giovedì 26 maggio 2011

per una teologia minima


Se la teologia è discorso e conoscenza di Dio, per chi è prigioniero di Cristo la teologia non è una teosofia, un sapere mentale di concetti divini, è conoscenza per partecipazione di ciò che nel Cristo si è rivelato come l’essere di Dio, il suo essere Amore divino trinitario, ed è dunque intelletto d’amore, conoscenza del suo essere amore divenendone per amore partecipi, amando, dunque, di un amore che sia lo stesso amore che è l’origine continua della continua creazione del mondo, kenosi divina dello svuotarsi di sé per farsi un mondo la cui vita sia trasmissione di sé per donazione, a immagine e somiglianza della donazione di sé che è la vita divina trinitaria, e farsi, nel Suo ascolto( nell’ascolto del Suo amore,(in noi presente al fondo dell‘anima), l’ascolto dei bisogni di chi ci è affidato come il nostro prossimo, in conformità della capacità d’amare che è l’unicità del nostro nome che declina il Suo.
Come accade a chi è buddista nella pratica del distacco e della compassione, in tale sequela a imitazione di Gesù avverrà che Dio, che nessuno ha mai visto, -con gli occhi della mente-, in obbedienza d’amore si farà visibile e sempre più presente,( purchè l’apertura di sé ci ponga in ascolto della sua voce di grazia), se più ameremo e ci saremo amati l un l’altro, come lui gratuitamente ci ha amato e ci ama preventivamente..
Sempre più percettibilmente, nell’esercizio del suo amore si disveleranno la personalità e l impersonalità del suo agire, la fisica soprannaturale della sua uniforme azione di grazia, com’Egli in essa sempre provveda, non faccia mai mancare all’anima nulla di quel che le occorre in ogni sua sorte, pur nel Suo riguardo al libero accadere naturale cui il suo amore "deve" assoluto rispetto, senza che compia alcun miracolo di sorta privilegiante. Si accerterà com' egli così consenta anche la sventura più tremenda, ma rendendone sempre possibile il compenso con un bene più grande, e consenta sempre la trasformazione della perdizione del male in una prova santificante,il suo volto di misericordia essendo la stessa accessibilità perenne del bene, sempre che l’anima sia capace del distacco da ogni appropriatività e distruttività di brama e di odio, dal geloso possesso di ogni tenere soltanto per se, dell'abbandono del suo medesimo anelito di salvezza.
Quanto più il nostro Amore nei suoi atti e nella sua intelligenza si sarà fatto in noi talmente profondo, tanto più Dio si sarà in noi ingenerato e sarà venuto a pienezza di luce, si sarà a noi rivelato e in noi si rivelerà agli altri.
Ciò che tale conoscenza dell’essere Amore del Dio trinitario presuppone, e che in in Giovanni è la condizione stessa del suo rivelarsi Amore, è l’unità spirituale di umano e divino,l'unità che anche per noi consente che sia misticamente possibile ciò che avvenne in Gesù, che come Gesù di Nazaret possiamo anche noi essere in Cristo, farci Cristo che vive in noi, alla stregua di come Cristo, il Verbo, si fece carne e visse in Gesù, visse tra noi come Gesù, che per la sua stessa divinizzazione adempiutasi fu vero uomo, pienamente uomo.
Deve poter avvenire pertanto che il Cristo anche in noi riveli il Padre, e che lo riveli perché il Padre è in lui immanente, come nel Padre è immanente il Cristo, il Verbo ordinatore del mondo, e in entrambi è lo Spirito del loro mutuo amore,così come sono entrambi nello Spirito, traboccante dalla vita intradivina nella sua trasfusione nel mondo, che ne è la gloria che cantano i cieli e la terra.
E’ quanto fu detta la perichoresi della vita intradivina, in cui consiste la ragione primaria per la quale nulla è duale, e panenteisticamente tutto è in Dio e Dio è in tutte le cose, perche Dio possa essere tutto in tutte le cose, e di tutte le cose fare uno,
" Chi vede me, vede il Padre"- pur se nel rivelarsi del Padre nel Figlio, l’Immanifesto permane distinto e trascendente rispetto al Manifesto, l'essere Divino essendo "il Nascosto e il Rivelato, il Primo e l‘Ultimo".
E così come Dio è nel mondo e il mondo è nel suo afflato cosmico,- Dio è in noi e noi siamo in Dio, noi siamo nel mondo e il mondo è in noi, e tra noi viventi siamo l’uno nell’altro, compenetrantici, nell’interconnessione e nell’interdipendenza di tutto nel Suo Spirito,- in cui il futuro, la seconda venuta , il giudizio è già, ora, il discernimento che si fa consapevolezza e pienezza di vita nel tempo presente, nell’ora in cui l’amore è già la sua eternità.
E'nello Spirito che Gesù risorge in ogni credente, lo Spirito che ci rigenera e che in noi si rigenera, la stessa vita eterna che è già in noi, e che in noi si manifesta. In intelletto e in immaginazione, in empatia e creatività, nella nostra energia in cui si ricrea la sua energia, nel cui fuoco la fede rivelataci si fa sua rivelazione, il suo venire di nuovo in noi alla luce, nella nostra luce che del suo ardore si fa ardente per gli altri, a che la nostra teologia si adempia come una sua teofania.
Ma è una teofania che è luce nelle tenebre, che è gravida di tutto il dolore e la negatività del mondo che non lo ha riconosciuto, e che liberamente non lo riconoscerà mai, di tutto il dolore per il dolore del mondo della Sua compassione esistenziatrice, il risveglio ad una pace che non è eudemonia mistica, ma la beatitudine vera che da Gesù ci è stata promessa, la beatitudine nelle lacrime.
La preghiera è la parola della voce del suo Spirito, in noi, che conformandoci al Figlio nel cospetto del Padre, se non può farsi la Sua volontà, unità compiuta con la Sua assolutezza d’amore, amore che è assenso alla necessità del tutto in quanto è già perfetto, così com'è, adesione ad esso nel presente eterno, soffre il travaglio dell’adempimento della promessa che ci è stato formulata dall’umanità cosmica di Dio, e anela, che come da Egli ci è stato assicurato, nessuna pecora del gregge vada perduta, e come il Suo figlio diletto ogni nostro figlio sia reso al padre.
Come crediamo sia la resurrezione della carne.

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