lunedì 22 giugno 2020


in tempi di coronavirus in india e in Italia

Oggi di nuovo, come da oltre un mese, parlare con Kailash è stato parlare soltanto di coronavirus, per dirmi egli dei rajas che un po’ ovunque nei villaggi dell’India,come nella sua stessa Byathal nativa, distribuiscono per strada cibo ai poveri stremati, mentre lo scimunito di casa della Gautam family che signoreggia in Khajuraho, quale proprietario del nostro negozio di handicraft non ha mancato di esigere al telefono che Kailash non tardasse a pagare anche questa mensilità.
“ Gli altri danno cibo ai poveri, ai poveri la Gautam family sa soltanto prendere il sangue”-
Agli inizi di marzo ne parlava preoccupato della mia sorte e di quella della gente della mia terra, la Lombardia, che i notiziari avevano trasfigurato al suo sentire in una terra struggente che era altrettanto terra di dolore quanto era bella. Che sgomento, mi confessava, alla vista nei servizi televisivi di tutte quelle bare accatastate e trasportate via senza alcun accompagnamento dai camion militari, della gente che si confortava a vicenda con canti e suoni, di balcone in balcone, per essere costretta a chiudersi in casa fino a chissà quando. “ In Italy the situation is very , very bad, sorry”.
I primi tempi ho cercato di sedare il suo turbamento dicendogli che il virus si accaniva sulle persone che fossero più anziane di me e con complicanze , poi inducendolo a credere, come supponevo io stesso, che fosse stato coronavirus la prostrazione estrema che mi aveva debilitato agli inizi di marzo, assonnandomi anzitempo e togliendomi ogni vigoria fisica e mentale, che altrimenti potevo ricondurre allo sfinimento, del trasloco ancora in corso, così supponendo che dunque quanto vi era di più temibile potesse essere per me già trascorso, e rassicurandolo che comunque seguitavo a respirare a pieni polmoni, il che era la cosa più importante.
Erano così finiti i tempi in cui ci confidavamo entrambi che il coronavirus era diventato nella sua realtà febbrile uno spaventacchio dei media occidentali e indiani per colpire al cuore l economia cinese. Poi non ho avuto più modo di stranirlo con gli scenari di strade deserte e di abitati chiusi in ogni negozio e ristorante ed attività od impresa, aperti soli gli ipermercati, le farmacie e le tabaccherie o edicole di giornali, di un silenzio senza animazione in cui autobus e treni mi passavano davanti casa vuoti di passeggeri, perché è diventato lo stesso scenario della stessa india, dal giorno che Narendra Modi ha indetto il coprifuoco del popolo, il Janata curfew, ed in un breve volgere di giorni ha posto tutta l India in quarantena, bloccando l intera rete ferroviaria e dei voli interni, per destinare dei vagoni dei treni isolati in aperta campagna alla cura in disparte degli infetti di coronavirus. Così parole come curfew, lockdown, spread, hot spot, per ultima la stessa hidroxyclorochin che l’America di Donald Trump ha richiesto alle autorità indiane, così difficile a pronunciare per il mio confidente amico, sono diventate al contempo il lessico corrente dei nostri discorsi.
Ora toccava a me vedere evacuate di automobili e traffico le immagini delle arterie che si dipartono da Delhi, le sue stazioni ferroviarie e gli aeroporti senza alcun viaggiatore in arrivo o in partenza, le gallerie popolate solo di piccioni di Connaught Place, l’alba che illuminava la monumentalità senza flussi di vita dell’India Gate del Rajpath. In un battibaleno terrificante, al solo diffondersi del panico e degli ordini imposti, già ai primi contagi la pandemia aveva così ridotto a una realtà fantasma il continente del mondo più animato di vita. Ed in Kailash era subentrata una paura atterrita per la sua sorte e quella dei nostri cari, che anche in me si era fatta ansia apprensiva, quando mi ha detto di alcuni turisti indiani che in Gwalior avevano accusato i sintomi del coronavirus dopo essere stati nella stessa Khajuraho. Poi tale timore si è fugato, ma si sono intanto addensati i primi sconvolgimenti indotti dal lockdown, lo spread del contagio con il rientro nelle proprie città e villaggi delle congregazioni islamiche della Tablighi Jamaat, che nonostante i divieti si erano assembrate in NIzamuddin, l enclave di Delhi, l esodo da Delhi e dalle altri megacities dei muratori migranti rimasti senza lavoro, che con mogli e piccoli per mano o sulle spalle stavano lasciando a piedi la capitale, Ahmedabad, Kolkata, per fare rientro a piedi nei loro villaggi, fossero pure nell’Uttar Pradesh, nel Bihar, nel Rajasthan, da Jaipur in marcia fino a Jabalpur, per centinaia e centinaia di chilometri, fermi anche gli autobus,con ogni tipo di trasporto, disperati a piangere per strada i rickshaw-wallah senza più guadagni, mentre nel Telangana, nel Maharastra si preannunciavano tagli dei salari del 30, del 50%. Per l’amico ed i nostri figli e la moglie non c’era verso che di stare in casa, la polizia era appostata appena svoltato il vicolo pronta a picchiare e a condurre in galera chi fosse per strada senza doversi recare dal farmacista, dal lattaio o a comperare verdure, solo per poche ore al giorno aperti i negozi di altri generi alimentari, chiuso come se fosse blindato il bazar settimanale di ortofrutta del mela-ground, non più di tre i passanti che potevano procedere distanziati. Io seguitavo a ripetere all’amico le attenzioni che dovevano avere lui, e i nostri cari, nel rispettare i distanziamenti e l’igiene delle mani e del volto, osservando le quali potevano sentirsi alquanto sicuri, e tornavo a ricordargli, come confermavano i morti di coronavirus accertati dell’India, che le vittime della pandemia erano quasi tutte assai avanti negli anni, anche se restava vero che il virus stronca tuttora persone nel fiore degli anni e in piena vigoria fisica, contagiando senza lasciare sintomi i più, che così si sono fatti portatori asintomatici del morbo. Non riuscivo però a dirgli ciò che intanto stava così crescendo dentro di me, come in tanti italiani, il senso di colpa angosciante di poter essere gli untori asintomatici degli altri, ad ogni minima disattenzione sanitaria nei nostri gesti e comportamenti, un senso di colpa che si è trasmesso agli stessi medici e infermieri e soccorritori che stavano intanto a decine e decine perdendo la vita, per il contagio che temevano o sentivano di stare trasmettendo ai propri pazienti, essendo stati lasciati a soccorrerli senza i dispositivi di sicurezza che avrebbero tutelato le loro vite, peggio, nelle case di riposo per essere stati indotti a restare in servizio benché febbricitanti o con il sintomi del coronavirus nel timore altrimenti di sguarnire i reparti, o peggio ancora per essere stati costretti a portare solo furtivamente le maschere chirurgiche pur di salvaguardare la affidabilità securitaria degli ospizi o pii alberghi in cui operavano. Ogni suo minimo malessere si faceva intanto per Kailash un possibile sintomo, che lo invitavo però a non temere più di tanto, finche non avesse perso il gusto dei sapori del cibo, o fintantoché il suo respiro, il sans, non si fosse fatto difficoltoso. Ma che gli sarebbe restato da fare in tal caso, se tutti i dottori privati non disponendo di dispositivi protettivi si erano come dati alla macchia e non ricevevano né a casa né in ambulatorio Si poteva solo ricorrere ai presidi ospedalieri, con tutta la temibilità del caso, per le infezioni di cui potevano essere un focolaio divampante. E ch’io facessi la massima attenzione, Kailash non mancava di ripetermi a sua volta. Ad ogni triste buon conto potevo solo indicargli i farmaci che si sperimentavano in occidente contro il coronavirus e che avrebbe potuto trovare anche nelle farmacie del villaggio, come quello antimalarico caduto in disuso. E che non si abbattesse, per carità, poiché la depressione e i cattivi pensieri abbattono le difese del corpo, e pensasse alla salute da tutelare degli altri nostri cari quanto provvedeva alla sua, come aveva appena fatto dicendo a Poorti di detergere lo smartphone con il disinfettante “ Forse se ho così tanta paura, è tornato a dirmi più volte, è perché la televisione non fa che parlare d’altro che di coronavirus, coronavirus, coronavirus” Le conoscenze che gli divulgavo, a chiarificazione del suo pur essere informatissimo, aggiornandomi in tempo reale sul numero dei morti in Italia, dei medici ed infermieri e soccorritori che stavano cadendo sul fronte sanitario, comunque erano di per se un lenitivo delle sue ansie, come la cognizione che la diffusione dei contagi nel Madhya Pradesh era un accerchiamento che non aveva ancora lambito i distretti circostanti ed il suo, di Panna, di Chhatarpur, di Tikamghar, anche se il morbo infuriava in Indore, e il coprifuoco era stato estero pure a Bhopal. mentre in Delhi e Mumbai erano già decine e decine gli hot spot dei focolai d’infezione, in aree rosse ove l’approvvigionamento rendeva impossibile il distanziamento, di popolazioni addensate negli slums in sessantamila dentro un solo chilometro quadrato La sola buona notizia che si accompagnava al lockdown , via via che i giorni passavano e che il numero dei contagiati e dei morti continuava in India a salire, era che le misure restrittive della circolazione e dei vari traffici avevano abbassato sotto lo stesso livello di guardia l inquinamento delle grandi città, al punto che a distanza di trent’anni erano riapparse all’ orizzonte nel Punjab le catene dell’HImalaya a 300 km di distanza, e il Gange e lo Yamuna si erano sanificati. Le campagne e le strade rimaste prive di presenze umane, le stesse città erano state intanto raggiunte dagli animali della giungla, antilopi erano state avvistate in Delhi, nel Bengala elefanti si erano sospinti nei villaggi, leopardi li avevano raggiunti, e come i cani le scimmie scorrazzavano indisturbate dappertutto, addentrandosi nei templi in cui sono rimasti i soli officianti. Che in Italia io frattanto mi dotassi di maschera, Kailash non mancava a sua volta di raccomandarmi ogni giorno, che evitassi di prendere gli autobus, per qualunque evenienza, anche se dopo che avevo dovuto fare ritorno al mio ex appartamento per svuotarlo di quanto vi era rimasto e depositare per la raccolta dei rifiuti l indifferenziato residuo, data l ignavia indomita del suo proprietario, mio ex locatario, mi era impossibile senza prendere l autobus recarmi all’agenzia monetaria dalla quale soltanto potevo inviargli il denaro che gli occorreva, poiché con la chiusura del suo hotel Kailash è rimasto senza impiego e senza salario.
Assicurargli le rupie occorrenti è stato un reale avventurarmi, nel timore di controlli e sanzioni, lungo le vie di sempre pressocchè spopolate e silenti, di cui l ho avvertito quando mi sono mosso , perché ne fosse partecipe e restasse in contatto, senza che per questo non si facesse trovare nel sonno del suo Getsemani, allorché ho dovuto contattarlo per chiedergli a quale prestanome dei titolari della sua agenzia dovessi inviare l importo.
In seguito mi sarei recato in città solo una volta ancora ,e non più, per la chiusura del gas, cui sono stato costretto perché seguitando il lockdown la company erogatrice avrebbe seguitato ad addebitarmi altri consumi esorbitanti in quote fisse e stime presunte, pur in assenza di qualsiasi mio consumo., costringendomi a uscite estemporanee anche per i moduli che mi ha inderogabilmente richiesto per ridomiciliazione e chiusura delle utenze.
Frattanto mi ero sottomesso alle mascherine chirurgiche, remissive del proprio senso di colpa, pur se sono superflue se si osservano le debite distanze e si usano dei guanti, lavandosi bene le mani con il disinfettante, e gliele avevo mostrate in whatsapp, le mascherine per lui introvabili quanto un gel che non fosse il comune Dettol. L’’epidemia era in piena ascesa in india, mentre in Italia non raggiungeva ancora il suo picco, pur se le cifre di ricoverati e di morti cominciavano a stabilizzarsi, e negli ospedali della Lombardia le camere di terapia intensiva non erano più in stato di tragica emergenza, sicché i medici potevano assicurare ad ogni ricoverato il dovuto soccorso. Diventavano così evenienze trascorse, i casi dei deceduti nelle proprie case perché avevano preferito la sorte che li destinava a morire tra le proprie mura e i propri cari, piuttosto che finire in ospedale con il rischio ugualmente di morirvi ma senza nessuno al loro capezzale e funerali ed esequie, negato ogni rito e funzione per evitare assembramenti.
Ho chiesto a Kailash se In India si fosse arrivati già a tanto, quando rispettando il contingentamento e le distanze sarebbe pur possibile, cessata l’emergenza più acuta, assicurare preci e accompagnamento: no, le autorità governative consentono tuttora a 5 parenti di vegliare il moribondo e di celebrarne la cremazione, pur che non lo tocchino ed usino un bastone per dare fuoco alla salma. I mussulmani a loro spese possono invece seppellirli sempre che usino le stesse precauzioni.
Certo, i Venerdi di preghiera degli islamici che non rinunciano a congregarsi restano un giorno di tensione e di scontri, e presso il tempio stesso della dea Durga , vicino a casa, presso il talab, la polizia ha usato la forza per disperdere i fedeli che volevano raccogliervisi in preghiera, ma Navaratri non è stata celebrata, e le donne non sono uscite in processione con il vaso di miglio per raggiungere i templi o luoghi all’aperto sacri alla Dea.
E’ stato altresì per giorni un continuo raffronto dei differenti trend del contagio, di cui il decorso della pandemia in Italia era diventato in India il termine di raffronto.
“Anche in India i contagiati saliranno di tanto, poi di tanto, e ancora più di tanto, finche anche da noi cominceranno a scendere come ancor prima da voi. Noi ora siamo nella vostra seconda fase in salita. E intanto veniva a sapere dell’ imperversare dello stesso decorso del morbo in Spagna, in Francia, negli Usa e nella New York di Donald Trump e Bill De Blasio.
Tutto ciò si è protratto finché in Italia non è iniziata la china del morbo, e Kailash ha potuto dirmi “ Sai che ho per te una buona notizia da darti? Ho appena sentito che ora i morti di coronavirus in Spagna sono più che in Italia”
Madornale certo l’amico, ma in un respiro di sollievo solidale.
E la moglie Vimala? Si è chiusa in casa chiudendosi al mondo a ogni notiziario dei morti per coronavirus.. E i nostri bambini?
Mohammad già mi era riapparso a sua volta in whatsapp, intento, sorridendomi, a fumare all’aperto non so che droga tra i suoi compagni di strada, dopo che aveva rifiutato i miei reiterati tentativi di contatto, per aver io fatto sapere al padre, attraverso Kailash, che scorrazzando e riunendosi all aperto senza premunirsi, come mi si era mostrato nei precedenti collegamenti, prima ancora che la propria la salute poneva a repentaglio quella di sua madre, che ha problemi acuti di ipertensione cronica.
“ I bambini? Poorti e Chandu? sono già pazzi almeno a metà” ha sospirato Kailash, dicendomi che Chandu straparla in continuazione.
Pazzo lui teme di diventarlo del tutto, senza avere altro da poter fare, oltre ai lavori in cucina, che starsene a letto a guardare una televisione ove si parla soltanto di coronavirus, ventiquattro ore su ventiquattro, in ognuno dei 100 e più canali indiani. Non più cinema, non più intrattenimento, non più cricket, “ only coronavirus, coronavirus, coronavirus”.
Giacché si prevede in India un lockdown di almeno 49 giorni, se non di sessanta, gli ho detto in merito quel che penso di simili misure restrittive soffocanti, all’ insegna del restate chiusi sigillati in casa e usate tutti la mascherina, una mascherina taumaturgica che è introvabile per quante ne servono, visto che le autorità sottomissive e i loro pasdaran per strada ignorano finanche che è monouso.
“ Non ha senso, io credo, impedire di uscire da soli, o con i propri bambini, a passeggio o a lavorare negli orti e nei campi, quando il coronavirus non è nell’aria aperta, ma viaggia nel nostro respiro, in ciò che sputiamo e nelle nostre secrezioni. Così la gente non ce la fa, non lo sopporta più un altro lockdown, se diventa necessario una seconda, una terza volta…”
“ Già. Così è peggio,” more bad” che essere in prigione. Almeno in prigione ci si muove in cortile, si lavora. E il gran caldo sta cominciando”.
Nella sua detenzione domiciliare, sia a viva voce che mediante messaggini whats app, il nostro piccolo Chandu è pur tuttavia riuscito a farmi pervenire in questi giorni la sua assillante richiesta di un nuovo smartphone, Me ne ha indicato la marca e il modello richiesto, con le caratteristiche tecniche ed il prezzo. Una terza volta l ‘immagine dello smartphone era associata a quelle di una t shirt e di una moto da corsa. Ho suggerito a Kailash, in un’occorrenza delle nostre telefonate di cui Chandu era in ascolto, di dirgli che lo smartphone che ambiva costava quanto il doppio del mio , e che ne era senza il papà, cui sarebbe costato più di tre mesi di lavoro. E poi, in tali circostanze, non c’era denaro in circolazione, o che potesse da me pervenire a loro, il mio versamento era rimasto infatti bloccato a Bhopal, e papà Kailash tirava avanti con un anticipo di 3.000 rupie del gestore dell’hotel.
Dopo che Kailash aveva confabulato con il nostro amore di bambino, gli ho chiesto che cosa egli avesse mai risposto “ D’accordo, quando è così può bastare solo lo smartphone”.





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Ascoltando al telefono Kailash in tarda serata, quando in India era già mezzanotte passata,mi ritrovavo in una situazione di impazienza e di sospensione mentale, perché volevo al tempo stesso stare a sentirlo e ascoltarlo e che terminasse, per mettere quanto prima a raffronto quanto aveva da dirmi sul coronavirus, nei giorni in cui si sta passando in india ad un terzo lockdown, fino al 17 maggio, ma più allentato, eased, or relaxed, per aree di diversa pericolosità pandemica, verdi, arancione, rosse, a seconda dei titoli a proposito dell hindustantimes, con quanto delle conseguenze per l India della Pandemia e del lockdown, veniva prevedendo un articolo di giornale che ieri avevo ritrovato nel mio sito postale indiano, e che raccoglieva in un approfondimento tutte le istanze del governo politico centrale della situazione. Con la sorpresa di trovarle già riassunte nello stato d’animo in cui avevo lasciato il mio amico, senza schiarimenti o precorri menti dei piani governativi che in quel documento andassero oltre “ Tempo tre, quattro mesi e sono sicuro che non più tardi di agosto o in America, o in Italia, in Russia, in Cina,o in Gran Bretagna, avranno trovato il vaccino”. Per Kailash, per il popolo e le autorità indiane è impossibile non crederci, dato che altrimenti si prospetta una tragedia collettiva tale, che in retrospettiva riconsiderare il lockdown apparirebbe un sollievo. In un paese di oltre un miliardo e trecento milioni di persone finora sono stati effettuati test su poco più di 770.000 individui, e dunque, anche se tuttora i morti accertati per coronavirus non risultano essere tuttora più di 1.000 , che attendibilità hanno in sé , tali cifre, rispetto a quanto può accadere anche a seguito della sola ripresa dei viaggi in autobus, in treno, in aereo da un capo all’altro delll India, al seguito inarrestabile dei lavoratori migranti che rimasti per il lockdown senza lavoro e senza mezzi di sostentamento nelle grandi metropoli, seguitano ancora a piedi il cammino verso il villaggio nativo, pur anche a migliaia di chilometri di distanza, con i familiari appresso e il loro carico di suppellettili. “ Kailash, a quanto pare secondo l’articolo che ho ripreso, i majdur non sono decine di migliaia, ma decine di milioni, 4,5 crore, si pensa, come mi confermava di ritenere anch’egli che ne fosse il novero possibile.” Se devo morire , dicono, voglio morire nel mio villaggio,con i miei familiari, dove sono nato, non in una città dove non sono niente”
Certo è bene che i governi degli stati abbiano ora provveduto a mettere a disposizione treni per il loro ritorno “ Ma io penso, mi diceva Kailash, a che cosa può succedere al loro rientro nei loro villaggi, in ognuno dei quali possono portare l epidemia.”
Era di ieri l’aggiornamento sui sadhu che erano rientrati nel Punjab per conto proprio, i 47 infetti del giorno prima erano già diventati 17O, come Kailash mi aveva riferito con precisione informata. Ed è ancora nella memoria nazionale lo spread del coronavirus apportato dal ritorno da Nizamiddun in città e villaggi dei mussulmani Tablighi, dopo che essere rimasti riuniti anche dopo la proclamazione del” janata curfew”, il coprifuoco nazionale.
Quello che avrei appurato solo più tardi , completando la lettura dell’articolo sui piani di governo, è che i migranti possono andare incontro anziché all’accoglienza solidale al rifiuto di accogliergli dei loro villaggi, le notizie infatti corrono dovunque, e le immagini dei morti per coronavirus in Italia, in Spagna, in Gran Bretagna, e in America hanno impressionato anche la gente dei villaggi indiani. Dove la notizia della pandemia non era giunta per il tramite dei media, hanno provveduto degli attivisti politici a diffonderla, come nel caso della signora Danasari Anasuya., ex guerrigliera maoista, amnistiata dopo aver deposto le armi nel 1994, e divenuta in seguito avvocato e rappresentante per il Partito del congresso degli elettori della circoscrizione di Mugul, nel Talangana. Di ritorno in Mugul si era resa conto al bazar, dalle narrazioni di alcuni giovani adivasi , di quanto gli indigeni che vivevano nei villaggi delle foreste dove il fiume Godavari segna il confine tra il Talangana e il Chattisgarh, avessero bisogno di ogni bene essenziale, di prima necessità, da che i mercati in cui lo comperavano erano stati chiusi o ne scarseggiavano, ed era stato impedito a loro di raggiungere altri villaggi. E di tale stato di cose non sapevano il perché. Così, whitout ifs and buts, senza se e senza ma, Anusya si era avventurata nella foresta in autobus,in jeep, in bicicletta, su carri da buoi, per recare soccorso di viveri e di cognizioni senza scorte di sorta, perché sapeva bene, lei che era di origine tribale, che altrimenti gli adivasi avrebbero temuto il suo arrivo e non l’avrebbero avvicinata. In realtà dapprima l’avevano snobbata, poi quando ha cominciato a far capire loro come stavano le cose, l’hanno presa sul serio e hanno assimilato le norme di distanziamento e di protezione del volto e degli organi respiratori.
Buona cosa, davvero, per il mio amico, che sapeva bene , in virtù di VImala, quanto fosse stato difficile per lei acquisire il senso del pericolo del coronavirus, e come le siano occorse emozioni impressionanti.
“ Ora anche Vimala teme davvero il coronavirus, mi ha detto a inizio settimana, dopo che per giorni e giorni l ha ignorato. E’ stato quando ha sentito dai notiziari che un giovane del Madhya Pradesh al quale dall ospedale hanno riconsegnato a casa il cadavere del padre morto di coronavirus, si è rifiutato di appiccargli il fuoco con un ramo, e ha lasciato che fosse la polizia a farlo. “ Perché, mi ha chiesto Vimala “ “Perché anche il corpo morto del padre può infettarlo e farlo morire”. Si è allora veramente spaventata , mi ha soggiunto evocandone con la voce il moto di orrore con cui si è ritratta” e da allora sulla cosa e sulla realtà pandemica è calato il silenzio dello spavento.
Kailash invece che di gente del villaggio che si rifiutava di accogliere i migranti, sapeva di attacchi ai soldati e ai dottori, di contagiati che si denudavano per oltraggiare dottoresse in visita, che tentavano la fuga dagli edifici riservati ai malati di coronavirus, delle forme estreme di rifiuto di ogni misura sanitaria. Era questo il caso di un masjdur, di un muratore di rientro a Damoh da Jabalpur, un hot spot, che alla imposizione della quarantena aveva preferito il suicidio impiccandosi a un albero.
Erano i casi estremi di una resistenza diffusa a lockdown e curfew di un popolo che per quanto schivo nella dimostrazione di affetti e sentimenti, almeno nella sua componente hindu, fisicizza, ravvicina ed assembra ogni altra manifestazione di vita, e sulla cui renitenza al distanziamento, sulla cui disponibilità a viaggiare anche col fiato dell uno addosso a quello dell’altro piuttosto che rinunciare a partire per i grandi pellegrinaggi o le occasioni di ritrovarsi in famiglia, come per diwali o il rakshabandan, io e Kailash ci eravamo profusi in ironie malevole.
A kailash avevo prefigurato come in autobus si sarebbe dovuto viaggiare lasciando libero un posto ogni due, dei tre di ogni fila, senza più passeggeri in piedi.
“ Davvero? Really? E più facile in India che viaggino in tre al posto di due, che due al posto di tre”
E i conducenti di autobus che stipavano i passeggeri fino all inverosimile anche tra le porte e sul tetto? Era facile prevedere che dove ci fosse l alternativa del treno questa se ne sarebbe avvantaggiata. Ciò che a Kailash restava difficile immaginare erano invece le mie lacrime di nostalgia, e di rimpianto, in quei giorni, dei tanti assembramenti strizzanti, snervanti e soffocanti, contro i quali in india mi erano inferocito tanto quando mi era toccato di viverli, ributtato all indietro dalle fiumane di gente che discendeva dai metro su cui dovevo rinunciare di salire, schiacciato contro i muri di lato all’accesso ai festeggiamenti del Republic Day in presenza di Obama.

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