Giorni felici
Due sabati or sono,- era il 4 di luglio-, con Ayaj e Mohammad mi sono avviato verso Byanthal, insieme in bicicletta, solo quando erano già passate le due del pomeriggio, essendomi attardato a terminare di scrivere al computer, ma non supponevo di stare facendo tardi , al punto che ho rifiutato di prendere con me la torcia che mi aveva porto Kailash, e che lasciando Khajuraho mi sono dilungato a rifornirmi d’acqua e di cibo in più di un negozio, ultimi quelli che precedevano sull’altro lato della strada il tempio Chaturbuja.
Superata la sua mole , nello splendore pomeridiano aveva inizio il nostro vero tragitto, tra i casolari di genti adivasi e i campi predisposti per la semina propiziata dall’inizio della stagione monsonica, mentre contro i rilievi montani, il fondo dei campi, le piante dispiegavano il fulgore del loro fogliame.
Il rifacimento in corso del manto stradale ce lo consegnava nell’interminabilità di tutto il suo dissesto, che si faceva più avanti ciotolio e pietrisco tormentosamente sconnesso, nell imminenza di Kundarpurah e dei suoi maleodoranti pollai, inerpicandosi scosceso tra le sue case .
All uscita dal villaggio ci attendeva la nostra prima meta , la scuola di Ghita, come ne chiedevo a dei ragazzi del posto, ossia della Devidine association che l’amica presiede, per inoltrarci nella quale bastava raggiungerne il campo antistante e scostare il filo di ferro che cingeva un paletto. Tre aule soltanto la costituivano, ma meravigliosamente ariose e soffuse di luce.
L’edificio, in attesa di aggiunte, d’intesa tra costruttori e committenti, com è proprio del procedere della prassi edilizia indiana più tipica, era stato realizzato in uno stile vernacolare, ed al nostro aggirarcisi appariva solido pur senza pesantezze murarie, nella disposizione delle sale precedute da una veranda, che erano state ultimate rivestendo di malta e sterco e di luccicante paglia gli ammattonati, dotando le trabeazioni di tralicci di bambu, ornamentando di motivi tribali gli stipiti delle porte e il fondale della prima sala.
Terminata la visita nell impazienza fattasi distratta di Ajay e Mohammad, una volta rifocillatici potevamo procedere oltre, ma verso dove, prima di tutto, mi chiedevano i due ragazzi, che avevano fatto devota professione di volermi accompagnare in quell ultimo nostro viaggio prima del mio rientro in Italia, e che per questo quel pomeriggio avevano ottenuto da me da Kailash di essere dispensati dall andare a scuola, ma eravamo in cammino già più da unìora e per essi ogni occasione era parsa buona per intrattenersi tra loro, isolandomi in testa o nelle retrovie del nostro gruppuscolo.
Avrebbe preceduto l’arrivo in Byanthal la sosta per rivedere, e mostrare una prima volta a Mohammad , i campi che Kailash dovrebbe ricevere in eredità dal padre, per considerare come in comune avremmo potuto utilizzarli,una volta che la strada da cui pervenivamo fosse stata sistemata, la visita della casipola della sua bisnonna materna, ma l’appetito famelico e l’assenza di bibite o di vivande reperibili in Byathal, per l’intermittenza dell’erogazione inei suoi insediamenti dell energia elettrica, dettavano ai due ragazzi la richiesta che prima di addentrarci nel villaggio ci recassimo in quello poco oltre di Chandnagar, lungo la via che da Chhatarpur reca a Panna, dove qualche centinaio di metri più avanti avrebbe potuto accoglierci la locanda di una dabha.
Quando dalla via sterrata che si era fatta confortevolmente piana, lasciando la vista a distanza dei monti Lavania, ci immettevamo sulla strada asfaltata che ci avrebbe recato a destinazione, al contempo la vista si slargava magnificamente sulla convalle ed i colli che ci fronteggiavano in direzione opposta di quelli precedenti, dove potevamo scorgere sulle prime pendici il Rajgarh Palace in stile Bundela. Su quelle alture sorgeva un tempo il Manyagarh fort, l insediamento originario della potenza dei sovrani Chandella, di cui era Khajuraho la capitale religiosa.
Ancora un chilometro, o poco più, ed Ajay poteva indicarci dove dovevamo lasciare presso il manto stradale le nostre biciclette per addentrarci a piedi tra i campi arati fino a quelli del padre, distanti poco più di un centinaio di metri.
Il terreno che venivamo così perlustrando era dei due appezzamenti quello dislocato in una posizione più favorevole, su due lati era già recintato da una “barh” di alberi e cespugli, come quello cui ci siamo inoltrati solo in seguito, del resto, situato oltre il campo dello zio sadhu di Kailash, ma l’assenza di emergenze rocciose del fondo lavico del Deccan, a differenza che nel secondo, lasciava supporre che non fosse difficile reperirvi l’acqua con lo scavo di un pozzo. Le dimensioni del campo avevano lasciate deluse le aspettative di Mohammad, che era stato in grado di valutare all istante quale ne fosse il valore di mercato, , non più di 13-15 laks, situandosi esso al di là delle immediate vicinanze di Khajuraho ma come gli additavo sommariamente, c’era pur sempre terreno abbastanza per insediarvi i nostri progetti, una dimora in cui soggiornare per il coltivo dei campi, ove Ayay e Porti, o Chandu, divenuti grandi avrebbero potuto fare ritorno per le loro vacanze dalle città dell’India in cui lavorassero e vivessero, ed in cui sarebbe stato possibile alloggiare i visitatori che volessero soggiornarvi qualche giorno per fare esperienza della vita dei campi in un villaggio indiano rurale, di fianco una stalletta per i nostri bufali più piccoli, retrostante il giardino di un piccolo baghitsa di piante quali guava, mango, papaia, limoncelli, rimanendo ancora un’area spaziosa in cui coltivare anche solo grano e colza d’inverno, e lenticchie e sesamo d’estate, come vogliono le prassi e le scelte agricole invalse nel territorio, ma secondo i criteri compositi dell agricoltura organica e di quella indiana della tradizione locale. E il territorio circostante non si prospettav quanto di più magnifico, per ritemprarsi della vita campestre?
Ma nel riavviarci in bicicletta, non riuscivo a trattenere a parole un moto di sconforto, per come e quanto Kailash avesse pianto miseria e seguiti a disperarsi di sé e dei figli, senza mai essersi curato né volersi prendere cura dei suoi campi, che aveva lasciato all’ esercizio ed al profitto del padre, preferendo piuttosto, nel corso di una stagione primaverile, a mie spese prenderne uno in affitto senza trarne proventi., essendo carente anch’esso di un proprio approvvigionamento idrico, e richiedendo per più mesi un sorvegliante notturno.
La casetta di malta cinta di rampicanti della bisnonna di Kailash , cui ci fermavamo di li a poco per una breve sosta che allietava l’avola, era una delle prime delle tante residue del villaggio natale incantevole di Kailash, prima che lo precedessero uno splendido talab dove si ristoravano bufali, stazionavano barche, ai gradini dei cui gath le donne si recavano velate a raccogliere acqua in anfore e vasi.
Il breve spazio verde antistante la casa, mi ricordava a sua volta gli sforzi intrapresi con Kailash per impiantarvi un orticello sperimentale, in cui accertare quanto vi potessero attecchire vegetali non indigeni quali la rucola, un cimento che mi aveva consentito soltanto di appurare tutta la vana bravura del mio amico anche come orticoltore, nel delimitare solchi ed interrare sementi, giacchè si sarebbe arreso, di li a poco , alla distanza dall’orto delle sue fonti idriche , e tutto sarebbe finito disseccato e appianato, cedendo all’incolto che vedevo ora crescere rigoglioso intorno, nel canto dove anche quegli impegni ed intenti erano finiti nel nulla.
Altre donne avremmo visto popolare le vie dirette alle fonti o provenendo da esse, prima che il percorso stradale oltre la bucolicità circostante approdasse all aridume di Chandnagar de alla sua arteria principale. Uno stradone scrostato d’asfalto e in via di un sempiterno rifacimento, da cui ventiquattro ore su ventiquattro la popolazione che viveva ai suoi margini veniva stremata dalla polvere, indisperdibile, che vi sollevavano soprattutto i camion ed autobus del traffico pesante che vi rallentava il suo corso.
Svoltavamo in direzione di Panna seguitando di poco, ed eravamo già alla locanda che ci eravamo prefissi, fronteggiata da una serie di camion i cui conducenti vi facevano sosta.
“ Ci vuole molto a fare meglio di cosi?” chiedevo a Mohammad illustrandogli la vista della dhaba, “ delle vasche d’acqua per la doccia e il lavaggio dei camion, charpai sparsi nei pressi, e sotto una tettoia, dove i viaggiatori possano riposare, una cucina che serve poco più di un paio di pietanze…”
Dall’antro fuligginoso e fumoso in cui ribollivano pentole sulle fornaci ardenti , a dire il vero ci inoltravano cibi sostanziosi per davvero ad un buon prezzo, il dhali di Ajay e Mohammad e la mia stiacciata di melanzane, che avevo riordinato avendola trovata di mio gusto anche l ultima volta che vi avevo sostato, con Kailash e tutti quanti i nostri bambini.
Ora, ritrovarmici, significava concretizzare a Mohammad e ad Ajay un altro progetto possibile per il loro futuro, riesumando al contempo un altro disegno caduto nel vuoto con Kailash, annerito nei miei ricordi dalle circostanze della morte di Sumit..
La dabha ulteriore ch’era all altro capo del villaggio, ora aperta, ora chiusa, era il posto dove un sabato pomeriggio di novembre Kailash aveva trascorso il penultimo giorno di vita del bambino, e in cui eravamo stati di ritorno quando l ho raggiunto per le festività natalizie, poco più di un mese dopo la morte di Sumit, cercando invano di riavviare le nostre esistenze con la ripresa di quel progetto, per la cui attuazione prima della tragedia Kailash avevo speso mesi e mesi nella sua desolazione, facendo ritorno alla dabha di giorno e di notte, per accertare di persona quanti effettivamente ne facessero un luogo di sosta.
Si sarebbero fatte poi più numerose le mandrie di bufali di rientro dai pascoli, in cui ci saremmo imbattuti,sul far della sera, lungo la via del ritorno a Bhyatal, giunti alla cui altezza i due ragazzi li facevo svoltare nella stradicciola che recava al negozio di kailash, prima che alla stalletta adiacente delle nostre bufale.
All’esterno, in cui erano sbiaditi nella calcinatura bianca i disegni che vi avevo fatto realizzare da Ashesh, il figlio talentuoso della sorella di Kailash, mi appariva quanto mai anonima quella bottega, che faticavo ancora a ritenere mia, benché fosse stata costruita solo a mie spese.
Intorno, e davanti , vi trovavo accampati il padre di Kailash ed altri uomini e giovani del villaggio che salutavo indistintamente, e mentre poggiavamo accanto alle sue pareti le nostre biciclette, lasciavo intendere che preferivo vedere i bufalini,- i miei bufalini, dovevo ripetere a me stesso-, prima di addentrarmi nel negozio ed accertarne lo stato.
Legati ai muri esterni alla stalla, con accanto dell erbaggio, v’erano la madre ed il piccolo Lalosha, mentre della bufalina che era l’ultimogenita ci veniva detto che stava rientrando dai campi.
Non ci attentavamo più di tanto ad avvicinarci alla bufala madre, sapendo che accetta di essere accudita solo dal padre di Kailash, per intrattenerci piuttosto con l’abbordabilissimo bufalino poco distante. Ricordavo a Mohammad, nell illustrargli tali ulteriori risorse di Kailash, a nostra disposizione, che avevamo perduto per una caduta accidentale la bufalina secondogenita, la cui morte, due inverni or sono, come Kailash l’aveva appresa dopo che gli era stata taciuta per giorni, per non alterarne una mente già tremendamente alterata, l’aveva precipitato nel pianto ai piedi dei figli nel loro grande lettone.
L’acquisto della bufala madre era stato il nostro primo riappiglio economico dopo la morte di Sumit, solo che anch’esso, come poi il negozio, sarebbe divenuto attività e provento del padre di Kailash, colui stesso che gli aveva ispirato l’intrapresa di tale allevamento e commercio
Sopraggiungeva la bufalina incantevole, accomodandosi presso la mangiatoia che le era riservata, mentre intorno si faceva sempre più irriguardosa e invasiva la gente del posto.
L’ora era già tarda, e sollecitavo l apertura del negozio, per rivederne l interno almeno una volta, durante l’intero corso di tale mia permanenza in India.
Il riavvolgersi della saracinesca mi riesumava dolente, come il suo cigolio, la crisi atroce che avevo provocato in Kailash quando vi era stata infissa, nel ritrovarmi a dovervi provvedere quando si era già alla fine di luglio, ed in India non avevo potuto intraprendere ancora alcun viaggio, perché Kailash aveva differito al mio rientro sul suolo indiano la maggior parte dei lavori intrapresi per l’edificazione del negozietto.
Mi ero allora avviato furente a fare rientro a piedi in Khajuraho, per ravvedermene solo all altezza della casa della nonna del mio amico, e ritornando sui miei passi ritrovarlo sconvolto in lacrime su di una sedia, con intorno tutti gli astanti, per evitare che facesse un gesto inconsulto.
“ E’ quasi vuoto, rileva deluso Mohammad, che non poteva convenire su quanto fosse graziosi nei suoi ripiani incassati nei muri, nel suo bancone fregiato di una piastrellatura di immagini hindu, nella finestratura che vi diffondeva aerazione e luce discreta.
“ Sentissi quant’è caro al mio cuore”, gli sospiravo, mentre un’ ondata di care memorie vi riaffluiva struggente.” Non ho accettato che Kailash l edificasse a mie spese perché mi aspettassi qualche guadagno, sapevo che avevo solo da perderci, dato che i dalit , che vi sono il maggior numero di clienti, possono pagarti solo in sementi. Ma era un’attività utile per la mente di Kailash, perché mattone su mattone, il lavoro spezzava nella sua mente il dolore della morte di Sumit”
Solo dopo il mio rientro in Italia, Mohamad mi avrebbe confidato che cosa vociferassero quelle persone irridenti che mi si aggiravano intorno, rivolgendosi al padre di Kailash.
“ Ora che ti sei mangiato tutto quello avresti dovuto vendere, lo straniero è venuto a prenderti per metterti in galera”
Già imbruniva intanto l’aria, ma non volevo lasciare Byathal senza avere rimesso piede nella casa paterna di Kailash.
Assolutamente in ordine e pulita, la ritrovavo altresì scialbata e luminosa, ove la prima volta che l’avevo visitata mi era apparsa fuligginosa e ottenebrata, e grazie alle mie cognizioni acquisite negli archivi dell’ Intach di Delhi, in essa potevo ora mostrare a Mohammad, mentre Ajay seguitava a defilarsi come una comparsa della nostra avventura , quanto fosse tipicamente una casa del Bundelkand, all’entrata con un ripostiglio laterale, incrementato da un mezzanino o machiyara, che immetteva nell’aangan, o cortile interno, assettato in un angolo per la cottura, o chulha, nel ginochi dove avveniva il lavaggio di panni e stoviglie, con al proprio centro l’altare su di un pilastro delle divinità hindu fragrante di tulsi, non senza l’angolino apposito per le pisciatine, in precedenza delle camere interne con le lettiere dei charpai, e ancora una reticella sospesa, per tenervi i cibi da sottrarre alle grinfie dei gatti.
Mi restava negli occhi l’immagine di Vimala bahu che si accucciava allora negli angoli di quel cortile ,come una cagna domestica, sottoposta alle ordinanze assolute della sash sua suocera e del padre di Kailash
Ma prima di congedarmi da ambo i genitori di Kailash, ho voluto dare anche solo un’occhiata esterna alla cameretta sovrastante, ora chiusa, dove per un decennio era rimasta confinata la vita coniugale di Kailash e Vimala, sfiorando con la mano le pareti di confine, da cui si erano sopraelevate i primi tempi schiere di bambini, a scrutarmi in ogni mio fare incuriositi.
Superata la sua mole , nello splendore pomeridiano aveva inizio il nostro vero tragitto, tra i casolari di genti adivasi e i campi predisposti per la semina propiziata dall’inizio della stagione monsonica, mentre contro i rilievi montani, il fondo dei campi, le piante dispiegavano il fulgore del loro fogliame.
Il rifacimento in corso del manto stradale ce lo consegnava nell’interminabilità di tutto il suo dissesto, che si faceva più avanti ciotolio e pietrisco tormentosamente sconnesso, nell imminenza di Kundarpurah e dei suoi maleodoranti pollai, inerpicandosi scosceso tra le sue case .
All uscita dal villaggio ci attendeva la nostra prima meta , la scuola di Ghita, come ne chiedevo a dei ragazzi del posto, ossia della Devidine association che l’amica presiede, per inoltrarci nella quale bastava raggiungerne il campo antistante e scostare il filo di ferro che cingeva un paletto. Tre aule soltanto la costituivano, ma meravigliosamente ariose e soffuse di luce.
L’edificio, in attesa di aggiunte, d’intesa tra costruttori e committenti, com è proprio del procedere della prassi edilizia indiana più tipica, era stato realizzato in uno stile vernacolare, ed al nostro aggirarcisi appariva solido pur senza pesantezze murarie, nella disposizione delle sale precedute da una veranda, che erano state ultimate rivestendo di malta e sterco e di luccicante paglia gli ammattonati, dotando le trabeazioni di tralicci di bambu, ornamentando di motivi tribali gli stipiti delle porte e il fondale della prima sala.
Terminata la visita nell impazienza fattasi distratta di Ajay e Mohammad, una volta rifocillatici potevamo procedere oltre, ma verso dove, prima di tutto, mi chiedevano i due ragazzi, che avevano fatto devota professione di volermi accompagnare in quell ultimo nostro viaggio prima del mio rientro in Italia, e che per questo quel pomeriggio avevano ottenuto da me da Kailash di essere dispensati dall andare a scuola, ma eravamo in cammino già più da unìora e per essi ogni occasione era parsa buona per intrattenersi tra loro, isolandomi in testa o nelle retrovie del nostro gruppuscolo.
Avrebbe preceduto l’arrivo in Byanthal la sosta per rivedere, e mostrare una prima volta a Mohammad , i campi che Kailash dovrebbe ricevere in eredità dal padre, per considerare come in comune avremmo potuto utilizzarli,una volta che la strada da cui pervenivamo fosse stata sistemata, la visita della casipola della sua bisnonna materna, ma l’appetito famelico e l’assenza di bibite o di vivande reperibili in Byathal, per l’intermittenza dell’erogazione inei suoi insediamenti dell energia elettrica, dettavano ai due ragazzi la richiesta che prima di addentrarci nel villaggio ci recassimo in quello poco oltre di Chandnagar, lungo la via che da Chhatarpur reca a Panna, dove qualche centinaio di metri più avanti avrebbe potuto accoglierci la locanda di una dabha.
Quando dalla via sterrata che si era fatta confortevolmente piana, lasciando la vista a distanza dei monti Lavania, ci immettevamo sulla strada asfaltata che ci avrebbe recato a destinazione, al contempo la vista si slargava magnificamente sulla convalle ed i colli che ci fronteggiavano in direzione opposta di quelli precedenti, dove potevamo scorgere sulle prime pendici il Rajgarh Palace in stile Bundela. Su quelle alture sorgeva un tempo il Manyagarh fort, l insediamento originario della potenza dei sovrani Chandella, di cui era Khajuraho la capitale religiosa.
Ancora un chilometro, o poco più, ed Ajay poteva indicarci dove dovevamo lasciare presso il manto stradale le nostre biciclette per addentrarci a piedi tra i campi arati fino a quelli del padre, distanti poco più di un centinaio di metri.
Il terreno che venivamo così perlustrando era dei due appezzamenti quello dislocato in una posizione più favorevole, su due lati era già recintato da una “barh” di alberi e cespugli, come quello cui ci siamo inoltrati solo in seguito, del resto, situato oltre il campo dello zio sadhu di Kailash, ma l’assenza di emergenze rocciose del fondo lavico del Deccan, a differenza che nel secondo, lasciava supporre che non fosse difficile reperirvi l’acqua con lo scavo di un pozzo. Le dimensioni del campo avevano lasciate deluse le aspettative di Mohammad, che era stato in grado di valutare all istante quale ne fosse il valore di mercato, , non più di 13-15 laks, situandosi esso al di là delle immediate vicinanze di Khajuraho ma come gli additavo sommariamente, c’era pur sempre terreno abbastanza per insediarvi i nostri progetti, una dimora in cui soggiornare per il coltivo dei campi, ove Ayay e Porti, o Chandu, divenuti grandi avrebbero potuto fare ritorno per le loro vacanze dalle città dell’India in cui lavorassero e vivessero, ed in cui sarebbe stato possibile alloggiare i visitatori che volessero soggiornarvi qualche giorno per fare esperienza della vita dei campi in un villaggio indiano rurale, di fianco una stalletta per i nostri bufali più piccoli, retrostante il giardino di un piccolo baghitsa di piante quali guava, mango, papaia, limoncelli, rimanendo ancora un’area spaziosa in cui coltivare anche solo grano e colza d’inverno, e lenticchie e sesamo d’estate, come vogliono le prassi e le scelte agricole invalse nel territorio, ma secondo i criteri compositi dell agricoltura organica e di quella indiana della tradizione locale. E il territorio circostante non si prospettav quanto di più magnifico, per ritemprarsi della vita campestre?
Ma nel riavviarci in bicicletta, non riuscivo a trattenere a parole un moto di sconforto, per come e quanto Kailash avesse pianto miseria e seguiti a disperarsi di sé e dei figli, senza mai essersi curato né volersi prendere cura dei suoi campi, che aveva lasciato all’ esercizio ed al profitto del padre, preferendo piuttosto, nel corso di una stagione primaverile, a mie spese prenderne uno in affitto senza trarne proventi., essendo carente anch’esso di un proprio approvvigionamento idrico, e richiedendo per più mesi un sorvegliante notturno.
La casetta di malta cinta di rampicanti della bisnonna di Kailash , cui ci fermavamo di li a poco per una breve sosta che allietava l’avola, era una delle prime delle tante residue del villaggio natale incantevole di Kailash, prima che lo precedessero uno splendido talab dove si ristoravano bufali, stazionavano barche, ai gradini dei cui gath le donne si recavano velate a raccogliere acqua in anfore e vasi.
Il breve spazio verde antistante la casa, mi ricordava a sua volta gli sforzi intrapresi con Kailash per impiantarvi un orticello sperimentale, in cui accertare quanto vi potessero attecchire vegetali non indigeni quali la rucola, un cimento che mi aveva consentito soltanto di appurare tutta la vana bravura del mio amico anche come orticoltore, nel delimitare solchi ed interrare sementi, giacchè si sarebbe arreso, di li a poco , alla distanza dall’orto delle sue fonti idriche , e tutto sarebbe finito disseccato e appianato, cedendo all’incolto che vedevo ora crescere rigoglioso intorno, nel canto dove anche quegli impegni ed intenti erano finiti nel nulla.
Altre donne avremmo visto popolare le vie dirette alle fonti o provenendo da esse, prima che il percorso stradale oltre la bucolicità circostante approdasse all aridume di Chandnagar de alla sua arteria principale. Uno stradone scrostato d’asfalto e in via di un sempiterno rifacimento, da cui ventiquattro ore su ventiquattro la popolazione che viveva ai suoi margini veniva stremata dalla polvere, indisperdibile, che vi sollevavano soprattutto i camion ed autobus del traffico pesante che vi rallentava il suo corso.
Svoltavamo in direzione di Panna seguitando di poco, ed eravamo già alla locanda che ci eravamo prefissi, fronteggiata da una serie di camion i cui conducenti vi facevano sosta.
“ Ci vuole molto a fare meglio di cosi?” chiedevo a Mohammad illustrandogli la vista della dhaba, “ delle vasche d’acqua per la doccia e il lavaggio dei camion, charpai sparsi nei pressi, e sotto una tettoia, dove i viaggiatori possano riposare, una cucina che serve poco più di un paio di pietanze…”
Dall’antro fuligginoso e fumoso in cui ribollivano pentole sulle fornaci ardenti , a dire il vero ci inoltravano cibi sostanziosi per davvero ad un buon prezzo, il dhali di Ajay e Mohammad e la mia stiacciata di melanzane, che avevo riordinato avendola trovata di mio gusto anche l ultima volta che vi avevo sostato, con Kailash e tutti quanti i nostri bambini.
Ora, ritrovarmici, significava concretizzare a Mohammad e ad Ajay un altro progetto possibile per il loro futuro, riesumando al contempo un altro disegno caduto nel vuoto con Kailash, annerito nei miei ricordi dalle circostanze della morte di Sumit..
La dabha ulteriore ch’era all altro capo del villaggio, ora aperta, ora chiusa, era il posto dove un sabato pomeriggio di novembre Kailash aveva trascorso il penultimo giorno di vita del bambino, e in cui eravamo stati di ritorno quando l ho raggiunto per le festività natalizie, poco più di un mese dopo la morte di Sumit, cercando invano di riavviare le nostre esistenze con la ripresa di quel progetto, per la cui attuazione prima della tragedia Kailash avevo speso mesi e mesi nella sua desolazione, facendo ritorno alla dabha di giorno e di notte, per accertare di persona quanti effettivamente ne facessero un luogo di sosta.
Si sarebbero fatte poi più numerose le mandrie di bufali di rientro dai pascoli, in cui ci saremmo imbattuti,sul far della sera, lungo la via del ritorno a Bhyatal, giunti alla cui altezza i due ragazzi li facevo svoltare nella stradicciola che recava al negozio di kailash, prima che alla stalletta adiacente delle nostre bufale.
All’esterno, in cui erano sbiaditi nella calcinatura bianca i disegni che vi avevo fatto realizzare da Ashesh, il figlio talentuoso della sorella di Kailash, mi appariva quanto mai anonima quella bottega, che faticavo ancora a ritenere mia, benché fosse stata costruita solo a mie spese.
Intorno, e davanti , vi trovavo accampati il padre di Kailash ed altri uomini e giovani del villaggio che salutavo indistintamente, e mentre poggiavamo accanto alle sue pareti le nostre biciclette, lasciavo intendere che preferivo vedere i bufalini,- i miei bufalini, dovevo ripetere a me stesso-, prima di addentrarmi nel negozio ed accertarne lo stato.
Legati ai muri esterni alla stalla, con accanto dell erbaggio, v’erano la madre ed il piccolo Lalosha, mentre della bufalina che era l’ultimogenita ci veniva detto che stava rientrando dai campi.
Non ci attentavamo più di tanto ad avvicinarci alla bufala madre, sapendo che accetta di essere accudita solo dal padre di Kailash, per intrattenerci piuttosto con l’abbordabilissimo bufalino poco distante. Ricordavo a Mohammad, nell illustrargli tali ulteriori risorse di Kailash, a nostra disposizione, che avevamo perduto per una caduta accidentale la bufalina secondogenita, la cui morte, due inverni or sono, come Kailash l’aveva appresa dopo che gli era stata taciuta per giorni, per non alterarne una mente già tremendamente alterata, l’aveva precipitato nel pianto ai piedi dei figli nel loro grande lettone.
L’acquisto della bufala madre era stato il nostro primo riappiglio economico dopo la morte di Sumit, solo che anch’esso, come poi il negozio, sarebbe divenuto attività e provento del padre di Kailash, colui stesso che gli aveva ispirato l’intrapresa di tale allevamento e commercio
Sopraggiungeva la bufalina incantevole, accomodandosi presso la mangiatoia che le era riservata, mentre intorno si faceva sempre più irriguardosa e invasiva la gente del posto.
L’ora era già tarda, e sollecitavo l apertura del negozio, per rivederne l interno almeno una volta, durante l’intero corso di tale mia permanenza in India.
Il riavvolgersi della saracinesca mi riesumava dolente, come il suo cigolio, la crisi atroce che avevo provocato in Kailash quando vi era stata infissa, nel ritrovarmi a dovervi provvedere quando si era già alla fine di luglio, ed in India non avevo potuto intraprendere ancora alcun viaggio, perché Kailash aveva differito al mio rientro sul suolo indiano la maggior parte dei lavori intrapresi per l’edificazione del negozietto.
Mi ero allora avviato furente a fare rientro a piedi in Khajuraho, per ravvedermene solo all altezza della casa della nonna del mio amico, e ritornando sui miei passi ritrovarlo sconvolto in lacrime su di una sedia, con intorno tutti gli astanti, per evitare che facesse un gesto inconsulto.
“ E’ quasi vuoto, rileva deluso Mohammad, che non poteva convenire su quanto fosse graziosi nei suoi ripiani incassati nei muri, nel suo bancone fregiato di una piastrellatura di immagini hindu, nella finestratura che vi diffondeva aerazione e luce discreta.
“ Sentissi quant’è caro al mio cuore”, gli sospiravo, mentre un’ ondata di care memorie vi riaffluiva struggente.” Non ho accettato che Kailash l edificasse a mie spese perché mi aspettassi qualche guadagno, sapevo che avevo solo da perderci, dato che i dalit , che vi sono il maggior numero di clienti, possono pagarti solo in sementi. Ma era un’attività utile per la mente di Kailash, perché mattone su mattone, il lavoro spezzava nella sua mente il dolore della morte di Sumit”
Solo dopo il mio rientro in Italia, Mohamad mi avrebbe confidato che cosa vociferassero quelle persone irridenti che mi si aggiravano intorno, rivolgendosi al padre di Kailash.
“ Ora che ti sei mangiato tutto quello avresti dovuto vendere, lo straniero è venuto a prenderti per metterti in galera”
Già imbruniva intanto l’aria, ma non volevo lasciare Byathal senza avere rimesso piede nella casa paterna di Kailash.
Assolutamente in ordine e pulita, la ritrovavo altresì scialbata e luminosa, ove la prima volta che l’avevo visitata mi era apparsa fuligginosa e ottenebrata, e grazie alle mie cognizioni acquisite negli archivi dell’ Intach di Delhi, in essa potevo ora mostrare a Mohammad, mentre Ajay seguitava a defilarsi come una comparsa della nostra avventura , quanto fosse tipicamente una casa del Bundelkand, all’entrata con un ripostiglio laterale, incrementato da un mezzanino o machiyara, che immetteva nell’aangan, o cortile interno, assettato in un angolo per la cottura, o chulha, nel ginochi dove avveniva il lavaggio di panni e stoviglie, con al proprio centro l’altare su di un pilastro delle divinità hindu fragrante di tulsi, non senza l’angolino apposito per le pisciatine, in precedenza delle camere interne con le lettiere dei charpai, e ancora una reticella sospesa, per tenervi i cibi da sottrarre alle grinfie dei gatti.
Mi restava negli occhi l’immagine di Vimala bahu che si accucciava allora negli angoli di quel cortile ,come una cagna domestica, sottoposta alle ordinanze assolute della sash sua suocera e del padre di Kailash
Ma prima di congedarmi da ambo i genitori di Kailash, ho voluto dare anche solo un’occhiata esterna alla cameretta sovrastante, ora chiusa, dove per un decennio era rimasta confinata la vita coniugale di Kailash e Vimala, sfiorando con la mano le pareti di confine, da cui si erano sopraelevate i primi tempi schiere di bambini, a scrutarmi in ogni mio fare incuriositi.
Poi il rientro per il percorso più breve fino a Kundarpurah, una scelta che si rivelava disastrosa, per le tante buche e le pozze d’acqua di una pioggia recente, che ne costellavano un fondo stradale che il calare della sera aveva sottratto alla vista. Il buio intorno intanto incuteva a Mohammad il timore di presenze intorno di spiriti e demoni. “ Che cosa posso farci se ho paura dei pretas? Ma con te mi sento al sicuro…””
Per nostra fortuna poteva rischiararci il fondo stradale il cellulare di Mohammad, per deboli che ne fossero le batterie, mentr’io mi profondevo in scuse con entrambi i ragazzi, per la mia stoltezza d’avere ricusato la torcia elettrica che Kailash aveva inteso allungarmi, per quanto avessi ritardato la partenza e differito il rientro
“ E’ l’avventura Mohammad. Che desideriamo cosi tanto vivere fino a quando non ci capita”
Ma non era forse bello, pur se con il cuore in gola, procedere tra i campi sotto il cielo stellato, mentre tra le siepi e gli alberi comparivano sempre più numerose le lucciole, gli scintillii dei luminosi giugnu?
Giunti a Kundarpurah iniziavamo a procedere a piedi nell oscurità incombente, Kailash l’avevo già contattato più volte al telefono, respingendo la sua proposta di venirci incontro in tuk tuk, era quella una strada dove era impossibile avventurarsi con un autorickshaw senza scassarlo..
Anche qualche centinaio di metri, illuminati dalla lucina intermittente del cellulare di Ajay, finchè non mi veniva in mente la giusta trovata. Kailash poteva raggiungerci con un amico in motocicletta, facendoci luce con il suo fanale fino al termine del percorso sconnesso.
E ci rimettevamo così in strada, ora in bicicletta ora smontandone a piedi, finché non sopraggiungeva un guaio ulteriore: a Mohammad si disfaceva un sandalo, sicché per lui subentrava il tormento di procedere scalzo a piedi, od usando di fatto un solo pedale della sua bicicletta .
“ All is tik-è” tutto procedeva per il meglio secondo le sue parole, mentre tutt’altro lasciavano intendere il suo tono di voce e i suoi accenti sconfortati.
“ Ayaj, is it possibile, è mai possibile, che in questa situazione tutto proceda per Mohammad come egli vuol farci credere?”
“ No! “ diceva una volta tanto con risoluzione Ajay, al che li obbligavo di fermarci, anche se eravamo ancora al di qua dallo svoltare i crinali dei monticelli Lavania
Eravamo così fermi a quel mio ordine presso un cumulo di ghiaia, per ripensare insieme la situazione in corso, quando “ è Kailash”, sentivo levarsi il grido di sollievo di Mohammad, al sopraggiungere di Kailash sul sellino posteriore di una motocicletta guidata da un suo amico.
Faticavo a comprendere, prima di adeguarmici , la soluzione ideale concepita all’istante da Kailash, di cui sarei stato poi quanto mai contento: il suo amico avrebbe prestato i suoi sandali a Mohammad, questi avrebbe inforcato la mia bicicletta, Ajay quella di Mohammad, Kailash l’ulteriore da donna del figlio, che gli risultava più agevole, io a mia volta sarei salito di dietro in sella sulla motocicletta, viste le mie difficoltà a vederci di notte, ed il suo pilota avrebbe illuminato il percorso a Mohammad, Kailash ed Ajay, sino a che non avessero raggiunto il fondo asfalto all’altezza del tempio Chaturbuja.
L’immagine dei due ragazzi e di Kailash, che d’intesa si spartivano i percorsi lungo il sentiero, come si profilassero alla luce del fanale, incalzati senza concedersi una sola tregua dal motociclista, sarebbe ritornata ed ancora ritorna agli occhi del cuore, come un acme della mia felicità che alla mia partenza dall India avrebbero oscurato gli eventi seguenti, inimicandone le anime care di un’ostilità sordida , che ho disperato si fosse radicata in loro insanabile .
Per nostra fortuna poteva rischiararci il fondo stradale il cellulare di Mohammad, per deboli che ne fossero le batterie, mentr’io mi profondevo in scuse con entrambi i ragazzi, per la mia stoltezza d’avere ricusato la torcia elettrica che Kailash aveva inteso allungarmi, per quanto avessi ritardato la partenza e differito il rientro
“ E’ l’avventura Mohammad. Che desideriamo cosi tanto vivere fino a quando non ci capita”
Ma non era forse bello, pur se con il cuore in gola, procedere tra i campi sotto il cielo stellato, mentre tra le siepi e gli alberi comparivano sempre più numerose le lucciole, gli scintillii dei luminosi giugnu?
Giunti a Kundarpurah iniziavamo a procedere a piedi nell oscurità incombente, Kailash l’avevo già contattato più volte al telefono, respingendo la sua proposta di venirci incontro in tuk tuk, era quella una strada dove era impossibile avventurarsi con un autorickshaw senza scassarlo..
Anche qualche centinaio di metri, illuminati dalla lucina intermittente del cellulare di Ajay, finchè non mi veniva in mente la giusta trovata. Kailash poteva raggiungerci con un amico in motocicletta, facendoci luce con il suo fanale fino al termine del percorso sconnesso.
E ci rimettevamo così in strada, ora in bicicletta ora smontandone a piedi, finché non sopraggiungeva un guaio ulteriore: a Mohammad si disfaceva un sandalo, sicché per lui subentrava il tormento di procedere scalzo a piedi, od usando di fatto un solo pedale della sua bicicletta .
“ All is tik-è” tutto procedeva per il meglio secondo le sue parole, mentre tutt’altro lasciavano intendere il suo tono di voce e i suoi accenti sconfortati.
“ Ayaj, is it possibile, è mai possibile, che in questa situazione tutto proceda per Mohammad come egli vuol farci credere?”
“ No! “ diceva una volta tanto con risoluzione Ajay, al che li obbligavo di fermarci, anche se eravamo ancora al di qua dallo svoltare i crinali dei monticelli Lavania
Eravamo così fermi a quel mio ordine presso un cumulo di ghiaia, per ripensare insieme la situazione in corso, quando “ è Kailash”, sentivo levarsi il grido di sollievo di Mohammad, al sopraggiungere di Kailash sul sellino posteriore di una motocicletta guidata da un suo amico.
Faticavo a comprendere, prima di adeguarmici , la soluzione ideale concepita all’istante da Kailash, di cui sarei stato poi quanto mai contento: il suo amico avrebbe prestato i suoi sandali a Mohammad, questi avrebbe inforcato la mia bicicletta, Ajay quella di Mohammad, Kailash l’ulteriore da donna del figlio, che gli risultava più agevole, io a mia volta sarei salito di dietro in sella sulla motocicletta, viste le mie difficoltà a vederci di notte, ed il suo pilota avrebbe illuminato il percorso a Mohammad, Kailash ed Ajay, sino a che non avessero raggiunto il fondo asfalto all’altezza del tempio Chaturbuja.
L’immagine dei due ragazzi e di Kailash, che d’intesa si spartivano i percorsi lungo il sentiero, come si profilassero alla luce del fanale, incalzati senza concedersi una sola tregua dal motociclista, sarebbe ritornata ed ancora ritorna agli occhi del cuore, come un acme della mia felicità che alla mia partenza dall India avrebbero oscurato gli eventi seguenti, inimicandone le anime care di un’ostilità sordida , che ho disperato si fosse radicata in loro insanabile .
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