Una felicità infelice
Sul far del sera ieri l’altro sono uscito con il giovane Mohammad tra i tempietti che danno sul bacino lacustre del Prem Sagar , e l’ho invitato a volgere lo sguardo ai rifiuti che vi stagnavano a riva, mentre il tramonto illuminava dei suoi ultimi bagliori le cime dei templi che si profilavano oltre le acque e le piante che vi crescono ai bordi.
“ E’ in queste acque che la moglie di Kailash lava anche i miei abiti”, gli ho detto a guisa di commento, senza che ci sia verso, il mio amico, da mesi e da anni di indurlo ad acquistare una nostra lavatrice, zero i risultati di ogni mio sforzo a mie spese, come zero sono stati i i risultati di ogni mio zelo perché doti i bambini più grandi dei certificati di nascita, se stesso di quelli che gli occorrono per il passaporto, zero quelli di ogni mio intento di visionare almeno qualcuno dei campi che gli sono stati offerti per l'acquisto, zero quelli di ogni proposito di ripristinare il negozio di barbiere, mentre dà segni di cedimento il suo encomiabile, perseverare ogni giorno nel proporsi all ingresso degli hotel di lusso con l’autorisciò, e sempre più io mi sento un animale morente. Nella congiuntura di un tasso di cambio che ogni giorno mi è sempre più sfavorevole, il mio denaro è una risorsa con cui non riesco più ad assicurare, ad entrambi ed ai nostri figli, che il solo seguito di questa nostra vita pur così bella e sempre più drammi che la sconvolgano, da cui mi è sempre più difficile il distacco, per la riflessione meditativa e la scrittura o per inoltrarmi in qualche viaggio, nel subcontinente indiano, che non sia il mio cabotaggio tra i templi del Madhya Pradesh e l’ acquisi zione in Delhi e poi via internet dei testi occorrenti per rivisitarli più profondamente, tramite l indagine visiva diretta o dei reperti fotografici che ne ho desunto, per pervenire a scriverne con l’ autorevolezza di uno spirito interpretativo capace di definirli ed intendere in ogni dettaglio..
Mohammad, a quella vista delle acque infognantesi, mi ha allora indicato a sua volta un maiale che scendeva a bagnarvisi, ricordandomi come vi si defechi e urini a piacimento.
Il discorso l’abbiamo ripreso presso il chiosco che si affaccia sulla riva opposta del talab, dove abbiamo protratto i nostri discorsi tra coca cola, patatine e kurkuré
Gli stavo dicendo che lo stesso hotel che guarda sul talab, nelle immediate vicinanze, conviveva nella sua gestione immacolata con lo squallore rivoltante dell’immondezzaio adiacente, una discarica nel cui liquame lurido i rifiuti che vi finiscono sono il mondo di vita quotidiano di maiali e galline che vi scorrazzano e dei bambini che vi escrementano, ad ogni ora del giorno, nell indifferenza del traffico di scorrimento, e chiosavo la mia ripulsa rilevando come l hotel fosse di proprietà del politico locale del Bjp il cui volto compariva in un manifesto appeso alle lamiere di quel chiosco, quando lui mi ha invitato a leggere il motto che vi campeggiava in hindi ed in inglese, sotto le immagini di Narendra Modi per un verso e di Vivekananda ed altri illustri ascendenti sull’altro, cui non avevo fatto fino ad allora minimamente caso: ” Making India clean” come recitava in caratteri guizzanti.
“ A cominciare da quanto sta ad un passo dalla tua porta di casa, lercio dei rifiuti dei tuoi ospiti” mi viene l idea di replicargli in facebook, “una volta fotografato il luridume fognario a cielo aperto che coesiste con la bella vista che la stessa pensione offre sui templi, dal lato opposto, e abbinatolo al suo poster che in Khajuraho vedi dappertutto”, ma mi invitava alla cautela quanto era appena accaduto il giorno avanti, dopo che mi ero aperto in piena confidenza con la giovane coppia di un giornalista di una radio emittente e di un’anestesista, originari di Firenze, poco prima della quale avevo appena finito di pranzare nel tavolo accanto del Madras cafè, in cui era presente ed assisteva ai nostri discorsi il solo vecchio proprietario. Mi ero in particolare lasciato andare su quanto fosse il caso di fare una generosa offerta a una scuola del villaggio vecchio di Khajuraho che sguinzaglia anche i suoi bambini per accalappiare turisti e ricevere le offerte che hanno fatto subentrare finanche il marmo alle sue classi sul tetto di una volta, d’intesa con i lapkas più svezzati che si spartiscono il 50% dei soldi che le procacciano
Mi ero poi offerto di illustrare loro i templi orientali che restavano a loro ancora da vedere, prima della partenza, avviandomi con loro in bicicletta nella loro direzione, e sulla piattaforma del tempio Javari ero già tutto intento a spiegare loro come la sommità del pinnacolo significasse l’uno inesteso da cui emana il mondo manifesto , così come ne discende la curvatura del sikkara, ed in conformità con il dispiegarsi del tempio nelle proiezioni delle edicole che lo replicano in miniatura, etcetera etcetera, quando come il tenore del cavaliere della Rosa nel più bello della sua aria così difficile e bella, sono stato interrotto da una successione di telefonate in successione una più iraconda dell altra di Kailash, che .mi chiedeva per quale follia mi fosse venuto in mente di screditare le scuole di un bramino della vecchia Khajuraho, che avrebbe saputo come rivalersi su di noi.
I miei cari giovani ospiti, che tutto sentivano ed a tutto assistevano, non avevano avuto il tempo di esclamare “ Ma questa è una mafia…”, strabiliati della velocità del corto circuito informativo che si era prodotto nel giro di solo qualche decina di minuti, quando credevamo di avere parlato appartati, senza che nessuno potesse stare a sentire o a seguire i nostri discorsi tutti in italiano- non fosse stato per un mio accenno alla natura di business school delle scuole private di Khajuraho, che non si riferiva certo ai contenuti professionali del loro insegnamento, o per il mio atto eloquente di mettere immaginarie offerte in denaro nel solo immaginario taschino di un immaginario destinatario affarista, e senza preoccuparci che anche il solo gestore potesse starci a sentire o a riferire alcunché a qualcuno, quando alla mia attività interpretativa delle simbolicità del tempio hindu, che mi avviavo a riprendere, ci si metteva di traverso lo stesso vigilante, quasi che stessi facendo per lucro la guida abusiva, e sopraggiungeva trafelato dalla scalinata lo stesso direttore della scuola in questione, incattivito dal timore di perdere l’offerta che i due turisti gli avevano promesso il giorno avanti, dopo che gli osservatori che aveva sguinzagliato al loro seguito, nell’ imminenza di li a due ore della nostra partenza, gli avevano riferito le loro mosse, ed altro era stato addotto dal testimone interno dei nostri colloqui.
“ Non temere, daremo comunque un offerta, per non cacciarti nei guai…” era stata la premura manifestatami dai due giovani, prima che le nostre strade si dipartissero.
In stanza la sera seguente mi sarei ritrovato finalmente insieme con un calmo Kailash, non solo a riordinare ancora una volta la vanità di piani e progetti, a riproporci viaggi e chimere, ma a parlare delle case vernacolari locali, alla luce della conoscenza positiva che ne avevo acquisito, documentandomene in Delhi presso l Intach, l’organizzazione non governativa volta alla tutela del patrimonio storico artistico e paesaggistico dell’India.
“ E’ lo stesso talab dove la moglie del mio amico lava i nostri panni” riscorrendo l immagine del Prem Sagar avevo detto allora invece con la soddisfazione gioiosa di chi si riconosce di casa in un sito che cadeva nel cono di gloria di una rinomanza singolare, nel ripercorrere il fascicolo agli atti che documentava un progetto di risanamento intentato nei riguardi del bacino lacuale, per l’attenzione della giovane che me lo aveva approntato e che tanto generosamente e prontamente mi assisteva.
Insieme con Kailash tornavo così a parlare del chabutra, ch’è insieme la piattaforma intorno agli alberi sacri ed il ripiano che precede la soglia di casa, volto a propiziare cerimonie e incontri sociali e personali, come già ne avevo parlato con Mohammad, lungo il nostro magico viaggio in bicicletta diretti a Chitrai, tra il verde smagliante dei coltivi di colza , al profilarsi incantevole di casolari e chiome frondose e cime montane, chiedendo a Kailash se potesse accedere sullo stesso chabutra insieme ai dalit nel suo villaggio, fosse quello di casa propria o della loro.
Mi chiariva la natura di mezzanino del machiyara, in legno di mahua, o di log, come l’aangan fosse il nome di un cortile quale quello della nostra stessa casa,
ma quanto al dislocarsi nei suoi canti di Chula e Ghinochi, del forno di cottura della cucina, e dell’area di lavaggio, mi invitava a fare ritorno alla sua casa nel villaggio., dove avrei trovato anche l’angolo di cui in quei documenti non si parlava del nartha, la sbreccatura che volge a una piccola fossa che raccoglie l’urina che vi si rilascia.
Quanti giorni sono già trascorsi di questa mia ulteriore permanenza in india, venivo intanto pensando, mentre mi discorreva con fervore,- certo, acquietatici, senza che siano insorti tra noi “ drama” e tensioni, ma pur in assenza di una convivenza profonda di momenti vissuti insieme, se non nelle circostanze in cui ci riunivano i visitatori che abbiamo assistito, mister Dipak, Marinella, Alberta, Katerina from Moscow, assaporando solo la soddisfazione della comunanza di intenti, di una buona vita nel comune impegno per i nostri bambini, io al computer e lui in tuk tuk, per esiguo che ne fosse l’esito.
E distolto nelle mie peregrinazioni artistiche tra i libri ed il computer, dai miei intenti di “ ricostruire le fondamenta di epoche lontane”, per “farmi chiamare riparatore di brecce”, disperando che l’approfondimento delle conoscenze che esige ogni mio ulteriore mettermi in viaggio me li renda sempre più improponibili, di come i mesi che sono trascorsi in India siano già di nuovo più di quattro senza che sia riuscito ad avventurarmi che in Delhi, od oltre Kalinjar, o Tigawa, mi ha dilacerato la disperazione antitetica che tale struggimento che angustia il mio persistere in Khajuraho, me l abbia resa invisa e vi abbia reinscenato la mia tragedia reale, la mia autentica disgrazia mentale, ossia di vivervi , in prossimità di Kallu, tra i cari Poorti ed Ajay ed il mio adorato Chandu, godendo delle cure di Vimala e della più devota amicizia dell’amato Mohammad, forse il momento migliore della mia vita senza gran che felicitarmene, di esservi nel mio paradiso e ritrovarmici in un inferno in terra , nei miei assilli ad emergere ad un destino di fama e ricchezza assicurati, secondo le meravigliose parole in cui ha ritrovato in me vita Oren Miller, blogger, morto sabato 28 febbraio della stessa malattia che temevo e dubito ancora di covare nei miei polmoni, adempiendo il sacrificio di lode del limite accolto di ogni pienezza di vita.
“ E’ in queste acque che la moglie di Kailash lava anche i miei abiti”, gli ho detto a guisa di commento, senza che ci sia verso, il mio amico, da mesi e da anni di indurlo ad acquistare una nostra lavatrice, zero i risultati di ogni mio sforzo a mie spese, come zero sono stati i i risultati di ogni mio zelo perché doti i bambini più grandi dei certificati di nascita, se stesso di quelli che gli occorrono per il passaporto, zero quelli di ogni mio intento di visionare almeno qualcuno dei campi che gli sono stati offerti per l'acquisto, zero quelli di ogni proposito di ripristinare il negozio di barbiere, mentre dà segni di cedimento il suo encomiabile, perseverare ogni giorno nel proporsi all ingresso degli hotel di lusso con l’autorisciò, e sempre più io mi sento un animale morente. Nella congiuntura di un tasso di cambio che ogni giorno mi è sempre più sfavorevole, il mio denaro è una risorsa con cui non riesco più ad assicurare, ad entrambi ed ai nostri figli, che il solo seguito di questa nostra vita pur così bella e sempre più drammi che la sconvolgano, da cui mi è sempre più difficile il distacco, per la riflessione meditativa e la scrittura o per inoltrarmi in qualche viaggio, nel subcontinente indiano, che non sia il mio cabotaggio tra i templi del Madhya Pradesh e l’ acquisi zione in Delhi e poi via internet dei testi occorrenti per rivisitarli più profondamente, tramite l indagine visiva diretta o dei reperti fotografici che ne ho desunto, per pervenire a scriverne con l’ autorevolezza di uno spirito interpretativo capace di definirli ed intendere in ogni dettaglio..
Mohammad, a quella vista delle acque infognantesi, mi ha allora indicato a sua volta un maiale che scendeva a bagnarvisi, ricordandomi come vi si defechi e urini a piacimento.
Il discorso l’abbiamo ripreso presso il chiosco che si affaccia sulla riva opposta del talab, dove abbiamo protratto i nostri discorsi tra coca cola, patatine e kurkuré
Gli stavo dicendo che lo stesso hotel che guarda sul talab, nelle immediate vicinanze, conviveva nella sua gestione immacolata con lo squallore rivoltante dell’immondezzaio adiacente, una discarica nel cui liquame lurido i rifiuti che vi finiscono sono il mondo di vita quotidiano di maiali e galline che vi scorrazzano e dei bambini che vi escrementano, ad ogni ora del giorno, nell indifferenza del traffico di scorrimento, e chiosavo la mia ripulsa rilevando come l hotel fosse di proprietà del politico locale del Bjp il cui volto compariva in un manifesto appeso alle lamiere di quel chiosco, quando lui mi ha invitato a leggere il motto che vi campeggiava in hindi ed in inglese, sotto le immagini di Narendra Modi per un verso e di Vivekananda ed altri illustri ascendenti sull’altro, cui non avevo fatto fino ad allora minimamente caso: ” Making India clean” come recitava in caratteri guizzanti.
“ A cominciare da quanto sta ad un passo dalla tua porta di casa, lercio dei rifiuti dei tuoi ospiti” mi viene l idea di replicargli in facebook, “una volta fotografato il luridume fognario a cielo aperto che coesiste con la bella vista che la stessa pensione offre sui templi, dal lato opposto, e abbinatolo al suo poster che in Khajuraho vedi dappertutto”, ma mi invitava alla cautela quanto era appena accaduto il giorno avanti, dopo che mi ero aperto in piena confidenza con la giovane coppia di un giornalista di una radio emittente e di un’anestesista, originari di Firenze, poco prima della quale avevo appena finito di pranzare nel tavolo accanto del Madras cafè, in cui era presente ed assisteva ai nostri discorsi il solo vecchio proprietario. Mi ero in particolare lasciato andare su quanto fosse il caso di fare una generosa offerta a una scuola del villaggio vecchio di Khajuraho che sguinzaglia anche i suoi bambini per accalappiare turisti e ricevere le offerte che hanno fatto subentrare finanche il marmo alle sue classi sul tetto di una volta, d’intesa con i lapkas più svezzati che si spartiscono il 50% dei soldi che le procacciano
Mi ero poi offerto di illustrare loro i templi orientali che restavano a loro ancora da vedere, prima della partenza, avviandomi con loro in bicicletta nella loro direzione, e sulla piattaforma del tempio Javari ero già tutto intento a spiegare loro come la sommità del pinnacolo significasse l’uno inesteso da cui emana il mondo manifesto , così come ne discende la curvatura del sikkara, ed in conformità con il dispiegarsi del tempio nelle proiezioni delle edicole che lo replicano in miniatura, etcetera etcetera, quando come il tenore del cavaliere della Rosa nel più bello della sua aria così difficile e bella, sono stato interrotto da una successione di telefonate in successione una più iraconda dell altra di Kailash, che .mi chiedeva per quale follia mi fosse venuto in mente di screditare le scuole di un bramino della vecchia Khajuraho, che avrebbe saputo come rivalersi su di noi.
I miei cari giovani ospiti, che tutto sentivano ed a tutto assistevano, non avevano avuto il tempo di esclamare “ Ma questa è una mafia…”, strabiliati della velocità del corto circuito informativo che si era prodotto nel giro di solo qualche decina di minuti, quando credevamo di avere parlato appartati, senza che nessuno potesse stare a sentire o a seguire i nostri discorsi tutti in italiano- non fosse stato per un mio accenno alla natura di business school delle scuole private di Khajuraho, che non si riferiva certo ai contenuti professionali del loro insegnamento, o per il mio atto eloquente di mettere immaginarie offerte in denaro nel solo immaginario taschino di un immaginario destinatario affarista, e senza preoccuparci che anche il solo gestore potesse starci a sentire o a riferire alcunché a qualcuno, quando alla mia attività interpretativa delle simbolicità del tempio hindu, che mi avviavo a riprendere, ci si metteva di traverso lo stesso vigilante, quasi che stessi facendo per lucro la guida abusiva, e sopraggiungeva trafelato dalla scalinata lo stesso direttore della scuola in questione, incattivito dal timore di perdere l’offerta che i due turisti gli avevano promesso il giorno avanti, dopo che gli osservatori che aveva sguinzagliato al loro seguito, nell’ imminenza di li a due ore della nostra partenza, gli avevano riferito le loro mosse, ed altro era stato addotto dal testimone interno dei nostri colloqui.
“ Non temere, daremo comunque un offerta, per non cacciarti nei guai…” era stata la premura manifestatami dai due giovani, prima che le nostre strade si dipartissero.
In stanza la sera seguente mi sarei ritrovato finalmente insieme con un calmo Kailash, non solo a riordinare ancora una volta la vanità di piani e progetti, a riproporci viaggi e chimere, ma a parlare delle case vernacolari locali, alla luce della conoscenza positiva che ne avevo acquisito, documentandomene in Delhi presso l Intach, l’organizzazione non governativa volta alla tutela del patrimonio storico artistico e paesaggistico dell’India.
“ E’ lo stesso talab dove la moglie del mio amico lava i nostri panni” riscorrendo l immagine del Prem Sagar avevo detto allora invece con la soddisfazione gioiosa di chi si riconosce di casa in un sito che cadeva nel cono di gloria di una rinomanza singolare, nel ripercorrere il fascicolo agli atti che documentava un progetto di risanamento intentato nei riguardi del bacino lacuale, per l’attenzione della giovane che me lo aveva approntato e che tanto generosamente e prontamente mi assisteva.
Insieme con Kailash tornavo così a parlare del chabutra, ch’è insieme la piattaforma intorno agli alberi sacri ed il ripiano che precede la soglia di casa, volto a propiziare cerimonie e incontri sociali e personali, come già ne avevo parlato con Mohammad, lungo il nostro magico viaggio in bicicletta diretti a Chitrai, tra il verde smagliante dei coltivi di colza , al profilarsi incantevole di casolari e chiome frondose e cime montane, chiedendo a Kailash se potesse accedere sullo stesso chabutra insieme ai dalit nel suo villaggio, fosse quello di casa propria o della loro.
Mi chiariva la natura di mezzanino del machiyara, in legno di mahua, o di log, come l’aangan fosse il nome di un cortile quale quello della nostra stessa casa,
ma quanto al dislocarsi nei suoi canti di Chula e Ghinochi, del forno di cottura della cucina, e dell’area di lavaggio, mi invitava a fare ritorno alla sua casa nel villaggio., dove avrei trovato anche l’angolo di cui in quei documenti non si parlava del nartha, la sbreccatura che volge a una piccola fossa che raccoglie l’urina che vi si rilascia.
Quanti giorni sono già trascorsi di questa mia ulteriore permanenza in india, venivo intanto pensando, mentre mi discorreva con fervore,- certo, acquietatici, senza che siano insorti tra noi “ drama” e tensioni, ma pur in assenza di una convivenza profonda di momenti vissuti insieme, se non nelle circostanze in cui ci riunivano i visitatori che abbiamo assistito, mister Dipak, Marinella, Alberta, Katerina from Moscow, assaporando solo la soddisfazione della comunanza di intenti, di una buona vita nel comune impegno per i nostri bambini, io al computer e lui in tuk tuk, per esiguo che ne fosse l’esito.
E distolto nelle mie peregrinazioni artistiche tra i libri ed il computer, dai miei intenti di “ ricostruire le fondamenta di epoche lontane”, per “farmi chiamare riparatore di brecce”, disperando che l’approfondimento delle conoscenze che esige ogni mio ulteriore mettermi in viaggio me li renda sempre più improponibili, di come i mesi che sono trascorsi in India siano già di nuovo più di quattro senza che sia riuscito ad avventurarmi che in Delhi, od oltre Kalinjar, o Tigawa, mi ha dilacerato la disperazione antitetica che tale struggimento che angustia il mio persistere in Khajuraho, me l abbia resa invisa e vi abbia reinscenato la mia tragedia reale, la mia autentica disgrazia mentale, ossia di vivervi , in prossimità di Kallu, tra i cari Poorti ed Ajay ed il mio adorato Chandu, godendo delle cure di Vimala e della più devota amicizia dell’amato Mohammad, forse il momento migliore della mia vita senza gran che felicitarmene, di esservi nel mio paradiso e ritrovarmici in un inferno in terra , nei miei assilli ad emergere ad un destino di fama e ricchezza assicurati, secondo le meravigliose parole in cui ha ritrovato in me vita Oren Miller, blogger, morto sabato 28 febbraio della stessa malattia che temevo e dubito ancora di covare nei miei polmoni, adempiendo il sacrificio di lode del limite accolto di ogni pienezza di vita.
“ Papà, perché mi hai trovato un Baba così grasso e non uno ch’è magro?” le parole di Chandu che ieri sera hanno divertito me e Kailash fino alle lacrime, quando ci siamo ritrovati insieme in stanza, dopo avere rinunciato a recarci in autovettura al Jarai Math di Barva Sagar ed alla fortezza di Garhkundhar, per il mio timore di incidenti per strada che potessero stroncare la vita dei nostri bambini più piccoli.“ Mi impegno Chandu a trovartene al mercato uno più magro, poi stai certo che vado subito via” gli ho detto nel lasciarlo per ritirarmi in stanza, la stanza dove mi intimato anche stamattina di fare rientro, “ room!” , ordinandomelo per gioco, quando mi sono effuso nei suoi riguardi nel mio amore che non so tacergli, la cui tracimazione mi preclude che il piccolino possa accogliermi come suo educatore. . Schermaglie per dirmi quanto è felice ogni volta di ritrovarmi nella sua vita, come quando accenna a nascondersi per essere scovato sotto le scoperte, allorchè di primo mattino mi affaccio in stanza, o quando mi avanza perentorio le sue richieste di dasko, onehundred, one hundredtirthy two rupeses, mostrandomi che se non si possono infilare le banconote nella fessura del salvadanaio a forma di casetta, per la quale non passano che le 8 rupie in monetine che ho nel borsellino, possono benissimo entrarci per la porta d’uscita del suo gullà.
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