Nella quiete ombrosa del complesso jain, una fortuna assai
minore seguita ad arridere al tempio intestato al primo dei ventiquattro
tirthankhara, Adinath, o Rishabanath,
“coloro che ci preparano il guado” oltre il tempo e gli accadimenti
dell’oceano di dolore infinito delle reincarnazioni, rispetto al contiguo più imponente
Parshavanath, un disdoro di cui una ragione non ultima, con la minore appariscenza monumentale, è l indisponibilità indisponente delle guide
ufficiali a volgervi l’attenzione dei turisti che vi catapultano nei rimasugli
di tempo oramai serali che a loro riservano,
dopo averli accattati con i
torpedoni di lusso che ve li conducono ancora accaldati dal volo aereo da
Delhi. via Varanasi, una volta che solo
nel tardo pomeriggio alfine esso sia
pervenuto a destinazione. Eppure, al chiarore diurno, basterebbe soffermarvisi con uno sguardo
attento, per sentirsi permeati da una sua armonia di forme
ch’è straordinaria/d’eccezione, pur
nelle sole componenti superstiti del santuario, del vestibolo e della loro
sovrastruzione, preceduti da un mandapa postumo d’incongruenze Bundela.
E’ il tempio Adinath di una siffatta bellezza, che non solo la sua peculiarità jainista induce a
svincolarla dai raffronti di lungo corso con il tempio Vishnuita Vamana,
risalenti allo stesso gran maggiore Cunningham, in ragione di sembianze
architettoniche solo esteriormente similari, quali il settuplice succedersi-
sapta-ratha-delle proiezioni verticali
lungo i crinali dei muri e del sikhara,
od il profilarsi della sua ogiva
oblunga senza appigli di sikharikas, o anga-sikharas-, ma il differenziarsene e l eccellere per la
fattura pregevolissima più di pregio delle carenature dell ordito di
chatya gavakshas, che ne risalgono la china, e
per l’eleganza superiore dei rilievi sottili e dilungati delle sue
proiezioni di squisito tempio sapta-ratha, . che quasi a smentirne la dedica al
tirtankhara Adinatha, conferiscono al
tempio una venustà muliebre, confortata dal ricorso onnipresente di immagini
statuarie di Yakshi Jainiste e di dilettevoli apsararas, contemperato dalla
ingerenza hindu di sole immagini di deità maschili nelle sole effigi
propiziatrici dei dikpalas e astavasus, delle otto direzioni cardinali. e di un
duplice Kubera annidato con i suoi nidhi tesoriferi nella soglia d’accesso al santuario.
Che il tempio Adinath sia sapta-ratha, e che lo sia nei termini della più luminosa e
semplice , decantata perfezione architettonica, induce a posporlo nel
tempo ai templi di Khajuraho che pur nella loro grandiosità comprimevano la
loro concezione formale in un canone ancora pancha-ratha, quali il Laksmana e
il Visvanatha , non che all’ibrido jainistico -vishnuita del Parshvanatha,
inarticolato in profondità arcane di rilievi e proiezioni quali gli altri templi statuari di Khajuraho, al tempio Kandarya che dell’adeguatamento saptaratha di
concezione e di canone è il primo e massimo conseguimento, e al tempio stesso Vamana che in tale assunto non trascende la sua
grevità allargata /latitudinalmente trasversalmente di richiami remoti e di
precorrimenti audaci, e a presumerlo ad
esso posteriore, facendolo risalire al- --- e.c.
Le parti superstiti erano un tempo precedute da portico e
mandapa, forse un guhamandapa che traeva luce solo da un traforo di jali come l
interno con deambulatorio del Parshvanata, secondo una consuetudine jainista
consolidatasi negli attuali
Rajasthan-Gujarat, dove i templi Jainisti si differenziarono da quelli hindu perché
ricusavano anche solo l’alternanza di un guhamandapa con un mandapa che fosse aperto
all’irradiazione solare di finestre balcone.
In loro luogo, sotto un grezzo ammanto calcinato, le arcate
e specchiature, sotto una merlatura di coronamento, del mandapa indoislamico
appostovi in tempi moderni a otturazione
del guasto.
Il garbagriha ed il vestibolo dell’antarala e sono invece
pressoché perfettamente integri, fino al
termine delle loro sovrastruzioni, il pinnacolo del sikhara nelle sue guise
latina e l’antefissa del sukanasa ch’è la più splendida di Khajuraho, e tra le
più splendide dell’intera India, nella fluenza dal grande kirtimukka centrale
della ricaduta nelle fauci dei makara delle ghirlande di campane,.
Raccordano garbagriha e vestibolo l’eminenza delle nicchie
della proiezione centrale del bhadra e dell’antarala, queste ultime sormontate
da tre edicole ulteriori lungo i fianchi
dell’antefissa vestibolare, e all’altezza della fascia del terzo ordine di statue, costituto da un corso
di guizzanti gandharvas celestiali, il
coronamento di bhadra ed antarala
offerto da deliziosi balconcini
di obliqui kakshasana cui si affacciano devoti dialoganti, un accostamento
divenuto di rito nell’architettura religiosa in Khajuraho,
ricorrendovi nei templi Javari e Vamana , Duladeo eChaturbuja, e Jagadambi,
mentre fregia solo il bhadra del tempio Chitragupta, e non ve ne è ancora
traccia nei grandi antecedenti dei più
monumentali templi Lakhsmana, Vishvanatha, Kandarya, laddove nel lontano
Rajasthan si può ritrova la duplice
miniaturizzazione nel tempio di Jagat, a
sud di Udaipur, o ne appare una sola ricorrenza nel solo antarala nel tempio in
Badholi, serializzata e moltiplicata
lungo ogni diagonale nel tetto samvarana del rangmandapa che lo
fronteggia,mentre a distanze meno remote
un affollato balconcino lo si rinviene nel solo bhadra del Garhi math in
Kadvaha. L’eminenza così raccordata e
suggellata delle nicchie di bhadra e di antarala, a connotazione, nel tempio
Adinath, della rilevanza delle immagini
dell Yalshi che offrono alla visualizzazione adorante e meditante dei devoti jainisti intenti alla
pradakshina, negli altri templi miniori
di Khajuraho si fa altresì replica miniaturizzata delle medesime forme balconate in
diversa grandezza di cui è ridondante la
riproposizione miniaturizzata del kakshasana obliquo di finestre balcone che figurino in scala umana nei diversi
transetti e mandapa di altri templi in Khajuraho che a misura d’uomo appaiono nelle
kakshasana dei balconi finestre dei mandapa, come non è più dato sapere se
fosse anche nel tempio Adinath.
Risalendolo ora in verticale, sulla piattaforma di una
jagati sostitutiva di quella originaria, il cui slancio ascendente è finito
perduto, l’adhishthana del basamento, conservatosi più completo di quella del
tempio Parshavanata, presenta la
tripartizione invalsa nei templi
Chandella in uno zoccolo, o bitha, un
plinto o pitha, e un podio, o vedibhanda,
al quale nei templi Pratihara precedenti per lo più era riducibile l intero
basamento, una tripartizione le cui forgiature
/modanature conclusive sono rimarcate dalla ricorrenza finale o
soggiacente, quale madhya banda, di un
corso di rosette, alternate a rombi
nella fascia terminale.
Costituiscono lo zoccolo una bhitta primaria liscia ed il
risalto conseguente di una seconda modanatura
di rombi diamantini alternati a pilastrini , rimarcato in contrasto dalla successione di una scabra
jadya-kumbha, cui si susseguono la
madhya bhanda di rosette, già rilevata,
e la conclusione della bhitta in una modanatura arrotondata in
merlature di petali di loto sovrapposti
ad una perlinatura. Il plinto ha inizio in una seconda jadya- kumbha, che si
fregia di thakarikas superiori cui fanno
da contrappunto le gagarakas soggiacenti della karnika sovrastante, prima che l’ulteriore madhya banda di rosette
preceda la grasa-pattika di kirtimukkas
in cui il plinto si conclude.
Se ne stacca la successione grave di khura , kumbha e kalasa
della vedibandha, sovraornamentata nella kumbha da edicole templari che incastonano rombi di diamanti, a latere di quella del bhadra che alberga una
propria divinità, al riparo di una gronda sotto il frontoncino di un udgama di
gavakshas carenati,.
Un kapota decorato tanto di thakarikas quanto di gagarakas
precede il ricorso finale di una fascia ulteriore di rombi e rosette, non di
meno fregiantesi di gagarakas, che funge da supporto ai piedistalli delle
statue ed alle ornamentazioni inferiori delle edicole dei bhadras, con cui
cominciano le sopraelevazioni delle sette proiezioni del jangha.
Vi ricorrono tre
ordini di immagini, due Yakshi nelle due
nicchie sottostanti del bhadra centrale, affiancate ciascuna da due ninfe per lato
nelle due pratirathas mediane, cui subentrano un dikpala e il suo astavasus
superiore nei Karnas angolari., le
immagini in rilievo inframmezzate da vyalas, o sardulas, sovrapposti , nei
recessi dei salilantaras, mentre la terza fascia alterna singoli vidyadharas,
nelle aggettanze, a loro coppie nelle rientranze, festanti di strumenti
musicali, armi o ghirlande, con il solo intermezzo già enfatizzato dei
balconcini finestrati popolati di figurine nel terzo ordine dei bhadra , di cui
al loro succedersi una replica da termine nell’antarala, a seguito analogo
di due nicchie di Yakshi.
Tra gli ordini di statue la scansione di una grasa pattika
sormontata da una pattika di rosette,
che intervalla il primo ed il secondo corso di statue, una kalasa a guisa di
cornice prima del terzo, ch’è sovrastato dall intermezzo ulteriore di un
capitello bharani formato dalla
successione di una gagaraka, di un amala scannellata e di costolature palmiformi, che funge da
diaframma rispetto al varandika.
Il varandika consiste a sua volta di due kapotas successive
ornamentale da gagarakas e takarikas,
prima che una replica del rilievo di gagarakas e di foglie di palme dia
avvio alla successione dei 16 bhumi o piani del sikhara.
Nei karnas angolari, i cui chaitya incastonano nicchie di
rombi-diamante., alle costolature di chaitya gavakshas soggiacciono
amalakas, cui si susseguono kapotas con
takarikas, Al termine del mirabile
slancio ascendente e convergente, a ben vedere appaiono arridere un kirtimukka a conclusione di quello dei
ratha centrale e mediani, un sikharika piramidale alla sommità di quello dei
karnas, composto di due pidhas, chandrika ed amalaka.
Oltre il restringimento del collo, o greva, conclude invece
la tensione verso l unità primordiale , ch’è origine e fine di ogni realtà
vivente, il succedersi di amalakas e
chandrikas prima del kalasa finale.
Già si sono dette meraviglie, non
esorbitanti, dello splendore del
sukanasa che invece sovrasta l’antarala, preceduto da sette nicchie di deità
statuarie che si visualizzeranno in conclusione della deambulazione esterna (
link)
Tra nicchie diamantine ai lati e rientranti in unjframe mediano /in una
cornice /teca mediana, quelle ai lati sovradeterminate in tempietti edicolari
da un loro sikhara piramidale composto
dei ripiani di 4 pidhas, di chandrika e amalaka, una prima serie di circonvoluzioni
carenate di chaityas si risolve in inflessioni superiori che si acuiscono
intorno ad un ovulo centrale, prima di una chaitya gavaksha grandiosa,
trilobata, in cui da un kirtimukka fluiscono ghirlande di campane nelle fauci
di due makaras, rispetto ad una centrale tra due steli penduli di fiori di
loto. Due vyalas e una fiera leonina superiore,
avventata sul dorso di un elefante a bocca ferocemente spalancata , ne sormontano le arcature, che sono
affiancate da amalakas tra chandrikas al
pari di quelle sottostanti.
Procedendo ora come
vorrebbe la devozione nella pradakshina
in senso orario, il suo fianco
meridionale nell’antarala ci espone
nella nicchia inferiore l immagine di una prima Yaksi, cui manca il correlato
di quella scomparsa dalla nicchia superiore, mentre oltre il balconcino di
astanti devoti già conclamato, altre tre
immagini corrispondenti facevano seguito lungo l’antefissa, di cui due sono
superstiti.
L’immagine che grandeggia nella nicchia inferiore è
indubitabilmente quella di Padmavati, Yakshi o Sashandevi del ventitreesimo e
penultimo dei Tirthankaras, Parshvanath,
come vuole che sia il cappuccio di cobra che la sormonta, non che la tartaruga
che le fa da veicolo, che rimanda al consorte Dharanendra.
Erano entrambi due serpenti annidati nel ciocco di una giungla ch’era nei pressi di Benares, ed alla
cui altezza Parsva, figlio ancora ragazzo della regina e del re di Benares Vama
ed Asvasena, sul dorso di un elefante ed in sieme ai suoi compagni, ebbe la
ventura di incontrare il nonno materno, re Mahipala, in cui si era reincarnato
il sui antagonista cosmico, di reincarnazione in reincarnazione, che fino ad
allora su di lui nel ciclo delle esistenze terrene era prevalso uccidendolo,
sin da che erano stati fratelli nelle spoglie del virtuoso Marubhuti e del
perfido Kamata.
Il vecchio re,
ritiratosi nella foresta alla morte della moglie che l’aveva
sconvolto, vi era dedito a sacrifici
penitenziali, uno più estremo dell’altro, che nulla avevano di ideale, perché
più che il distacco e la rinuncia , conseguivano il più spietato rafforzamento
dell io, tant’è che gli era bastato avere riconosciuto in Parsva il nipote
senza che questi ne avesse avuto ancora il tempo, perché in preda all ira si
mettesse a fare a pezzi il grosso ciocco “ Non farlo, gli gridò il nipote, vi sta
una coppia di serpenti!” Ma il vecchio non gli diede ascolto è calò sul ciocco
il suo fendente, tranciando il corpo che apparve alla vista dei due rettili.
Il ragazzo si afflisse alla vista dei corpi dei due serpenti
che si contorcevano negli spasimi della morte, e intonò un inno ai due esseri
agonizzanti, che consentì loro di spirare al meglio, non senza avere prima
ripreso il nonno, con i più dolci e gentili degli ammonimenti “ Le penitenze
che ti infliggi ogni giorno, come quella dei cinque fuochi cui eri intento, ti
contaminano anziché purificarti, perché per adempierle uccidi ogni giorni altre
vite. Non farlo più, uccidere altri esseri è grave colpa, ed ogni colpa reca le
più tremende sofferenze, E’ come pula separata
dal grano, quanto tu fai agendo senza la vera conoscenza”.
Questo atto di compassione verso i due naga tornò a
vantaggio di Parva quando intrapresa la grande rinuncia, dovette affrontare in
Samvara, o detto altrimenti Meghamalin, una divinità minore in cui era rinato
il nonno Mahipala, la manifestazione finale dello spirito a lui antagonista.
La grandiosità radiante assunta da Parsva mediante
l’illuminazione della sua ascesi meditativa, era tale che arrestò il corso
stesso del carro celeste di Samara, che a questo intese con chi aveva a che
fare, e che gli s’imponeva la resa dei
conti. Un sommovimento tellurico investì Parva, che rimase tuttavia
imperturbato e assorto nella calma assoluta della sua meditazione . Al seguitare degli attacchi di Samara, che
assunse le sembianze letali del dio della morte, nel regno sotterraneo che ne era stato
sconvolto, non rimasero insensibili Dharadendra e la consorte Padmavati, che
memori di come Parsva avesse propiziato
un loro decesso ed un loro transito di sereno splendore, decisero di venire in suo soccorso: così si
posero ai suoi fianchi ergendosi così orribilmente spaventosi nell’enormità del loro dilatato cappuccio,
che volsero in fuga atterrito la
divinità di Samara.
Per avere così consentito, quale sua divinità protettrice,
che Parsva pervenisse anche alla Contemplazione Bianca, diradando anche i desideri ultimi che con il loro attaccamento
lo tenevano ancora avvinto alle sofferenze del samara, Padmavati è qui onorata e riverita, come
vuole la tradizione dei Digambara, i vestiti d’aria, cui affilia il tempio, non
già per riceverne a nostra volta
protezione e prosperità.
Nella loro trascendenza acquisita, oltre il tempo e lo
spazio e le umane vicende, i tirthankara e Yaksa e Yakshi restano estranei alle
nostre preghiere, per le quali restano disponibili e si possono invece
affaticare gli dei hindu, di rango inferiore per i jain, che nelle vestigia di
Indra ed Agni e degli astavasus superiori, troviamo infatti immediatamente
contigui nella prima Karna-ratha. Padmavati stessa, in tal senso, confonde i
suoi lineamenti qcon quelli di Laxmi, consorte di Vishnu, e Dharadendra, quale
signore della Terra, al cuore implorante si fa il serpente cosmico Sesa che la
sorregge sulla sua testa, come su di esso è
reclino il sonno di Vishnu alla
consunzione nella Pralaya di ognuno dei mondi che infinitamente si
succedono l uno all’altro.
Né può risultarci casuale quanto le vicende di Parsva
riecheggino quelle celeberrime di Buddha, o l’attacco di Samvara quello
arrecato dal demone Mara a Gautama Sakyamuni,
che se troverà da esso soccorso nella terra, è ugualmente nelle sette spire di un
re-serpente, Mucalinda, che potrà confidare a difesa dello scatenarsi fuori
stagione di tuoni e fulmini di un fortunale.
Ma prima di volgerci alle divinità tutelari del tempio nelle
sue otto direzioni, come fedeli jain,
più in alto restano da riesumare le
immagini statuarie delle due Yakshi superstiti sovrintendenti, quella superna
con un veicolo equino, recando un
vassoio dell’acqua nella sola mano, sinistra, superstite, un attendente
maschile alla sua sinistra, quella nella nicchia inferiore armata di vajra e
freccia in due delle sue otto braccia , anch’essa con un cavallo quale
cavalcatura, in cui per Krishna Deva era
forse riconoscibile Manovega, la yakshi del sesto dei Tirtankara, Pradmapabhu.
Può fornire utili ragguagli l immagine della stessa Manovega che si conserva
nell’Asi Archaeological Museum di Khajuraho, che di braccia ne ha quattro, invece che otto,
come nel tempio Adinath, ugualmente è accompagnata dal veicolo di un cavallo, ma vi
compare in posa samapada anziché in laliasana ed anche per il minor numero di
braccia non può più ostentare che il solo attributo di uno stelo di loto.
Nella karna.ratha, dopo l’apparizione nel recesso delle
prime due ninfe-apsaras, è dunque la
volta dei dikpalas volti a est ed a sud est, le divinità vediche Inndra ed Agni
con i rispetti astavasus* sovrastanti.
Per quanto è dato intravederne Indra come ogni successivo
dikpala appare atteggiato in tribhanga, *mutilato di tutte le braccia ad
eccezione di una, ma come per ogni altra divinità guardiana, eccezion fatta per
Kubera, ne è rimasto integro il veicolo,
nel caso del dio delle piogge celesti l’elefante Airavata.
L’astavasus superiore, come ogni altro di seguito ha un volto
bovino, ripete la postura tribhanga del dikpala soggiacente, ed ha Nandi come proprio seriale veicolo
animale.
Agni, dio vedico del
fuoco, barbuto e panciuto, ha salvato il mescolo sacrificale ma si è persa la
testa dell’ariete che ne è il veicolo.
Ha inizio quindi nella rientranza seguente la successione
ininterrotta di vyalas nei recessi e di apsaras nelle proiezziioni intermedie
tra quelle centrali e quelle d’angolo.
Le loro raffigurazioni
solo in alcuni casi sono frontali, per lo più, come di frequente nel
kandarya, le deità celestiali si offrono di schiena con la parte superiore del
corpo di profilo, originando ardite torsioni
dei loro corpi snelli e slanciati sulle lunghe gambe. Ne è un celebrato esempio la danzatrice che
precede le yakshi del bhadra centrale
meridionale, con la gamba destra e in braccio sinistra piegati in alto. …………
Le fa da complemento l’apsaras che invece nella danza volge la mano destra intorno al capo mentre
tiene quella sinistra sulla coscia.…..
Per lo più esse sono atteggiate secondo consuetudini
consolidate, l’una mentre si aggiusta
l’acconciatura mirandosi in uno
specchio, l’altra senza riflettersi in esso un orecchino, o le si vedono
intente alle più varie attività di svago o di sollievo, nel gioco della palla,
nella lettura di una lettera amorosa, a levarsi se non un cruccio un pruno di
spino, le più ardite a denudarsi magari
per evitare l’incedere di uno scorpione, simbolo palese di sensualità insidiosa. Oppure esse possono
recare un bambino al seno, reggere una
lettera e uno stilo per scriverla, un fiore di loto, o altrimenti , secondo
raffigurazioni originali, un beauty case, o foglie di betel arrotolate. La
parte ovest retrostante ci offrirà invece
immagini originali di apsaras suonatrici, intente al suono di una vina, o di cimbali,
mentre è di repertorio quella ben
estatica di una flautista.
Le prime apsaras ad arriderci , oltre Indra ed Agni, appaiono abbellire gli occhi -di kajal o con
un collirio-, o, come si è premesso,
alla cura della capigliatura osservandosi in uno specchio, le due
ulteriori l’una sovrastante è la mirabile
danzatrice slanciata con l’arto destro e la mano sinistra, mentre quella
inferiore è l’apsara che si leva il pruno dal piede.
Un tramando jain la identifica in Nilanjana, la danzatrice
che nel diciassettesimo capitolo del Mahapuran, di Bhagwath Jinasena Acharya, con
la sua scomparsa dalla scena repentina ed
insostituibuile nell incanto della perfezione della sua danza , condusse alla
rinuncia e all iniziazione ( Diksha)
della salvezza ( o Moksha) il Tirthankara Adinath.
Nelle nicchie del Bhadra campeggiano due immagini di ,
entrambe in lalitasana,. di cui la preservazione di vari attributi e del veicolo animale ha
condotto a un’identificazione presunta
solo di quella inferiore, che secondo Krishna Deva potrebbe effigiare
Chamunda quale divinità protettrice del
ventunesimo Tirthankara Neminath.
Il coccodrillo è la sua cavalcatura, mentre i suoi attributi sono il gesto
benedicente o varada, la sakti, e una spada nelle mani destre restanti, uno
scudo nella sola mano sinistra scampata
alla mutilazione.
Il mudra abhaya, un gada, un vajra nelle sue mani
destre non lesionate, un loto, un’ascia
parasu e un trisula in quelle sinistre rimaste illese, il veicolo leonino integro, non sono invece
bastati a consentire finora un’identificazione della Yakshi superiore.
Nell’adhishthana fa
la sua comparizione in una nicchia un Bhairava comunque in lalitasana, e ben panciuto,
che usando un bue come cavalcatura, intende recare spavento nei capelli
arricciati, e gli occhi strabuzzati, con
un katvanga il cui teschio è sovrastato da un uccello ed un
serpente, cui fa seguito un frutto quale attributo ulteriore.
Delle apsaras frontali seguenti la prima in basso è quella
che ha riposto una lettera e che tiene tra i seni una mano ad auscultare le palpitazioni del cuore, affiancata dalla ulteriore danzatrice che ha una mano intorno al capo mentre
l’altra è appoggiata alla coscia. Le due apsaras superiori sono invece le due
ninfe che recano la prima un fiore di loto, la seconda tre foglie di betel
arrotolate.
Alla svolta della Karna-ratha in direzione sud ovest ed
ovest, la più sfavorevole, ci attendono immancabili Yama dio della morte e Nurriti
con i propri astasvasus, Contraddistingue Yama un sembiante terribile, panciuto
e barbuto e baffuto e con occhi sporgenti, ma
insieme con il gesto della varada mudra il dio non ha preservato che l’attributo di
una campana, insieme con il bufalo come cavalcatura. E’ andata meglio nel tempo
a Nurriti, che insieme con il cane come suo veicolo non insusuale, *, ha
salvaguardato spada, musala*, ed uno stelo di loto spiraliforme, mentre il suo
astavasus al pari di quello precedente non reca più che il vaso dell’acqua
lustrale.
E’ avvenuto così la svolta alla parete occidentale, con lo stesso layout statuario della
precedente e di quella settentrionale, in
cui la caratterizzano le apsaras musicanti. Le precede, appena dopo Nurriti,
sul lato interno, la ninfa con bambino, un gruppo di cui del fantolino possiamo ammirare il tenero
modellato del solo corpo, in un destino che condivide con la madre-
E’ volta invece verso
il contiguo bhadra l’apsara che tiene
nella mano sinistra premuta contro il
ventre uno dei suoi due cimbali, mentre l’altro è nella mano destra sollevata
sul capo.
All’atezza del bhadra ci di indubitalmente identificabile c’e
solo Ambika nella nicchia dell’adhishtana,. Su di un leone, in lalitasana, con
un libro ed uno stelo di loto spiraligforme, la rendono inconfondibile il
bambino che reca in braccio e un cespo di mango.
Né il leone che cavalca in
lalitasana, né il libro e lo stelo di loto spiraliforme che reca
consentono di identificare la
Yakshi della nicchia
inferiore, né tanto meno la pettinatura dhamilla, troppo in voga tra le
divinità femminili celestiali dell epoca. Maggior fortuna interpretativa ha
arriso invece alla yakshi superiore, che Krishna Deva, in conformità con la
tradizione Digambara ritenne potesse identificarsi nella Yakshi Kali del settimo
Tirthankara Suparsvanata, per il suo
veicolo animale,. un toro, e gli
attributi che reca in quattro residue delle otto mani originarie, sakti, vajra,
specchio in quelle di destra, pasa e chissà se un pungolo in quelle di
sinistra.
Nelle successive proiezioni intermedie sono attestate le due
ulteriori apsaras musicanti, l’una assorta
nell’emissione dei suoni di una vina accanto alla presumibile Yakshini Kali, l’altra
nella modulazione delle note di un flauto accanto al successivo dikpala, Varuna,
E’ esso monco di tutte le braccia, con il veicolo intatto
del coccodrillo secondo prammatica, mentre un destino migliore è stato
riservato al suo astavasus, che oltre al mudra varada può ancora ostentare
parasu-ascia, uni stelo di loto spiraliforme, e il vaso dell’acqua rituale.
E si è cosi giunti alla parete nord, che sull’altra facies
della Karna.ratha non può che riservarci in
direzione nord-ovest il dikpala Vayus, con il suo gesto benedicente e il
veicolo del cervo, nient’altro più in dotazione.
Tra le apsaras figurano quella che non può che denudarsi del
tutto per liberarsi del pungolo-passione
di uno scorpione , la seconda in basso, prima del bhadra, cui
corrisponde oltre la sua nicchia quella che reca un beautycase.
Nella nicchia dell?adhishtana fa alfine la sua tardiva
comparsa la Yakshi
dello stesso Adinath , Chakreshvari,
alias Vaishnavi in contesto vishnuita, in sella allo stesso veicolo, Garuda,
uomo-aquilino, in abhaya mudra e con i più classici attributi vishnuiti, gada, chakra,
sankha, compensando il suo ritardo con il raddoppio alla grande della sua presenza defferita, nella prima nicchia del bhadra, in cui è ribadita
seduta in lalitasana su garuda, ma senza che alcun attributo possa altrimenti
più identificarla. Nella nicchia superiore sarebbe invece allocata la Yakshi anantamati del
quattordicesimo tirthankara Ananthanatha,
sempre secondo Krishna Deva, in virtù
esclusivamente del suo veicolo identificativo, un’ oca, poiché il solo attributo che le è rimasto
integro è uno scudo, supportato da un resto di freccia.
Oltre le ultime apsaras gli ultimi due dikpalas, davvero ultimi
ma non ultimi, visto che presidiano le direzioni più favorevoli del tempio,
Kubera quello settentrionale, Isana
quello di nord-est.
L’uno, a dispetto della ricchezza che può dispensare, è
senza veicolo e con spezzate finanche le braccia, l’altro, in tribhanga e varada mudra, attestando
la propria natura shivaita almeno nell’attributo superstite del trisul. Eì
andata meglio al suo astavasus, che insieme con il veicolo animale gli
attributi li ha conservati tutti e quattro varada, duplice stelo di loto
spiraliforme, vaso rituale dell’acqua.
Si è cosi giunti al versante settentrionale dell’antarala,
che conserva ambo le Yakshi delle sue due nicchie. Quella inferiore, di otto
braccia in lalitasana e abhayamudra, è
in virtù del pavone che ne è il veicolo che secondo Krishna Deva può forse corrispondere a Mahamanasi, la yalshi
del sedicesimo tirthankara, Santinath, mentre non è dato supporre chi possa mai
essere la yakshi superiore, in padmasana su un fiore di loto, mutilata di tutte
e quattro le braccia e senza più tracce del suo veicolo animale.
E’ invece la
sussistenza delle cavalcature delle divinità che in tutte e tre le nicchie che oltre
il balconcino in miniatura con astanti, ricorrono sul fianco dell’antefissa riservano
tutte le loro Yakshi, ha consentito a Krishna Deva di lumeggiare che quella
inferiore possa essere Gauri, quale yakshi dell undicesimo tirtankara,
Sryansanatha, essendo il suo animale il
cervo, che sia Purushadatta, Yakshi del
quinto Tirthankara, Sumatinatha, quella mediana in lalitasana, dalle ottuplici
braccia, cavalcando ella un elefante, in assenza di qualsiasi altro dato riconoscitivo , essendo tutte le sue braccia
spezzate, mentre resta da ritenere che sia
solo il numero dimidiato di braccia, quattro invece di otto, o il duplice loto
che reca al contempo quali unici attributi superstiti, che hanno consentito a krishna deva di
disambiguare forse in Manasi, la
Yakshi del quindicesimo Tirthankara, Dharmanatha, la divinità in tribhanga e varada mudra della nicchia superiore, in quanto come Gauri
si serve di un cervo quale suo veicolo effigiato.
Del corredo statuario esterno al tempio restano da visualizzare al termine della pradakshina solo
le sette immagini delle nicchie che sostengono l’antefissa frontale.
Eccettuata Ambika , quarta in ordine provenendo da nord, sono
rimaste anonime tutte quante anche per Krishna Deva, la prima perché il sembiante del suo animale è indefinibile se sia
un pavone o un’oca, e i suoi attributi o la postura non la differenziano ad
esempio dalla presunta Manasi, se non per un vaso dell’acqua che in più non le
è andato perduto, la seconda perché è
senza cavalcatura e marca uno scarto
dalla precedente solo per il mudra, l abhaya, e l ultimo degli attributi, un
kati in luogo del vaso di acqua lustrale, la terza in quanto , anch’essa senza
veicolo, non differisce dalla precedente
che in quanto in luogo del mudra dell’abhaya reca un nilotpala, la seta e la
quinta, saltando ora Ambika, perché sono simili tra loro e con la terza negli
attributi che recano, invertendo solo l ordine di successione, il nilotpala per
ultimo in luogo del kati che ne è il primo, rispetto alla terza icona, la
settima perché solo il veicolo animale elefantino potrebbe
immedesimarla con Purushadatta, Yakshi del Tirthankara Sumatinatha, alla stregua della seconda Yakshi del versante settentrionale dell’antefissa,
ma per il resto è pressoché totalmente
mutilata.
Ambika, in tribhanga, è invece ampiamente contraddistinta, recando un
cespo di mango, due fiori di loto nelle due mani successive, un pralamba*, e un
bambino che ne tiene un dito della mano sinistra inferiore, mentre nella propria
mano sinistra tiene un ulteriore frutto di mango.
La conclusione della pradakshina ci dà così accesso all’interno
del tempio, in cui possiamo risalire
direttamente alla porta d’accesso al garbagriha.
Sette ne sono le bande laterali o sakas, la prima una
patra-lata di volute rampicanti, con un
fregio di fiori mandara, la seconda
e la quarta istoriate di ganas misuri o danzanti, la terza una stambha-saka a
guisa di pilastro, in cui in luogo dei tradizionali mithuna si susseguono Yakshi,-
fra le quali della seconda sul lato sinistra si porge all’attenzione il veicolo, un
pappagallino rimasto intatto, la quinta
decorata con srivatsa alternati a
rosette, la sesta di volute nerbute in
fuoriuscita dala bocca di un vyala
sottostante, la settima di nuovo di
rosette.
Sullo stambha sakha trova il suo appoggio l’architrave, in
cui, all interno di 5 nicchie sormontate da udgamas, si ripresentano al fedele, con altre due divinità intermedie, Chakreshvari al centro, ad Adinath, suo
Tirthankara, se non ad ella, essendo il tempio dedicato, Ambika alla sua
destra, Padmavati sulla sua sinistra.
Poco resta da dire a tutt’oggi delle raffigurazioni ai lati
degli stipiti di Ganga e Yamuna con i loro veicoli animali, il coccodrillo e la
tartaruga, rispettivamente, delle loro
attendenti e degli dvaparalas, talmente sono stati distrutti.
Lo sfregio non ebbe a imperversare invece sulla soglia, l’udumbara, in cui l’aggettanza centrale** di volute di
loto è fiancheggiata da attendenti femminili cui si susseguono divinità
acquatiche,con una giara su kariumakara. Sotto gli stamba-sakas due nicchie albergano
due divinità femminili in padmasana, sotto il seggio di una delle quali è ravvisabile una tartaruga. Altre due
nicchie ulteriori, sotto la settima saka d’ambo gli stipiti, albergano due
immagini di Kubera, in abhaya mudra con parasu-ascia, stelo di loro spiraliforme, non che tre giare
contenenti dei tesoretti o nidhi sotto il suo seggio..
Di alto pregio sono i
pilastri ai lati della porta del santuario, -il cui basamento , su di un’upapitha
ornamentata di motivi di rosette e
petali di loto, replica le modanature
della vedibhanda, - khura , kumbha ornamentata di udgamas, kalasa, kapota. Essi
sono arcaici nelle loro profilature badraka con sovrascolpiti alla base
dvarapalas, poi nelle volute ondulate
fluenti dalla bocca di kirtimukkas, prima di un inserto di rombi diamantini, e
di gatha-pallavas o vasi dell’abbondanza. Una banda di rosette ed una sezione
attica o uchchalaka con il solo profilo
di vasi ulteriori dell’abbondanza concludono i rilievi dei pilastri, su cui poggiano capitelli bharani in cui i
pendentidi gagarakas precedono le scanellature di amalaka e padma lotiforme.
Ancora mensole di bhuta-atlanti , con naga adoranti
interposti, prima della grande trabeazione finale, in cui , sotto un pattika di
rombi e rosette e un grasa-pattika di kirtimukka, decorre il fregio degli auspici avuti in sogno dalla
madre dell’ultimo dei Tirthankara , Mahavira, prima del suo concepimento,
sedici, come vuole la tradizione Digambara, in cui si iscrivono i templi di
khajuraho: 1) l’elefante di Indra Airavata, 2) un toro,3) un leone rampante, 4) Sri devi o Laxmi, 5)
una ghirlanda che racchiude un kirtimukka, 6)
una luna piena con una lepre visibile nel mezzo, 7) un sole nascente che
rappresenta Surya al centro, 8) un paio
di pesci, 9) un paio di giare d’oro, 10 un lago di fiori di loto, 11) un
mare agitato, 12) un leone troneggiante
( o trono leonino?), 13) un vimana, 14)
una coppia di Naga in un padiglione( il Nagendra-bhavan) , 15) cumuli di
gioielli, e 16) Agni assiso con le
fiamme fuoriuscenti dalle sue spalle. ( *** correggere la lacuna in
Krishna Deva) ( ****Approfondire la
lettura simbolica)
Nel santuario, di rilievo il
fiore di loto con quattro schiuse di petali che ornamenta il soffitto,
in una cornice riquadra ai cui angoli stanno kirtimukkas.
Moderna è l immagine di Adinath che si offre alla devozione
terminale dei fedeli.