domenica 24 gennaio 2021
nunc et in hora moitis nostrae
Riscrivendo le mie note di viaggio nella Grande Cina del 2004, di quasi 16 anni or sono, mi sono reso conto di come nel tempo abbia dismesso di scrivere direttamente di me stesso, di ciò che mi perturba e mi felicita ogni giorno, dei miei orizzonti di vita e di pensiero, riservando spazio ad essi solo dentro la trama di ciò che racconto delle persone che sono venute amando e delle mie relazioni con esse. Il che si è verificato via via che dire di me stesso non è stato più, come a quei tempi era ancora possibile, narrare di una persona pur sempre avvenente e capace di una vita avventurosa ancora giovanile, nel suo spirito di viaggiatore e nella suo eccesso di delicatezze e brutalità vulnerabili, ma si è fatto simile alla fuga dal mio volto allo specchio, da tempi e mutamenti che la mia mente non è più capace di reggere, dall’autoriflessione di una mia esistenza il cui fascino, la cui ragione e significatività residue, il cui rendimento di grazie giornaliero al mio corpo per quanto mi sostenta e protrae in quel supplemento di vita che è l’anzianità attuale, in un degrado prolungato sempre più umiliante e imminente alla morte, consistono nella grazia per cui ogni giorno, con la sua corporalità, nei suoi travagli per defecare e urinare e non male odorare, per non scoprirsi nelle sue parti intime in ogni chinarsi e darsi da fare, nel gran peso e fatica che deve sostenere per ogni minimo spostamento, riesco ancora a contenere l’odio ed il disprezzo della vita e dei miei simili, la mia reattività iraconda, in virtù dell’attività dello spirito che illumina i passi delle persone che veramente amo al mondo e per il cui tramite riesco ancora a riamare anche gli altri, benché mi ignorino e non mi riconoscano, e sia loro del tutto inaccettabile che possa io essere di più di quel che mi reputano, così come è attraverso la mia patria d’arrivo, l India, che riesco a riamare la mia patria di provenienza cui appartengo inesorabilmente, grazie al ripristino e al ritorno. nonostante ogni contrarietà tecnologica che si frapponga, alla ricerca che accudisce le vestigia del passato e presenti che ha care dell’ uomo, in ogni loro minima parte che descriva ora i templi hindu più mirabili e negletti, domani chissà,oltre che i templi di altre regioni dell’India le loro pitture murali e quelle del centro Asia che prediligo tanto, i cicli murali ad esempio di Kizil e di Pendikent, che nella loro oniricità miniaturale che sospende ogni temporalità trascendendola nella loro dimensione epica, sono forse alla radice dell’incantamento simile che esercitano su di me gli affreschi murali di Pisanello poco distanti E’ così che eternandomi come insegnava ser Brunetto a Dante, o come immaginava Yeats sailing verso Bisanzio, sospendo l orrore della morte, e più che della morte, dell’ immobilizzazione per sempre del cadavere del mio corpo in una bara, dentro un loculo, o cementato sotto terra, di tale incubo, che mi atterrisce di soprassalto la notte , quando mi riduco al buio del sonno solo allorché sento che esso non tarda, o al mattino, nel retrogusto amaro di ogni risveglio alla luce del giorno, trascendendo spiritualmente, nella vita intellettuale, o extra –razionale, anche ogni via di scampo datomi dalla eventualità della mia cremazione, o dell’ equivalente dei giardini celesti tibetani che ci è consentito dall’espianto e dalla donazione di ogni proprio organo, E in ciò che consiste la mia contemplatività attuale, che è tale perché anche nella stomacazione per la abissale miseria umana che denobilita tutto, specialmente in politica, in tempi in cui la tecnologia che ha travalicato millanta volte i sogni materiali del comunismo resta affidata a un’umanità brutale e abietta e disuguale e ingiusta come non mai, è essa ancora appassionata a ogni vicissitudine dell’agone carnale e di ogni traffico umano, si sa più che mai avvinta alla fascinazione dei corpi e della loro fisiologicità, la stessa di ogni minima cellula, che tanto più ora che per una pandemia globale si impone la maschera chirurgica si diletta più che mai. non vista, senza più timore alcuno di essere sorpresa, - che nessuno ci bada alle mire di un vecchio-, a spogliare e a raggiungere con la vista mentale le nudità corporee in ogni intimità recondita, adorandone ogni forma intravista e di essa beandomi. E non v’è bibita o cibo che gusti , che io non assapori più intensamente pensando che alla mie ceneri sarà negato per sempre di goderne il gusto. L ipermercato di ogni offerta il mio paradiso terrestre. Forse la sintesi più pietosa o penosa di tutto quanto sono così venuto dicendo, è come sia bastato che l’amico del mio cuore mi abbia evocato quale meta di ogni meta il monte Kailash sacro alle religioni orientali, nel più remoto Tibet, ma più vicino a Delhi che non a Katmanduu o a Lasha, sempre che attraverso il passo Lipulek si abbia accesso alla contea cinese di Borang, che mi sono messo a sognare di pervenirvi come se fosse una possibilità ancora reale, grazie alla transitabilità del passo che l’ingegneria indiana sta consentendo, e di portarvi in pellegrinaggio l’amico con i suoi figli, lungo l intero perikrama intorno al lago Manasarovar- l’antica Tetide- e alla grande montagna sacra, quasi che in sella a uno yak possa ovviare all’artrosi che mi fa urlare di dolore ad ogni inciampo anche solo in un tappeto, alle mie difficoltà motorie già intorno a casa, quando dovrei affrontare anche la rarefazione dell’aria oltre i 5.000 metri del passo di Tara, nel corso di un periikrama di più di 50 KM. E in tutto questo , o solo in questo, che è rimasto ancora di Dio, , della mia fede nel mondo che è tuttora fede in Lui, pur nel mutare di ogni mia credenza? Confesserei che credo più che mai nel Divino come eterno attrattore universale, ma non più come Padre amoroso da invocare chino sulle mie disgrazie, in tutto l’afflato che gli attribuì, Rembrandt,non più in una Voce personale che mi chiami a se, “ vieni”, permanendo irrisolto quanto il mondo Ne sia la manifestazione sia nel Suo ritrarsi che nel Suo farsene la vita più intima, piuttosto nel Divino avverto un rimando al “vai” nel mondo, con le tue residue forze, che temo di perdere ad ogni marasma mentale o incongruenza dei miei i atti, illuminato della Sua luce che è il fondo della mia anima, il suo codice genetico con cui è in me , come in ogni realtà ed entità del mondo infinitamente infinito. Nel mio anelito lo stesso anelito di cui parla l Hadith Ero un tesoro nascosto e volli essere conosciuto. Ho creato tutta questa creazione affinché mi conosca
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