martedì 13 gennaio 2015

In Marai, Tigawa, ai primi di dicembre del 2014

 In Marai, Tigawa
Possibile che io non mi sia ancora dato per inteso elevato ad intendere abbia ancora inteso /acquisito assimilato Davvero non ho ancora interiorizzato quanto io debba gratitudine alla ignoranza sovrana della popolazione indiana sui propri reconditi cimeli archeologici  locali, se rende ogni volta il loro ritrovamento un evento prodigioso, un'autentica apparizione, invece di contrariarmi animoso per il riproporsi dell'ennesimo copione che si inscena ogni volta che pervengo nei paraggi del sito che ricerco, e di cui mi ritrovo a scrivere, che mi eclissa puntualmente  nell'insicurezza e nel discredito, in cui la incredibilità di ciò che ricerco getta ogni mio appuramento, mi immelma nelle difficoltà che insorgono ad accedervi proprio quando vi si è oramai prossimi, inducendomi a dover confidare  nell'assecondamento alla cieca delle mie richieste,solo per il lucro che si presume di estorcere dagli  strampalati miraggi di uno straniero bizzarro?
Possibile che non abbia ancora desunto la dovuta confidenza nella mia ricerca pionieristica, alla luce degli stessi esiti di fatto che attestano che puntualmente ogni volta s'invera pur che  mi affidi ancora alla speranza quando essa oramai appare contro ogni speranza,  mi appigli alla certezza dei  dati rivelatimi dalle fonti autorevoli di cui dispongo, dei quali sta pur sempre al mio discernimento colmare l'assenza di più indicazioni per raggiungere la meta prefissata con il salto mentale nelle concrete circostanze in cui si riconfigura la quest.
La  rivelazione illuminante a cui  nella prima decade del dicembre del 2014, un mese or sono, era affidata la mia sequela archeologica  per pervenire al  tempietto Kalachuri di Marai era il foglietto miracolisticamente preservatosi nel tempo n cui avevo trascritto gli insegnamenti trasmessimi nel museo dismesso di Ram van, su quali fossero le località di riferimento per potervi giungere. Che giunto a Maihar chiedessi della localitò di Dilaha ,  vi era malamente indicato.
Alla partenza da Satna dell'autobus per Maihar chiedevo di Dilaha al bigliettaio,  per il tramite per telefono dello stesso Kailash, verificare se almeno lui sapeva dell'esistenza di una località denominata approssimativamente in tal modo nel circondario di Maihar.
Ne aveva contezza, e sapeva dirmi dove avrei dovuto scendere in Maihar, all'altezza della strada che vi conduceva.
Confortato da tali prime conferme  mi facevo lasciare in Maihar dove un portale immette nel bazar, e vi iniziavo a chiedere di Dilaha, di un purana Marai Mandir nelle sue vicinanze. Di Dilaha mi indicavano unanimemente la via che si snodava in sua direzione,  sei o sette i chilometri di distanza, ma pure unanimemente nessuno sapeva niente di alcun antico tempio Marai che vi fosse ubicato, o di alcuna località denominata Marai da cui  il tempio traesse il nome. Nessun schiarimento in merito neanche presso i conducenti di autorickshaw di cui raggiungevo la postazione, pronti comunque a spararmi le richieste più esose,  nell'assenza di ogni cognizione su dove mi dovessero condurre.
Kallu, cui chiedevo al cellulare di farmi da traduttore, non riuscendo io a farmi capire in inglese, era più pronto solo a maledirli e a inveire  contro quei suoi compagni di mestiere, che avevano ceduto alla tentazione cui è esposto e in cui cade abitualmente alla vista della white face di un turista straniero, con l particolare difetto di non mostrarsi ingenuamente estranei a quegli istinti profittatori/ predatori che kailash credeva fossero una prerogativa solo dei luoghi indiani turisticizzatisi,   nella inversione dei ruoli che mi faceva vestire i panni dei suoi clienti e a lui di mio assecondatore,  cui chiedevo di spuntarmi  l importo più basso per l'escursione. Lui insisteva perchè partissi con il primo conducente non esoso accomodante che sapesse qualcosa del purana mandir, io mediavo per accondiscendere più realisticamente con chi simulasse di esserne a conoscenza e fosse disposto per una cifra ragionevole all'azzardo di portarmi, in Dilaha, ad una destinazione che restava per lui stesso un'incognita. Confidavo che poi in Dilaha, sempre che le indicazioni originarie che vi riconducessero fossero giuste,  si potessero raccogliere sulla ubicazione del tempio le informazioni che non mi era stato dato di ottenere ancora in Maihar. Due giovani più tignosi degli altri si arrischiavano e si dicevano disponibili a condurmici per l importo di 350 rupie,  con essi mi  accordavo  e  finalmente mi rimettevo in moto, tanto più che l'ora pomeridiana si faceva già tarda.
Via via che Dilaha s’avvicinava. al profilarsi sempre più smisurato sullo sfondo di un cementificio,  i due giovani sempre più di frequente si fermavano a chiedere dove mai fosse un purana mandir,. senza ricevere alcuna conferma certa della sua esistenza,  nemmeno una  volta pervenuti  al villaggio, dove li si invitava a svoltare sulla sinistra, fino a un tempio scialbato tra una pietraia lavica che nulla aveva di remoto.
Anche ad un passante che si era cortesemente fermato presso l’autorickshaw in sosta per fornirci informazioni, seguitavano a chiedere  del purana mandir, ricevendo ulteriore smentita, né sortiva  esito diverso che lo interpellassi tramite Kailash al telefono: Ma la mia fede nelle mie scritture archeologiche non si dava per persa. se non sapeva niente di alcun tempio Marai,  sapeva dirci se esisteva un villaggio Marai da cui il tempio che ricercavo potesse trarre la sua denominazione?  Certo, 5 chilometri  più oltre, lungo quello stesso tratto di strada Nella luce che  volgeva al tramonto era il riaccredito di ogni mia fede e speranza ancora rimastemi,  cui non potevo non dare un seguito,  se non volevo votarmi altrimenti al fallimento della mia ricerca, chiedendo ai due giovani di condurmici  immediatamente, mi costasse pure un aggravio di 150 rupie, com'erano lesti a chiedermi in sovrappiù.
La strada era  scorrevole, a lato delle emergenze laviche del trap che costeggiava, e quando ancora il tramonto era al suo volgere eravamo già a  Marai,  dove finalmente di un purana mandir  tutti gli interpellati  iniziavano ad attestarne unanimemente l'esistenza,  secondo le voci raccolte si svoltava allora a  sinistra, restavano divergenze solo sul modo migliore per pervenirvi,  ci si atteneva ad un ragazzo che saliva davanti e che ci conduceva ad una radura dove dei  giovinetti erano ancora intenti a giocare a cricket, un muraglione vetusto che lo bordeggiava e che precedeva un filare d'alberi maestoso consentiva che il dubbio trepidante cedesse oramai all'assoluta certezza che il tempio di Marai era  retrostante. E non tardavamo infatti ad avvistarlo, sovrastante, tra uno scoscendimento di frammenti, nel sopraelevarsi , sulla piattaforma franata, del portale d’accesso al santuario del garbagriha, pochi spezzoni del vestibolo dell’antarala, ciò che restava della parte antistante.
Alla base degli stipiti del portale solo Ganga figurava superstite tra l’assistente e un naga  con il proprio canopo di serpenti, sotto le sakas delle  quattro bande laterali, in cui due serie di  ganas danzanti e suonanti  affiancavano quella centrale di mithunas, entro nicchie colonnate e coronate da una chaitya* , mentre  una rampa verticale dii leogrifi  fungeva da bordo esterno
Al centro della trabeazione appariva Shiva, tra Brahma alla sua destra  e Vishnu alla propria sinistra, intervallati dalle nove divinità planetarie
Tre piramidali sikkara miniaturizzati sormontavano le nicchie, udgamas le rientranze, affiancate da vidhyadharas e gandharvas.
In realtà a fare apparire il tempio di esigua mole era la caduta delle mura esteriori  intorno al santuario,  ne restava  solo il basamento del portico d’accesso, sicchè  si era tratti ad identificarle con quelle del solo santuario, intorno al quale correva un deambulatorio interno che corrispondeva ora al  piano di calpestio lungo il quale ne ripercorrevo le pareti, con alcuni visitatori giovani locali, sopraggiunti da maihar.
Ad  un raffronto le modanature dello zoccolo, o bitha, corrispondevano con quelle residue del portico,  ad un primo corso profilato cion petali di loto ne seguiva un secondo piatto, un terzo affilatoi come una karnika, un quarto che suggellava la conclusione della prima sezione dell’adishtana riprendendo con più risalto saliente /plastico il motivo iniziale dei petalin di loto. Il plinto seguente era contraddistinto da una jadhya kumba, una karnika con gagarakas, il rientrio di un’antarapatra, il profilo saliente di una grasa pattina di kirtimukkas., subentrava quindi il podio della vedibhanda, canonicamente costituito di kura, kumba con rilievo di ugdama  e kalasa, la rientranza di un’antarapatra traforata e la sporgenza di una kapota con gagaraka e takarikas, tutto secondo il copine già prefigurato o che venivano codificando per gli emuli e rivali Kalachuri i templi dei Chandellas  nella loro capitale religiosa di Khajuraho. Era uno spartito di cui la jhaha riprendeva nelle pareti del santuario la successione delle note statuarie, ridotte a un  solo ordine lineare,  in ciò che sopravviveva della successione di leogrifi o vyalas nei recessi e ninfe apsaras nelle proiezioni, agli angoli le divinità vediche tutelari o dikpalas, nelle nicchie le gesta del dio Shiva dedicatario del tempio, di cui sopravviveva solo a presumibile l impresa contro il demone Andaka.
Avrebbero richiamato alla mia mente parabole kafkiane le difficoltà invece assurdamente insorte al mio arrivo in  Bahuriband per pervenirvi a Tigawa, dove è situato uno dei più originati templi gupta, quando l’indomani vi sono giunto in autobus da Katni. sostandovi la notte in hotel, Avevo prescelto Katni come città di partenza perché è la capitale del distretto dove si situano le due località, che ne distano poco più di una cinquantina di chilometri. In  questo l' aveva preferita a Jabalpur, che resta ad oltre 65 km di distanza da Bahuriband  da cui è raggiungibile via Sihora- Da Katni erano due le direttrici che vi conducono in autobus o in automobile, l’una che procede verso Jabalpur fino a  Sleemanabad, da cui si svolta poi a destra seguitando ininterrottamente per una ventina di chilometri ancora, l’altra che passa presso l’antica Bilhari,  lungo una sequela di piccoli villaggi.
Dice il tramando storico trasmessoci da Alexander Cunningham nel volume IX dei suoi reports, che è Bahuriband un piccolo villaggio, ora una cittadina, situato ai bordi dell'altopiano dei rilievi Kaimur, 32 miglia a nord ovest di Jabalpur, costellato intorno da un gran numero di distese d'acqua arginate, o jhils,, da cui trae il suo nome, che significa nient'altro che " molte dighe". Ora annerisce le distese d'acqua la coltura che vi è praticata delle castagne d'acqua, che mi rinviano ai trigoi  di cui è famosa la mia città d'Italia.  Trae invece Bahuriband una certa qual fama da un'iscrizione che è ai piedi di una colossale statua jain, ai tempi di Cunningham sotto un pipal, che riconduce l'erezione della statua ai tempi in cui il territorio era sotto la dominazione del capo Rashtrakuta Golhana Deva, tributario del grande re Kalachuri Gaya Karna Deva,  sollevando una diatriba mirabilmente risolta dal gran maggiore archeologo sulla sua datazione, in termine di samvat, di cui per l'abrasione della terza e quarta lettera è certo solo il secolo, l'undicesimo dell'era cristiana , come attesterebbero le prime due lettere 10**.
 Fosse vera o falsa la diceria, raccolta dal maggior generale Cunningham,  in ragione della diffusa presenza sull'altopiano circostante di cocci di vaso e di frammenti di antichi mattoni, che vi sorgesse una grande città, la stessa Tholabana di Tolomeo una delle città dei Parihars,  altrimenti detta Volabana, da cui è facile desumere una meno remota Bahulaband, più prossima nel nome alla Bahuriband attuale, è quest'ultimo insediamento un raggruppamento di insediamenti raccordati dalla via di transito che l'attraversa e che ha il suo centro nello spiazzo che ne è tagliato in due dell'autostazione, lungo i cui lati si dispongono file di negozi e negozietti e spacci e locande in cui si concentra l'animazione della vita cittadina, che si affacciano su un  vasto o sterrato annerito di lasciti di carburante e di liquame la cui desolazione come termine  d'arrivo della mia corsa mi eclissava in uno stati di depressione.
Le indicazioni raccolte in internet situavano Tigawa ad oltre cinque chilometri di distanza da Bahuriband, e nessuna delle persone del posto che interpellavo mi ridimensionava la distanza intercorrente, certo , avrei potuto prendere un autobus, ma sarebbe partito molto più tardi, quando erano già passate le due del pomeriggio e restavano ancora due chilometri da fare a piedi, dal punto dove fossi disceso. Non c'erano autorickshaw disponibili, avrei potuto farmici condurre a pagamento in motocicletta, ma ne ero distolto dalla telefonata con Kailash che non mi arrischiavo a interrompere per non inasprirlo, mentre un giovane si offriva invano.  Innervosito dall' inanità dei tentativi di procacciarmi un aiuto di Kailash,  in collegamento,  indispettito dal suo alterarsi per la mia richiesta insistita del suo aiuto tra quei nativi pur disponibili, ma con cui pareva vano ogni ricorso all' inglese,  mi decidevo a fare da solo, manifestando come potevo la mia richiesta di un passaggio in motocicletta a pagamento. Ad onore del vero ero furente con Kailash, che non si sentivo in obbligo di porsi al mio servizio in un simile frangente, in cui dall'appagamento stesso del mio spirito di indagine di ricerca della bellezza spirituale dell India cercavo di trarre con il mio soddisfacimento più grande le forme più alte di aiuto che potessi recargli. Ma sembravo avere talmente la fortuna favorevole, che un  giovane prestante che serviva nella dolciumeria/  pasticceria centrale dell'autostazione, sentite le mie richieste per il tramite di un intermediario, si offriva di  trasportarmi gratuitamente, sempre che la mia visita non richiedesse molto tempo..
Solo che la mole della moto era così ingente, che non mi riusciva a salirvi soltanto arcuando la gamba, e così avevo la bella idea di montare con tutto il peso del mio corpo sulla staffa posteriore, mentre il giovane stava già seduto davanti, con il felice risultato di fare pencolare la moto e di provocarne il ribaltamento a terra, in un mio  gemito d'orrore al rallentatore, mentre mi riversava di fianco nel liquame  di un pozza stagnante presso il marciapiede. Tra le risate generali mi rialzavo senza scompormi verso la pompa dell'acqua con cui cercavo di pulirmi e di levare via lo sporco più obbrobrioso. Le risate così come s'erano levate ben presto si sopivano, io solo chiedevo al giovane se ci fossero danni a lui ed alla moto, ed egli  con la formula d'uso degli indiani per sollevarti da ogni incresciosa conseguenza " no problem" mi rassicurava, in un sorriso gentilmente riguardoso. Non  mi restava così che avviarmi a piedi con il mio zaino in spalla verso Tigawa, per pervenirvi prima o poi a piedi nel pomeriggio e farne chissà quando ritorno, confidando in qualche passaggio che mi fosse concesso lungo la via del cammino.
Via via che procedevo oltre Bahuriband, nessuno che più mi scoraggiasse o scuotesse la testa, alla mia richiesta di indicarmi la  strada per Tigawa: sempre avanti, in direzione opposta a quella di arriuo, prima o poi distaccandomene per intraprendere  la strada che dipartisse sulla destra .
Era  prima di quanto credessi, poco oltre un chilometro,la strada lungo la quale mi si confermava che dovevo deviare, un largo sentiero di polvere ocra che iniziava a serpere tra i campi smaglianti di colza.
Io non deponevo la mia fiducia seguitando oltre, di tanto in tanto volgendomi indietro alle motociclette che sopraggiungevano , nella speranza che prima o poi una di esse si fermasse per  caricarmi in sella. E due giovani si fermavano e mi facevano salire, dando ali alla mia speranza di pervenire in tempo alla località  si di Tigawa
Neanche il tempo di allietarmi della vista dello scorrere dei campi tra le convalli all'orizzonte, che il villaggio in cui ci addentravamo si preannunciava al mio stupore come lo stesso Tigawa,  per il vasto parco ombroso cinto da una cancellata che si prefigurava essere il suo sito archeologico.
"Tigawa"? chiedevo ai giovani, cion felice stupore, che confermavano che vi ero arrivato con il farmi scendere,  rifiutando qualsiasi compenso mentre si congedavano per procedere oltre.
Così come il campagnolo dinanzi al portone della legge, mi ero lasciato ridurre all' impotenza dalla presupposizione dettata dalla della mia angoscia,  insorta,nell'affrontare una nuova situazione, che l'ostacolo si frapponga insormontabile, le  delle distanze si frapponesse insormontabile in  tal caso insormontabili, mentre era quanto mai nelle vicinanze e riservato proprio a me, per la che vi avevo rivolto l'attenzione e la passione attenta ad ogni  simile testimonianza del genere che   me l' avevano reso  accessibile unicamente a me , come straniero,,  con tutto il tempo davanti  per visitarlo,  il tempio gupta di Tigawa che nessuno altro straniero, a memoria della gente del luogo, si era mai visto venire a vederlo.
E' tuttora Tigawa il piccolo villaggio rilevato da Cunningham, il cui nome significa soltanto " tre borgate" le altre due essendo i raggruppamenti di casolari di  Amgowa e  Deori, che sarebbe utile considerare ancora un suburbio di Bahuriband, per non accreditare da esso distanze superiori a quelle reali. Ma una tradizione che Cunningham si limita a riportare senza accreditarla, vorrebbe che vi sorgesse un tempo chissà / una grande città, dotata di un  suo forte denominato Jhanjhangarh.
Tra le  rovine raccolte ora nel parco archeologico Cunningham, ai cui tempi si estendevano per 250 piedi in lunghezza e 120 in larghezza,  potè rintracciare le rovine di ben 36 tempietti, oltre ai due che superstiti, le cui misure variavano tra i 15, i 6 e i 4 piedi soltanto,di cui  i più minuscoli erano costituiti di una cella aperta ad oriente, quelli di dimensioni intermedie, tra i 7 e i 10 piedi, presentavano una porta d'acceso con 2 pilastri, e soltanto i maggiori potevano avere un portico sostenuto da 4 pilastri. Una sovrastruzione a spirale conclusa da una amalaka era il coronamento comune. Una nota d'attualità  polemica che Cunningham stila con raffrenato sdegno investe un rapacious spoiler recente dei resti del sito, che corrispondeva al nome rammemorato a sempiterna infamia di Walker,  un contractor delle ferrovie britanniche che fece un unico ammasso di tutte le pietre  squadrate reperite nel sito, per riempirne duecento carri ai piedi del rilievo, prima che la rimozione dei reperti fosse interrotta da un'ordinanza del Deputy Commissioner di Jabalpur, vitando ad essi la fine per gli stessi moventi del grande tempio di Bilhari , completamente spogliato, e di un altro tempio in Tewar
" To the railway contractor the finest temple is only a heap of ready squared stones; and
The temple of Jerusalem,
A ready quarry is to him;
And it is nothing more".
Tra la vastità delle adombrate rovine in cui mi addentravo,  da un punto di vista retrostante risaltava immediatamente sulla destra il tempietto gupta nelle sue proporzioni mirabili, mentre sulla sinistra appariva più a distanza il secondo dei templi superstiti dell'antico complesso, sorto quando Tigawa e Bahuriband erano un grande centro, sulla via che ricollegava Bharhut  a Tewar o Tripura, più a nord. esso avrebbe preceduto la costruzione di tutti gli altri santuari, quando,  decaduti i gupta, vi si sarebbe localizzato un potentato locale emergente, ed in seguito durante la lunga dominazione dei Kalachuri.
Su una piattaforma proiettata in avanti da due avancorpi, il tempietto, uno dei primissimi templi hindu gupta dell'India del Nord, alla stregua di quelli in Sanchi, Vidisha, o in Eran, anteriore anche a quelli di nachna e di Bumhra,  dispiegava un portico d'accesso con due pilastri centrali e due laterali di fronte alla cella del santuario,- di 12, 75 piedi  per ogni lato all'esterno e di 8 all'interno-, tra loro separati da un intervallo maggiore di quello che li distanziava dalle pareti laterali. Li sovrastavano i rettifili delle modanature della trabeazione che variando solo in altezza ricorrevano sporgenti lungo l'intera superficie parietale del tempio. Delle lastre piatte ne erano i tetti, dei quali, enfatizzato da una cornice sporgente, era rialzato quello del santuario,  che  rispetto al portico d'entrata se ne staccava quanto ne era più largo.

Modanature rettilinee o curve  le profilature quadruplici del basamento del  portichetto e duplici del santuario.
Su un supporto prismatico  i pilastri evolvevano in profili sempre più poliedrici, di 8, poi di 16 lati, a iniziare da una madhya banda di catene di campane ricadenti dalla bocca di kirtimukka in quelli laterali, di boccioli floreali in quelli centrali, per terminare in un corso circolare di foglie di loto salienti nei primi, ricadenti ne secondi. Negli uni e negli altri era sormontante una coppa dell'abbondanza da cui ricadeva  il fogliame del rigoglio, prima che la emersione circolare dal vaso di un ulteriore corso di foglie di loto, preludesse al ritorno alla quadrangolarità di una sagomatura cubica. Su di essa era basato in una serie di anuli  rosacei il capitello, nel  cui abaco, dal profilo curvilineo, entro chaitya carenate* si alternavano  volti umani e leonini. Nel pulvino terminale dei leoncini  si opponevano le terga combaciando di facies in facies nel muso , in bella indifferenza alla pianta- una palma, od un mango- che sorgeva tra loro. Un motivo analogo mi era apparso sulla sommità in Eran delle colonne di epoca gupta che ne fronteggiano l tempio di Vishnu.e quello adiacente.
Le pareti interne laterali del portico erano istoriate da dei rilievi ,di epoca più tarda , che raffiguravano Sheshashai Vishnu e Chamunda , la Kankali Devi, da cui il tempio trae il suo nome attuale, risalenti a una trasformazione del portico in mandapa, secondo Cunningham, mentre un'enorme fiore di loto era schiuso nella pietra del suo  soffitto,. sulla sola parete superstite di un portico ulteriore aggiunto all'esterno, era invece raffigurato un  essere celestiale dalle orecchie dilungate e con una corona piatta sul capo, che i vidhyadaras adoranti non lasciano supporre sia un semplice monaco questuante.
Nel  portale d'accesso al garbagriha,  i pilastri laterali, sagomati analogamente ma più rudemente di quelli esterni,- con la sola variante rilevante di un'ardapadma o semiloto inciso nella prima scansione prismatica, e del raddoppiamento contiguo dell'anularità di petali di loto contrapposti,  sotto il vaso dell'abbondanza-, fungevano da supporto all'inserto in una rientranza del muro dei gruppi statuari di Ganga e Yamuna con inservienti,  in flessuosa tribhanga, appigliate ad un albero come salabanjka, in una collocazione inusuale nella parte alta della incorniciatura della porta, che ne accomuna la disposizione a quella in cui figurano nel tempio gupta posteriore di Deogarh.
Nella trabeazione, tra le rientranze dei profili laterali , in luogo della trimurti,  o di divinità planetarie o di esseri celestiali o divinità femminili intermedie, ricorreva una successione di tulas, che rievocano nella dura pietra le testate delle travi  ai tempi dell'edificazione lignea dei templi hindu.
Identiche tula erano ravvisabili nella parte superiore del portale d'accesso al secondo tempio, dedicato alla Devi, -per quanto vi campeggi un'immagine di Vishnu intorniato dalle sue incarnazioni-, vi sormontava una serie di chaitya in cui facevano bella mostra di se i busti di figurine umane,  consimili a quelle dei capitelli dei pilastri del portico.
Vishnu nella sua incarnazione di Narashima  era insediato al centro della cella coronato di ghirlande, ad attestazione di come il tempio, risalente al IV, V secolo dopo Cristo, sia ancora sede di un culto vivente.
Il sole iniziava a volgere al tramonto nel suo fulgore, quando lasciavo Tigawa ed ero di rientro in  Bahuriband in nemmeno mezz'ora di cammino a piedi.
It s very near mi confermava un insegnante di inglese  nella scuola elementare di cui era direttore,  Ananda Gupta, come avrei imparato a conoscerlo, nella sua ospitalità generosa, l'ndomani  quando raccogliendone l invito sono stato  in Bahuriband, per visitarvi nei paraggi, recandomici in moto con lui,   Rupnath , un luiogo di pellegrinaggio lungo la strada che reca a Sihora ed a Jabalpurche dalla denominazione Rupnatheshwar di Shiva che vi è adorato trae il nome,  e dove nel loro esilio da Ayodhya avrebberio sostato Rama e Sita e Lakshman . In un luogo di assoluta quiete vi avrei goduto la vista dei  kund, che da Ram Laxshman e sita traggono il nome,  in cui ricade l'acqua a cascata dalla parete rocciosa che vi strapiomba , e vi avrei rinvenuto il masso che reca iscritto un presumibile editto di Ashoka. Poi , di rientro nel tardo pomeriggio in Bahuriband,  poco distante dalla stazione degli autobus mi ci sarei recato insieme con lui al  compound jain, con al suo interno l' imponente immagine statuaria del tirthankara cui soggiaceva l'iscrizione famosa.
" Di turisti non ho visto che lei da che vivo in Bahuriband" mi diceva al congedo quella prima settimana, nell'accompagnarmi all'autobus in cui sarei salito di rientro in Katni.







 1 pollice (in.) = 25.4001 mm
1 piede (ft.) = 0.304801 m
1 yarde (yd.) = 0.914402 m
1 rod (rd.) = 5.02921 m
1 miglio (mi.) = 1.609347 Km 1 mm = 0.03937 in.
1 m = 3.28083 ft.
1 m = 1.093611 yd.
1 m = 0.198838 rd.
1 Km = 0.621370 mi.

Da www.puratattva.in

 Ashoka’s Minor Rock Edict – published in the Edicts of Asoka by V A Smith – Thus said the Beloved of the Gods. A little more than two years and a half since I have been avowedly a lay follower of the Buddha. But I was not vigorously exerting myself in the cause of Dharma for the first one year. However, it is a little more than a year since I have been devoutly attached to the Sangha and been exerting myself vigorously. The gods, who were unmingled with the people inhabiting Jambudvipa during the ages down to the present time, have now been made mingled with them by me. This is indeed the result of my exertion in the cause of Dharma. And this result is not to be achieved only by the people of superior position like myself; but even a poor man is as well able to attain the great heaven if he is zealous in the cause of Dharma. Now, this proclamation has been issued for the following purpose, viz., that both poor and the rich may exert themselves, that even the people residing in the territories outside the borders of my dominion may realize this, and that exertion on the part of the people may be of long duration. This cause will be made by me to progress more of less to one and a half times. And now, my officers, cause ye this matter to be engraved on stone wherever an opportunity presents itself. And, wherever there are stone pillars here in my dominions, this should be caused to be engraved on those stone pillars. And, with the implication of this proclamation in mind, you should go on tour everywhere throughout the district in your charge. This proclamation is issued by me when I am on a tour of pilgrimage and have spent 256 nights away from the capital.
The meaning of the last statement, about number 256, was not satisfactorily settled among the scholars for a long time. The usual meaning taken is the same which is stated above, however there are certain variations proposed by various scholars. There are many edicts which were engraved while Ashoka was on a tour but nowhere the time is reckoned like this one in the Rupnath edict. Usual mode of reckoning time is in his regnal years.

Some scholars suggest that this 256 refers to some era used by Ashoka and the start of the era may be taken from the nirvana of Buddha. D R Bhandarkar, V A Smith and Senart suggest that it is the number of the messengers or missioners who were sent by Ashoka with the copy of this Proclamation to be engraved across his kingdom. These scholars interpret the last statement of his edict as, ‘This proclamation is caused to be announced by messengers, (of whom) 256 were sent out’. Some even suggests that 256=16*16=8*8*4, and it could me an equation suggesting that he sent messengers in eight directions. However I think now it is almost settled and we may take the interpretation as stated above in the translation of the inscriptio






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