Cronache indiane. In Damoh, Notha, Katni, Rewa
1-2
Solo verso sera giungevo infine a Damoh, per cui ero partito da Chhatarpur
alle due pomeridiane, dopo oltre cinque ore stancanti
di viaggio in autobus , durante i quali la monotonia rurale del territorio
che si traversava era stata alleviata solo dall’amenità intermedia di ondulati declivi
e dei loro divallamenti. Come in Shivpuri, mi ci ritrovavo nel oscurità di una non città
apparente, dove il seguito di officine intorno all'autostazione sembrava non mettere capo che al loro seguito fino alla fine
dell'agglomerato, non fosse stato per un ristorante all'angolo, al cui usciere e ad un cassiere chiedevo dell'
hotel cui ero avviato. Era poco distante, sull’altro lato della via, ed in esso, di proprietà di un jain,
avrei trovato un’ospitalità compita e inappuntabile: una camera immacolata e
in uno stile suo proprio, differente nelle sue astrazioni moderniste da ogni
altra dell'albergo, un doccia con acqua calda ad ogni ora del giorno, il pavimento del
bagno in opaca pietra rugosa che mi rassicurava quanto a slittamenti e
scivoloni possibili. L indomani l’addetto alla reception stesso mi fermava l' autobus per Notha, che passava proprio lì di fronte, al di la del cui abitato scendevo all altezza del tempio, che risaliva
alla dinastia Kalachuri
quanto all'epoca della sua edificazione, se non
nei vari aspetti dello stile. Ravvisavo ed eludevo il custode della volta precedente, Sonil dall indimenticabile
volto esuberante, per addentrarmi nella rivisitazione del tempio e non
mancarne, come la volta precedente, per i difetti della macchina fotografica la
riproduzione particolareggiata in immagini. Ancora una volta il tempio mi irretiva nelle armonie di forme e proporzioni che vi
intrattenevano, mediati dal vestibolo, il santuario del tempio e la sala del
mandapa antecedente.Tale vano era preceduto da un porticato, forse
posteriore, che pur tuttavia non vi interferiva
quanto un intruso, a differenza del sikhara
raffazzonato con i giacimenti superstiti di quello originario. Arioso e
luminoso il rangamandapa, i bancali esterni dei cui
kaksasana sovrastavano delle nicchie dove erano insediate
divinità femminili.
Lungo le pareti esterne del santuario
del garbagriha esse avrebbero
trovato un seguito nelle apsaras delle proiezioni
intermedie del tempio pancharatha, intervallate
come nei templi di Khajuraho da vyalas
nei recessi, i dikpalas, di difficile
identificazione, comparendomi forse fuori ordine nelle
proiezioni cardinali angolari, mentre furoreggiava Chamunda tra pretas assetati di sangue, sulla kapili
esterna corrispettiva all'anticamera e volta a
mezzogiorno, essendo il tempio inusualmente
orientato ad occidente.
La sua frenesia devastante era come
una risonanza di quella di Shiva nel
badhra centrale, che secondo l
ispirazione del tempio a lui dedicato, aveva un pendant a tale suo campeggiare
nel manifestarsi invece
come Shiva Vinadhara,
ossia quale suonatore di vina, nel badhra
opposto, settentrionale, e quale Shiva Andakantaka, fiero uccisore del demone Andaka,
in quella posteriore, dove nella sua dinamica sincretistica
integratrice lo sovrastava l’immagine del dio Surya,
di cui è quanto mai canonico tale retrostare , / è canonica
tale posizione retrostante, volta/ volto al sorgere o al calare della sua solarità.divina.
Che il purana
mandir sia ancora un
tempio vivente, me lo avvalorava una coppia che sopraggiungeva al termine
della mia visita, per una puja presso uno dei due
sacrari guarniti degli spiedi di trisul di Shiva
e calzari chiodati, che erano situati nel parco del tempio.
Sonil mi seguitava discreto a rispettosa
distanza, cui mi ostinavo a tenerlo rigidamente, senza mancare
egli di chiedermi se volessi del the, che accettavo solo una volta che avevo
terminata la visita, senza rammemorargli che già ci
eravamo visti ed incontrati. Gli chiedevo invece delle
località circostanti in cui si trovassero dei monumenti e che fossi ancora in
tempo a/ per visitarli, dato che il pomeriggio era ancora al suo culmine, e
non intendevo trascorrerne il seguito solo per risalirne in Notha alle vestigia sparse per case, e muriccioli di
cinta, o in altri luoghi di culto, degli otto templi ulteriori che vi
sorgevano un tempo.
Con fervore partecipe mi diceva di Bandakpur, e dei suoi cinque antichi templi, hindu, di Kundarpur e del suo
tempio jain, cui già si era riferito l’addetto alla
réception dell’hotel, nell'indicarmi quali fossero
a suo giudizio dei luoghi significativi da visitare, ma Sonil me ne parlava senza che le sue parole, o il loro tono, si
esaltassero come gli succedeva nel parlarmi di Khodha,
o Khoral, stando ai modi in cui mi avrebbe insegnato
che si pronunciava il nome della località in cui erano i resti dell'altro tempio Khalachuri
ch'è presente nel distretto di Damoh. Krishna Deva non aveva
mancato di menzionarlo e di descriverlo sia pur sommariamente nel suo Temples
of India, di cui avevo al seguito le fotocopie delle pagine del capitolo in
merito: in esse, quella stessa mattina, il
paragrafo che riguarda tale tempio aveva sollecitato il mio più vivo
interesse, anche perché con il suo concorso Nohta non
restava una meta isolata, ma veniva rientrando in un itinerario proponibile
ai miei happy few.
Era in pietra, non in cemento, come il
notorio tempio Jain di Kundarpur,
si accalorava Sonil, e quanto ne restava del sikhara ne assicurava
un’elevazione che le sue parole negavano ai tempietti di Barankpur,
di antica pietra anch’essi, ma non altrettanto belli.
Mi accennava altresì a una qila, che i giorni
seguenti avrei imparato essere quella di Singrampur,
ma le sue parole la profilavano ancora quanto mai distante, mentre invece per
raggiungere Khoral sembrava proprio che bastasse
retrocedere fino al vicino villaggio di Abhana, e
di li intraprendere in autobus il percorso restante, per ancora una trentina,
una quarantina di chilometri facili e piani.
Lasciato Sonil,
dopo averlo rimesso in contatto telefonico con Kailash,
di cui ben si ricordava, ero di rientro di lì a poco in Notha,
dove anziché internarmici lungo la via che reca al
tempio di Ganesha e poi ad una confluenza tra due
fiumi, seguitavo a procedere lungo l arteria di
scorrimento del traffico tra Damoh e Jabalpur, elettrizzato dal mio vagheggiamento di tentare il
cimento di raggiungere Khoral e il suo tempio Kalachuri nel pomeriggio restante. Iniziavo a chiederne
prima all uno, poi
all’altro conducente di autorickshaw, con l
intermediazione al telefono di Kailash, quindi anche di un
gruppo di giovani e di ragazzi che si raccoglieva intorno agli automezzi.
C’era chi mostrava di saperne, collocando il villaggio oltre una certa Jaloni, a non più di quaranta cinque chilometri di
distanza, e si cominciava a profilare la richiesta di rupie per recarmici, un importo che mi sembrava troppo alto, ed il
corrispettivo inattendibile di una vaghezza di intenti degli autorichshaw-wallah, per cui rifiutavo l offerta per
raccogliere forze e idee presso il negozietto di cellulari del giovine che
sembrava, fra gli astanti, il più sensibile alla mia determinazione di
visitare il tempio di Khoral.
Ma sembrava proprio che non mi restasse
che prendere l autobus, secondo le sue parole.
Gli facevo presente, per quanto
riuscivo a farmi da lui intendere, che quand’anche in autobus fossi pervenuto a Khoral, data l
ora già avanzata era da escludersi che ci fossero poi ulteriori automezzi
che mi consentissero un mio possibile rientro in Damoh.
Era dalla stessa Damoh
che il giorno seguente avrei potuto ritentare l
impresa , ma mi sarebbe costato un giorno in più di permanenza in hotel, ed
era tutt’altro che scontato che di un piccolo
villaggio come Khoral qualcuno
all'autostazionene sapesse qualcosa,, mentre li, in Notha si erano dati
anche la pena di ricercare al cellulare il custode del tempio, per saperne di
più sulla sua localizzabilità.
Così restavo nell'impasse, finché il suo volto non si schiariva in
una proposta: ero disposto, per 500 rupie, ad andarci con lui in
motocicletta?
E come no? Mi aprivo alla sua proposta
come al sole un cielo rannuvolatosi: il tempo di attendere che chiudesse il suo negozio, e che di lì a qualche minuto fosse di ritorno in motocicletta con un adulto che era un suo amico
fidato, ed in direzione di Abhana eravamo già avviati verso Khoral.
2
Il sole sfolgorava i declivi d'intorno,
l'aprirsi di valli al passaggio del fiume, l'animazione del traffico lungo la via che
riconduceva a Damoh, lungo quella quindi per Jabalpur che si diparte da Abhana,
sulla sinistra, in un irradiarsi di luce ch'era espansione di gioia, quando
nell uscire da un villaggio la motocicletta passava troppo ravvicinata ad un
gruppo di ragazzi di rientro da una partita di cricket, ed una loro mazza
urtava duramente prima il mio ginocchio, poi quello dell'uomo seduto a me di dietro. Era costui a subire il colpo più violento,
inducendo il giovane conducente, dopo che si era lasciata la strada principale
per una via secondaria alla nostra destra, a sostare di lì a poco presso una
fontana al limitare di una scuola, perché attutisse il trauma
Io restavo muto in margine
all'incidente, né sollecitando a protrarsi oltre né a fare ritorno, ma per
ciò stesso atteggiandomi a che l intrapresa avesse
un seguito, almeno fin che umanamente fosse possibile.
E continuavamo il nostro tragitto,
mentre era bastato lasciare la via principale per quella strada che
s'inoltrava sinuosa tra i campi circostanti, perché ci fossimo come
addentrati in un’altra dimensione, ove la distesa dei coltivi di grano e di
colza si faceva un mare di verdi steli punteggiati del giallo dei fiori,
ravvicinatosi e lontanantesi sterminatamente, fino
a perdersi dove si profilavano i pendii e i declivi dei più lievi rilievi
collinari. E sparsi casolari e raccolti villaggi si
succedevano ai lati, mentre lungo il percorso schiere di giovinette e di
giovinetti procedevano di ritorno da scuola, al contempo in cui comparivano gruppi
di gente locale, di donne e ragazzi, avviati in qualche pellegrinaggio con
ceste multicolori appese ad un bastone dietro le spalle. ***
Ma per incantevole che fosse il
tragitto, occorreva arrivare al più presto a destinazione, solo che quando,
dopo oltre mezz'ora, chiedevamo di Khoral, ad una deviazione, e credevamo di essere oramai
non più che ad una decina di chilometri di distanza dal suo abitato, ci si diceva
che i chilometri restanti erano ancora invece ben trenta, che dopo un lungo tratto
ulteriore, dei pastori cui chiedevamo conto di quanta strada ci restasse
ancora da fare, ci disilludevano che fossero oramai meno di venti, al
che il giovane motociclista accelerava di più la sua corsa, già sostenuta, mentre il pomeriggio
già volgeva sui campi al tramonto, in una competizione con il tempo che si
faceva ancora più serrata, quando pervenuti ad un villaggio in cui si
incrociavano, pulverulente, le vie per Jabalpur, Damoh, Sagar, Narsinghapur, dopo che di strada ne era stata fatto un
altro bel po’, più attendibilmente ci si ripeteva che altri
L uomo che si era offerto di
accompagnarci intanto accusava al ginocchio un dolore che gli era
insostenibile,, e il giovane provvedeva a che almeno gli fosse di lenimento
del male una qualche pomata, che richiedeva all’addetto alla farmacia presso
la quale lo accomodava.
La strada che restava ancora da compiere era stata fortunatamente asfaltata da poco, e
si inoltrava scorrevole in una giungla continua, la cui boscaglia aveva termine solo al
nostro arrivo nel villaggio, di pochi casolari sparsi, che credevamo che finalmente fosse Koral.
La peregrinazione non era invece
ancora finita, ed il giovane alla guida della motocicletta,
serbandosi strenuamente fedele al compito che si era assunto di farmi
pervenire al tempio prima del calar del sole, doveva
seguitare per almeno un paio di chilometri lungo una pista di cui si
confondevano i tracciati e i solchi tra i campi , chiedere del purana mandir ad altri passanti
ed a coloro che si approssimavano nel sobborgo successivo,
prima di potere terminare la sua corsa depositandomi finalmente al cancello d’ingresso
al tempio ritrovato.
Era stato avventuroso o sventato
pervenirvi? Inumano o intrepidamente votato al compito che ci eravamo
assunti, lasciare che ogni pieno soccorso dell'accompagnatore fosse differito
solo a dopo che fossimo pervenuti in tempo a destinazione? L'impresa si era
forse rivelata tanto questo che
quello, era il caso di supporre, mentre mi si imponeva
comunque fosse che fotografassi in tempo i vari aspetti del tempio, per non
vanificare un’opera che era costata già tale dolore e tensione ai miei
accompagnatori.
La perdita del mandapa
aveva portato allo scoperto il portale d’accesso al santuario del tempio shivaita, e pancharatha,
rendendone grandiosa la fronte antistante, ove Uma Maheshvari e Siva
Nataraja apparivano al centro della trabeazione
superiore, tra le filiere laterali dei navagraha
planetari soggiacenti alle saptamatrikas, con Virabhadra e Ganesha ad
iniziarne e concludere le danze.
Recessi a scacchiera impreziosivano il
basamento inferiore ed il verandika , da cui si dipartiva un sikhara
Latina senza sue repliche frattali, che si era preservato solo in parte fino
al quinto piano, nei latas anteriori
meno rovinati. Dentro le nicchie centrali, ancora integre , tra Surasundari
e vyalas nei recessi inferiori e superiori,
figuravano a sud Shiva Nataraja
e ad oriente lo stesso dio quale uccisore del demone Andaka,
laddove solo la kapili meridionale dell’anticamera
interna preservava il proprio gruppo statuario, albergando in una nicchia Ganesha e Vighnesvari.
Ero tutto teso nei miei scatti
fotografici, quando il giovane motociclista mi raggiungeva per informarmi che
un’urgenza familiare era sopraggiunta, a seguito della quale senza di me, in
tutta fretta, avrebbe raggiunto Nohta insieme con l
uomo infortunatosi. Per il mio rientro in
albergo a Damoh mi avrebbe affidato al custode del tempio, che
a sua volta avrebbe provveduto a che un ragazzo locale mi facesse
giungere in motocicletta sino al vicino villaggio di Tendukedha,
da cui era ancora possibile prendere un pullman che mi riportasse a Damoh.
Il mio giovane conducente non mi lasciava il tempo
che di ringraziarlo insieme ad suo compagno
infortunatosi, e di
compensarlo furtivamente almeno di mille rupie, il doppio di quelle preventivate,
che coprivano solo i costi della benzina.
Ritornavo sui miei passi che era già scomparso nella sua cara presenza.
Sopraggiungeva allora un ragazzo, che
accendeva uno stelo aromatico di fronte a
un’immagine di Surya che sottostava a quella di Shiva Andanataka, laddove,
sempre nella parete retrostante, la sovrastava in quella di Notha: così attestandomi che anche il tempio di Khodhar non è solo un reperto monumentale, ma tutt’ora un tempio vivente, come mi sinceravano i lumi
interni al garbagriha.
Con il custode mi intrattenevo
solo il tempo di un’altra peregrinazione intorno
al tempio, di sorbirmi almeno un the in sua compagnia, prima di avviarmi in
motocicletta con il ragazzo da lui assicuratomi come conducente, e di
nuovo con un ulteriore passeggero retrostante, verso il centro ad una ventina di
chilometri di distanza di Tendukera. da dove un autobus, sopraggiunto da Jabalpur,
mi avrebbe ricondotto a Damoh che non era ancora notte.Giusto il tempo di
intrattenermi con il giovane, in vena di parlarmi, che gestiva una
pasticceria alla fermata degli autobus, e di venire a sapere, a buon conto,
per un ritorno, che li vicino c’erano le cascate Badri.
“ A Notha
quello che ci hanno detto era sbagliato, aveva detto il ragazzo in
motocicletta allo sosta nel villaggio in cui si
incrociava un quadrivio. Ma non avessi creduto a che di esaltato
Sonil mi aveva detto del tempio di Khoral, non avessi prese per vere le sue asserite
distanze chilometriche, forse che quel folle volo magnifico sarebbe stato
possibile?
Facevo ritorno a Nohta, l’indomani, prima di prendere nel pomeriggio il treno per Katni, verso la quale mi si confermava che era vero che per lo stato disastroso delle strade non vi conducevano autobus, da parte del capufficio della biglietteria che mi aveva accolto al suo interno con una particolare cordialità calorosa, dopo che in me aveva riconosciuto l’individuo che un anno prima era sopraggiunto in bicicletta al Kolkata restaurant di Khajuraho dov’era stato in visita. Credendo che una volta fatto il biglietto restassi nella stazione in attesa del treno che vi sarebbe dovuto giungere di lì a cinque ore, finanche mi aveva fatto aprire da un addetto la sala d’aspetto. Nel frattempo volevo io invece essere di nuovo in Nohta per esprimere la mia gratitudine al giovane che si era prodigato a tal punto per farmi sopraggiungere in tempo a Kodhal, sapere dell’ emergenza che lo aveva indotto ad anticipare il rientro, accertarmi dello stato di salute del suo amico di lui più adulto che ci aveva accompagnato. Ma già in stanza, nel ricercare sulla mappa del Madhya Pradesh dove fossimo finiti e come potessi farvi ritorno, mi aveva piuttosto irretito la singolarità della toponomastica indiana, che come a Narsinghghar fa corrispondere una Narsimhapur, per una Tebdukhera prossima a una Dehori sulla via di Jabalpur per Damoh, in cui ero stato, non fa mancare una Tendukhera con un'altra sua Dehori, nelle vicinanze, tra Jabalpur e Bhopal, prima delle ennesime Udaipura e Bareli, ladsdove era forse da ravvisare nella Rehli in cui nella mappa si incrociavano vie, Il giovane era ben sorpreso e felice di rivedermi , e poteva sincerarmi che era solo lo stato febbrile della moglie che ne aveva precipitato il rientro in Nohta, quanto poi all'infortunio del suo amico si era rivelato una contusione, niente di più. Tra i convenuti mi affidava quindi ad un giovane ragazzo di fede jain, che con altri suoi coetanei, hindu e muslim, si avviava al mio seguito nell interno del paese, alla individuazione dei vari frammenti di templi, ora un amalaka, ora un udumbara, dei fregi sparsi di modanature, per lo più di palmette, o di ardhratna, che ritrovavo inframmezzati al pietrame dei muri di cinta, assemblati in siti templari ai piedi di sacri peepal, rinvenibili nelle murature a vista dei casolari, sparsi nel cortile del tempio jain, od a fungervi da supporto ai tirthankara, di cui i ragazzi di fede jainista erano lieti di mostrarmi le moltitudini o le singolarità delle immagini raccoltevi, una volta che mi fossi levato anch’io i calzini ed esposto alla tortura della ghiaia minuta dei percorsi. Due di loro guidavano la mia discesa poi in vista del sangam , la risalita al tempio di Ganesha e ai suoi radunati reperti, il riattraversamento del villaggio fino al bazar, nello splendore diurno seguitandomi essi giù di fretta fino alla strada principale, accaldato e assolato salendo sul primo autobus di passaggio che mi riconducesse in Damoh, dove era lo squallore e il fetore dell’autostazione, prima ancora che l’urgenza dei tempi, a sospingermene lontano per rientrare in albergo e ritirarvi i bagagli. Sarei arrivato in Katni solo a sera , scendendo per sbaglio nella sua stazione secondaria, quella prossima all’ ospedale generale, in un clamore immerso nelle nebbie carbonifere della polluzione che gravava sulla città. Sceglievo di farmi condurre all'hotel, dei due che avevo in lista, che era vicino alla stazione ferroviaria principale, il che mi dava modo di avere da attraversare in tuk tuk l’animatissimo bazar nel suo clamore serale, in cui mi sarei affrettato a discendere appena sistemati in stanza i bagagli.
4
Il mio lungo sonno, l indomani , mi
faceva ritardare la partenza per Bahoriband, dove
solo quando erano le due del pomeriggio potevo scendere dall’autobus di
fronte alla Paathshala english
medium school, felicemente accolto da Anand e dai suoi collaboratori, con la fresca
prontezza nel riconoscerci e ricomciare a
discorrere, come se fosse stato solo qualche giorno avanti che ci eravamo
lasciati.
Arrivavo al momento più giusto, si compiaceva Anand, perché l’indomani sarebbe stato il function day della scuola, cui mi invitava
a partecipare con immediato mio assenso.
Volevo visitare il sito delle sculture nella roccia di Sindursi? E quale problema? A
differenza di quelle che le informazioni raccolte in internet mi avevo indotto a credere, Sindursi
non era al di là di Rupnath, ma giusto a due passi
dalla scuola, essendo Sindursi un sobborgo di Bahoriband. Quanto a Kuda, dove
erano un tempio Gupta minore, forse era da
identificare con un villaggio poco oltre Tigawa,
suo padre certo ne era a conoscenza, e ci avrebbe fornito tutti i
ragguagli occorrenti.
Prima che lui stesso potesse accompagnarmi in motocicletta a Sindursi, non essendo più in corso
attività scolastiche, avremmo potuto entrambi pranzare a casa
sua, verso la quale mi conduceva in motocicletta, date le ultime
disposizioni ai suoi collaboratori.
L’ancor giovane Anand mi si
confermava il tutto il suo carisma straordinario, per cui
poteva dare ordini senza mai impartirli, come gli avrei detto l indomani, sul
suo conto, ma
anche una dipendenza che pareva oramai senza scampo da cellulari e tablet,
con il ricorso ai quali non smetteva mai di interrompere ogni conversazione intrapresa,
per contattare e venire ulteriormente contattato.
Al tablet che mi approntava, tra il dahl e la pietanza di verdure con chappati, lo
interrompevo per mostragli il documento che avevo già composto, a suo
tempo, sulla mia prima escursione in Marai, Bahoriband, un testo che era finito già archiviato così a fondo nella mia memoria, che mi strabiliava la
sua estensione e visualizzazione dei fatti, compresa la mia adozione a
mascotte o tutor della scuola di Anand. Se l indomani avessi voluto
fare un discorso… mi ritraevo categoricamente, al che Anand ripiegava sull’imponenza della mia figura
fisica, che avrebbe comunque impressionato bene i genitori. Gli palesavo,
allora, vincendo quali renitenze avessi assentito a
presenziare ad una function scolastica, dopo che per
l’allestimento delle competizioni scolastiche per il republic
day, e feste di classe, si era protratto per Ajay, Poorti e Mohammad un
ciclo di ferie intervallate da esami che durava da un mese,
esasperandomi di dover pagare più per le vacanze degli insegnanti indiani che
per le loro ore di lezione, senza contare gli insegnamenti privati
domestici integrativi , che erano resi necessari dalle loro stesse assenze senza
sostituzione.
“ Benissimo il canto e la danza, ma anche la matematica e l’ hindi o l' inglese, come le
scienze naturali o sociali, hanno pure la loro importanza…”
Sindursi, in cui era pronto poi a condurmi in
motocicletta, deviando sulla destra della strada che reca
a Rupnath, poi a Sihora, fino a Jabalpur, poco oltre uno degli 84 talab, di una volta, da cui Bahoriband
traeva il suo nome, era la lungaggine / il dilungamento di un villaggio povero
che si protraeva intorno ad una
viottola di ciotoli e fango, riuscendo dalla quale
la gente del luogo ci diceva che avremmo trovato il sito delle sculture
rupestri. Come già tal passo lascia intendere, benché
Anand fosse originario di Bahoriband
e vi fosse il direttore di una scuola primaria che vi aveva fortuna , non ne
sapeva nulla delle sculture rupestri di Sindursi,
come a tal punto non aveva più modo di nascondermi.
E’ Bahoriband all
interno del bordo di un altipiano di modesta altura, ma tanto bastava a che
dalla radura tra i massi che precedeva il sito di Sindursi dove ci ritrovavamo di lì a poco, si allargasse
una magnifica vista sulla valle soggiacente, sconfinata, in una scenario
roccioso che evocava vicissitudini preistoriche.
Ma al termine del percorso d’accesso non ci ritrovavamo in una
solitudine pleistocenica, oltre l ingresso era
infatti accampato un gruppo chiassoso che più che di uomini, era composto di
bambini e di donne, le quali impastavano farina accanto ad un braciere di fortuna.
Alcune di loro ci precedevano presso le sculture rupestri,
a cui poggiavano la fronte di un pargolo cui era stato rasato il capo,
offrendo alle divinità figurantevi puja ed incenso.
La prima scultura che visionavamo era quella di Vishnu sul serpente Shesha, che
al tatto del piede ad opera di Laxmi
inizia un suo risveglio da cui ha inizio un nuovo cosmo, simboleggiato
dallo schiudersi di un fiore di loto dal suo ombelico, in cui era assiso Brahma creatore. Due demoni per alcuni studiosi, per altri due personificazioni in forme di
purusha
dei suoi poteri, si avventavano sulla sua sinistra, in tipiche fattezze
facciali e movenze d’epoca Gupta. Come un’eco, la
sua superficie abrasa dal tempo richiamava lo splendore magnificente del
pannello di identico soggetto del tempio delle dieci
apparizioni di Deoghar, un’eco che si affievoliva
nell’immagine seguente di uno ieratico Vishnu,
mentre subentravano tratti lignei folclorici nella Mahishasuramardini e nel belluino Narashima,
in suo bell’agio appartato su in alto, di una
ferocia naturale di sé spontaneamente compiaciuta.
Ananda seguitava ad appartarsi tra
cellulare e tablet, mentre si appressavano dei bambini e alcune donne, per
offrirci di essere parte della loro distribuzione propiziatoria
di vegetali e chiappati.
Tra un richiamo al cellulare e l’altro, Anand trovava l intertempo di dirmi del suo
passato di studi, in Varanasi, Delhi, Bikaner, prima di risolvere la sua vita nell’ impegno
educativo nel suo luogo d’origine.
“ Un tempo, gli chiosavo, in un villaggio indiano c’era vita al grado zero. Ma ora
vi è possibile svolgervi un’attività come la tua al più alto livello”
Il suo sogno attuale era di immergere tutti i bambini
della sua scuola in
un’infinità di libri. In merito gli avevo già detto come per il mio Chandu, nella sua Khajuraho,
già ogni attività che un tempo era fisica transitasse per
oramai il computer, mentr’io avrei desiderato un suo contatto vivo con le
cose dei giorni.
Il tempo di ritrovarci a scuola con i suoi colleghi, a lui intorno
ed al suo tablet, che sopraggiungeva l ultimo
autobus per Katni.
In hotel mi sarei riassestato il più in fretta possibile, per
ritrovarmi quanto prima nel suo bazar principale, tra la folla e lo
sfavillio di luci e l’abbaglio di neon, ed addentrarmi con lo sguardo
in quei tanti negozi senza il diaframma di vetrine, al cui interno era
possibile vedere le donne sedute di fronte ai venditori di stoffe a gambe
incrociate, che gliele srotolavano su dei banchi ribassati intermedi, i dibattiti delle compravendite di profumi o
gioielli, di vasellame metallico o in terracotta, di spezie aromatiche
o di dolciumi, di arance o mele od uva ordinate in cassette reclini,
mentre le verdure erano distese su dei teli lungo lo spartitraffico da
dei venditori per strada.
E via via che ci si avvicinava alla
stazione ferroviaria, si infoltivano i negozietti di
cellulari e di ricariche telefoniche, di gadget e pelletteria, le locande, di
un solo vano, aperte all’esterno anche nell’attavolamento
e nelle batterie di cucina.
Poi al ristorante dell hotel, ad
uno squisito mughlai chicken
avrei riservato quanto la sera prima era stato assicurato ad un prelibato chicken garlic. Per l' indomani
sera ripromettendomi, con Mohammad al telefono, la goduria di un Chicken
Biryani Hiderabadi.
Era l’autobus che stava uscendo dalla stazione quello più mattutino per Bauriband che ho inseguito in tuc tuc per esservi non oltre le dieci del mattino, come mi ero ripromesso con Anand, giacchè dopo l una del pomeriggio fin oltre le sei di sera saremmo stati coinvolti entrambi dalla function degli scolari della scuola. Vi arrivavo, via Bilhari, anziché deviando da Sleemnabad, che lui non era ancora presente, mentre le insegnanti erano intente a ritagliare festoni e ghirlande colorate, ed accanto alla scuola grandeggiava ancora vuoto il tendone bianco a righe blu della festa imminente. Non dovevo attendere molto per vederlo sopraggiungere con il volto accigliato, e dirmi con voce atona che cosa aveva sconvolto tutto e rendeva impossibile ogni celebrazione: qualche centinaio di metri prima, entrando in Bahoriband, il benzinaio che vi aveva una pompa, un esponente locale del Bjp, la notte avanti aveva ucciso il figlio e la figlia, prima di dare la morte alla moglie ed ai suoi cani e suicidarsi, ed i parenti avevano espresso la richiesta che tutto fosse sospeso, come si era già deciso per parte sua e dei suoi collaboratori. Più tardi, mentre in motocicletta, dopo aver consumato un pasto in casa sua, superavamo Tigawa avviandoci a l villaggio di Kuda, - avendo così tutto il tempo davanti per restare insieme l’intero pomeriggio- inoltrandoci tra i campi viridescenti di colza e di grano differivo di dirgli a quando ci fossimo ritrovati seduti nel sito del tempio Gupta, perché in India possono accadere simili tragedie, senza rivelargli che la fonte della mia conoscenza era la disperazione in cui precipitano Kallu e il padre di Mohhamad, e ciò che si ripromettono essi di fare, quando viene meno ogni possibilità presente di assicurare un futuro ai loro figli. “ Troppi indiani, gli dicevo una volta visitato il tempio, si credono i proprietari della vita dei loro cari., ai quali sentono di essere in dovere di dare un futuro. E quando avvertono di fallire nel compito, e sono senza più speranze, in un’ India che non consente più come un tempo di vivere di niente, pensano che ucciderli insieme con sé sia la sola via d’uscita che resta, non lasciando che nessuno sopravviva al loro fallimento e cosi credendo di azzerarlo. Per questo anche i cani dovevano fare la stessa fine del capofamiglia" Anand mi ricordava che è così quando nessuno più crede in un aiuto sociale. Nella mia mente echeggiava alle sue parole l urlo notturno di Kailash, quando il suo grido “ Nobody help me”, esplode contro il padre e la madre, i suoi fratelli o parenti, chi sia delle sua casta, contro ogni singola persona, e singole persone, mai contro un ingiusto ordine sociale. Intorno erano intanto un incanto i campi di grano e di colza, tra i cui steli vedevo crescere a febbraio gli stessi fiori, le veroniche, i ranuncoli, le piantaggini, che a primavera rendevano smaglianti le zolle della mia terra nativa, o ne variegavano gli steli, ed era tra la loro distesa, che due piante di mango, due tendu, ed un asoka, nella loro grandiosità arborea elevavano a sacrario solenne il recinto del tempio, una pura cubatura profilata di aggetti e con un’entrata di soli stipiti nella cella interna, senza alcun decoro, od ornamentazione, che non fossero a guisa di testate di travetti un filare di tulas, (a memoria nella dura pietra delle origini lignee del tempio hindu), proprio come in spirito ed in verità dovrebbe sorgere ogni luogo ecumenico di adorazione presente del divino “ Così, non altrimenti, dicevo ad Anand, non come quelli di Khajuraho, costruirei oggi un tempio” Avevamo il tempo per indugiare anche in Tigawa, nella visita del suo tempio Gupta in cui l'ornamentazione già rendeva fastosi i pilastri del portico aggiuntosi alla cella, e i vasi dell’abbondanza o i kirtimukka trovavano un primo evolversi rutilante. C’erano altri due antichi templi ancora da vedere a dire di Anand, in riva al talab, che ora era in secca, ove si tuffava nel nuoto quand’era ragazzo, ma erano edicole Bundela edificate con materiale d’asporto, sì, esso antico, ma assai posteriore all’epoca Gupta. dei templi di Tigawa e di Kuda, oggi Hinauti. La strada rifatta, a grandi corsie, in cui ci immettevamo di nuovo per rientrare a Bauriband e prendervi io l’autobus per Katni, Anand mi diceva che conduceva fino a Khajuraho. Tutte le strade pare che come a Roma, in Italia, qui nel Madhya Pradesh rechino a Khajuraho, da cui si segnala la distanza nelle solitudini d’altura del Bagelkand, come nel traffico di Gwalior ai margini della rete ferroviaria, a disdoro della stessa capitale Bhopal. Peccato, tra me mi dicevo, che poi in Khajuraho tutte le strade siano rimaste così a lungo distrutte. E che ora che esse mi recano agevolmente ai campi che Kailash mi diceva di sua spettanza, abbia scoperto che sono invece della nonna, e di spettanza trstamentaria prima ancora del padre e degli zii, e al contempo che si sia così dissolto ogni mio intento georgico.-
Cronache di Viaggio 6,
Avevo dunque ragione a sentirmi insolentito da quel ragazzo
che nel villaggio di Masaon mi si era messo alle
costole, se un vecchio ch’era alle nostre spalle e
doveva conoscerlo bene, agitava il bastone in sua direzione come se volesse
romperglielo in testa, imprecando contro di lui come contro di un vero madarchor.
Trovavo davvero bello quel tempio in
riva al talab? E così
interessante quel suo villaggio? Se era così perché non fotografavo ogni suo edificio e casamento? Ogni bufalo e bue e pecora nei loro
recinti? Anche quest’oca, sir…
Mi ricordava l imbecille di Barhut che non aveva trovato di meglio che strapazzare in
me l unico visitatore che a memoria d’uomo si fosse visto venire a vedervi i
pochi resti, rimastivi inasportati, di quel che fu
uno stupa dei più grandiosi., quando prima ancora che un altro straniero
metta piede in Masaon , evi ed eoni
intercorreranno. Ma evangelicamente non
contrariarmi e fare con quello sciocco ragazzo il doppio di strada, di lui
servendomi per facilitare i contatti con bimbi e ragazzi che sopraggiungevano
incantevoli intorno, aggirarmi tra le case senza suscitare irriguardosi
commenti, era ben preferibile allo scrollarmelo di
dosso a male parole. Quanto al tempio Kalachuri, il
suo santuario circolare con 13 bhadras isomorfe , che prolungandosi nel portico si uniformava ad una yoni incentrata in un lingam,
al di sotto di quel che restava dell ogiva del sikhara, sarebbe stato di ben maggiore risalto, in se
stesso, se non di desse che non era un unicum, ma la copia meno esaltante di
quello di Chandrehi, con il quale, nella sua
assenza di icone, condivideva la sorte di essere l’espressione più pura del tantrismo ascetico della setta shivaita
mattamayura, senza le compromissioni
rappresentative statuarie dei suoi tempi edificati sotto la sovranità dei Kachcchapagata in Kadwaha, Renod, Terai, Surawaya.
Ma già dal mio arrivo in treno alla stazione di Rewa, era stato come se la realtà tutta venisse subendovi
un impazzimento, o rientrasse nei cardini della sua
normalità indiana: in cui i rickshaw- wallah ti si appressano intorno molesti
ed esosi, gli inservienti ti entrano in camera indiscreti e invadenti,
nessuno ne sa niente di niente di ciò che persegui, o peggio, ti fa credere di
essere uno stupido che insiste nella ricerca di quel che non esiste che nella
imbecillità della sua immaginazione fantastica
Di certo anch’io ci avevo messo assai del mio a tale piega
degli eventi, nella
presunzione di potermi rifare nella visita di Rewa
a quel che nei suoi reports ne scrisse
e descrisse il maggiore Cunningham oltre centocinquant’anni fa, magnificando uno splendido torana ritrovato in Gurgi e
depositato nel suo Museo, di cui la volta precedente, quando una festività
civile ne aveva precluso l’accesso, mi ricordavo bene di essere pervenuto all'entrata insieme con Kailash,
e diffondendosi nel dire, inoltre, l illustre padre dell’Archaeological
Survey of India, dei resti giganteschi di una
statua di Parvati e Shiva
sistemata in un suo parco: ne sapeva qualcosa uno dei proprietari punjabi dell hotel in cui avevo
voluto essere di ritorno, e che aveva instradato sulla via di Masaon l’autorickshaw-wallah.
Ma al ritorno in hotel, altre risistemazioni
della realtà in certi alvei indiani, avevano congiurato a che dovessi ripropormici solo il check out il giorno seguente: l’acqua che defluiva in
bagno dal solo rubinetto del lavabo, il cameriere del ristorante che
seguitava a sconsigliarmi ogni mia ordinazione per le sue troppe spezie,
insistendo perché richiedessi guarda caso la
pietanza di pollo più costosa, il clamore che da un fantomatico "bad men group" si levava ancora a
notte fonda dai locali sotterranei, dove così si celebrava il Valentine day.
E quanto ad ogni tentativo di valermi dei servigi di Rewa, il bazar mi si sconsigliava di visitarlo, perchè
quei giorni era chiuso per ragioni di ordine
pubblico, e solo a svariati chilometri dall hotel,
avrei trovato un atm che mi erogasse rupie.
Mi riservava l indomani lo stesso destino Govindgarh?
Per visitarne il palazzo mi si diceva di scendere dall’autobus
ad un bivio che precedeva il villaggio, e di seguitare, sulla destra, per una strada ai margini della
quale si addensava un interminabile parco, che il suo percorso seguitava poi a costeggiare
lungo un rio d’acqua, con tante bettole che ostentavano tranci di pesce
fritto invitanti, oltre le quali mi incamminavo, sempre sulla destra, lungo un viale che alfine mi portava
all’entrata di quel che del palazzo rimaneva che non fosse rovina.
Una cancellata ulteriore lasciava
intravedere al di la delle due inferriate templi sepolcrali , girando intorno
al cui muro di cinta pervenivo alla vista ristoratrice di quel che credevo
fosse un fiume incantevole, sulla cui vegetazione edenica si affacciavano i
ruderi del belvedere- baradar del palazzo fantasma.
Allontanatisi due ragazzi che in quelle acque avevano fatto un
bagno, discendendovi da un ghat, rimanevo
lì solo e intimorito.
Per un’apertura in un portale cercavo poi l’accesso ad un cortiletto interno, da cui per una scalinata malmessa
risalivo alla gronda, fiancheggiata da quella di uno spiazzo superiore, su
cui mettevo piede per addentrarmi più oltre. Ma non mi si sarebbe offerto che
l’adito a vuote stanze, ed alla vista , di
significativo, nella sua cella della statua di un Garuda
in atto di devozione di fronte al dio Vishnu di un
tempio antistante.
Ripercorrevo i miei camminamenti fino all’ esterno,
per ritrovarmi all’altezza del gath mentre nelle
acque si stava immergendo un giovane uomo.
Risaliva a me vicino e chiedeva poche cose sul mio conto, per
poi parlarmi di Govindghar, dei raja
che vi avevano edificato il palazzo nel parco e di come tutto quanto fosse
finito in malora, che era in quei paraggi che era
stata avvistata e ritrovata la tigre bianca di Rewa,
che soltanto quell' incanto vegetativo mi aveva di
fatto evocato dal mio arrivo nella città.
Correggendomi in quanto al telefono avevo riportato a Kailash, con il quale l’avevo messo in comunicazione, mi diceva che per quanto quelle acque mi rammemorassero il
placido fluire di un Ken river,
erano quelle di un talab, che nel sole traluceva
meravigliosamente.
Sopraggiungeva un’anziana ch’egli mi diceva
essere sua madre, che nelle luccicanze dello
specchio delle acque si immergeva in un lungo bagno.
Lo avessi atteso cinque minuti, il tempo di un suo lavacro e
di una sciacquatura degli abiti, ed in motocicletta egli avrebbe potuto
accompagnarmi nella vicina Mukunpur, dove una tigre
bianca avrei potuto vederla per davvero, per poi
recarci insieme nella Chandrehi dove gli avevo
detto in precedenza che avrei voluto fare ritorno, e di cui ignorava
evidentemente l'ubicazione distante
Che fosse dunque per quella tigre che supponevo impagliata in
un museo, e sfumasse pure, nell improbabile, la
rivisitazione del tempio di Chandrei e di quel
magnifico villaggio , da cui troppa strada lungo una
dorsale collinare ci separava, perché ambo le mete fossero possibili in quel
che restava di quel giorno.
Seguitavo il giovane, di famiglia contadina, fino alla sua
dimora ed ai suoi campi a ridosso del parco, il
tempo poi di bermi il caffè che mi serviva, e in
breve con lui mi ritrovavo avviato nella mia nuova avventura.
A noi si univano altri due suoi amici che si facevano poi in
tre in sella ad una sola motocicletta, lungo uno di quei meravigliosi viali
alberati dell'India che evocano le memorie di suoi
passaggi e grandi trunks roads,
finchè non ci ritrovavamo, tra la giungla, all ingresso di un parco zoologico in via d’apertura.
Era dunque una tigre bianca in carne ed ossa che mi apprestavo
a vedere, per la cortesia di una gentilezza ineffabile delle guardie
forestali, che ci lasciavano entrare ed accedere,
precedendoli, alle aree cintate di reti in cui due tigri bianche e due tigri
gialle erano in gabbia.
Potevo già sentirli i ruggiti a distanza, e al
di sotto di un telo vedere profilarsi una delle due tigri bianche,
imponente e felpata, di una naturale maestà regale
Una giovane guardia ci teneva intanto a
distanza, poi si decideva a lasciarmi avvicinare, sentiti i suoi
superiori. Ed eccola, Ragu,
uscire all aperto e sfilarmi davanti, senz’alcuna
ferocia nella sua assenza di sguardi.
Era la volta poi della tigre gialla, Mukul, essa sì, minacciosa ed
aggressiva nel suo guatarmi istantaneo.
Mi intrattenevo quindi con le guardie
ch’erano convenute alla mia uscita, firmando un registro e profondendomi
nella promessa che con il mio amico ed i suoi bambini sarò di ritorno al
termine delle scuole, dopo che tra il 15 ed il 30 marzo, Narendra
Modi o non Narendra Modi, il parco sia stato
inaugurato.
Mahendra Patel, così
si chiamava il giovane, solo alla fermata dell’autobus per Rewa mi avrebbe detto di essere un ingegnere elettronico,
ancora in attesa di avere in futuro una moglie ed un
lavoro. Che gli telefonassi al mio arrivo in città. Ch’egli venisse a trovarmi in Khajuraho,
lo sollecitavo a mia volta, se gli fosse pesata l’attesa di un nostro reincontro, che avverrà solo allorquando mi sarà possibile, con Kailash ed i nostri bambini, fare ritorno alle cascate ed
alle tigri di Rewa.
.
7 Resta in conclusione l epilogo di
una complicanza regale. Perché in alternativa all hotel che lasciavo, il non aver potuto trovare
ricetto che nel Raj Vilas
di sua altezza Pushparaj, mi ha involuto nelle
latebre mentali dei suoi uomini. Per i quali se un museo archeologico esiste
in Rewa, comunque lo si
chiami, Bagheli o Fort Museum, non può essere che quello di sua Altezza.
Dove esposti alla di male in peggio
in un vano inferiore, pur sussistono sculture di pregio, quali Shiva e Parvati intenti nel
gioco degli scacchi.
Così, dopo essermi perso mentalmente per le vie che nei pressi
del museo del forte ne discendono nel quartiere islamico, l’indomani
rientravo in hotel rabbuiato come si era annuvolato il cielo, oramai solo per
fare ritorno in autobus a Khajuraho.
In un negozio nei pressi della College
Road, quella che Kailash aveva ribattezzato come l Hitler road, per la presenza di un negozio fashion, quanto
mai trendy, che del furher
porta anche sulla saracinesca il logo dei baffetti,
avevo già acquistato t-.shirts per Poorti, Ajay, Chandu ed il caro Mohammad.
Le strade del ritorno lo stesso
disastro di un anno fa. Alla mia ricerca in Google, la localizzazione nel Viankar
Bhawan di Rewa, del suo District Archaeological Museum inesistente.
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martedì 1 marzo 2016
Cronache indiane. In Damoh, Notha, Katni, Rewa, Govindgarh
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