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Dopo il viaggio in Allahabad
“Noi li tagliamo”, nel defilarsi mi ha precisato la sorella, non poco
compiacendosene, a proposito del rosario hindu con cui ero comparso alla
Messa.
E dove mai
l’avevo acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto di fatale perdizione
idolatrica, meritevole solo di ogni più devoto accanimento di
resezione dell’ impuro.
“ Loro non
taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle loro scuole, ho
replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che dovrei sottostare alla
richiesta della sorella di non comparire con simboli hindu ad una Messa.
“ Non è affatto
cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il suo solo concepimento mi
risuonava quanto mai empio e blasfemo, non meno del rifiuto dell’ex vescovo di
Varanasi di benedire i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché erano
Hindu.
Quasi che
Cristo, anziché per la totale salvazione del genere umano, si fosse incarnato
per la sua dannazione generale, come accadrebbe fatalmente, se per salvarsi
invece che il vivere bene, fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico e
nella sua Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato ed
attinto dentro ogni orizzonte di fede e di vita.
Essere indiani, per
i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho, sembra che piuttosto che il
convertirsi alle ragioni di fede di hindu, jain, siks, o muslims, significhi il
farsi compartecipe della idolatria dei propri connazionali per il cricket, o
che per le sorelle sia il condividere l adorazione infantile per i mortaretti o
quella alimentare del dahl, inzuppandovi gaudiosamente le mani, non che per
ogni ordine ecclesiastico riconoscersi nei sacri proventi e privilegi secolari
che assicurano loro gli ordinamenti civili indiani.
Ne sono
stati per me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici estesi nella
loro imponenza per interi isolati stradali, che primeggiano in città in cui i
cristiani sono poco più di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e Allahabad,
dove il Saint Joseph College non era certo l’unico istituto religioso, che si
rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi imposto di nuovo e lungamente
alla vista, mentre facevo ritorno alla stazione centrale dalle Civiles Lines,
dove mi ero perso per l’intero pomeriggio nella sola sezione statuaria del
grande museo.
Dunque era
vero che vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello stupa di Bharuth,
quali quello degli acrobati sovrapposti in elevazione, od il brano di una
jataka in cui comparivano capanne dell’epoca Shunga, non solo, oltre ad
innumerevoli splendide opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh, di
epoca gupta, o il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte gupta ancora
rammemorava il naturalismo, a splendide rappresentazioni del Buddha risalenti
alla scuola di Sarnath, o di Shiva e Parvati, nei loro celestiali sponsali, che
sono state asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine religiosa
provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli ornamentali e le chaitya
degli oculi solari, contornanti divinità quali Mahisha Suramardini, del tempio
che finora ho mancato di andare a vedere di Bhumara, sicchè, in un itinerario
nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho, raggiungendo Buhmara da Nachna
Kuthara, per poi dirigersi a Maihar, e lungo la strada per Rewa, ai luoghi ed
ai siti del museo di Ramvan e della stupa di Bharuth, seguitando sulla via per
Allahabad che conduce agli stupa di Dor Khotar, prima di pervenire alle sole
fondamenta di quelli che furono eretti dallo stesso Ashoka in Kausambi, dove è
dato di visitare i resti dei monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose
l' Itivuttaka, l’approdo al museo di Allahabad avrebbe significato il
ritrovamento figurativo incantevole delle superstiti vestigia figurative di
quei templi e stupa che si siano già visitati, od evocati nel sito medesimo in
cui sorsero.
Un’esperienza
estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa alla Sangam, del
giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri fiumi non avevo ritrovato
pressoché più nulla della Maha Kumbh mela. Soltanto le
infinitudini
dei pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio percorso dal
vento che non era infranto che dal rumore dei camion che asportavano le
travature dei ponti galleggianti che erano sospesi sulle acque poco più che
reflue del Gange, in cui della festa hindu non sopravvivevano che poche
ghirlande di calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di
alcune pedane di vasi sanitari.
Da altre
maestranze anche le tubature fognarie venivano rimosse con le scavatrici, che
aprivano pertanto voragini nel letto in secca del fiume, le passerelle di ferro
dei vari percorsi di raccordo, sul greto sabbioso, seguitavano ad essere
schiodate e rimosse ad una ad una.
Ad ondate salienti
risaliva il furore di avere mancato l’appuntamento con l’evento, fallendolo una
prima volta quando ho tentato di approdarvi in fuga da Khajuraho, talmente la
mente vi era stravolta per avere subito i clamori notturni delle feste nuziali
e la lettura avvenuta a tutto volume del Ramayana, in una casa accanto, per
potersi ritrovare nei carnai hindu dellla Maha Khumb Mela, al punto che mi sono
arenato in Chitrakoot, prima di Allahabad, ed oltre la sua stazione
ferroviaria, vessata dalla pioggia, nell’approdo illusoriamente consolatorio,
in Sarnath, delle parole misticamente disincantate con cui Valentino si
ritraeva da ogni coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh mela “ E’ solo
superstizione. Prendono tutto alla lettera, ed invece di purificare la mente
con le acque dello spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più
merda che acqua, per poi tornare alle loro case santificati e più truffatori di
prima…”
Ed io
stesso, come se tale demistificazione potesse distogliermi dalla mia
frustrazione incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a tale sua
deprecazione del Maha kumbh mela, inoltrandogli le pagine del Sarvatirthamahatmya
del Garuda Purana: "Ma il santuario più alto è la
meditazione sul Brahman; il controllo dei sensi è un altro luogo
santo; la disciplina interiore è un supremo tirtha e la purezza del
cuore un lago santo. Colui che compie un’abluzione in un tirtha spirituale,
nello stagno della conoscenza, nell'acqua della meditazione profonda, che
distrugge l'impurità derivante da attrazione e repulsione, costui si avvia alla
meta suprema.”. La frustrazione irreparabile della mia aspirazione a
dare coronamento alla trasposizione immaginativo-letteraria nelle mie ecloghe
di un anno di vita indiana, con la mia esperienza tradotta in versi del massimo
evento hindu, ben altro combustibile avrebbe trovato alla sua rabbia furente,
nell'uno o nell’altro dei passi, a mia libera scelta, della Gangamahatmya
del Naradapurana: " Chi uccide un brahman, il
proprio guru o una vacca, il ladro e colui che viola il talamo del guru,
tutti costoro sono purificati dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su
questo”.
Nella
proiettività della mia miseria diuturna, sapevo a memoria con chi prendermela,
con l'amico del mio cuore, appunto, che nella sua possessività egocentrica,
nello stravolgere con le sue renitenze la mia mente votatasi alla missione
impossibile di farne un lavoratore attivo, in uno spirito di rinuncia
sacrificale che si era obbligato al suo servizio effettivo permanente, diveniva
il colpevole primo del fatto che avessi mancato di vivere tale evento, che mi
fossi ad esso sottratto o che ne fossi stato distolto, un evento, la Maha Kumbh
mela, che avrebbe potuto risarcirmi di un anno vissuto in India senza esservi
che un viaggiatore e un conoscitore sporadico.
La livida
collera che con lui trattenevo al telefono,minimizzando i pellegrini e i sadhu
residui, uno più automatico dell'altro nel chiedermi una baksheesh, era già
immemore delle sue lacrime e del dispiacere con cui tutta quanta la sua
famiglia si era rassegnata a dovermi lasciare partire solo per alcuni giorni, e
mi avrebbe ulteriormente esasperato l'animo che l'indisponibilità di posti per
il giorno seguente, mi fosse di impedimento a restare in Allahabad un giorno
ancora, per recarmi a Kaushambi, visitare in Allahabad di nuovo le tombe del
Khusro bagh, più di quanto non mi avesse consentito un accesso furtivo, a sera
inoltrata, prima della partenza, tra le presenze fantasmatiche degli
omosessuali che vi cercavano incontri, ombre umane tra quelle dimore
ultraterrene, che per quanto magnificenti, a distanza di anni, quando le
visitai in concomitanza con la Ardh Kumbh Mela, mi ricomparivano come residenze
celestiali di principi e regine madri, senza trascendersi nella sublimità di
trono di gloria dell'Altissimo, cui si eleva imperituro il Taj Mahal
“The train one, one,
one, ek, ek, ek, is" normally late" 2, 3, ..11 hours,” avrebbe poi
risuonato di continuo l'altoparlante, nella Junction railway's station di
Allahabad. E' l'India, bellezza, intanto mi ripetevo per adattarmi al
ritardo, per il quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del pomeriggio
anziché alle sette del mattino
Marzo 2013
Dopo il
viaggio in Allahabad
“Noi li tagliamo”, nel defilarsi mi ha precisato la sorella, non poco
compiacendosene, a proposito del rosario hindu con cui ero comparso alla
Messa.
E dove mai l’avevo
acquistato, o come mai ottenuto, quell'oggetto di fatale perdizione idolatrica,
meritevole solo di ogni più devoto accanimento di resezione dell’
impuro.
“ Loro non
taglieranno un bel nulla, quando Chandu si recherà alle loro scuole, ho
replicato invece a Kailash, che riteneva ovvio che dovrei sottostare alla
richiesta della sorella di non comparire con simboli hindu ad una Messa.
“ Non è affatto
cristiana tale richiesta - gli ho soggiunto, il suo solo concepimento mi
risuonava quanto mai empio e blasfemo, non meno del rifiuto dell’ex vescovo di
Varanasi di benedire i bambini della scuola di Valentino Giacomin perché erano
Hindu.
Quasi che Cristo,
anziché per la totale salvazione del genere umano, si fosse incarnato per la
sua dannazione generale, come accadrebbe fatalmente, se per salvarsi invece che
il vivere bene, fosse indispensabile la credenza nel Gesù storico e nella sua
Chiesa apostolica, ed il Cristo non potesse essere ritrovato ed attinto dentro
ogni orizzonte di fede e di vita.
Essere indiani, per
i padri reverendi della Chiesa di Khajuraho, sembra che piuttosto che il
convertirsi alle ragioni di fede di hindu, jain, siks, o muslims, significhi il
farsi compartecipe della idolatria dei propri connazionali per il cricket, o
che per le sorelle sia il condividere l adorazione infantile per i mortaretti o
quella alimentare del dahl, inzuppandovi gaudiosamente le mani, non che per
ogni ordine ecclesiastico riconoscersi nei sacri proventi e privilegi secolari
che assicurano loro gli ordinamenti civili indiani.
Ne sono stati per
me un esempio trascorso, e recente, i collegi cattolici estesi nella loro
imponenza per interi isolati stradali, che primeggiano in città in cui i
cristiani sono poco più di qualche sparuta famiglia, quali Mathura e Allahabad,
dove il Saint Joseph College non era certo l’unico istituto religioso, che si
rifacesse alla diocesi di Lucknow, ad essermisi imposto di nuovo e lungamente
alla vista, mentre facevo ritorno alla stazione centrale dalle Civiles Lines,
dove mi ero perso per l’intero pomeriggio nella sola sezione statuaria del
grande museo.
Dunque era vero che
vi si potevano ritrovare magnifici frammenti dello stupa di Bharuth, quali
quello degli acrobati sovrapposti in elevazione, od il brano di una jataka in
cui comparivano capanne dell’epoca Shunga, non solo, oltre ad innumerevoli
splendide opere quali l’Ekamukka shivalinga rinvenuto a Khoh, di epoca gupta, o
il più tardo Narashima di Unchdih, che dell’arte gupta ancora rammemorava il
naturalismo, a splendide rappresentazioni del Buddha risalenti alla scuola di
Sarnath, o di Shiva e Parvati, nei loro celestiali sponsali, che sono state
asportate da Khajuraho, a copiosi reperti di varia origine religiosa
provenienti da Kaushambi, vi figuravano dei pannelli ornamentali e le chaitya
degli oculi solari, contornanti divinità quali Mahisha Suramardini, del tempio
che finora ho mancato di andare a vedere di Bhumara, sicchè, in un itinerario
nell’India Buddista ed Hindu prima di Khajuraho, raggiungendo Buhmara da Nachna
Kuthara, per poi dirigersi a Maihar, e lungo la strada per Rewa, ai luoghi ed
ai siti del museo di Ramvan e della stupa di Bharuth, seguitando sulla via per
Allahabad che conduce agli stupa di Dor Khotar, prima di pervenire alle sole
fondamenta di quelli che furono eretti dallo stesso Ashoka in Kausambi, dove è
dato di visitare i resti dei monasteri in cui visse Buddha medesimo e compose
l' Itivuttaka, l’approdo al museo di Allahabad avrebbe significato il
ritrovamento figurativo incantevole delle superstiti vestigia figurative di
quei templi e stupa che si siano già visitati, od evocati nel sito medesimo in
cui sorsero.
Un’esperienza
estasiante, che smorzava l’amarezza sconsolata e rabbiosa alla Sangam, del
giorno avanti, dove alla confluenza dei sacri fiumi non avevo ritrovato
pressoché più nulla della Maha Kumbh mela. Soltanto le
infinitudini dei
pali della luce elettrica vi restavano erette, in un silenzio percorso dal
vento che non era infranto che dal rumore dei camion che asportavano le
travature dei ponti galleggianti che erano sospesi sulle acque poco più che
reflue del Gange, in cui della festa hindu non sopravvivevano che poche
ghirlande di calendule depositate a riva dalla corrente, che i piedistalli di
alcune pedane di vasi sanitari.
Da altre maestranze
anche le tubature fognarie venivano rimosse con le scavatrici, che aprivano
pertanto voragini nel letto in secca del fiume, le passerelle di ferro dei vari
percorsi di raccordo, sul greto sabbioso, seguitavano ad essere schiodate e
rimosse ad una ad una.
Ad ondate salienti
risaliva il furore di avere mancato l’appuntamento con l’evento, fallendolo una
prima volta quando ho tentato di approdarvi in fuga da Khajuraho, talmente la
mente vi era stravolta per avere subito i clamori notturni delle feste nuziali
e la lettura avvenuta a tutto volume del Ramayana, in una casa accanto, per
potersi ritrovare nei carnai hindu dellla Maha Khumb Mela, al punto che mi sono
arenato in Chitrakoot, prima di Allahabad, ed oltre la sua stazione
ferroviaria, vessata dalla pioggia, nell’approdo illusoriamente consolatorio,
in Sarnath, delle parole misticamente disincantate con cui Valentino si
ritraeva da ogni coinvolgimento spirituale nella Maha Kumbh mela “ E’ solo
superstizione. Prendono tutto alla lettera, ed invece di purificare la mente
con le acque dello spirito, vanno a immergere il corpo nel Gange, che è più
merda che acqua, per poi tornare alle loro case santificati e più truffatori di
prima…”
Ed io stesso, come
se tale demistificazione potesse distogliermi dalla mia frustrazione
incombente, avevo addotto un rinforzo testuale a tale sua deprecazione del Maha
kumbh mela, inoltrandogli le pagine del Sarvatirthamahatmya del Garuda
Purana: "Ma il santuario più alto è la meditazione sul Brahman;
il controllo dei sensi è un altro luogo santo; la disciplina interiore è un
supremo tirtha e la purezza del cuore un lago santo. Colui che compie
un’abluzione in un tirtha spirituale, nello stagno della conoscenza,
nell'acqua della meditazione profonda, che distrugge l'impurità derivante da
attrazione e repulsione, costui si avvia alla meta suprema.”. La
frustrazione irreparabile della mia aspirazione a dare coronamento alla
trasposizione immaginativo-letteraria nelle mie ecloghe di un anno di vita
indiana, con la mia esperienza tradotta in versi del massimo evento hindu, ben
altro combustibile avrebbe trovato alla sua rabbia furente, nell'uno o
nell’altro dei passi, a mia libera scelta, della Gangamahatmya del
Naradapurana: " Chi uccide un brahman, il proprio guru
o una vacca, il ladro e colui che viola il talamo del guru, tutti
costoro sono purificati dall’acqua della Ganga: non c'è incertezza su questo”.
Nella proiettività
della mia miseria diuturna, sapevo a memoria con chi prendermela, con l'amico
del mio cuore, appunto, che nella sua possessività egocentrica, nello stravolgere
con le sue renitenze la mia mente votatasi alla missione impossibile di farne
un lavoratore attivo, in uno spirito di rinuncia sacrificale che si era
obbligato al suo servizio effettivo permanente, diveniva il colpevole primo del
fatto che avessi mancato di vivere tale evento, che mi fossi ad esso sottratto
o che ne fossi stato distolto, un evento, la Maha Kumbh mela, che avrebbe
potuto risarcirmi di un anno vissuto in India senza esservi che un viaggiatore
e un conoscitore sporadico.
La livida collera
che con lui trattenevo al telefono,minimizzando i pellegrini e i sadhu residui,
uno più automatico dell'altro nel chiedermi una baksheesh, era già immemore
delle sue lacrime e del dispiacere con cui tutta quanta la sua famiglia si era
rassegnata a dovermi lasciare partire solo per alcuni giorni, e mi avrebbe
ulteriormente esasperato l'animo che l'indisponibilità di posti per il giorno
seguente, mi fosse di impedimento a restare in Allahabad un giorno ancora, per
recarmi a Kaushambi, visitare in Allahabad di nuovo le tombe del Khusro bagh,
più di quanto non mi avesse consentito un accesso furtivo, a sera inoltrata,
prima della partenza, tra le presenze fantasmatiche degli omosessuali che vi
cercavano incontri, ombre umane tra quelle dimore ultraterrene, che per quanto
magnificenti, a distanza di anni, quando le visitai in concomitanza con la Ardh
Kumbh Mela, mi ricomparivano come residenze celestiali di principi e regine
madri, senza trascendersi nella sublimità di trono di gloria dell'Altissimo,
cui si eleva imperituro il Taj Mahal
“The train one, one,
one, ek, ek, ek, is" normally late" 2, 3, ..11 hours,” avrebbe poi
risuonato di continuo l'altoparlante, nella Junction railway's station di
Allahabad. E' l'India, bellezza, intanto mi ripetevo per adattarmi al
ritardo, per il quale mi sarei ritrovato in Khajuraho alle due del pomeriggio
anziché alle sette del mattino
Marzo
2013