martedì 30 agosto 2016

con Kailash intento nel gioco

Non v’è volta che non torni al negozio di handicrafts, che non vi ritrovi Kailash intento nel gioco del ludo, o ad assistervi su di un seggiolino mentre vi giocano dei suoi amici, e che non debba tacergli la mia angoscia, il mio sentimento di non farcela più, in un sorriso lieve e condiscendente, serbandomi pago che la nuova attività gli allevi le turbative della mente anche se non reca proventi. Gli confidassi il mio tormento, tornerebbe a dirmi che non vuole  più ricevere  il mio aiuto se mi fa talmente patire,  perché è cosi che gli prescrive il suo karma,  che lui non è come gli altri del villaggio, e provocherei solo la regolazione della fine di tutto,  quando con le mie risorse ancora talmente tanto è tuttavia possibile vivere e  fare, mentre ogni mio lavoro resta ancora da finire. Ma  più forte della sua rassegnazione alla fine di quanto tra noi è intercorso, con il mio soccombere emozionale  al tradimento avaro della solidarietà delle nostre sorti, so che scatenerei  la schizofrenia paranoide della sua sindrome d’abbandono,  intorno al suo convincimento che invece con  Mohammad o con altri voglia rifarmi una vita. E questo quando tutto può essere vero, che mi sia crollato il mio castello indiano, che  veda votato al fallimento la mia personalità culturale e tutto ciò che io intraprenda, di più bello,  tranne che sia minimamente stanco di lui e dei nostri cari.

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