venerdì 17 febbraio 2017

Nel sonno insonne di un arrivo

Nel dolce tepore incantevole della luce indiana di febbraio, in Delhi, e poi in Khajuraho, vuoi per l’affaticamento, vuoi per i farmaci che mi imbrigliano la mente , mi sono risvegliato solo a poco a poco alla vita che vi ho ritrovato, nel ricongiungermi prima con Kailash e poi con i nostri cari, con il ragazzo Mohammad e con ogni altro che vi ho amico, sentendomi accolto con vivo piacere e umana simpatia da tutti coloro che hanno di me conoscenza nella capitale e nel villaggio.
Ho voluto così gradualmente schiudere a poco a poco i sensi e la mente insieme che alla delizia degli affetti che mi hanno intenerito e accalorato l’animo, alle situazioni di dolore e d’angoscia che vi avrei ritrovato, allo spettacolo che mi si sarebbe riproposto di quanto di più intollerabile aggrava lo sviluppo della realtà indiana.
Kailash mi ha appena informato che il bambino di sette- otto anni che era scomparso ieri nella vecchia Khajuraho, è stato ritrovato a capofitto in fondo a un pozzo tra Chhattarpur e Nowgong,
subendo la identica fine del piccolo che frequentava la stessa scuola dei figli, che alcuni anni or sono è stato attirato tra i campi e violentato da un adolescente, prima di essere stato messo a tacere strangolandolo.
Come le sere precedenti ci hanno raggiunto in stanza i nostri piccoli e il ragazzo Ajay, di ritorno da una festa di compleanno in una casa del vicinato, Ajay ponendosi sotto le coperte nel letto superstite, Poorti e Chandu sul pavimento, per terminarvi gli ultimi compiti tra loro giocando a farsi dispetti, mentre io mi intenerivo al conforto della loro vista felice, invitando kailash a fugare anch’egli ogni apprensione nella contentezza di ritrovarci insieme con loro, e con Vimala che sopraggiungeva dai lavori domestici ultimati in cortile.
Anche all’arrivo in Khajuraho, al suo darsi giustamente pensiero per il nostro futuro, nel chiedermi con che piani avessi fatto ritorno, lo avevo invitato a considerare che bei giorni avevamo distolto in Delhi al nostro tormento di vivere, nelle compere di ulteriori acquisti per il suo negozio di handicrafts, nelle peripezie di vedere tutte le tombe e le moschee che intercorrono tra il Chor minar e la Muhammad Walid Masjid, a est della metro-station di Green Park.
E lo stesso Mohammad poco prima che ci lasciassimo sulla riva del talab dei nostri incontri, lo avevo esortato a illuminare i suoi pensieri notturni dei magnifici istanti che avevamo trascorso insieme, pur nello strazio che le nostre esistenze si separino quando egli debba lasciare gli studi, finita la decima classe, per cercare dopo Holi un lavoro in Delhi, od in Mumbay, con cui provvedere alla propria famiglia in miseria.
“ Ma con i bei momenti non si mangia, -mi ha ripetuto senza lasciarsi persuadere dai miei accenti,- per mangiare c’è bisogno di cibo, e il cibo costa denaro che va guadagnato con il lavoro”.
Quando suo papà alcune settimane or sono si è ammalato, e non ha potuto arrecare alla famiglia i pochi guadagni del suo spaccio di the, mi ha confidato che si erano ridotti a mangiare solo chappati e sale, senza il companatico di alcuna verdura.
Di fronte a noi oltre il talab brillavano le luci dell’ulteriore hotel , il quarto, che durante la mia assenza aveva terminato di edificare la più potente famiglia locale di Khajuraho, ad attestazione del solo modo di investire la ricchezza di cui qui si sia capaci, e che obbliga chi vi cerca lavoro a trovare altrove fortuna, a meno di non farsi uno dei tanti lapkas dei sempre più innumerevoli giovani accalappiatori di turisti, di ogni sorta e di ogni età, che vi ho visto ancor più spadroneggiare a detrimento di qualsiasi processo culturale , educativo e formativo, di ogni buona impresa che vi si intenti, e he nel mio piccolo a Kailash abbia consentito di intraprendere, in una realtà che vivo, condottovi da un tragitto d’amore di migliaia di chilometri , come il gulag del sito concentrazionario dei miei affetti.

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