domenica 3 aprile 2016

in amarkantak, sohagpur

Nella luce abbagliante di un’alba di marzo incantevole,  erano appena le 6  quando io e Kailash scendevamo alla linda  stazione di Anuppur,  per la quale puntualmente eravamo partiti  la sera avanti alle 10, 20 da Satna,  così attenendoci alla destinazione del nostro biglietto ferroviario benché sul treno, poco prima dell'arrivo in Anuppur,un viaggiatore ci avesse avvertito che alla futura fermata di Pendra Road ci saremmo ritrovati  a una distanza ben più ravvicinata rispetto ad Amarkantak.
Confidavo nel fatto, e Kailash concordava, che essendo Anuppur il capoluogo del distretto  di appartenenza di Amarkantak,  mantenesse con Amarkantak dei collegamenti regolari di autobus  più  frequenti anche in quel primo giorno  della festa di Holi,  nel corso della quale abitualmente i pullmann  seguitano ancora a procedere non procedono lungo le strade dell India prima di arrestarsi il giorno seguente per non essere coinvolti in schiamazzi, secondo una norma che vale inflessibilmente almeno durante il giorno seguente del o dal lancio di polveri e getti liquidi  di colori. Ma quando oltre il bazar su cui svettava un gran bel minareto, raggiungevamo il semplice spiazzo in cui consisteva ch’era tutto quanto in cui consisteva l autostazione,  lo trovavamo vuoto e deserto.
Non ci restava che di chiedere del prossimo treno che fosse in partenza in direzione del Chattisgarh per  Prenda Road, facendo il biglietto di corsa semplice come passeggeri.
Non dovevamo che attendere, fino alle 7, 40, il treno proveniente da Haridwar e diretto a Puri, via Bilaspur, che  dopo poco più di mezz’ora di viaggio ci avrebbe consentito di scendere  alla stazione ferroviaria della antecedente Gurela, che tale è il nome storico di Pendra Road, il profilarsi del cui centro ci si prospettava come una quinta scenica oltre un arco d’ingresso. Ma vi si sarebbe rivelata una corsa a vuoto, la nostra in autorickshaw  verso un’autostazione ancora più minuscola e ugualmente priva di autobus che quella di Anuppur.
Kailash aveva la prontezza di spirito di proporre allo stesso conducente dell’autorickshaw, quanto gli  prefiguravo ch’era la sola cosa che ci restasse da fare, ossia di farci condurre da un tuc tuc o da un’autovettura fin su in Amarkantak, e per non più di 500, 600 rupie l’accordo con egli era rapidamente raggiunto Intercettavamo Restava solo da intercettare un altro viaggiatore, lungo le strada che riavviava alla stazione ferroviaria, che al  conducente si diceva si era detto ugualmente intenzionato a raggiungere  Amarkantak, ed eravamo già volti a destinazione nell'arioso mattino.
Vi ci dirigevamo per una scorciatoia che abbreviava il tragitto da 41 a 28 chilometri, ma a costo di inoltrarci lungo l'inerpicarsi a poco a poco di una stradicciola secondaria  il cui asfalto era non più che un residuo scrostato tra ciotoli e buche, in un subbuglio che più di quanto non mi sconquassasse le interiora, rinfocolava la penosità dell'emorroide persistente di Kailash.
Attraversavamo diversi piccoli villaggi le cui case rammemoravano ancora quelle del Bagelkand, prima di ritrovarci nell'ammanto forestale, non senza che un malaugurato infanticello mi desse modo di fare esperienza che non ovunque in India la festa dei colori impazza dopo il rogo di Holika, investendomi nel volto e nei vestiti di una secchiata di colorante rosaceo.
La boscaglia che si addensava lungo le pendici che risalivamo, sui fondali di un cielo di un blu smagliante immacolato di nubi, trasmutava in primavera incipiente l'estate che giù nei fondovalle, nella remota piana  dei dintorni di Khajuraho che avevamo lasciato il giorno avanti , e lungo i pendii del parco di Panna che avevamo risalito, volgeva già ad un autunno polveroso ed arido, poiché rispetto alla caduta delle foglie che vi rinsecchivano nelle giungle spoglie e tra i campi che per la siccità erano rimasti dissodati ed incolti, lungo le erte che il tuc tuc affrontava veniva prevalendo tra le nuove infiorescenze la loro ricrescita gemmea , viridiscente o vivida di tinte sanguigne ed ocracee,  avvivando la luce del giorno del loro brillio smagliante, nelle piante di tendu e palash che subentravano in altura fino al farsi dominante ovunque del sal.
Nei divallamenti, casolari sparsi tra radure di verde.
In Amarkantak, districandoci tra le vie multiverse del bazar alla cui altezza il conducente ci lasciava,  insolitamente  ci contentavamo del primo alloggio in cui ci imbattevamo,  per la spaziosità e la pulizia di camera e bagno mostratici,  essendovi l'unica sistemazione  che vi fosse ancora disponibile con una latrina occidentale, - altri visitatori e turisti indiani stavano intanto pervenendo in Amarkantak per le festività di Holi-, e bastava una doccia a ritemprarci,  ed a che Kailash mi precedesse alacremente nel tratto di strada che avviava alla discesa verso l'udgama  Narmada,  il complesso di templi intorno alla sorgente del fiume sacro.
Ma erano ancora le due del pomeriggio ed il sito di culto era stato chiuso a mezzogiorno per essere riaperto oltre le quattro, così, oltre il loro calcinato biancore  incamminavo Kailash verso i templi Kalachuri che si sopraelevano appresso.
Nel parco archeologico li precedevano un Narmada kund cui si fa risalire  un soggiorno in Amarkantak di Sankarakarya, ed alcuni santuari postumi. La rassegna di quelli Kalachuri ne considerava inizialmente due contigui , in onore l'uno di Shiva e l'altro di Vishnu , entrambi preliminarmente con una sala mandapa  racchiusa da una balaustrat e  sormontata da tetto piramidale phamsana, ch'era d'accesso ai vestiboli e ai santuari dei templi. Erano essi pancharatas nelle loro proiezioni parietali come in quelle dei loro sikharas, che eccezionalmente nel secondo dei templi, quello vishnuita, erano due  quanto i corrispettivi santuari garbagriha  perpendicolari. Quindi era la volta di un mandapika e di un tempio ad esso di fronte che sorgevano alla loro altezza, entrambi con sovrastruzione  piramidale sovra la cella del santuario, poi  più oltre, in discesa, verso l'affiorare delle acque sorgive del Narmada in polle d'acqua, compariva il Pataleshvar,  dalle fattezze simili a quelle dei due primi templi ma conservatesi più integre. Più in altura si profilava alfine  il tempio che di tutti si sarebbe rivelato il più fascinoso e interessante, il tempio Karna, che la descrizione di Krishna Deva prefigurava come comprensivo di tre santuari, e sapta-ratha, con sette proiezioni lungo le loro mura e fascicolari dei loro rispettivi sikharas , uni e trini benché la perdita integrale del mandapa di raccordo e d'accesso, li facesse risultare l'uno separato e distinto dall'altro.
La pianta complessa degli stessi primi due templi, del Pataleshwar e del Karna, li faceva risalire a non prima del secolo XI, ovvero ai tempi del re Karna Deva, ( 1041-1073),  a dispetto di quanto potevano lasciare intendere la rudimentalità d'intaglio della pietra granitica in cui erano costruiti e l'ornamentazione che escludeva statue nelle stesse nicchie dei bhadra centrali e delle kapili dei vestiboli, dove in loro vece era intagliato un rombo diamantino floreale, eccezion fatta per le edicole vuote del solo tempio shivaita, mentre quello vishnuita  pur ospitava in una delle sue celle i resti di una statua del dio,  sostitutiva di quella di cui era stato depredato. Si trattava in realtà dell'umiltà architettonica di uno stile "provinciale" che nell India centrale,  come si diede per quello occidentale pagano della romanità imperiale lontana dall urbe  e poi per quelli cristiani più popolarescamente devozionali, ebbe a coesistere con quello più sontuosamente raffinato delle capitali religiose dei regni. Al pari  del configurarsi in ruvidi accenti dello stile dei templi Chandella dei dintorni di Mahoba, in Makarbai. ad esempio, od in Vyas Badhora, o nella loro remota Dudhai* esso al contempo era di complicanze meno lineari, ammettendo una pluralità di aditi o di esiti terminali, e ridotto ai minimi termini statuari od ornamentali, nell'udumbara stesso della soglia d'accesso, dove ricorrevano fluenze di volute in luogo di un mandaraka nelle fogge del loto, di devoti e gaja simha di cimenti leo-elefantini ai lati, e quant' altro,  nei sakas dei fregi degli stipiti laterali, ridotti a pochi lineamenti decorativi, assenti Ganga e Yamuna e qualsiasi assistente delle divinità fluviali,  nel lalata bimba della trabeazione ove  in luogo della Trimurti o di Navagrahas planetari e Saptamatrikas esibiva in Amarkantak l' eleganza al più un fiore di loto inciso, in nicchie di bhadras centrali e kapili vestibolari, o piedistalli di karnas e pratirathas, che anzichè alle manifestazioni radianti del dio del tempio, od alle grazie di apsaras o alla propiziazione di dikpalas reggenti, si offrivano solo a simbolizzazioni ornamentali. Nel loro  ad Amarkantak, come nelle Dudhaio Makarbai dei  domini Chandella, primeggiava il rombo diamantino in guise efflorescenti , così come i pilastri nei mandapas assumevano vaghe sembianze mistilinee, di profili ottagonali evolventi in contorni circolari, al contempo in cui altri e le  lesene permanevano arcaicamente badrakas, con due vasi dell'abbondanza ai termini dell'intaglio centrale.
Del complesso di templi Kalachuri di Amarkantak  mi appariva particolarmente fascinosa l'austerità sacrale del tempio Karna, esaltata dalla sua pietra rossiccia muschiata di argenteo grigio verde, per la trascendenza  della loro matrice hindu  espressa dalle sue pure forme ascendenti, che  come nel tempio shivaita di Mahua o in quello di Indor, o  della setta Mattamayura in Chanderi, mi aveva evocato la stessa sacralità parietale di una pieve cattolica  rurale.
Oltre la cancellata io e Kailash potevamo intanto intrvedere il volto radioso di Amarkantak, nella luminosità delle acque degli invasi che ne fronteggiavano gli edifici cremisi scolastici e religiosi, mentre sulla sommità dei rilievi circostanti ostentava la sua apparizione la mole in costruzione di un grandioso tempio jain.
Amarkantak ci sarebbe apparsa ancora più luminosa, già al tramonto, nel candore dei tempietti dell udgama Narmada tra cui io e Kailash avremmo concluso la giornata, intrattenendoci fino a tardi perchè proprio quella sera vi si sarebbe svolta la cerimonia di una maha-arti. in onore della divinità femminile del fiume.
L'indomani Amarkantak ci sarebbe riapparsa nella stessa luce abbagliante, che sfolgorava splendida sulle sue radure assolate, traluceva nelle foreste di sal, ove le piante schiumavano efflorescenze tra i brividii del verde delle foglie,  non appena le sommovesse il più tenue vento, mentre tra i loro ammanti forestali il conducente di un  fuoristrada ci conduceva alle vicine sorgenti del fiume Soni fino al loro ricadere giù a valle verso oriente, in opposizione al corso verso ovest della Narmada, che poi seguivamo, dopo gli slarghi di alcuni sarova, nel suo inoltrarsi quale ancora un rivolo d'acqua tra  massi rocciosi,  tra boscaglie radiose e gli ameni fondovalle  in cui pascevano armenti,  fino alla sua prima cascata tra dirupi nel Kapildhara, nel  sito di congiungimento tra le catene dei monti Satpura, Vindhya, Maikal,  cui faceva seguito la cascatella cui incamminandoci discendevamo più in basso . Il nome vorrebbe che schiumasse come latte, mentre autentico latte secondo il dire di alcuni visitatori provenienti dal Chattisgarh, avrebbero stillato nel primo mattutino le scaturigini che  tra l'immensità delle foreste di sal, sulla via per Bilaspur,  erano nei pressi del Kabir Chabutara e dell'enorme banyan bargad che protendeva poco oltre verso le pendici le sue immani radici,  a commemorare il luogo dove avrebbe sostato in meditazione il grande mistico poeta.
" Impossibile", sentenziava Kailash, come si erano allontanati, alla mia domanda ironica se lo ritenesse vero, egli che la sera avanti si era unito in un battimani al canto Narmadey  har che inneggiava all'energia del fiume come ad una deità femminile.
Ciò che nell'aria spirava di meraviglioso era comunque l unisono dei nostri animi/cuori, che si sarebbe ricreato anche nel May ky Bagya dove il conducente del fuoristrada ci avrebbe lasciato, un grove, un boschetto di alberi di mago e banani quali sono soliti crescere dove, come in quel sito, corsi d'acqua irrorano gli avvallamenti tra i monti, e la cui amenità avrebbe indotto la dea Narmada, il condizionale è d'obbligo, a coglierne un giorno i frutti nel giardino che componevano.
Una lenza al cui magnete abboccavano dei pesciolini di plastica, ed un pappagallo meccanico il cui sensore ne animava il canto e le ali al solo fischio e battito di mani, i regali per il nostro Chandu amatissimo che sulla via del rientro a piedi non avrei mancato di acquistare, insieme a Kallu,  nel bazar del villaggio che stava riaprendo cessata  ogni propaggine possibile della festa di Holi, prima del nostro rientro già  l'indomani da Amarkantak, che di privativo ci aveva riservato solo il rigorismo della alimentazione vegetariana da jolies colonies de vacances o refezione dopolavoristica di hotel e ristoranti.
L’autobus su cui  l indomani mattina, in un cielo ancora sfolgorante d’azzurro,  lasciavamo Amarkantak alla volta di Shahdol, cui era destinato. per visitarvi il tempio Kalachuri  Virateshvara nella contigua Shoagpur, una volta giunti ad Anuppur ci lasciava a piedi perché il proprietario ne aveva cambiato destinazione, e nell'autostazioncina dovevamo attendervi per quasi due ore l’arrivo di una coincidenza diretta a Shadhol, il primo treno che vi era diretto non essendo in partenza che all’una del pomeriggio.
Dopo un tragitto sonnolento io e Kailash ci ritrovavamo così in Shahdol poco dopo le due.
Ma prima di dirigerci a Shoahgpur era d'obbligo  fare sosta alla stazione ferroviaria  per  chiedere dei treni che fossero in partenza per Satna, o solo per Katni, enon avendo avuto modo di prenotare in tempo alcuna sistemazione almeno in sleepers class, data l imprevedibilità dei tempi e dei modi in cui nel corso di Holi avremmo potuto lasciare Amrkantak, e non potevamo ritrovarci entrambi che in waiting list su un treno delle 8,20, che sarebbe giunto a Satna sette ore dopo, quand’era ancora notte.
Con lo stesso auto-conducente dello stesso autorickshaw  ci avviavamo quindi alla volta di Shoaghpur, in una solarità esplosiva ancora luminosa e intensa quale quella di Amarkantak, nel blu più profondo, non senza avere fatto sosta  lungo il percorso in una piccolo bar attavolato all’aperto per uno spuntino rifocillatore.
Il tempio shivaita Virateshvara di Sohagpur,  defilato di qualche centinaio di metri dalla strada che recava a Rewa,  ci è apparso di primo acchito ciò che si sarebbe confermato a una disamina più attenta, una replica postuma  a tutti gli effetti di quelli di Khajuraho nirandhara , senza deambulatorio.
“ E' un tempio Duladeo” avrebbe concluso liquidatoriamente Kailash con il suo occhio di una memoria infallibile., che d'ambo i templi sembrava non apprezzare gran che nemmeno le peripezie cui sottoponevano una lady in una mithuna acrobatico, se a suo dire/ a quanto ne diceva " shes's like one chair" ,  una prestatrice d'opera, quanto mai fisicamente sottoposta, figurandovi adibita sottoinsù a seggiola,
In realtà, mentre i  Kachchhapagata, nel Kakanmadh in Sihonia, ma non nel tempio Murayat in  Kadwaha, , si erano rifatti ai templi maggiori sandhara , ovverosia con deambulatorio, di Khajuraho, (- nel tempio eretto in Sihonia, ai tempi di re Kirttiraja (  1015-35 d. C.) ,  pur anche superandoli di gran lunga in grandiosità, e quando è da presumere che  ancora non fosse sorto il Kandarya), .  i Kalachuri avevano ripreso in Sohagpur i templi posteriori Chandella, di dimensioni minori e senza alcun ambulatorio, che ottemperavano pur su scala minore al nuovo paradigma saptaratha,  così com'era era invalso in Khajuraho solo con il tempio Kandarya,  a iniziare dai templi ambulatoriali hindu in grande stile.  Nei templi antecedenti Lakshmana, e  nel Vishwanath,  solo sussidiariamente, nella parete interna del sanctum che dava sul deambulatorio di cui i templi necessitavano appunto per l occorrenza,  si era adempiuto al canone, ancora pancharatha, di  5 proiezioni per il jangha come per il sikhara, per dare spazio piuttosto, sulle pareti esterne dello stesso mula prasad, alla continuazione della galleria iniziatasi lungo le pareti del primo mandapa , delle nove immagini di sette divinità planetarie più Ganesha e Durga, o delle saptamatrikas in più lo stesso Ganesha e Shiva Virabhadra.
Il tempio di Sohagpur,  era quindi una conclamazione imitativa della appagatività del nuovo canone saptaratha così invalso, nei modi in cui  nel Devi Jagadamba, o nei templi Chitragupta,  Javari,  o Vamana, Chataurbuja o Dukladeo, era stato trasposto in formato minore ma  in piena osservanza esterna diretta anche lungo le pareti del jangha del santuario del tempio, sicchè alle proiezioni del  madhya lata centrale, delle anurathas  laterali sussidiarie,  di pratirathas e di karnas del sikhara  venivano a corrispondere nel jangha parietale il bhadra con ripristinata all esterno nell'edicola del  rathika una manifestazione radiante del dio interno alla cella,due pratirathas ausiliarie con apsaras e un karna d'angolo per parte con i Reggenti dikpalas protettori del tempio, i salilantaras dei recessi ospitando vyalas rampanti ed erotici mithunas, quali controcanti terreni delle glorie celestiali.- rispetto all inottemperanza esteriore della norma dei templi Lakshmana, Vishvanata,e solo per certi versi risolta nel Kandarya,per cui il jangha del mulaprasad non differisce da quello del mahamandapa e ad esso si uniforma, quanto al mandapa, nell'albergare in subordine,  nelle edicole dell'adhishthana, le immagini in serie di divinità planetarie o di saptamatrikas.
 Nel tempio di Sohagpur, come già nel Jagadambha in Khajuraho, erano rientrate le pretese sfarzose del Laksmana, del Visvanatha, del Kandharya, di sollevare sul podio ed il plinto il tempio al suo interno, elevandone il dio e le sue manifestazioni che vi si rinvenivano ad un livello superiore a quello delle manifestazioni del divino nelle divinità planetarie navagraha o delle saptamatrikas che cosmicamente vi procedevano intorno nelle nicchie ribassate dell'adhisthana  sicchè  nel mandapa del Virateshvara,  che la rovinosità del tempo in terremoti più che in devastazioni umane aveva fatto si che finisse conglomerato con l'ardhmandapa che lo precedeva, la  balconata della finestra del transetto sorgeva allo stesso livello di kura, kumba e kalasa del podio dell'adhishtana, sopraelevandosi egualmente su bitha e pitha, zoccolo e plinto, di modesto risalto, costituiti da una prima modanatura con rilievi di petali di loto, da un pattika di volute astratte con takarikas, da un karnika con un fregio sottostante di ardharatnas triangolari, un  pattika di rosette.
Le balconate erano invece costituite da un rajasena* di rombi diamantini, da un vedika di apsaras alternate a vyalas, come in Khajuraho a onore del vero non è dato di vedere, di una asanapatta di più minuscoli rombi e e coronata da dei kuthas a guisa di pidhas di tetti piramidali, del kaksasana- schienale  decorato  da una  alternanza di phalakas e di fusti di bambu abbinati, a memoria delle origini lignee della balconizzazione di sale o transetti del tempio. Un fregio superiore di volute intersecantesi ultimava il tutto.
Tre ordini di sculture si succedevano lungo la kapili del vestibolo dell'antarala e le pareti del mulaprasad, i loro corsi albergando statue di divinità entro nicchie nell'eminenza di kapili e badhra centrale, sui pilastri* dei pratirathas e di karnas le apsaras e i dikpalas e gli astavasus , nel terzo corso guizzanti vidyadharas, mentre i recessi dei salilantaras erano alquanto miscellanei, ospitando come un dio minore effigie di Vishnu o di altre divinità, insieme con vyalas e mithunas quanto mai arditi o spinti,  per lo meno acrobaticamente. Nelle nicchie principali dei bhadras campeggiavano a sud un Shiva bellamente Tripurantaka, a occidente Shiva Nataraja, a Nord una terrifica Chamunda.
Un verandika di due pattikas istoriate di volute  vegetali ,  che precedevano ratikhas di smaglianti rombi floreali cui faceva seguito che precedevano a loro volta il loro minuscolo inserto in un frontoncino a guisa di sukanasa,  era l intestazione del sikhara di stile sekhari, bello più che nello slancio ascensionale, longilineo e snello,  in quello dei suoi addendi di sikarikas. Li costellavano/ aggruppavano  i due urahsringas o urahmanjiari centrali,  affiancati nel loro primo grado rampante da quello di uno sringa,  per ogni proiezione del jangha, il penultimo duplicato da uno sringa di grado superiore, in quello penultimo, tra vyalas e apsaras, e schiuse floreali, ascendenti ancora  finanche  lassù.
Krishna Deva che del tempio ebbe ad occuparsi in Temples of North India, eludendone la riconsiderazione nel suo Temples of India,  nella sua impeccabile sintesi descrittiva del tempio, di appena mezza paginetta soltanto,  ebbe pur  l'acuzie di rilevare come il sikhara sia così tall and slender, alto e slanciato, che dei due livelli di sringas o sikarikas " so attenuated  in height and bulk", " the upper attached spires hardly reach half the height of the main spire " ( pg.50-51)
Amalaka, chandrika, ancora due amalasarakas, kalasa e il vijapuraka, a guisa di agruume, oltre il collo del greva il coronamento finale.
L'interno riservava l unica conferma alla pre-dizione di Kailash che il tempio fosse simile al Duladeo, presentandosi come ottagonale e  volto in una pseudo-cupola , con gli sporti di resti di cariatidi apsaras , un tempo ad ogni spigolo d'ottagono
Il portale d'ingresso mancava della soglia originaria, non di certo di Ganga e Yamuna ai piedi degli stipiti, che in flessuosa tribhanga si lasciavano affiancare da attendenti e dvaparala Bhairava tremendi, uno dei due con katvanga teschiuto.
Esse fornivano il loro supporto a sei bande di sakas tutt'altro che di sola ordinanza, se nello stamba saka centrale albergavano divinità in luogo dei più consueti mithunas, tra due sakas di ganas o gandharvas musici e danzanti, preceduti all interno da una banda di eleganti roselline e una di naga intrecciati in guisa di nodi, all'esterno seguiti da un saka di fiori mandara e da un fregio dalle forme più in rilievo di pelli rinsecchite di serpenti
More insolito, al centro della trabeazione di un  lalatabimba nient'affatto trimurtico, Shiva Nataraja era sfrenantesi tra Sarasvati e Ganesha, così come le loro  immagini contrappuntavano la sua centralità anche all esterno, nelle kapili, mentre con al centro Ganesha in una sola fascia superiore sembravano sfilare delle chausat yogini , con Ganesha a capeggiarne la processione se era vera la sola supposizione che mi sembrava di poter raccogliere come valida  dal guardiano del tempio, sempre che non si trattasse delle saptamatrikas e dei navagrahas, con Ketu e Rahu nascosti in una rientranza rispetto ai muri laterali.

Non senza avere prima sostato ad acquistare frettolosamente anche una t-shirt per Chandu, che al telefono aveva sapientemente  chiesto a me un giocattolo, e a Kailash un capo di abbigliamento, a me kilona, a Kailash kaprà, senza entrambi i quali non avevo l'animo di varcare la soglia di casa e di attentarmi a farmi rivedere dal bimbo, ci saremmo ritrovati ancora  in waiting listing di ritorno alla stazione di Shahdol, sul treno, su cui comunque salivamo nelle carrozze per passeggeri..
Nemmeno il tempo di sistemarmicisi, che vi avrei ritrovato un indiano non ancora attempato con cui mi ero imbattuto nel Mukunpur park, vicino a Govindgharh. Egli per prima mi aveva riconosciuto, ma con uno sguardo inquietante che avevo disconosciuto, fingendo di non sapere di alcuno zoo-safari di tigri bianche
Le buone ragioni che avevo di eluderlo le avrei appurate quando mi sono ricreduto e l’ho riavvicinato, dicendomi confuso dal suo riferimento a un safari, quando in Mukunpur mi ero solo recato in visita a delle gabbie delle tigri. 
Era in realtà folle dell insanità mentale di chi pensa di sapere tutto di tutti e che negli altri ci sia sempre qualcosa  che non va. Poteva dirmi nome e cognome del mio accompagnatore, l ora esatta e i minuti primi , se non i secondi del mio arrivo in Mukunpur, ma, a proposito, perché mai, io che ero uno straniero, mi trovavo a viaggiare solo in passenger class con un general ticket? E poi ero sulla direttrice più propria per arrivare a Khajuraho, dove dicevo di volermi recare? Ed il mio passaporto, il mio visto, di sicuro erano in regola?
Scendeva a Umaria, dopo che frastornato me n’ ero distaccato, non potendone più di tanto di sostenere un indiano che non sa chiedere di te senza condurre un’indagine, come non reggo che con un certo nervosismo gli indiani che non sanno chiedere senza dare ordini, o chi di loro una ne dice, un’altra ne pensa, ed un’altra ancora è invece  pronto già a farne. Kailash, che avevo convocato perché confermasse al cospetto dell uomo quanto gli avevo detto sul mio conto, dalla sua discesa in Umaria ne arguiva che fosse una guida o una guardia forestale del vicino Bandhavgarh park, che degli altri passeggeri  avevano arguito fosse alcolicamente su di giri, secondo la sola spiegazione che la generalità degli indiani sa fornire degli stati di esaltazione od alterazione mentale.
Non si sarebbe rivelato così penoso come ci si prospettava alla partenza il viaggio in general class, - si trattava di un treno che collegava solo due stati-, né sarebbe stata allucinante la sosta nella stazione ferroviaria di Satna fino a qualche decina di minuti prima che gli autobus fossero in partenza per Chhatarpur, o più tardi per Khajuraho.
Preferivo prendere quello per Chhatarpur che avrebbe richiesto una sosta in Bhamitha, dove mi ripromettevo di comperare kaprà, abiti  anche per Poorti ed Ajay.
L’alba mattutina era di un  chiarore lattiginoso che ci preannunciava il ritorno nel grigiore campestre di una Khajuraho riarsa dalla siccità, ove il verde incupiva nell’ocra dei terreni dissodati ed incolti e delle stoppie dei lasciti dei coltivi già raccolti, nei campi che avevano potuto beneficiare dell’acqua di un pozzo, tra le distese fulgide delle messi di grano non ancora mietute.
“ Tutto in Amarkantak era luminoso, ed ora tutto si è fatto cupo e grigio /fosco” All in Amarkantak was shining and now it's dark” riassumeva Kailash al nostro transito nella foresta riarsa e secca di alberi di teak- sarsoon,  del pulverulento parco di Panna dove l’estate vestiva i panni di un autunno inoltrato, nell’ ammanto di foglie secche che ne rivestiva i declivi a spogliazione avvenuti degli alberi .

Ritrovandoci in Khajuraho, dopo Amarkantak,  come al capo opposto del palo polare dell’Eden che vi avevamo lasciato.

cfr il velo della veronica di Yeats.)

Kallu, my best friend…
Really?
My best ennemy if you prefer
Sulla via del rientro dal Mai ki bagya, poi all’udgama narmada
Kailash potrò esser il tuo miglior nemico, ma è da due giorni  che lascio che tutto avvenga come nel modo che può farti felice. Visitati i purana mandir ho lasciato a te l ultima parola su ogni luogo dove recarci , cercando di offrirti il meglio di ogni cosa che mi è possibile qui in Amarkantak,  di trarti fuori per alcuni giorni di seguito da ciò che per te è il nostro mondo di Khajuraho




la fascinosità della pietra rossastra muschiata di  grigio verde del tempio Karna












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