Già quest’estate mi ero cimentato in una mia riscrittura mentale dell’Odissea in una Renzeide, provocatovi dall’autoproclamarsi un novello Telemaco ( di calco recalcatiano) del Matteo nazionale , allo scatto di suo selfie di gruppo inserito sullo sfondo di quello della stessa Europa, quando ne assunse la Presidenza della Commissione. Solo che ne è sortita una trama a rovescio, alquanto breve da riassumere in sintesi: in luogo del fare tesoro di esperienze ed errori e valori del padre, propiziandone il ritorno, l'andata in scena della rottamazione anche del suo solo nome e della sua sola memoria, con ogni agguato e brutalità di sorta da parte del novello fasullo Telemaco e dei suoi servizievoli compagni di viaggio,-al successo del padre meno vittorioso del previsto, perpetrando, grazie alla dispersione della gloria di Ulisse, la spartizione della sua eredità con i Proci infestanti, riabilitati alla grande con il loro Papi della patria in testa, ed ora, che sono ancora più in auge, ben liberi di spadroneggiare sale alte e profonde di un palazzo trasformato nella reggia della loro prepotenza condivisa, Penelope, poveretta la Finocchiaro, a suo tempo già svillaneggiata dal figlioccio spurio, indotta a tessere e ritessere la tela con l’autore dello loro nequizie più brave, fiero padre di una Mer(di)na senatoriale dopo avere dato vita ad un Porcellum elettorale, per stare ai termini con i quali il genitore stesso ha ignominiosamente soprannominato i suoi figliastri traviati.
Poi il seguito del job act ha conferito un andamento tragico alla parodia in corso del poema omerico, per come in una Repubblica fondata sul lavoro si è carpita la fiducia assoluta , con il ricorso ad una delega in bianco, per togliere ai lavoratori diritti vitali senza che alcuna tutela sociale compensativa sia loro garantita. Ed ora a ripetermi in finzioni analoghe sono stato appena indotto dalle vicende fresche di cronaca del mancato disarcionamento del Sindaco di Mantova, finendo tentato, dal loro decorso buffonesco, ad attagliare a quanto è successo il nostrano immortale Rigoletto: ma l’accaduto mi è parso di un tenore così infimo, che tra le parti maggiori ho trovato un equivalente omologo solo a Gilda, sequestrata e stuprata nelle tramutate spoglie del leghista Simeoni, mentre per le parti destinate a delle mere comparse, il Marullo di corte mi è parso del tutto calzante con Longfils, all’apparenza franco di lingua e di pensiero, nei suoi gran bei marameo e birignao, in vero dedito ai più servili servigi, in tronfio sfregio, all’occorrenza, del suo dover essere “super partes”, mentre a Sodano ben si configuravano i panni di un nuovo signor di Ceprano, che per scornarsi delle vicendevoli cornificazioni amministrative fino all’estremo vulnus, si è prestato di buon grado ad ogni ammoina e abbozzo di buon viso condiscendente verso i prestatori di soccorso, pur di restare senza più alcuna dignità istituzionale il primo cortigiano in lizza del Ducato,.
Morale dell’ una e dell’altra favola, così è in Italia, anche se non ci pare e piace affatto,al tempo in cui per Grillo come per ambo i Matteo, il Salvini quanto il Renzi nazionale, costui in ottemperanza al Patto del Nazareno con il tramortito Berlusconi, eccezion fatta per i testimonial del Sel, che qui non sto per questo a glorificare, i rappresentanti del popolo hanno da essere dei nominati di Partito che devono rispondere solo alla ditta, secondo la voce del vero dal seno bersaniano fuggita, e non già a chi è affidato alle loro responsabilità dal mandato assunto, con l’esito di un dispregio sommo delle nostre istituzioni Da cui, in compenso, non è per questo finora sortita alcuna crescita o ripresa dell’economia e società nazionale.
Poi il seguito del job act ha conferito un andamento tragico alla parodia in corso del poema omerico, per come in una Repubblica fondata sul lavoro si è carpita la fiducia assoluta , con il ricorso ad una delega in bianco, per togliere ai lavoratori diritti vitali senza che alcuna tutela sociale compensativa sia loro garantita. Ed ora a ripetermi in finzioni analoghe sono stato appena indotto dalle vicende fresche di cronaca del mancato disarcionamento del Sindaco di Mantova, finendo tentato, dal loro decorso buffonesco, ad attagliare a quanto è successo il nostrano immortale Rigoletto: ma l’accaduto mi è parso di un tenore così infimo, che tra le parti maggiori ho trovato un equivalente omologo solo a Gilda, sequestrata e stuprata nelle tramutate spoglie del leghista Simeoni, mentre per le parti destinate a delle mere comparse, il Marullo di corte mi è parso del tutto calzante con Longfils, all’apparenza franco di lingua e di pensiero, nei suoi gran bei marameo e birignao, in vero dedito ai più servili servigi, in tronfio sfregio, all’occorrenza, del suo dover essere “super partes”, mentre a Sodano ben si configuravano i panni di un nuovo signor di Ceprano, che per scornarsi delle vicendevoli cornificazioni amministrative fino all’estremo vulnus, si è prestato di buon grado ad ogni ammoina e abbozzo di buon viso condiscendente verso i prestatori di soccorso, pur di restare senza più alcuna dignità istituzionale il primo cortigiano in lizza del Ducato,.
Morale dell’ una e dell’altra favola, così è in Italia, anche se non ci pare e piace affatto,al tempo in cui per Grillo come per ambo i Matteo, il Salvini quanto il Renzi nazionale, costui in ottemperanza al Patto del Nazareno con il tramortito Berlusconi, eccezion fatta per i testimonial del Sel, che qui non sto per questo a glorificare, i rappresentanti del popolo hanno da essere dei nominati di Partito che devono rispondere solo alla ditta, secondo la voce del vero dal seno bersaniano fuggita, e non già a chi è affidato alle loro responsabilità dal mandato assunto, con l’esito di un dispregio sommo delle nostre istituzioni Da cui, in compenso, non è per questo finora sortita alcuna crescita o ripresa dell’economia e società nazionale.
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