Contro l’esegesi biblica di Isacco o la prova di Abramo di André Wénin
Abramo non parte con un agnello sacrificale, ma con il solo Isacco. Ciò significa che il salire sul Monte con Isacco, per l’ olocausto, era stato da egli inteso univocamente. La narrazione è puramente oggettiva perchè nessun dubbio o incertezza ha sconvolto l’animo di Abramo, che in obbedienza assoluta a Dio era votato fin dall’inizio al sacrificio del figlio, nel rispetto della Legge, nonostante tutta la tenerezza e l’affetto che manifesta a Isacco.
La vicenda di Abramo ed Isacco, attenendoci strettamente ai fatti, come fa Wénin, non ci insegna l’assurdità di dare la morte oblativamente al figlio per non ucciderlo con il proprio possesso( sic, assurdamente, a pg. 87), di legarlo come olocausto per non legarlo a sè ( sic), ci rivela invece che se Dio apprezza il timore che ne ha Abramo, egli non gli ha chiesto né a noi chiede, per testimoniarglielo, di sacrificargli ciò che ci ha donato, ci insegna al contrariuo di goderne il Dono, lasciando che ciò che Dio ci ha donato dia i propri liberi frutti, e non mortificandone la libera vita con la propria legalità. Abramo è l’Anti-Adamo perché ha obbedito per eccesso, sacrificando alla Legge il dono del figlio e la sua vitalità interiore.
Il sacrificio del proprio Figlio può essere umanamente ammesso solo nel senso che occorre essere disposti a ridonare a Dio tutto quello che ci ha dato, accettandone la perdita, non già causandola, con la promessa che in cambio del dono immediato di tutto, mediante la rinuncia che implica l’ accettazione della perdita più dolorosa, tutto riceveremo in cambio.
Lot e le sue Figlie
Sulla Voce di Mantova di giovedì 10 novembre 2011, figura una libera trasposizione, di cui è autore il signor Gianfranco Mortoni, dei passi della Genesi che riferiscono quel che di certamente improponibile intercorse tra Lot e le sue figlie, un duplice incesto il cui reportage giustifica per il Mortoni una liquidazione senza appello della stessa Bibbia. “Te la do io la Bibbia”, egli conclude, usando parole in cui uno può udire l’eco oscura dell’interdizione ai fedeli del suo libero esame da parte dello stesso Magistero Pontificio, almeno dal 1471 fino alla “Dei Verbum” del 18 novembre 1965. Sono davvero desolato che la lettura della Bibbia abbia schifato o adontato così tanto il signor Mortoni, sviandolo a tal punto che ha rovesciato del tutto il procedere delle vicissitudini familiari che sono raccontate nei passi incriminati. Se uno non si fa oscurare la mente dai riflessi patriarcali che seguitano a condizionarci, secondo i quali l’iniziativa sessuale ha da essere del maschio, nei passi in questione non si legge, come Mortoni traspone, che sia stato Lot ad avvinazzarsi per abusare senza freni inibitori delle figlie, ma che al contrario, sono state le figlie ad ubriacare il padre per copulare con lui, e non certo perché lo vagheggiassero, ma perché in assenza di altri uomini non potevano altrimenti superare l’impasse di restare senza discendenza. E’ pur sempre un misfatto, senza se e senza ma, d’accordissimo, ma per biblisti reverendissimi, e antropologi e mitologi, ad un certo livello di lettura esso si rivela una faccenda del tutto illuminante, che non li riguarda più come sconcia indecenza. Si figuri, il caro signor Mortoni, che negli antichi testi vedici dell’induismo è Dio stesso, Prajapati, padre della creazione, che copula con la propria figlia, Usas, l’aurora, il cielo, e non una, ma più e più volte, secondo i Purana, o all’infinito, per tutte le coppie dell’universo che Prajapati ingenera sdoppiandosi in una controparte femminile, e la ragguaglio che è altrimenti incestuosa anche la coppia primordiale di Yama e Yami, fratello e sorella, di cui per giunta esiste la versione giapponese di Izanaki e Izanami.( vedi Raimon Panikkar, Il mito di Prajapati, La colpa originante ovvero l’immolazione creatrice, in Mito, ermeneutica e fede, pagine 91-95 in particolare). Non seguito oltre, con quanto accadde in tali contesti tra Manu e sua figlia, per non offendere il senso laico del pudore del signor Mortoni e di altri lettori. Me ne dispiace, in fede mia, peccato, davvero, perché si tratta di mitologia, non di storia, ed a seguirne il filo, quanto più il racconto sembra inammissibile, una nefandezza illogica assoluta, tanto più esso ci rivela la realtà prima ed ultima di tutte le cose. E ci disvela in tal caso, -secondo il biblista André Wénin, ad esempio – che quelle figlie e quel genitore dai precedenti non meno inquietanti- il padre le aveva già offerte agli abitanti di Sodoma perché non abusassero più di lui che dei due angeli, suoi ospiti maschi-, loro malgrado stanno subendo il limite che è la stessa mancanza che forse si rileva nel nostro interlocutore: ossia l’assenza di alterità ( di alterità culturale, sia ben inteso, nel nostro interlocutore. Che è indispensabile, egli mi creda, a fedeli ed infedeli, per perseguire lo scopo comune fondamentale di umanizzare gli uomini.).
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