martedì 9 ottobre 2007

Della monumentalizzazione delle civiltà orientali

Il amico Kallu ha assentito, sull'autobus che ci avviava al nostro addio in Jhansi, quando gli ho chiesto se non fossero che pietre, per lui, i templi della sua Khajuraho dove non si officiavano più culti.
Nel Tamil Nadu, in precedenza, ove gli antichi templi Pallava e Chola sono aperti al culto, alla mia domanda su quale dei templi che visitavamo preferisse, " tutti" mi diceva, oppure " entrambi, " nel caso di due templi che gli ponevo a raffronto, poichè in ognuno di quei templi officianti per lui c'è Dio.
Visitati quindi da solo anche i templi del Kerala e del Karnataka, le grotte shivaite di Elephanta, sulla via per Jhansi mi ritrovavo in assoluta sintonia con il sentire hindu del mio amico: nel senso che in Pattadakal o in Elephanta, in Khajuraho, e in Bubhaneshwar, i templi hindu sono pur anche magnifiche vestigia, ma che si rivelano inerti aneliti di vita spirituale, delle frigide sembianze, se sono stati svuotati delle loro pratiche di culto, della loro vivente realtà religiosa, per larvarli in monumenti artistici devitalizzati turisticamente, nelle oasi artificiali di parchi archeologici immacolati .
E' la china lungo la quale i templi di Hampi sono destinati a subire la stessa imbalsamazione che ha contraffatto i monumenti islamici dell' Uzbekistan, il cui restauro integrativo ne ha rivestito del suo smalto posticcio e delle sue protesi murarie artificiali le rovine superstiti, sicchè tali resti sono finiti irrecuperabilmente perdute nella loro storicità romantica, come è accaduto in Samarcanda della favolosa moschea di Bibi Khanum.

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