venerdì 25 luglio 2014

Che cosa scrivevo un mese or sono lasciando l'India

Che cosa scrivevo un mese or sono lasciando l'India
"E’ da mesi che sono venuto prefigurando così tante volte la piccola morte che si ripete ad ogni distacco da Kailash e dai nostri cari, dall' India, che il ritrovarmi ancora tra loro al mio risveglio, il rivedere ancora Chandu, meravigliosamente assopito nel sonno, e carezzarlo e dargli un piccolo bacio, mi sembra il dono gratuito di una vita che si protrae oltre i suoi termini.
Due mesi or sono per visitare in Delhi la Saint Martin Garrison Church viaggiavo sul metro espresso che reca all’aeroporto, lungo la direttrice della mia futura partenza, e mi sentivo preavviato nel tunnel della mia morte.
I giorni che sono passati così velocemente senza che portassi a compimento che ben poco di quanto mi ero prefigurato- lavorare dei campi, riprendere l’insegnamento dell’italiano, viaggiare a lungo termine, propiziare più reddito proprio a Kailash, con un’attività suppletiva,- con all’attivo solo il perfezionamento delle mie cognizioni e ricognizioni archeologiche ed i miei reports di viaggio che ne ho desunto, la felice infanzia e l’istruzione la migliore possibile che vengo assicurando ai nostri piccoli rimediando all’iniziale loro diserzione scolastica, l’eccellenza mentale e la virtù del gioco che ho sprigionato in Chandu facendomi il suo pazzo pagliaccio, in un universo familiare in cui sono venuti scemando i “ drama” di scontri fisici tra me e Kailash, sono il decorrere sempre più rapido della mia intera esistenza verso la sua fine, che il declino della mente prefigura più che quello del corpo.
L’inappetenza per ogni lettura, per ogni fiction dell’immaginazione artistica, la passione per la sola sacralità dell'arte templare hindu, il disinteresse per qualsiasi sorte umana che non sia quella dei miei congiunti indiani, senza che in altri volti avverta il mio prossimo, la mia indisponibilità all’ incontro con chiunque mi cerchi, l'incapacità a perseguire ogni contatto che sia nel mio interesse, nel rattrappirsi di ogni fede e fiducia ed aspettativa, sono la necrosi mentale in cui prende corpo ogni venir meno delle ragion d’essere della mia esistenza residua.
Ho tentato di parlarne con Kailash e di farmi da lui comprendere, lui essendo il mediatore e l’Aronne risolutore di ogni mia difficoltà relazionale qui in India, ma nemmeno il suo viversi soggetto ad un kharma già segnato di uomo di una sotto casta, gli ha consentito di avvertire alcunché dell’impotenza del mio fallire.
"Se è così, ho cercato di fargli intendere, che aiuto posso mai darti scrivendo i miei report di viaggio, se non ho alcuna attitudine a proporli a chi possa pubblicarli come itinerari straordinari."
Intanto è morta del tutto la mia voce poetica , inetta e senza volontà alcuna di attingere nuova linfa dalle più alte voci letterarie.
Ma ho risistemato la mia dentatura, il mio aspetto fisico è sano, e tanto basterà ai miei congiunti e conoscenti al rivedermi.”
Poi la partenza nella mia sola sofferenza, in Delhi il distacco da Kailash che un’altra volta ancora mi trafigge, il suo dileguarsi in autorickshaw, ed in breve la liberazione che sopraggiunge, quando mi ritrovo nella vecchia Delhi islamica presso la Jami Masjd, con il cui clamore notturno sono tutt’uno, più niente mi separa dalle donne lebbrose che si aiutano l’un l’altra nel raccogliere le mie rupie, dagli storpi e i derelitti che raccolti in gruppi ,e distesi per terra, intingono il chappati nel dhal che è distribuito a loro dai ristoranti nei vicoli, dai tanti miserabili che nel lasciare l’hotel per l'aeroporto vedo distesi a dormire sotto i porticati e sui tavolati e i banconi del Nehru bazar.

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