giovedì 1 settembre 2016

La Khajuraho delle sue guide turistiche

La Khajuraho delle sue guide turistiche
Prima parte
Ieri pomeriggio mi sono offerto ad Imran come suo insegnante nell' impiego che tenta di fare dell italiano quale guida dei templi occidentali di Khajuraho,  nel cui parco lui è così entrato mettendosi al mio seguito. A mia volta ho iniziato ad apprendere per filo e per segno che cosa lui e le altre guide turistiche ne illustrino ai turisti secondo un identico copione, casomai non me ne fossi fatto già all ingrosso un’ idea bastante.
La sua presentazione aveva inizio dal padiglione dell’incarnazione in Varaha del dio Vishnu, che definiva un tempio alla stregua della stessa tabella illustrativa, per poi passare immediatamente dopo al tempio Lakshmana, del cui complesso vishnuita il padiglione è pur parte, senza che la sua architettura sia in piano che in elevazione ne fosse nemmeno un preambolo. L’attenzione del visitatore era da lui invece volta immediatamente al dio Ganesha, apportatore di buona fortuna, come faceva la sua comparsa lungo le pareti laterali del portico d’ingresso, e quindi ad una immagine del dio Shiva con tridente e serpente, lasciando nell oblio totale quella corrispettiva superiore del dio Vishnu, che la sovrastava essendo il tempio a lui dedicato. Imran non mancava invece di appuntare l interesse del visitatore sulle immagini delle “ ragazze” che affiancavano gli dei, per quanto iniziavano a mostrarsi nude o svestite, bagnate di invisibili gocce d’acqua dopo un bagno rinfrescante
Cadeva nel vuoto ogni mia avvertenza che non di ragazze doveva trattarsi ma di celestiali ninfe, se erano creature accostate agli dei sistematicamente, talmente il diktat formativo era in lui inculcato.
E sopraggiungeva il clou dei pannelli erotici esterni del vestibolo.
Qualche breve cenno alla austerità sovrastante del dio Agni lasciava presto spazio a una breve digressione sulla coppia virtuosa sottostante, intenta all’ascolto della musica che facevano risuonare le loro accompagnatrici, per concedere il discorso di fondo al pezzo forte della coppia inferiore congiunta carnalmente , su cui non mancava di fare notazioni di un certo rilievo.
Trattavasi di una coppia regale, visti i loro bracciali, il cui accoppiamento era in realtà un atto di meditazione tantrica, come lasciava intendere il gesto del mudra del re. Quanto alla durata iperbolica di tale stasi copulativa, non meno di diciassette ore, come Imran non mancava di ripetermi con enfasi, lasciavo a lui l onere della credibilità.
Il giovane e la giovane nudi che si masturbavano ai lati erano invece per lui espressione disinibita di ciò cui conduce la mancanza di controllo.
Un richiamo alla altra “ragazza “, sempre a suo dire, che di fianco sollevava un braccio per mostrare un neo, era seguito dalla stroncatura della lady seguente ,che recava un pappagallo su di un braccio: una prostituta e basta, dato che a quei tempi un pappagallo in gabbia di fronte all ingresso di una dimora significava ch’era una casa di piacere.
Nulla in contrario, per parte mia, a credere alla stregua dei Vangelo che le prostitute ci precedano nei regni dei cieli, sempre che se ne riconosca lo statuto ultraterreno.
Quanto al resto del lato del tempio, della transizione al santuario nessuna menzione di sorta, per rilevare piuttosto come una coppia si applicasse nella posa numero dodici del kamasutra, la flaccidità del pene in un accoppiamento malriuscito di un’altra coppia terrena, e quanto dovesse essere “un confortable” uno coito successivo, dove il maschio era alto e magro e la donna bassa e grassa.
A tal punto con buona pace di dikpalas e divinità di nicchia quanto mai neglette dalla mia guida che istruivo, mi congedavo per seguitare piuttosto le mie ricerche sul Devi Jagadambi nel poco tempo restantemi. Il seguito all indomani di quella monomamia investigativa, secondo Imran inappuntabilmente conforme a quelli che erano gli usi del tempo“secondo la tradizione locale”
Seconda parte
Come ho appurato ieri, non è che Imran non si sia diffuso sulle componenti architetturali del tempio perché le ignori, solo che è perché sono stato io a chiedergliene conto che si è messo a parlarmi di mukamandapa, mandapa, mahamandapa, antarala e garbagriha, una volta entrati nel tempio, illustrandomi come la piattaforma al centro del mahamandapa servisse per le danze ed il re e la regina sedessero ai balconi di lato. Di sua iniziativa aveva ripreso la visita esterna dicendomi dei kirtimukka di una grasa pattika e diffondendosi sulla famiglia del dio del sole albergata nella edicola retrostante, secondo la successione delle divinità planetarie, di cui ha saputo identificarmi all istante Sukra o Marte nell ultima della serie, dopo avermi riconosciuto nell ultima della serie Parvati alla luce dei suoi attributi.
Il problema è che come vuole la prassi delle guide cui si assimilava, era delle apsaras, che aveva imparato almeno a definirmi delle ladies, che si credeva tenuto a rendermi conto, di quella aiutata dal barbiere a levarsi uno spino dal cavo del piede, di quelle in gruppo che spremevano a suo dire succo di datteri per sfrenare alla danza, di quella contigua che a suo modo di vedere si asciugava il dorso dopo il bagno, di quella visibile presso i pannelli erotici che si ritraeva spaventata da una scimmia tra le braccia del suo amante. Quanto ai pannelli erotici, si limitava a contrapporre quello ch’era amore di coppia a quello che definiva sesso di gruppo, dopo avere fatto menzione della presenza sovrastante di un Bhahma senza barba.
All’interno del tempio ho voluto saggiare ulteriormente le sue competenze chiedendogli conto delle incarnazioni di Vishnu e delle Krishna lila che vi erano rappresentate.
Ha saputo dirmi all istante anche di Hayagriva con testa equina, ma le scene di lotta di Krishna me le ha definite scene di vita di villaggio.
E dopo che mi ha detto di Vayu, dio del vento, gli ho chiesto conto degli altri dikpalas e della loro funzione protettiva nelle otto direzioni del tempio, a partire da Kubera successivo,
Erano li posti, per quanto poteva dirmi in inglese, perché i fedeli del tempio fossero ricambiate di averne istallate le immagini con non troppo vento, suscitato da Vayu, non troppa pioggia per parte di Veruna, concedendo loro denaro il dio Kubera.
E finivamo con una disquisizione sugli atlanti del tempio, ch’egli mi definiva con il termine hindu “ Kitchak” se ben ricordo., io con il termine sanscrito butha, sulla cui equivalenza conveniva

Nessun commento: