora il loro sacrificio.
Più a Ovest è la tomba del
grande musicista cantante** Baju Bavra,
cui, per la dedizione totale alla musica del cuore infranto da un amore
deluso, si rese nel canto possibile l’impossibile: in una tenzone canora
vincere di fronte ad Akbar medesimo il mitico Tansen, suo favorito.
La discesa dal forte ci porta, in conclusione
dell’itinerario, a risalire i pendii, poco oltre il termine della discesa , che
gradino dopo gradino ci recano al tempio hindu Shri Jageshwari.
Stando alla leggenda ch’è persuasione
locale, sarebbe statta fatta edificare dal medesimo Kaja Kirti Pal
che avrebbe dato inizio all’insediamento del forte, ma stavolta per una
ispirazione della stessa Dea.
Come in ogni mito che si rispetti, anche in questa
leggenda c’è chi non sa resistere alle prescrizioni di attendere, e si volge ad
Euridice prima che sia fuori del Tartaro. o all’indietro a vedere Sodoma che
ancora brucia, sicché Kirti Pal
inaugura il tempio prima dei tempi convenuti, e la dea vi manifestò se stessa
solo nell’ emersione del volto.
In una cava vicino all’entrata principale sta
l’idolo prezioso della dea, e un tempio moderno ceramicato ne assiste il culto.
Tra i vari padiglioni, tinteggiati tutti di bianco, due
shiva linga, in pietra nera, si distinguono tra tutti gli altri, con il loro
toro Nandi in adorazione, perchè
recano scolpiti 1.000 più piccoli
linga, alla stregua dei mille, e più Buddha, di innumerevoli luoghi di culto
buddhisti.
Un’antica immagine rupestre di Shiva e Parvati, scolpita
nella roccia retrostante il tempio, un dio Hanuman, anch’esso scultoreo,
immancabilmente tinteggiato di rosso arancio, sono le reliquie salienti del
tempio, prima di ritrovarci al termine del nostro itinerario, ai piedi del
colle, presso il bacino lacustre del Sagar Kund, cui i ghat discendono tra
quattro chattri agli angoli.
E per noi resta soltanto il respiro del Dio in una
brezza fra i rami, che percorra gli anfratti e i templi nella
cavità del monte.
.............................................................
Riprendiamo freschi di nuove energie la nostra visita, ed eccoci pervenuti , preso un tuk tuk,
a quanto di più bello, a non più
quattro chilometri di distanza dal centro, in direzione nord ovest, v’ è
in Chanderi nell'ambito dell'architettura civile: il Koshak Mahal, eretto da
Mahmud Kalj in onore della moglie Koshak che vi ebbe il terzogenito.
Sette avrebbero dovuto essere forse i suoi piani, di cui
tre soltanto sono giunti a termine, più un quarto semifinito, sopravvivendo a
ogni tentativo di distruzione, ultimo quello del British dopo l’uprising, l’insorgenza indiana del 1857: sette
piani quanti furono sette i giorni celebrativi la vittoria di Mahmud Shah Kilji
su Mahmud di Jaunpur a Kalpi nel 1445.
Come un Char bag pietrificato, è un enorme edificio
cubico, di 35 metri per lato, in cui quattro archi preludono a quattro passaggi
arcuati che s’incrociano al centro dell’ edificio, originando quattro quadranti
a più piani, inflessi anch'essi in serie di archi e gallerie arcuate.
Scalinate raccordano i piani, finestre balconate si aprono all’esterno
immettendo luce. L’ornamentazione è ridotta ai minimi termini, al solo
apparato di medaglioni di loto, di marcapiani dentellati e di trafori di
jali al culmine degli archi inferiori, per lasciare il campo
architettonico alla nuda potenza immane delle masse murarie voltate e
dell’incurvarsi degli archi, nel rilancio del loro slancio di piano in piano,
di campata in campata, senza che la perfezione espressiva della tensione
che si è sprigionata si risolva nel suo sedarsi. Il tutto nel calore inesausto
dell’ardore vibrante di una pietra incensa.
Di rientro in Chanderi, lungo il tragitto è possibile soffermarsi,
a poca distanza, presso il Museo
archeologico dell'Archaeological Survey of India, inaugurato nel 2007 e di
concezione contemporanea.
E' imprescindibile per una rievocazione, sin dalla preistoria, del
passato della regione circostante, mentre di Chanderi sono ricostruite le varie fasi, a iniziare
dall'insediamento originario di Budhi Chanderi, in altura, di cui sono esposti
i reperti . Al pari delle rovine templari del sito, distanti 18 km, attestano
come fosse un grande centro Jain, al pari di Thuvanji, Sironji, Deoghar nel
circondario più prossimo.
Le immagini di tali siti, come delle meravigliose ornamentazioni della sala
ipostila del tempio Gupta di Beathi, possono essere un invito da non lasciar
perdere a visitarli, insieme con le località archeologiche che ricorrono in
prossimità della strada per Mughawli, Nanon in particolare, le cui pitture rupestri figurano sulle
pareti delle cavità rocciose, di riparo, che sovrastano la confluenza tra due
rivi in altura.
E ' poco distante dal Musero il Ram Nagar Mahal, il più rilevante monumento
hindu di Chanderi, un Palazzo che fu fatto edificare nel 1698 dal Maharaja
Durjan Singh Bundhela, e restaurato nel 1925 da Madhao Rao Scindia.
Disposto su tre piani, serviva da buon ritiro per la caccia dei marahaja hindu,
ed ospita ora il Museo del MP State Archaeology Department, di cui i reperti
più significativi sono le pietre celebrative delle immolazioni muliebri della
sati.
La sala interna che le ospita, cosi come il cortile, per il tramite di tre
porte che immettono al balcone che vi si affaccia, consente di accedere alla
vista del lago, il Ram Nagar, che già si era offerto alla nostra vista
dall'alto della fortezza di Chanderi. Fu nell'imminenza della cattura del
forte, che Babur trascorse la notte su queste rive.
Lasciando il Ram Nagar Mahal, siamo oramai prossimi più a sud, a Shri
Digambar Atishay Khandagiri, il più rilevante sito jain di Chanderi, a
ridosso di un'altura verdeggiante,
Le grotte che vi sono state scavate sono ancora più remote delle statue che
vi vennero scolpite all'interno, tali rilevi risalgono al dodicesimo,
tredicesimo secolo della nostra era, e si sono preservati senza patire sfregi o
dissacrazioni. Primeggia tra essi la statua imponente di Rishabhnath, che
fronteggia impavida nel tempo i 14 metri della propria altitudine abrasa dal
tempointatta.
Due templi sottostanti, una foresteria, un training centre completano il
complesso.
Inoltriamoci ancora più a sud, e sarà di li a poco raggiungibile un altro
suggestivo monumento del circondario di Chanderi, avvistabile anch' esso in
miniatura dall'altezza del forte: é la Kati Ghati, la porta intagliata nella
roccia di un colle che immette in Chanderi dal Malwa e dallo stesso Bundelkand.
In funzione dal 1495, si offre ora al transito di armenti, e dei fuori
strada, così come sarebbe stata edificata in una notte, per l'arrivo in
Chanderi di Ghiyassuddin Khiliji, da un artefice altrettanto portentoso quanto
disgraziato.Il lurco governatore locale, a dispetto del suo meravigliato
stupore per l’impresa, ebbe la micragnosità di rilevare che vi era la porta, ma
non i battenti, e dunque rifiutò di pagare il capomastro, che tanto ne fu
scornato che si suicidò- Presso la porta si può ancora vederne la presunta
tomba.
Un'altra leggenda vuole che sia stato invece Babur a volere che una porta
disostruisse l'ostacolo che il colle, in cui fu ricavata, frapponeva
all'assalto del forte di Chanderi, Un minuto mirhab intagliato nella roccia,
presso lo scavo della porta, e tutt'ora ben visibile, gli avrebbe consentito di
pregare per il fin troppo facile esito della battaglia per la cattura del
forte, ed è all'origine di questa storia ulteriore.
Altre leggende infioreranno il nostro percorso ulteriore e conclusivo nei
paraggi di Chanderi.
Esso ha la sua prima meta nel romantico e incantevole Parmeshwar tal, uno
specchio d'acqua dall'accesso sconnesso e oltraggioso della sua bellezza,
irredento, nell’ultimo tratto, dai resti poco distanti di un antichissimo
tempietto hindu shivaita e sfinito dal tempo, in stile remotoPratihara. Sul
lago si affacciano, fronteggiandiosi, il biancore dei santuari del tempio
Lakshman e i resti imponenti di alcuni chattris hindu di Re Bundela,
Bharath Shah e Devi Singh. Fu in queste acque che il mitico re fondatore
Kirti Pal, della dinastia Pratihara, glorioso e lebbroso, essendovi reduce
dalla caccia nella giungla più profonda, trovò una cura miracolosa che lo
depurò della sua lebbra. Gli apparve allora la dea Jageshwari, chiedendogli,
come il lettore potrà facilmente supporre, alla luce degli innumerevoli altri
tramandi dello stesso canovaccio leggendario, di costruirle un tempio sulla
vicina collina, con il solito annesso divieto inderogabile, che nel tal caso era
l’intimazione di mantenerne chiuse le porte per nove giorni, a frustrazione della sua curiosità.
Immancabilmente il re venne meno all'interdetto, e di nuovo fu afflitto dalla lebbra. Era
allora la vecchia ( Budhi) Chanderi la capitale, d un tremendo terremoto di lì
a poco la distrusse, obbligando re Kirti Pal a trasferirne il sito dove ora
sorge Chanderi.
Obbligo di completezza ci impone di riferire, a gloria del tempio
Laksman, la consueta storia di un idolo
del Dio che non ne vuole sapere di starsene dove i devoti l 'hanno sistemato,
in tal caso l'ombra confortevole di un peepal, e che non s' acquieta fin
che non lo dispongono nel luogo richiesto, per l'appunto dove ora sorge il
tempio Laksman.
Il devoto vi può onorare anche il dio Shiva e Radha Khrishna, in annessi
tempietti, mentre la kutya,
ossia una capanna, è la stanza adibita al culto singolare di Vibhishan, il
fratello virtuoso del demone Ravan.
Di poco a defilarsi tra i campi più a est, sorge in tutta la grazia delle
sue serpentinanti mensole il mausoleo Shehzadi ka Rauza. Le tettoie o chhajja
che esse sorreggono, lascerebbero supporre che l'interno sia a due piani:
duplice è invece solo l'ordine delle arcate, quello superiore di dimensioni più
ridotte, al pari di quello esterno rispetto all’ inferiore, su cui sfora
l'oculo celestiale della cupola franata, insieme con tre dei quattro chattris
che l'attorniavano.
Un fregio in ceramica blu che ricorre sopra la gronda superiore, accredita
che le calde pareti, ora fulgide di
luce, fossero un tempo ricoperte di mattonelle smaltate.
Il suo ingentilimento, come quello delle merlature in cui si apre lo
schiudersi del loto, ne attesta la natura muliebre, e prelude alla leggenda
dolente e funeraria che ora narrerò.
La principessa Mehrunisssa si era innamorata di un comune comandante
militare, senza gradi di nobiltà. Il padre, disapprovando la loro relazione,
cercò in tutti i modi di dissaduerla e di farla desistere, ma ogni suo sforzo
fu vano. Risolse pertanto di porre termine alla relazione facendo assassinare
l’amante della figlia. Il giovane uomo, benchè gravemente ferito, riuscì a
sottrarsi ai suoi carnefici e ad essere di ritorno in Chanderi, dove crollò di
schianto ed emise un gemito agonizzante. La principessa ne riconobbe la voce
morente e accorse dal suo amato, ma solo per essere in tempo a raccogliere
l’esalare del suo ultimo respiro. Sconvolta, e con il cuore infranto, ella pure
trovò allora la fine dei suoi giorni. Ove i due amanti spirarono accanto, due
lastre di pietra contigue, con scolpiti due nobili cavalli, indica presso la
Shehz adi Rouza che ivi i due amanti si riunirono nella morte trovando nel
mausoleo sepoltura.
Procedendo ancora più fra i campi, e più a est, sotto un monticello
su cui si erge il bianco Ali ji-ki-darghah, possiamo ritrovare la magnifica
Shahi Madarsa, risalente ai re Khilji di Mandu.
Sarebbe stato il solito Babur a violarne la natura di scuola, insediandovi
le false tombe all'interno, demolendone le cupole.
Foss'anche avvenuto, il presunto misfatto non ci impedisce di ammirarne lo
splendore delle jali scolpite, inserite, come un diaframma di luce nei loro
intagli, lungo i muri della parete in comune
della camera centrale e del portico maestoso che le volge intorno
Una camminata per il terreno roccioso, ci può condurre, più a sud,
all'ultima meta del nostro viaggio, il Battisi Baoli, ch’è il meglio preservato
dei 1.200 baoli di Chanderi, tanti quante erano
le 1.200 moschee che vi sarebbero sorte, di cui dice magnificandoli
l'Ain i Akbari.
Iperbolico il numero, quanto il fabbisogno d'acqua della Chanderi
Medioevale, in arida altura, a sei chilometri di distanza dallo scorrere delle
acque del Betwa, con una popolazione in aumento sino alle 100.000 anime.
Fatto sta che di baoli possiamo ancora ammirarne vari in Chanderi, il
Chakla Baoli e il Moosa Baoli nel centro attuale, oltre al Battisi Baoli presso
il quale volge al termine il nostro itinerario. E’ un grandioso
bacino quadrato della profondità
di quattro piani, con quattro scale (ad esso) d'accesso, che rappresenta
l'estrema sublimazione, in un edificio civile, della tendenza dell' arte
islamica di matrice afghana, diffusasi in India, all’astrazione di ogni
ornamentazione sino al supremo spoglio, affinché la nuda potenza in
tensione, o la sobrietà grandiosa delle pure volumetrie architettoniche,
cantino la gloria di Dio o dei benefici del potere civile
19 luglio 2013
Riprendiamo freschi di nuove energie la nostra visita, ed eccoci pervenuti , preso un tuk tuk,
a quanto di più bello, a non più
quattro chilometri di distanza dal centro, in direzione nord ovest, v’ è
in Chanderi nell'ambito dell'architettura civile: il Koshak Mahal, eretto da
Mahmud Kalj in onore della moglie Koshak che vi ebbe il terzogenito.
Sette avrebbero dovuto essere forse i suoi piani, di cui
tre soltanto sono giunti a termine, più un quarto semifinito, sopravvivendo a
ogni tentativo di distruzione, ultimo quello del British dopo l’uprising, l’insorgenza indiana del 1857: sette
piani quanti furono sette i giorni celebrativi la vittoria di Mahmud Shah Kilji
su Mahmud di Jaunpur a Kalpi nel 1445.
Come un Char bag pietrificato, è un enorme edificio
cubico, di 35 metri per lato, in cui quattro archi preludono a quattro passaggi
arcuati che s’incrociano al centro dell’ edificio, originando quattro quadranti
a più piani, inflessi anch'essi in serie di archi e gallerie arcuate.
Scalinate raccordano i piani, finestre balconate si aprono all’esterno
immettendo luce. L’ornamentazione è ridotta ai minimi termini, al solo
apparato di medaglioni di loto, di marcapiani dentellati e di trafori di
jali al culmine degli archi inferiori, per lasciare il campo
architettonico alla nuda potenza immane delle masse murarie voltate e
dell’incurvarsi degli archi, nel rilancio del loro slancio di piano in piano,
di campata in campata, senza che la perfezione espressiva della tensione
che si è sprigionata si risolva nel suo sedarsi. Il tutto nel calore inesausto
dell’ardore vibrante di una pietra incensa.
Di rientro in Chanderi, lungo il tragitto è possibile soffermarsi,
a poca distanza, presso il Museo
archeologico dell'Archaeological Survey of India, inaugurato nel 2007 e di
concezione contemporanea.
E' imprescindibile per una rievocazione, sin dalla preistoria, del
passato della regione circostante, mentre di Chanderi sono ricostruite le varie fasi, a iniziare
dall'insediamento originario di Budhi Chanderi, in altura, di cui sono esposti
i reperti . Al pari delle rovine templari del sito, distanti 18 km, attestano
come fosse un grande centro Jain, al pari di Thuvanji, Sironji, Deoghar nel
circondario più prossimo.
Le immagini di tali siti, come delle meravigliose ornamentazioni della sala
ipostila del tempio Gupta di Beathi, possono essere un invito da non lasciar
perdere a visitarli, insieme con le località archeologiche che ricorrono in
prossimità della strada per Mughawli, Nanon in particolare, le cui pitture rupestri figurano sulle
pareti delle cavità rocciose, di riparo, che sovrastano la confluenza tra due
rivi in altura.
E ' poco distante dal Musero il Ram Nagar Mahal, il più rilevante monumento
hindu di Chanderi, un Palazzo che fu fatto edificare nel 1698 dal Maharaja
Durjan Singh Bundhela, e restaurato nel 1925 da Madhao Rao Scindia.
Disposto su tre piani, serviva da buon ritiro per la caccia dei marahaja hindu,
ed ospita ora il Museo del MP State Archaeology Department, di cui i reperti
più significativi sono le pietre celebrative delle immolazioni muliebri della
sati.
La sala interna che le ospita, cosi come il cortile, per il tramite di tre
porte che immettono al balcone che vi si affaccia, consente di accedere alla
vista del lago, il Ram Nagar, che già si era offerto alla nostra vista
dall'alto della fortezza di Chanderi. Fu nell'imminenza della cattura del
forte, che Babur trascorse la notte su queste rive.
Lasciando il Ram Nagar Mahal, siamo oramai prossimi più a sud, a Shri
Digambar Atishay Khandagiri, il più rilevante sito jain di Chanderi, a
ridosso di un'altura verdeggiante,
Le grotte che vi sono state scavate sono ancora più remote delle statue che
vi vennero scolpite all'interno, tali rilevi risalgono al dodicesimo,
tredicesimo secolo della nostra era, e si sono preservati senza patire sfregi o
dissacrazioni. Primeggia tra essi la statua imponente di Rishabhnath, che
fronteggia impavida nel tempo i 14 metri della propria altitudine abrasa dal
tempointatta.
Due templi sottostanti, una foresteria, un training centre completano il
complesso.
Inoltriamoci ancora più a sud, e sarà di li a poco raggiungibile un altro
suggestivo monumento del circondario di Chanderi, avvistabile anch' esso in
miniatura dall'altezza del forte: é la Kati Ghati, la porta intagliata nella
roccia di un colle che immette in Chanderi dal Malwa e dallo stesso Bundelkand.
In funzione dal 1495, si offre ora al transito di armenti, e dei fuori
strada, così come sarebbe stata edificata in una notte, per l'arrivo in
Chanderi di Ghiyassuddin Khiliji, da un artefice altrettanto portentoso quanto
disgraziato.Il lurco governatore locale, a dispetto del suo meravigliato
stupore per l’impresa, ebbe la micragnosità di rilevare che vi era la porta, ma
non i battenti, e dunque rifiutò di pagare il capomastro, che tanto ne fu
scornato che si suicidò- Presso la porta si può ancora vederne la presunta
tomba.
Un'altra leggenda vuole che sia stato invece Babur a volere che una porta
disostruisse l'ostacolo che il colle, in cui fu ricavata, frapponeva
all'assalto del forte di Chanderi, Un minuto mirhab intagliato nella roccia,
presso lo scavo della porta, e tutt'ora ben visibile, gli avrebbe consentito di
pregare per il fin troppo facile esito della battaglia per la cattura del
forte, ed è all'origine di questa storia ulteriore.
Altre leggende infioreranno il nostro percorso ulteriore e conclusivo nei
paraggi di Chanderi.
Esso ha la sua prima meta nel romantico e incantevole Parmeshwar tal, uno
specchio d'acqua dall'accesso sconnesso e oltraggioso della sua bellezza,
irredento, nell’ultimo tratto, dai resti poco distanti di un antichissimo
tempietto hindu shivaita e sfinito dal tempo, in stile remotoPratihara. Sul
lago si affacciano, fronteggiandiosi, il biancore dei santuari del tempio
Lakshman e i resti imponenti di alcuni chattris hindu di Re Bundela,
Bharath Shah e Devi Singh. Fu in queste acque che il mitico re fondatore
Kirti Pal, della dinastia Pratihara, glorioso e lebbroso, essendovi reduce
dalla caccia nella giungla più profonda, trovò una cura miracolosa che lo
depurò della sua lebbra. Gli apparve allora la dea Jageshwari, chiedendogli,
come il lettore potrà facilmente supporre, alla luce degli innumerevoli altri
tramandi dello stesso canovaccio leggendario, di costruirle un tempio sulla
vicina collina, con il solito annesso divieto inderogabile, che nel tal caso era
l’intimazione di mantenerne chiuse le porte per nove giorni, a frustrazione della sua curiosità.
Immancabilmente il re venne meno all'interdetto, e di nuovo fu afflitto dalla lebbra. Era
allora la vecchia ( Budhi) Chanderi la capitale, d un tremendo terremoto di lì
a poco la distrusse, obbligando re Kirti Pal a trasferirne il sito dove ora
sorge Chanderi.
Obbligo di completezza ci impone di riferire, a gloria del tempio
Laksman, la consueta storia di un idolo
del Dio che non ne vuole sapere di starsene dove i devoti l 'hanno sistemato,
in tal caso l'ombra confortevole di un peepal, e che non s' acquieta fin
che non lo dispongono nel luogo richiesto, per l'appunto dove ora sorge il
tempio Laksman.
Il devoto vi può onorare anche il dio Shiva e Radha Khrishna, in annessi
tempietti, mentre la kutya,
ossia una capanna, è la stanza adibita al culto singolare di Vibhishan, il
fratello virtuoso del demone Ravan.
Di poco a defilarsi tra i campi più a est, sorge in tutta la grazia delle
sue serpentinanti mensole il mausoleo Shehzadi ka Rauza. Le tettoie o chhajja
che esse sorreggono, lascerebbero supporre che l'interno sia a due piani:
duplice è invece solo l'ordine delle arcate, quello superiore di dimensioni più
ridotte, al pari di quello esterno rispetto all’ inferiore, su cui sfora
l'oculo celestiale della cupola franata, insieme con tre dei quattro chattris
che l'attorniavano.
Un fregio in ceramica blu che ricorre sopra la gronda superiore, accredita
che le calde pareti, ora fulgide di
luce, fossero un tempo ricoperte di mattonelle smaltate.
Il suo ingentilimento, come quello delle merlature in cui si apre lo
schiudersi del loto, ne attesta la natura muliebre, e prelude alla leggenda
dolente e funeraria che ora narrerò.
La principessa Mehrunisssa si era innamorata di un comune comandante
militare, senza gradi di nobiltà. Il padre, disapprovando la loro relazione,
cercò in tutti i modi di dissaduerla e di farla desistere, ma ogni suo sforzo
fu vano. Risolse pertanto di porre termine alla relazione facendo assassinare
l’amante della figlia. Il giovane uomo, benchè gravemente ferito, riuscì a
sottrarsi ai suoi carnefici e ad essere di ritorno in Chanderi, dove crollò di
schianto ed emise un gemito agonizzante. La principessa ne riconobbe la voce
morente e accorse dal suo amato, ma solo per essere in tempo a raccogliere
l’esalare del suo ultimo respiro. Sconvolta, e con il cuore infranto, ella pure
trovò allora la fine dei suoi giorni. Ove i due amanti spirarono accanto, due
lastre di pietra contigue, con scolpiti due nobili cavalli, indica presso la
Shehz adi Rouza che ivi i due amanti si riunirono nella morte trovando nel
mausoleo sepoltura.
Procedendo ancora più fra i campi, e più a est, sotto un monticello
su cui si erge il bianco Ali ji-ki-darghah, possiamo ritrovare la magnifica
Shahi Madarsa, risalente ai re Khilji di Mandu.
Sarebbe stato il solito Babur a violarne la natura di scuola, insediandovi
le false tombe all'interno, demolendone le cupole.
Foss'anche avvenuto, il presunto misfatto non ci impedisce di ammirarne lo
splendore delle jali scolpite, inserite, come un diaframma di luce nei loro
intagli, lungo i muri della parete in comune
della camera centrale e del portico maestoso che le volge intorno
Una camminata per il terreno roccioso, ci può condurre, più a sud,
all'ultima meta del nostro viaggio, il Battisi Baoli, ch’è il meglio preservato
dei 1.200 baoli di Chanderi, tanti quante erano
le 1.200 moschee che vi sarebbero sorte, di cui dice magnificandoli
l'Ain i Akbari.
Iperbolico il numero, quanto il fabbisogno d'acqua della Chanderi
Medioevale, in arida altura, a sei chilometri di distanza dallo scorrere delle
acque del Betwa, con una popolazione in aumento sino alle 100.000 anime.
Fatto sta che di baoli possiamo ancora ammirarne vari in Chanderi, il
Chakla Baoli e il Moosa Baoli nel centro attuale, oltre al Battisi Baoli presso
il quale volge al termine il nostro itinerario. E’ un grandioso
bacino quadrato della profondità
di quattro piani, con quattro scale (ad esso) d'accesso, che rappresenta
l'estrema sublimazione, in un edificio civile, della tendenza dell' arte
islamica di matrice afghana, diffusasi in India, all’astrazione di ogni
ornamentazione sino al supremo spoglio, affinché la nuda potenza in
tensione, o la sobrietà grandiosa delle pure volumetrie architettoniche,
cantino la gloria di Dio o dei benefici del potere civile
19 luglio 2013
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