venerdì 14 luglio 2017

Quasi una leggera morte

Prima che il treno  da Khajuraho  mi conducesse con Kailash a Delhi per fare rientro dopo alcuni giorni in Italia,  chiedevo al mio amico e a Mohammad, che era accorso in stazione in motocicletta per un ultimo congedo , di consentire a Miraj che aveva accompagnato Mohammad, di scattare un’ultima fotografia che ci vedesse raccolti  insieme, concordi e affettuosi dopo screzi e dissidi,  rivedendo la quale, come il treno  si è messo, mi sentivo  gioioso  di poter  dire, pubblicandola in face book: Ecco l’immagine di una felicità concessa a chi non vive soltanto per se stesso”. Pur tra le lacrime , quando al telefono Mohammad, rientrato in hotel,   cessava di parlare sopraffatto dai  singhiozzi.
Ma ora non ne è più nulla di tali immagini, finite perdute con  ogni altra che ho scattata in India durante questa mia  ultima permanenza, di templi hindu sconosciuti o di amate sembianze, con  i miei computer e tutto il materiale  dei miei scritti,  di tutti i documenti e testi  e degli ebook  di altri autori  che contenevano, con le mie fotocamere e lo smartphone che Mohammad mi aveva assicurato di seconda mano,  per il furto della borsa che li conteneva che in una fase di dormiveglia ho subito alla stazione centrale di Milano,al mio rientro dell India  in attesa nel corso della notte del primo treno mattutino diretto a Mantova,  per opera di una gang di malfattori extracomunitari.  Che altro non posso pensare, se nel giro di un’ora  alla polizia giudiziaria cui denunciavo  il furto  si succedevano un altro anziano e una giovane ragazza in lacrime, vittime anch’esse  di rapine. La psichiatra  del Fatebenefratelli , cui chiedeva un consulto  nel suo referto parlava di mie reazioni normali,   pur sempre nel mio  stato di depressione  permanente, mi diceva che  che potevo  già lasciare Milano  e che non dovevo avere paura di ritrovarmi da solo nelle stanze del mio appartamento a Mantova,  dove distaccato dal luogo del furto  avrei  avvertito  appieno il senso dell’avvenuta perdita. La mia mente  era in realtà sospesa e si era auto sedata in una stato di stupefazione attonita,  cercando  appigli, nel vuoto della perdita, a  quanto avevo pur avuto  e avrei  trovato modo di salvare.   Per mia fortuna , disattendendo alle indicazioni dell’addetto al chek in nell’aeroporto di Delhi, avevo conservato nei bagagli un hard disk con i miei testi principali, e nel mio blog avevo avuto modo di  salvare  ogni mio resoconto indiano,  e  vi avevo stipato tutti i dischi dei dizionari e del mio web site, ma quanto di irrimediabilmente perduto veniva a mancare all’appello, quando la memoria  aveva le capacità di ripercorrere i dati che potevano essere finiti perduti,   ogni immagine che avessi  scattato dei monumenti  islamici e moderni ignoti ai più che avessi  scattato in Delhi, tutte quante quelle, preziosissime e altrimenti irreperibili  ovunque, dei templi hindu che avevo ritrovato con Kailash  nei dintorni di Mahoba  e di Chitrakoot, senza il cui supporto ogni mia ricerca in corso da ultimare restava un sentiero interrotto, per riprendere il quale, al mio ritorno in India, avrei dovuto ripetere i viaggi e riscattare ogni foto,  con nuovi apparecchi dall’acquisto proibitivo.
Per giorni, finora, come tutt’ora ho seguitato a compiere ogni cosa da fare e a conservare i contatti indispensabili come in uno stato di leggera morte, in cui  la rimozione dell’avvenuto  si faceva confuso distacco e indiana rinuncia, senso di liberazione  come se la perdita mi avesse alleviato di un fardello, e come la falena al fuoco di una lucerna, bruciassi più inconsistente ed evacuato  vuoto  del mio annientamento  in corso. Mi ha sostenuto in tale precipizio la ritrovata immersione nell universo librario,  Schopenhauer, don Milani, Mandelstam o Kushwant Singh che fossero i ritrovati autori,  nel silenzio dell India  in cui l’atman ritrova il suo Brahman  ritirandosi dal mondo.

Con il piacere, nei miei contatti con chi ho di così caro in India, che Mohammad abbia ritrovato la via della scuola, e che mi sappia dire dei più grandi poeti in urdu, di Mirza Ghalib come di Mir taqi Mir,  di Mirza Ghalib citandomi  due versi che ho ritrovato in una versione inglese “Let me get drunk in the mosque,
Or show me the place where God abstains!”

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