giovedì 20 novembre 2014

In memoria di Gino Baratta


Gino Baratta l’ho conosciuto solo durante gli ultimi anni della sua esistenza, quando il nostro incontro fu propiziato da un anno di insegnamento presso lo stesso istituto. Il ricordo che ne conservo è di un grande amico e di un grande spirito, animato di un’intelligenza comprensiva universale a cui mi risultava quanto mai  riduttiva la configurazione di critico intellettuale di tendenza che si era conferito. L’ho compreso grazie alla sua disponibilità umana ed alla sua tempestività nell’elucidarmi, su piccoli ritagli, il fulcro espressivo dei miei testi poetici che gli trasmettevo,  con folgorazioni sintetiche dei loro significati di fondo per il tramite delle loro vestigia formali, che per virtù intuitiva erano pari almeno a quelle coeve di Dante Isella o di Pier Vincenzo Mengaldo. E fu in virtù di un suo intervento spontaneo che per parte mia non avevo sollecitato, anche per il riguardo che nutrivo nel profondersi finanche eccessivo delle sue attitudini generose nei riguardi del suo entourage, che una loro selezione è l’unica componente della mia produzione letteraria  che abbia finora visto la luce di una pubblicazione tipografica. A suggello al contempo dell’ universalità dei suoi interessi e del suo ingegno, fu poi significativo che il libro che mi  donò quale attestato della sua stima ed amicizia sia stato lo Chuang-tzu, nell’edizione Adelphi originaria.

Poi l’insorgere del male nella sua mente, che l’oscurava e la debilitava a sua ed a comune insaputa, ed un mio involvermi a suo giusto dire in modi parnassiani, crearono una certa distanza, non un distacco. Qui dall’India, dove mi hanno condotto vocazione, missione, e ciò che il destino ha di divino, dei superstiti reperti della nostra vicinanza culturale ed affettiva di quei tempi, ora riposti chissà dove nel mio appartamento mantovano, non posso addurre che il breve testo poetico che scrissi appena dopo la sua morte. Vale, caro Gino, atque vale

In memoria di Gino Baratta

Sul davanzale della sua stanza d'ospedale
gli ultimi suoi libri aperti interminabili,
quando l'inesorabile più non ci distanzia
nella sua mente che mi discorre intanto
come eterna,

come nella notte che lasciò ogni altro
per parlare con me solo di Egon Schiele.
Ed ora ch'egli non è più che il suo sfacelo
così intendo ricordarlo vivo.

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