domenica 29 marzo 2015

my new itineraries

1) Khajuraho-Orccha - Datia via Mau -Dhubela,, Garhkundar, Barwa Sagar, Jarai Math
2) Khajuraho, Orccha,  Ranod by Jhansi- Pichor, Terhai, Mahua, Kadhwaha, Chanderi and its Surroundings, Deoghar and its surroundings ( Dudhai, Pali, Chandpuur)
 3) Khajuraho, Garhkundar, Orchha, Datia, Gwalior.
4) Khajuraho, Orchha- Jarai Math in Barwa sagar, Shivpuri, Sesai, Surwaya, Kalder, Renod, Mahua, Terhai, Kadwaha, Chanderi, Deogarh..

5) Khajuraho-Raneh Water falls,  Panna, Brahasptatikund, Rewa, Purwa- Chachai, Beotha Falls, Katra-Deor Kothar- Chandrehi- Ram van, Bharhut, (Bandavgarh National Park).

6) Khajuraho, Nachna Kuthara, Ram Van, Rewa, Chandrehi, Bandhavgarh, Sadhol, Amarkantak- Jabalpur. Beraghat, Tigawa, Sindursi, Notha- Katni. Maihar, Marai, Bhumra, Jaso, Nachna, Khajuraho

cronache di viaggio fine marzo 2015- Garhkundar

Nel Bundelkand e nei distretti di Shivpuri e di Guna- Ashoknagar

1 Garhkundar

All’arrivo in Jhansi, quando erano già le due del pomeriggio, attenendomi a quanto mi è stato confermato da un addetto all’ufficio turistico ch’è  dislocato nella stazione ferroviaria, dopo che ho preso un autorickshaw per quella degli autobus,  vi ho chiesto del primo che fosse in  partenza  per Barwa Sagar,  per iniziarvi la mia escursione a Garhkundar, il primo dei grandi  palazzi e forti dei sovrani Bundela, antecedente lo spostamento della loro capitale ad Orchha.
In Barwa Sagar ho divagato perdendo tempo prezioso senza un orientamento preciso, prima di decidermi o di ridurmi a richiedere se era in  grado di condurmici, ad uno dei  conducenti di tuk tuk  che erano in sosta in un  vialetto ombreggiato da piante che si dipartiva dal punto in cui ero sceso dall’autobus, lungo la via soffusa di sole che proseguiva verso Niwari, in direzione sia di  Chattarpur e di Khajuraho, che di Mahoba.
Non era una richiesta che all’interpellato giungesse peregrina, e per soddisfare la quale avanzasse delle difficoltà rilevanti, se non quanto all'ultimo tratto da affrontare in salita, benché la distanza che intercorreva fosse di 36-38 chilometri, circa, e  Garhkundar mi fosse stato preannunciato come un sito quanto mai fascinoso perché impervio e solitario , e cosa non indifferente a risolvermi ad accettare di mettermi in  moto con lui,  l’importo richiesto, di 800 rupie, come conveniva Kailash intermediando al cellulare, era tutt’altro che esoso. Concordavo prontamente e con i bagagli appresso partivo senza più indugi sul tuk tuk, seguitando in direzione di Niwari.
Nella splendida  giornata  solatia,  traboccavano di luce e colore il rigoglio dei campi e della profusione arborescente ai lati della strada, la  frutta e la verdura dei bazar che apparivano allestiti lungo il suo percorso, già all’uscita di Barwa Sagar, facendo seguito alla pulverulenza calcinata degli ammonticellamenti nei dintorni di Orchha, ravvivata dallo splendore a chiazze delle bouganville, attraverso la quale mi ero ritrovato a ripercorrere l’arteria dei miei primi tragitti che mi avevano condotto a Khajuraho, e di ogni ripartenza dal suo sito verso altre mete od il rientro in Italia, prima del dilatarsi della vista sul corso della Betwa,  del succedersi della profusione di  orti e giardini che avevano preceduto la riapparizione del tempio sakti Jarai Math, che mi ripromettevo di visitare l indomani.
Lasciando pure  che il conducente trasformasse il servizio a me riservato in un savari condiviso, raggiungevamo e traversavamo Niwari, dove se il treno, come in Barwa Sagar, avesse fatto sosta qualche ora prima,  mi sarebbe stata risparmiata la lunga digressione verso Jhansi e nei suoi peripli ferroviari e stradali, pervenivamo di lì a poco alla successiva borgata, oltre la quale svoltavamo sulla sinistra, lungo una viottola asfaltata secondaria che ci inoltrava  tra campi e villaggi,  intraprendendo ad un bivio la diramazione, sulla sinistra, che ci adduceva alle alture crestate che si erano profilate all orizzonte e che il percorso finiva per affiancare addentrandosi tra i loro rilievi, prima che una deviazione sterrata sempre sulla sinistra non ci portasse al villaggio di Garhkundar ed al forte omonimo che infine appariva, sovrastante e imponente,  sommità tra le altre sommità collinari.
Il tempo di posteggiare l’autorickshaw ai piedi della scalinata che raggiunge le mura esterne d’accesso al castello, e la sua entrata, che il guardiano del forte si era già caricato il mio bagaglio in spalla,  per iniziare a procacciarsi una mia compensa. Non mi restava che assecondarlo, nella sua mistura di sincerità e di artificio, perché anche il conducente risaliva l erta al seguito di entrambi fino all’ interno del palazzo.

La sua mole prefigurava  il tipico assetto dei manieri Bundela, dispiegando in capo a sette piani, inclusi quelli del basamento, quattro possenti torri d’angolo quadrate, precedute dalle rimanenze di torri ottagonali,  ed un avancorpo al centro delle  mura,  in cui  si faceva prospiciente l’alto portale.
 L’ arcata  d’ingresso era compresa entro una cornice rettangolare ed all’interno di un secondo arcone cieco, nel cui grembo si apriva la umile grazia di  finestrella, giusto all’altezza  della parte centrale della trabeazione sommitale del portone d’accesso, tale myse in abyme stagliandosi tra le  serie- tre- di due nicchie ad ambo i lati, di cui il portale era l interruzione della successione,  secondo gli stilemi che sono tipici , nell’architettura islamica di Delhi, delle tombe a guisa di palazzo ultraterreno d’epoca Lodi,  delle moschee coeve o risalenti all’ interregno di Sher Sah Sur, oppure ai primordi dell’era Moghul. Tale magnificenza accogliente era enfatizzata, nella sobrietà del suo apparato, oltre lo stacco di un cornicione dalle ulteriori tre schiere di arcate che lo sormontavano, per un totale di sei ordini , se si includevano le arcate che affiancavano il portale, così preludendo a quanti erano i piani interni dell’intero palazzo. Semplici ballatoi mensolati   raccordavano il portale alle torri laterali,  a suggello della severità marziale  del forte schiva di ogni adornamento o decorazione, che non fossero i modesti chattri,  connessi da un bengaldar, che restavano a coronamento di una soltanto delle  torri d’angolo.
Il cortile interno,sopraelevato come negli altri palazzi Bundela rispetto al piano d’ingresso, mi sarebbe apparso il più vasto e immensificante  di ogni altro di loro, per la  serratura entro la schermatura  di una galleria  e dei cortiletti pensili al piano superiore, della proiezione verso l interno, in una serie di sale sovrapposte, dei corpi d’angolo e centrali, un’alternanza di vani chiusi ed aperti ch’era una prefigurazione ulteriore dell’architettura successiva  dei palazzi  mirabili d’ Orchha e di Datia.
Dai parapetti la vista poteva spaziare tutto intorno incantevolmente, per la modesta altura anche dei rilievi circostanti, che due altiforni o ciminiere che fossero sfidavano impunemente verso nord ovest,  mentre nell’opposta direzione tra i ponticelli si schiudeva la vista di un laghetto e del biancore di un tempio sulle sue rive, il sito di preghiera e di culto delle regine d’un tempo del palazzo, quando vi discendevano dal baradar che vi s era rivolto, secondo quanto mi diceva il guardiano,  tentando in hindi  di farmi da guida.
Il suo maldestro tentativo , quando eravamo più soli e più in alto, di estorcermi un ammontare ben superiore per i suoi servigi impostimi e non richiesti, tentando di profittare della venuta alfine di uno straniero in Garhkundar, gli  propiziava poco più di un centinaio di rupie,  di cui aveva modo di ringraziarmi con i più ossequiosi omaggi servili, dopo che un intervento al cellulare di Kailash l’avevo ricondotto al un  ridimensionamento in termini interni al mondo indiano delle richieste avanzabili..
La sera si era fatta oscura quanto la notte al rientro in Barwa Sagar,  di cui fiochi lumi illuminavano le strade,  esponendomi al rischio ricorrente di esservi investito da motocicli od autovetture. Troppo a lungo mi ci attardava l’indeterminazione su quale delle due destinazioni, tra Orchha e Jhansi , avessi a prescegliere per il pernottamento,  apparendomi troppo esose anche le sole 300 o le 500 rupie richiestemi dai conducenti in autorickshaw  per trasferirmi in Orchha, quando per una ventina di rupie avrei potuto raggiungere in autobus Jhansi. Solo che i drivers dei tuk tuk si facevano sempre più rari e indisponibili, sempre più unicamente interessati a stipare sul loro veicolo quanti più passeggeri possibili alla volta di Jhansi, senza spazio o respiro per me ed il mio bagaglio, mentre gli autobus per Jhansi  arrivano già stracarichi al punto da non potere più far salire nessuno. Finalmente ne sopravveniva  uno che non aveva ancora raggiunto la soglia del proprio traffico illimitato, e su cui il bigliettaio mi faceva salire, sollecitato dalla gentilezza premurosa di un signore corpulento che sopravveniva in vettura.
Era dunque Jhansi la mia destinazione notturna, malauguratamente, ancora una volta: perchè ancora una volta vi avrei sperimentato l imprevidenza di farvi affidamento nella stagione dei matrimoni, che ancora una volta ne intasavano a notte fonda strade ed alberghi. Così  solo a caro prezzo vi ho potuto trovare soggiorno al Samrat hotel,  ben deciso, l indomani, a lasciarlo di primo mattino per Orccha. Meta, la rivisitazione particolareggiatissima del  tempio stupefacente  Jarai Math, di ritorno  verso Barwa Sagar
  2
 econdo giorno il tempio jarai math
Terzo giorno in Barwa Sagar , di nuovo in jarai math , da Orchha a Shivpuri
 quarto giorno Sesai
Quinto giorno terahi mahua
Sesto giorno keldar
Settimo giorno terahi mahua, kadwaha, indor
Ottavio giorno surawaya scindia chattri
Nono giorno  terahi, mahua, kadwaha
Decimo giorno shivpuri, orchhha,  friends of Orchha
Undicesimo giorno jarai math, datia
Dodicesimo giorno  penultima domenica di marzo, orccha,  ram temple, jahangir mahaljhansi khajuraho

Il secondo giorno mi trasferivo sul far del giorno nei tempi più brevi già di primo mattino da Jhansi in Orccha, presso il Gampati hotel che avevo visionato con Kailash già anni addietro. Alla reception c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l hotel vantava di assicurare, mi accordava anche l’uso del computer nella sua stanza,  il che mi acconsentiva di ragguagliare in internet le mie informazioni librarie, grazie al sito putatattva.in, non quanto, però,  il sito mi avrebbe consentito e mi sarebbe  occorso in Kadwaha i giorni seguenti..
Per duecento rupie in luogo delle trecento fino a barwa Sagar e di ritorno,  al parcheggio in  Orchha degli autorisckshaw pattuivouna sola corsa di andata fino al tempio Jarai Math,  per evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che avrebbe trasceso le  supposizioni di ogni aspettativa, e potevo già ritrovarmi, di li a mezzora , in un  giorno incerto d’estate, di fronte alla meravigliosa vista del tempio dove emergendo da una nebbia fittissima tre mesi avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del disinteressato mister Dipak ,
tre mesi avanti eccelso cliente del mio bapuculturaltours..
La grandiosità della magnificenza frontale del tempio era  un effetto fors’anche di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che aveva lasciato in vista in un continuum splendido outdoor l’ornamentazione che  era adombrata al suo interno e quella che lo trascendeva all’esterno, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa, contro il fondale reticolato di gavakshas del sikkara, che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature erano arcuati gli udgamas delle nicchie che si stagliavano sopra la vedibhanda, della coronatura dei tempietti delle proiezioni centrali di ogni parete, delle pratiratha laterali a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate dalle loro sovrastrutture a templi nei recessi e nelle proiezioni  d’angolo delle karnas e dell’antarala, dove gli udgams si dilatavano e si duplicavano, nel loro slancio ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era luminescente la parte superstite del sikhara originario,.
Da uno  scatto fotografico all'altro di ogni aspetto percepito della sua sublime visione, testi alla mano, iniziavo a ripercorrere in ogni suo dettaglio l'arcano sublime del tempio che mi si ripresentava meravigliosamente intatto, nelle sue anomalie, e nei suoi precorrimenti, che pur non ne smagliavano la esemplarità canonica, nella onnipervasività del  suo manifestarsi quale criterio d'ordine di una profusione eccelsa , in cui mi si riformulava al contempo l'enigma o mistero della sua cripticità fascinante, cifrato dal rebus della sua divinità di culto.
Epitome macroscopica dei templi Pratihara, incredibilmente sfuggita/o al cribro del vaglio del maggiore Cunningham, immane come il Teli-ka-mandir di Gwalior quanto egualmente riconducibile al solo apparato architettonico del santuario e dell'antarala del vestibolo, dei templi pratihara osservava l'assetto di rito pancharatha, che contempla cinque proiezioni laterali, badhra centrale, le pratiratha a guisa di pilastro nelle antiche fogge gupta, karna d'angolo con i dikpalas tutelari, riassunte dalle rathas corrispondenti del sikkara nel cielo riassorbente dell unità divina originaria, del farsi molteplice del divino originario e del  riassorbimento  nella sua unità eterna, pur accusando  l'irregolarità sostanziale espressa dalla parete di fondo, che presentava due badhras centrali in ragione della sua dimensione più dilungata. ma si trattava di un'infrazione già registrabile e convenuta in altri tempi e tempietti Pratihara, a iniziare da quello 20 della valle di nareshar, cui era stata conferita parimenti una dimensione oblunga, in ragione del culto in esso riservato alla Dea ed al consesso della sua pluralità d'aspetti. Al tempo stesso, con l'eccezion fatta del motivo delle gantha mala di festoni di campane-, dei templi Pratihara riassumeva tutta l'ornamentazione di rito,  in una preziosità d'intaglio ammaliante, precorrendo nel basamento gli arricchimenti futuri delle sue modanature, come si standardizzeranno , anche nel senso seriale o deteriore del termine,  nelle magnifiche adishtana che insieme con i templi che su di esse vi si sopraelevano  assurgeranno Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella.  Era dai portali che iniziava la mia ricognizione ulteriore, nei più minuti dettagli, a iniziare dalle serventi di due esternalizzate rispetto alle dee fluviali Ganga e Yamuna, in flessuosa tribhanga, che virtuosizzavano l'accesso purificatorio in prossimità del quale erano defilate, pur cedendo insolitamente il primo piano al guardiano dvarapala, al di sotto di un torana sovrastato da un udgama e dal tilaka di un tempietto, replicati nelle protomi ai lati.. Le attendenti  recavano delle borse di approvvigionamento della dea, nel che si è rinvenuto un indizio probante che il tempio fosse luogo di culti esoterici alla  Sakti.
Di lato alle dee  una pianta di loto rampicante si schiudeva in tre boccioli, in cui trovavano ricetto un docente e quattro discepoli. In esso si sono ravvisate le sembianze di Lakulisha e dei suoi discepoli Kusika, Mitra, Garga e Kaurushya, per la sua similarita con altre ricorrenze dello stesso soggetto in posizione analoga, nel portale del tempio della Maladevi in Gyaraspur., o nel Teli ka Mandir , in gwalior,
in cui è ben individuabile la danda di un bastone alle spalle del soggetto centrale. Essendo Lakulisha il riformatore leggendario del culto di Shiva pashupatinath, se ne è desunta una affilazione shivaita del tempio,  ma è una debole traccia, forse per una licenza o una estempooraneità dovuta alle maestranze, a seguito di  loro mera ripresa imitativa.








versi

Che di me sia scritto nel rotolo del libro,
come per colei che era detta sterile,
dopo avere lasciato tutto e ricevuto il centuplo,
è indecidibile dagli esiti della parola,

quando lo splendore del giorno è un cocktail alla mia follia,
....................................................................................................

un ritorno a khajuraho

“ Do you stay one day in Khajuraho ? “mi chiede in prossimità dell’arrivo in stazione un corpulento nativo, dai generosi intenti quanto dal fare maldestro, che da una mia secca risposta precedente ai suoi precedenti tentativi di approccio, non ha inteso che a Khajuraho vivo oramai  da più  anni, in Sewagram, presso la mia famiglia d’adozione. Niente a che vedere o a che fare con la  superficialità dei rapporti di convivenza di pochi giorni dello stesso stay  home stay -dei friends of Orchha -, che ho sperimentato i giorni avanti, intrusivo di stranieri in una  famiglia che ne commercializza affaristicamente l’ ingerenza,  lasciando che sia il più evasiva possibile. Che ha di compartecipe  tale sorta di meeeting, con ciò che ha unito la morte di un bambino?
“ no, non ci starò solo un giorno come  i turisti dei voli organizzati o che ne scappano subito via” ,  disgustati dagli accalappiatori che ci ritrovano, immancabilmente, come la coppia di giovani fratelli italiani che ho incontrato nell home stay in cui mi sono intrattenuto, dove avevano invece intenzione di restarci per più giorni,  mentre non erano stati in grado di trattenersi che un giorno in una khajuraho fuori controllo, a dispetto  dei suoi splendidi templi a loro stesso dire.
“ And do you like to stay in Khajuraho’
La sua voglia di ricevere una risposta compiacente è solo pari alla mia di frustrargliela appieno
“ No, perché ci sono solo  lapkas ed okkar, ”, per non dirgli delle guide ufficiali.
Il mio malanimo e la depressione d’umore sono certo anche, e non  solo, una conseguenza anche dell ulteriore infezione che mi sta oscurando la mente,  ulteriore lascito della fetida sporcizia  ovunque pervasiva,  nel mio viaggio tra Orccha , Barwa Sagar ed  i siti di antichi templi nel distretto di Shivpuri,
Ma il rimettervi piede non  mi è certo allettante, per quanto mi ci attendano le creature più splendide e care..
Per di più a guastarmi un umore già di per sé  nauseato, ci si intrufola l ultimo passeggero rimasto in  carrozza, l unico cui non abbia ancora dato la precedenza, che si interpone tra il mio pesante bagaglio e gli stipiti della portiera mentre sono affaticato a discendere.
“ Sorry.. “ mi dice pure,  senza nemmeno le scusanti di avere il timore che il treno possa essere in partenza, come il passeggero che mi ha fatto cacciare un urlo in Jhansi, per essersi intromesso nel corridoio tra la mia corpulenza e quella di un altro anziano signore, senza darci modo di defilarci l uno dall altro, nella fretta di ritirare un ultimo bagaglio.
“ Oh, you are standard in India…” gli ribatto, senza che nemmeno possa più sentirmi.
Mi raggiunge immediatamente un conducente di tuk tuk che non conosco, alla cui premessa introduttiva di quanto la stazione disti dal villaggio, devo ripetere che sono oramai di Khajuraho, e che mi attende un suo collega di lavoro inviatomi incontro da un mio amico, il barber driver come Kailash  lo chiama, spregiativamente, per essere costui  qualche gradino più in basso negli ordinatamente castali.
Il giovane conducente seguita ad insistere, e a non mollare la presa del bagaglio, ed io manco di dirgli che non  solo so già quanto disti ancora Khajuraho , ma che so immaginare anche i motivi per i quali  lui solo può avermi raggiunto dentro la stazione ferroviaria, senza correre il rischio di incorrere in multe e di ritrovarsi condotto fino a Gwalior.
Pietanze cucinate, ed altri servigi e favori , quali il lavaggio degli indumenti, resi alla locale polizia ferroviaria, al pari del barber tuk tuk driver che mi attende prima della biglietteria,  secondo le disposizioni che ha recepito di Kailash.
Di fuori, la canea degli altri conducenti di mezzi che si contendono all’uscita turisti e viaggiatori locali, a seconda della loro destinazione vicina- “ Bamitha! Bamitha! Rajnagar! Rajnagar!”
Sull ‘autorickshaw ho modo di sobbalzare e di sussultare fin oltre l’area ferroviaria, per quanto è sconnesso e devastato il fondo stradale, a causa dei lavori in corso della costruzione di un sovrappasso stradale, che dovrebbe evitare di doversi ogni volta arrestare al passaggio a livello per almeno una decina di minuti, a seguito delle manovre di spostamento dei vagoni dei treni arrivati a destinazione.
Buona cosa in sé, come i lavori di ampliamento e di rifacimento del fondo stradale, sempre che non solo abbiano un inizio, ma prima o poi anche una fine.
Come non ne conosce una prossima o ventura l’ aeroporto che si vorrebbe di rango  internazionale, mentre sempre di meno sono i turisti stranieri, il nuovo Museo archeologico, l’intero manto stradale di Khajuraho, distrutto ed ampliato e non ancora rifatto tutto ad un tempo.

Mi tengo il vomito di dentro, per  non incrementare dei miei rigurgiti la sporcizia ai margini della strada o dei rivoli  in cui evacuerei, e lo rigetto nella latrina di casa, provocandovi un fetore insostenibile. Ma tra quelle pareti in cui mi ritrovo e disperdo confusamente i contenuti dei bagagli,  c’è chi è volto amore, c’è cura e dedizione volta ad attendermi, pur nel freddo fare  a me dedito di ognuno di loro, che non me ne vorranno se senza tutti i dovuti riguardi  imbratterò di miei escrementi liquidi piastrelle e indumenti intimi e lenzuola,  pur nel sonno, in cui fin nel fondo del suo essere, rivedo immerso nel lettone di loro tutti l’adorato Chandù.



Do you stay one day in Khajuraho ? “mi chiede in prossimità dell’arrivo in stazione il corpulento nativo dai generosi intenti, quanto dal fare maldestro, che non ha inteso da una mia secca risposta precedente ai suoi precedenti tentativi di approccio, che in Khajuraho ci vivo oramai da più anni, in Sewagram, presso la mia famiglia d’adozione. Altro che la superficialità di rapporti di convivenza di pochi giorni dell’ home stay dei friends of Orchha , che ho sperimentato i giorni avanti, intrusivo di stranieri in una famiglia che ne commercializza affaristicamente l’ ingerenza, lasciando che sia il più evasiva possibile. Che ci ha a che vedere tale sorta di meeeting, con ciò che ha unito la morte di un bambino?
“ no, non ci starò solo un giorno come i turisti dei voli organizzati o che ne scappano subito via” , disgustati dagli accalappiatori che ci ritrovano, immancabilmente, come la coppia di giovani fratelli italiani che ho incontrato nell home stay di Orccha, dove avevano invece intenzione di restarci per più giorni, a dispetto degli splendidi templi a loro stesso dire di Khajuraho.
and do you like to stay in Khajuraho’
La sua voglia di ricevere una risposta compiacente è solo pari alla mia di frustrargliela appieno
“ No, perché ci sono solo lapkas ed okkar, ”, per non dirgli delle guide ufficiali.
Il mio malanimo e la depressione d’umore sono certo anche, e non solo, una conseguenza anche dell ulteriore infezione che ho contratto a seguito della fetida sporcizia indiana ovunque pervasiva, nel mio viaggio tra Orccha , Barwa Sagar ed i siti di antichi templi nel distretto di Shivpuri,
Ma il rimettervi piede non mi è certo allettante, per quanto mi ci attendano le creature più splendide.
Per di più a guastarmi l’umore nauseato, ci si intrufola l ultimo passeggero rimasto in carrozza, l unico cui non abbia ancora dato la precedenza, che si interpone tra il mio pesante bagaglio e gli stipiti della portiera mentre sono affaticato a discendere.
“ Sorry.. “ mi dice senza nemmeno le scusanti di avere il timore che il treno possa essere in partenza, come il passeggero che mi ha fatto cacciare un urlo in Jhansi, per essersi intromesso nel corridoio tra la mia corpulenza e quella di un altro anziano signore, senza darci modo di defilarci l uno dall altro, nella fretta di ritirare un ultimo bagaglio.
“ Oh, you are standard in India…” gli dico senza che nemmeno possa più sentirmi.
Mi raggiunge immediatamente un conducente di tuk tuk che non conosco, alla cui premessa introduttiva di quanto la stazione disti dal villaggio devo ripetere che sono oramai di Khajuraho, e che mi attende un suo collega di lavoro inviatomi incontro da Kailash, il barber driver come il mio amico lo chiama, spregiativamente, per essere costui qualche gradino più in basso negli ordinatamente castali.
Il giovane conducente seguita a insistere, e a non mollare la presa del bagaglio, ed io manco di dirgli che non solo so già quanto disti ancora Khajuraho , ma che so immaginare anche i motivi per i quali lui solo può avermi raggiunto dentro la stazione ferroviaria, senza incorrere il rischio di finire multato e di ritrovarsi condotto fino a Gwalior.
Pietanze cucinate, ed altri servigi e favori , quali il lavaggio degli indumenti, resi alla locale polizia ferroviaria, al pari del barber tuk tuk driver che mi attende prima della biglietteria, secondo le disposizioni che ha recepito di Kailash.
Di fuori, la canea degli altri conducenti di mezzi che si contendono all’uscita turisti e viaggiatori locali, a seconda della loro destinazione vicina- “ Bamitha! Bamitha! Rajnagar! Rajnagar!”
Sull ‘autorickshaw ho modo di sobbalzare e di sussultare fin oltre l’area ferroviaria, per quanto è sconnesso e devastato il fondo stradale, a causa dei lavori in corso della costruzione di un sovrappasso stradale, che dovrebbe evitare di doversi ogni volta arrestare al passaggio a livello per almeno una decina di minuti, a seguito delle manovre di spostamento dei vagoni dei treni arrivati a destinazione.
Buona cosa in sé, come i lavori di ampliamento e di rifacimento del fondo stradale, sempre che non solo abbiano un inizio, ma prima o poi anche una fine.
Come non è dell aeroporto che si vorrebbe di rango internazionale, mentre sempre di meno sono i turisti stranieri, del nuovo Museo archeologico, dell’intero manto stradale di Khajuraho, distrutto ed ampliato e non ancora rifatto,  tutto ad un tempo.
Mi tengo il vomito di dentro, per non incrementare dei miei rigurgiti la sporcizia ai margini della strada o dei rivoli in cui evacuerei, e lo rigetto nella latrina di casa, provocandovi un fetore insostenibile. Ma tra quelle pareti in cui mi ritrovo e disperdo confusamente i contenuti dei bagagli, c’è chi è volto amore, c’è cura e dedizione volta ad attendermi, pur nel freddo fare a me dedito di ognuno di loro, che non me ne vorranno se senza tutti i dovuti riguardi imbratterò di miei escrementi liquidi piastrelle e indumenti intimi e lenzuola, pur nel sonno, in cui fin nel fondo del suo essere, rivedo immerso nel lettone di loro tutti l’adorato Chandù.





domenica 8 marzo 2015

un'infelice felicità

Una felicità infelice
Sul far del sera ieri l’altro sono uscito con il giovane Mohammad tra i tempietti che danno sul bacino lacustre del Prem Sagar , e l’ho invitato a volgere lo sguardo ai rifiuti che vi stagnavano a riva, mentre il tramonto illuminava dei suoi ultimi bagliori le cime dei templi che si profilavano oltre le acque e le piante che vi crescono ai bordi.
“ E’ in queste acque che la moglie di Kailash lava anche i miei abiti”, gli ho detto a guisa di commento, senza che ci sia verso, il mio amico, da mesi e da anni di indurlo ad acquistare una nostra lavatrice, zero i risultati di ogni mio sforzo a mie spese, come zero sono stati i i risultati di ogni mio zelo perché doti i bambini più grandi dei certificati di nascita, se stesso di quelli che gli occorrono per il passaporto, zero quelli di ogni mio intento di visionare almeno qualcuno dei campi che gli sono stati offerti per l'acquisto, zero quelli di ogni proposito di ripristinare il negozio di barbiere, mentre dà segni di cedimento il suo encomiabile, perseverare ogni giorno nel proporsi all ingresso degli hotel di lusso con l’autorisciò, e sempre più io mi sento un animale morente. Nella congiuntura di un tasso di cambio che ogni giorno mi è sempre più sfavorevole, il mio denaro è una risorsa con cui non riesco più ad assicurare, ad entrambi ed ai nostri figli, che il solo seguito di questa nostra vita pur così bella e sempre più drammi che la sconvolgano, da cui mi è sempre più difficile il distacco, per la riflessione meditativa e la scrittura o per inoltrarmi in qualche viaggio, nel subcontinente indiano, che non sia il mio cabotaggio tra i templi del Madhya Pradesh e l’ acquisi zione in Delhi e poi via internet dei testi occorrenti per rivisitarli più profondamente, tramite l indagine visiva diretta o dei reperti fotografici che ne ho desunto, per pervenire a scriverne con l’ autorevolezza di uno spirito interpretativo capace di definirli ed intendere in ogni dettaglio..
Mohammad, a quella vista delle acque infognantesi, mi ha allora indicato a sua volta un maiale che scendeva a bagnarvisi, ricordandomi come vi si defechi e urini a piacimento.
Il discorso l’abbiamo ripreso presso il chiosco che si affaccia sulla riva opposta del talab, dove abbiamo protratto i nostri discorsi tra coca cola, patatine e kurkuré
Gli stavo dicendo che lo stesso hotel che guarda sul talab, nelle immediate vicinanze, conviveva nella sua gestione immacolata con lo squallore rivoltante dell’immondezzaio adiacente, una discarica nel cui liquame lurido i rifiuti che vi finiscono sono il mondo di vita quotidiano di maiali e galline che vi scorrazzano e dei bambini che vi escrementano, ad ogni ora del giorno, nell indifferenza del traffico di scorrimento, e chiosavo la mia ripulsa rilevando come l hotel fosse di proprietà del politico locale del Bjp il cui volto compariva in un manifesto appeso alle lamiere di quel chiosco, quando lui mi ha invitato a leggere il motto che vi campeggiava in hindi ed in inglese, sotto le immagini di Narendra Modi per un verso e di Vivekananda ed altri illustri ascendenti sull’altro, cui non avevo fatto fino ad allora minimamente caso: ” Making India clean” come recitava in caratteri guizzanti.
“ A cominciare da quanto sta ad un passo dalla tua porta di casa, lercio dei rifiuti dei tuoi ospiti” mi viene l idea di replicargli in facebook, “una volta fotografato il luridume fognario a cielo aperto che coesiste con la bella vista che la stessa pensione offre sui templi, dal lato opposto, e abbinatolo al suo poster che in Khajuraho vedi dappertutto”, ma mi invitava alla cautela quanto era appena accaduto il giorno avanti, dopo che mi ero aperto in piena confidenza con la giovane coppia di un giornalista di una radio emittente e di un’anestesista, originari di Firenze, poco prima della quale avevo appena finito di pranzare nel tavolo accanto del Madras cafè, in cui era presente ed assisteva ai nostri discorsi il solo vecchio proprietario. Mi ero in particolare lasciato andare su quanto fosse il caso di fare una generosa offerta a una scuola del villaggio vecchio di Khajuraho che sguinzaglia anche i suoi bambini per accalappiare turisti e ricevere le offerte che hanno fatto subentrare finanche il marmo alle sue classi sul tetto di una volta, d’intesa con i lapkas più svezzati che si spartiscono il 50% dei soldi che le procacciano
Mi ero poi offerto di illustrare loro i templi orientali che restavano a loro ancora da vedere, prima della partenza, avviandomi con loro in bicicletta nella loro direzione, e sulla piattaforma del tempio Javari ero già tutto intento a spiegare loro come la sommità del pinnacolo significasse l’uno inesteso da cui emana il mondo manifesto , così come ne discende la curvatura del sikkara, ed in conformità con il dispiegarsi del tempio nelle proiezioni delle edicole che lo replicano in miniatura, etcetera etcetera, quando come il tenore del cavaliere della Rosa nel più bello della sua aria così difficile e bella, sono stato interrotto da una successione di telefonate in successione una più iraconda dell altra di Kailash, che .mi chiedeva per quale follia mi fosse venuto in mente di screditare le scuole di un bramino della vecchia Khajuraho, che avrebbe saputo come rivalersi su di noi.
I miei cari giovani ospiti, che tutto sentivano ed a tutto assistevano, non avevano avuto il tempo di esclamare “ Ma questa è una mafia…”, strabiliati della velocità del corto circuito informativo che si era prodotto nel giro di solo qualche decina di minuti, quando credevamo di avere parlato appartati, senza che nessuno potesse stare a sentire o a seguire i nostri discorsi tutti in italiano- non fosse stato per un mio accenno alla natura di business school delle scuole private di Khajuraho, che non si riferiva certo ai contenuti professionali del loro insegnamento, o per il mio atto eloquente di mettere immaginarie offerte in denaro nel solo immaginario taschino di un immaginario destinatario affarista, e senza preoccuparci che anche il solo gestore potesse starci a sentire o a riferire alcunché a qualcuno, quando alla mia attività interpretativa delle simbolicità del tempio hindu, che mi avviavo a riprendere, ci si metteva di traverso lo stesso vigilante, quasi che stessi facendo per lucro la guida abusiva, e sopraggiungeva trafelato dalla scalinata lo stesso direttore della scuola in questione, incattivito dal timore di perdere l’offerta che i due turisti gli avevano promesso il giorno avanti, dopo che gli osservatori che aveva sguinzagliato al loro seguito, nell’ imminenza di li a due ore della nostra partenza, gli avevano riferito le loro mosse, ed altro era stato addotto dal testimone interno dei nostri colloqui.
“ Non temere, daremo comunque un offerta, per non cacciarti nei guai…” era stata la premura manifestatami dai due giovani, prima che le nostre strade si dipartissero.
In stanza la sera seguente mi sarei ritrovato finalmente insieme con un calmo Kailash, non solo a riordinare ancora una volta la vanità di piani e progetti, a riproporci viaggi e chimere, ma a parlare delle case vernacolari locali, alla luce della conoscenza positiva che ne avevo acquisito, documentandomene in Delhi presso l Intach, l’organizzazione non governativa volta alla tutela del patrimonio storico artistico e paesaggistico dell’India.
“ E’ lo stesso talab dove la moglie del mio amico lava i nostri panni” riscorrendo l immagine del Prem Sagar avevo detto allora invece con la soddisfazione gioiosa di chi si riconosce di casa in un sito che cadeva nel cono di gloria di una rinomanza singolare, nel ripercorrere il fascicolo agli atti che documentava un progetto di risanamento intentato nei riguardi del bacino lacuale, per l’attenzione della giovane che me lo aveva approntato e che tanto generosamente e prontamente mi assisteva.
Insieme con Kailash tornavo così a parlare del chabutra, ch’è insieme la piattaforma intorno agli alberi sacri ed il ripiano che precede la soglia di casa, volto a propiziare cerimonie e incontri sociali e personali, come già ne avevo parlato con Mohammad, lungo il nostro magico viaggio in bicicletta diretti a Chitrai, tra il verde smagliante dei coltivi di colza , al profilarsi incantevole di casolari e chiome frondose e cime montane, chiedendo a Kailash se potesse accedere sullo stesso chabutra insieme ai dalit nel suo villaggio, fosse quello di casa propria o della loro.
Mi chiariva la natura di mezzanino del machiyara, in legno di mahua, o di log, come l’aangan fosse il nome di un cortile quale quello della nostra stessa casa,
ma quanto al dislocarsi nei suoi canti di Chula e Ghinochi, del forno di cottura della cucina, e dell’area di lavaggio, mi invitava a fare ritorno alla sua casa nel villaggio., dove avrei trovato anche l’angolo di cui in quei documenti non si parlava del nartha, la sbreccatura che volge a una piccola fossa che raccoglie l’urina che vi si rilascia.
Quanti giorni sono già trascorsi di questa mia ulteriore permanenza in india, venivo intanto pensando, mentre mi discorreva con fervore,- certo, acquietatici, senza che siano insorti tra noi “ drama” e tensioni, ma pur in assenza di una convivenza profonda di momenti vissuti insieme, se non nelle circostanze in cui ci riunivano i visitatori che abbiamo assistito, mister Dipak, Marinella, Alberta, Katerina from Moscow, assaporando solo la soddisfazione della comunanza di intenti, di una buona vita nel comune impegno per i nostri bambini, io al computer e lui in tuk tuk, per esiguo che ne fosse l’esito.
E distolto nelle mie peregrinazioni artistiche tra i libri ed il computer, dai miei intenti di “ ricostruire le fondamenta di epoche lontane”, per “farmi chiamare riparatore di brecce”, disperando che l’approfondimento delle conoscenze che esige ogni mio ulteriore mettermi in viaggio me li renda sempre più improponibili, di come i mesi che sono trascorsi in India siano già di nuovo più di quattro senza che sia riuscito ad avventurarmi che in Delhi, od oltre Kalinjar, o Tigawa, mi ha dilacerato la disperazione antitetica che tale struggimento che angustia il mio persistere in Khajuraho, me l abbia resa invisa e vi abbia reinscenato la mia tragedia reale, la mia autentica disgrazia mentale, ossia di vivervi , in prossimità di Kallu, tra i cari Poorti ed Ajay ed il mio adorato Chandu, godendo delle cure di Vimala e della più devota amicizia dell’amato Mohammad, forse il momento migliore della mia vita senza gran che felicitarmene, di esservi nel mio paradiso e ritrovarmici in un inferno in terra , nei miei assilli ad emergere ad un destino di fama e ricchezza assicurati, secondo le meravigliose parole in cui ha ritrovato in me vita Oren Miller, blogger, morto sabato 28 febbraio della stessa malattia che temevo e dubito ancora di covare nei miei polmoni, adempiendo il sacrificio di lode del limite accolto di ogni pienezza di vita.
“ Papà, perché mi hai trovato un Baba così grasso e non uno ch’è magro?” le parole di Chandu che ieri sera hanno divertito me e Kailash fino alle lacrime, quando ci siamo ritrovati insieme in stanza, dopo avere rinunciato a recarci in autovettura al Jarai Math di Barva Sagar ed alla fortezza di Garhkundhar, per il mio timore di incidenti per strada che potessero stroncare la vita dei nostri bambini più piccoli.“ Mi impegno Chandu a trovartene al mercato uno più magro, poi stai certo che vado subito via” gli ho detto nel lasciarlo per ritirarmi in stanza, la stanza dove mi intimato anche stamattina di fare rientro, “ room!” , ordinandomelo per gioco, quando mi sono effuso nei suoi riguardi nel mio amore che non so tacergli, la cui tracimazione mi preclude che il piccolino possa accogliermi come suo educatore. . Schermaglie per dirmi quanto è felice ogni volta di ritrovarmi nella sua vita, come quando accenna a nascondersi per essere scovato sotto le scoperte, allorchè di primo mattino mi affaccio in stanza, o quando mi avanza perentorio le sue richieste di dasko, onehundred, one hundredtirthy two rupeses, mostrandomi che se non si possono infilare le banconote nella fessura del salvadanaio a forma di casetta, per la quale non passano che le 8 rupie in monetine che ho nel borsellino, possono benissimo entrarci per la porta d’uscita del suo gullà.