Fino a sabato, l'altro ieri, telefonavo a Kailash per udirne lo scongiuro propiziatorio " all it's fine", prima che mi rallegrasse la sua voce ingenuamente entusiasta di una vita in crescendo, secondo il ritornello scanzonato del suo cellulare, che assecondavo con una mia voce allegra che si illudeva di poter credere a tanto nostro delirio di presunzione, alla nostra persuasione di poter avere fortuna e sempre più vita tra cosi tante circostanze che ci sono avverse, nel timore e tremore , in sottofondo, che avrei potuto sentirgli dire un giorno, che speravo chissà quanto lontano, ciò che già domenica ho udito gridargli tra i singhiozzi, senza volergli credere"
" My Sumit died, my Sumit died, my dear friend..."
Anche per questo, quando mi è stato confermata la morte di Sumit, la scomparsa del nostro adorato bambino l'ho vissuta come il concretarsi dei continui timori che ci tenevano in apprensione sulla fragilità della nostra felicità, che incredibilmente sembrava resistere incrollabile, più che l'annuncio di un evento sconvolgente che accadesse del tutto inatteso. Benchè mi dibattessi con il corpo e gridassi straziato, non riuscivo così ad avere il senso di quanto era accaduto.
Fino a sabato sera telefonavo a Kailash anche due volte al giorno, per rincuorarlo e vincere gli indugi nell'andare avanti, perchè non si adagiasse nel solo lieto vivere tra i suoi bambini, senza la direttiva esemplare di un lavoro assunto, pur temendo, al tempo stesso, che l'andare avanti potesse forzare la sua vita verso un tragico destino di cui sarei stato responsabile, ma tutto si proiettava in uno sfondo di probabilità remote.
Ora, tre giorni dopo, ogni mezza giornata, devo telefonargli per sventare che la sua mente, se finisce down, possa precipitarlo a farla finita.
" What happened" ," WHAT HAPPENED" , nella sua scansione disperata, è la morte del nostro amore di bambino di cui non vuole più sentire che si pronunci il nome, che solo se ne parli, anche se è la parola che ha sempre sulla bocca, il pensiero che ha sempre nella mente.
Tre sole volte ieri l'ho udito farne il nome, prima e dopo del mio rientro da Milano per il visto per l'India,
La prima è quando mi ha scandito nel dolore la sua rivelazione religiosa:
" All happened because God need Sumit".
La seconda per dirmi tra le lacrime che cosa ha gridato a Vimala per farle smettere di piangere
" Deve pensare che Chandu è il nostro nuovo Sumit. E se vuole un altro Sumit, le ho detto che andremo all'ospedale per farle sciogliere le tube e avere altri bambini".
La terza è stato quando l' ha citato , squarciandomi dentro, tra i bambini che erano intorno, sulla terrazza della casa del suo villaggio, dove vive protetto dal suo ambiente familiare d'origine.
La morte di Sumit ha cessato di nominarla da quando ieri, col respiro spezzato, mi ha detto che il suo corpo era nella casa in Khajuraho, senza vita " no life" , senza più risveglio, " no more weak up"
Prima era stato anche in grado di descrivermi come la sua fine era avvenuta, in sua assenza, dopo che bevuto un bicchiere d'acqua, a un colpo di tosse, gli si erano rovesciati gli occhi, che avevano cambiato colore, ed era " gone quiet" " gone quiet"..
"Il sangue non gli circola più, non può più dire nessuna parola", mi aveva già gridato, quando l'ho ricontattato al telefono qualche decina di minuti dopo che me ne ha pianto la morte, stava per (prima di) portarlo inutilmente a Chattarpur da un buon dottore, che potesse smentire il dato che era già deceduto, come avevano constatato i medici di Khajuraho.
Così, di fronte ai fratellini , come un uccellino che reclina il capo tra le tue mani, se ne è andato il nostro amore di bambino.
Le sue immagini fotografiche in cui mi guarda ammiccante, in cui mi sorride splendido nella sua gioia meravigliosa di bambino, i giochi cui volevo tornare a giocare con lui a Natale, come quando fingevo di spaventarmi alle sue grida, o lo accoglievo in un corpo a corpo tra le mie braccia, le sue manine che si stringevano al mio petto sotto il pipal in riva al lago, anche nel metro di Milano sono tornate a farmi erompere in lacrime e grida nel mio strazio .
Nello schianto che ha rivoltato la nostra vita, con i vestitini che gli avevo comperato, quelle stesse immagini, il dvd dei filmati che avevo girato l'ultimo giorno delle nostre vacanze estive, quando dopo essermici sentito all'inferno, avevo finalmente compreso che stavo lasciandovi il mio Paradiso in terra, che con la morte di Sumit vi è per sempre perduto, ora nel pacco che è in arrivo in Khajuraho, anzichè l'occasione di una gioia condivisa, sono diventate la minaccia incombente di un ricordo che può rivelarsi insostenibile per Kailash.
"Non aprire quel pacco quando arriverà, l 'ho pregato stasera, lascia che sia tuo fratello Manoj a farlo, separando ciò che deve darti, da ciò che non deve lasciarti. Puoi capire il perchè".
Come ogni cosa di tutta la nostra vita futura, nella assenza perenne tra noi di Sumit, anche il mio viaggio a Natale, anzichè la felicità di un viaggio a Goa, sarà la circostanza, secondo le parole odierne di Kallu, in cui avremo molto di che piangere insieme.
Senza che in assenza di me, del mio aiuto, voglia più fare un solo passo nella vita che ci resta davanti, per donarla a chi è rimasto.
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